USA, Sanders divide i Democratici

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USA, Sanders divide i Democratici
USA, Sanders divide i Democratici
Mercoledì 18 Maggio 2016 23:00
di Michele Paris
La quasi certa candidata alla Casa Bianca per il Partito Democratico, Hillary Clinton, ha
rimediato una pessima figura anche nelle primarie di questa settimana negli stati di Oregon e
Kentucky, nonostante in quest’ultimo sia riuscita a imporsi letteralmente per una manciata di
voti. La prestazione di martedì del senatore del Vermont, Bernie Sanders, ha fatto così in modo
che la corsa alla nomination Democratica prosegua ancora per qualche settimana, fino almeno
all’appuntamento del 7 giugno in vari stati, tra cui quello con il maggior numero in assoluto di
delegati in palio, la California.
Non solo l’ex segretario di Stato di Obama non è riuscita nemmeno in questa occasione a dare
la spallata decisiva al suo rivale, ma per certi versi ha addirittura visto aggravarsi i segnali di
debolezza già emersi in questa tornata elettorale. Sanders ha infatti vinto con un comodo
margine di vantaggio in Oregon (54% a 45%) e ha sostanzialmente pareggiato in Kentucky
(46,8% a 46,3%) malgrado entrambe le primarie fossero limitate ai soli elettori registrati come
Democratici.
Negli stati con questa regola, Sanders non aveva mai vinto, tranne che nel Vermont, mentre i
suoi successi erano giunti in “caucuses” e primarie “aperte”, cioè nelle quali possono votare per
il candidato Democratico anche gli “indipendenti” e i Repubblicani.
Il team di Hillary nella nottata di martedì si è affrettato a dichiarare vittoria in Kentucky, facendo
trasparire l’ansia di mettersi al sicuro dalle conseguenze di un’umiliante doppia sconfitta. La
Clinton aveva recentemente annunciato lo stop delle iniziative elettorali nelle primarie, così da
risparmiare denaro per le elezioni di novembre, ma la prospettiva di una sconfitta in uno stato
come il Kentucky l’ha convinta a tornare sulla propria decisione.
Qui sembravano sussistere tutte le condizioni per un’affermazione convincente di Hillary. La
sua nettissima vittoria su Barack Obama nel 2008 doveva ad esempio testimoniare della
popolarità della ex first lady nello stato. Allo stesso modo, com’è quasi sempre accaduto nei
mesi scorsi, Hillary si era assicurata il sostegno di praticamente tutto l’establishment
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Democratico locale, compresa la “Segretaria dello stato”, Alison Lundergan Grimes, la quale ha
per legge alcune responsabilità nel processo elettorale.
Lo scarso entusiasmo per la favorita Democratica è dimostrato anche dal fatto che martedì
Hillary ha ottenuto meno della metà dei voti rispetto a otto anni fa e ha ceduto a Sanders tutte le
contee carbonifere del Kentucky orientale, imponendosi invece nei principali centri urbani,
caratterizzati da una forte presenza di afro-americani.
Questa realtà era sembrata chiara già alla vigilia del voto, con le apparizioni pubbliche di Hillary
che avevano attirato quasi sempre poche centinaia di persone, contro le migliaia mobilitatesi
per Sanders. La Clinton ha alla fine deciso di non organizzare nessun evento nella serata di
martedì, al contrario del suo rivale che ha tenuto un comizio a Carson, nei pressi di Los
Angeles, in California, di fronte a una folla di 10 mila sostenitori.
Proprio in questa occasione, Sanders ha pronunciato un discorso tra i più di sinistra di tutta la
sua campagna elettorale, sottolineando le sue origini operaie, attaccando i poteri forti e Wall
Street e invitando il Partito Democratico ad aprire le porte alla “working-class” americana. Un
cambiamento di tono e una sorta di appello di classe evidenziati soprattutto dall’insolito
riferimento esplicito alla “working-class” come forza sociale ben definita, solitamente ignorata
dalla classe politica americana se non per dipingerla come irrimediabilmente razzista e
retrograda.
La ritrovata combattività di Sanders è probabilmente dovuta almeno in parte alla crescente e
sempre più aperta ostilità dell’apparato di potere Democratico nei suoi confronti. Oltre alla
campagna mediatica già in corso da tempo per convincerlo ad abbandonare la corsa alla
nomination visto il vantaggio insormontabile di delegati accumulato da Hillary Clinton, nei giorni
scorsi è partita una nuova offensiva che intende screditare i sostenitori di Sanders.
Ciò è coinciso con i disordini registrati alla convention locale andata in scena settimana scorsa
a Las Vegas, dove il Partito Democratico dello stato doveva nominare un certo numero di
delegati da inviare alla convention nazionale di luglio a Philadelphia. Il caos del Nevada
potrebbe prefigurare, secondo alcuni, le divisioni che rischiano di emergere la prossima estate
anche tra i Democratici e che erano finora rimaste in secondo piano, anche per l’attenzione
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della stampa concentrata in larga misura sui problemi interni al Partito Repubblicano.
A Las Vegas, l’organizzazione di Sanders si era meticolosamente adoperata per la nomina di
un numero consistente di delegati favorevoli al senatore, in modo da compensare la sconfitta di
misura subita nei “caucuses” del mese di febbraio. Quando i vertici del partito hanno però di
fatto escluso la maggior parte dei delegati pro-Sanders, i sostenitori di quest’ultimo hanno
protestato animatamente, finché l’intervento delle forze dell’ordine ha riportato la calma
nell’assemblea.
I giornali americani hanno poi dato ampio spazio alle accuse della numero uno del Partito
Democratico del Nevada, Roberta Lange, protagonista di un’accesa denuncia contro i
sostenitori di Sanders per avere diffuso il suo numero di telefono privato, sul quale avrebbe
ricevuto centinaia di telefonate e SMS intimidatori. La vicenda è stata subito raccolta dai leader
del partito vicini a Hillary per invitare Sanders a condannare l’accaduto e, più o meno
velatamente, a chiedergli di farsi da parte per evitare ulteriori divisioni interne.
Sanders, da parte sua, ha rilasciato una dichiarazione per denunciare eventuali violenze ma ha
ribadito le accuse alla leadership Democratica di utilizzare “il proprio potere per impedire un
processo equo e trasparente” nella nomina del candidato alla presidenza.
Le suppliche rivolte a Sanders per accettare il responso delle primarie e il successo di Hillary
Clinton sono tanto più intense quanto risultano sempre più forti i timori nei confronti di una
candidata profondamente screditata e vista con ostilità da decine di milioni di americani.
Non solo i più recenti sondaggi su base nazionale, per quello che possono valere a questo
punto della stagione elettorale, mostrano come Trump abbia virtualmente chiuso il gap che lo
separa da Hillary, ma quotidianamente appaiono notizie che ricordano i legami di quest’ultima
con l’élite economica e finanziaria degli Stati Uniti. Anche alcune delle stesse iniziative della
“frontrunner” Democratica per promuovere la propria immagine finiscono frequentemente per
mettere in luce i moltissimi aspetti negativi del suo curriculum politico e personale.
Questa settimana, ad esempio, la Clinton ha reso pubblica la propria dichiarazione dei redditi
relativa al 2015 nella speranza di mettere a segno qualche punto a suo favore nelle battute
iniziali della sfida con Trump. Il candidato Repubblicano non ha infatti ancora deciso se far
conoscere o meno agli elettori i propri redditi.
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