La Ballata del Vecchio Marinaio

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La Ballata del Vecchio Marinaio
Samuel Taylor Coleridge
La Ballata del Vecchio Marinaio
Traduzione di Giulio Viano
LietoColle
Libriccini da collezione
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Al Bisnonno Domenico,
che riposa nell’Oceano
e alla sua Sposa Geinin
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Nota del traduttore
Attraversare The Rime of the Ancient Mariner è gettare una moneta in aria.
Una strana moneta, che porta impresse sulle due facce il lato luminoso
e quello oscuro dell’invisibile – e dove alla ragione non resta che il
sottilissimo bordo fra i due. Proiettata oltre l’umano da forze immense,
la rotta esistenziale del Marinaio prende una direzione che mai egli
avrebbe potuto immaginare: atto più ancora arbitrario che crudele, il
suo assassinio del gentile Albatro resterà impresso per sempre su di lui.
E per essere risarcito, un istante di crudele cecità vorrà un’intera,
interminabile vita ad occhi inesorabilmente aperti. Denudato del suo
quotidiano, dei suoi compagni – ormai muto equipaggio senz’anima –,
di qualsiasi orizzonte se non quello dell’incubo, il nostro Marinaio resta
solo, l’ago della sua bussola travolto da un campo d’intensità inaudita –
Alone, alone, all, all alone, / Alone on a wide wide sea! 1 –; al suo collo, il
cadavere dell’Albatro; nei suoi occhi, lo spasmo spettrale di coloro che
ha trascinato nella maledizione.
Un’angoscia assoluta, archetipica, un assedio che preme da ogni lato,
nuova traversata di Gilgameš nelle viscere del Monte Mashu – ma
anche qui, ad un certo punto della narrazione, le forze infere, con
riluttante obbedienza, iniziano a recedere, lasciando intravedere lo
spiraglio di un disegno più ampio: non una sorta di mistico
meccanicismo, dove ad oltraggio segue punizione e nulla più, ma una
possibilità che mai si sarebbe intuita, né sperata. Scrutato dall’alto,
miglio dopo miglio, nel suo devastante peregrinare per gli oceani, il
Marinaio ottiene infine una clemenza più grande ancora della pena: non
più espiare per l’eternità, ma per un tempo, pur tremendamente lungo,
che avrà, un giorno, fine. “Sono stato malvagio, non fare come ho fatto
io”, dovrà ripetere quell’uomo, passando di terra in terra, ad occhi
sbalorditi come quelli dell’Invitato alla festa di nozze.
Forse, l’Invitato è ognuno di noi, preso dalla vita di ogni giorno; forse,
le nozze sono quella stessa vita. E forse, allontanarci dalla festa di
nozze che avevamo in programma potrà anche costarci caro,
togliendoci certezze e terraferma. Ma questa, ci ricorda il Marinaio, è la
regola prima dell’invisibile: iniziato il percorso, non si torna indietro.
1
S. T. Coleridge, The Rime of the Ancient Mariner, IV, 232-233.
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Nella versione originaria, The Rime of the Ancient Mariner uscì nel 1798,
come brano di apertura delle Lyrical Ballads, manifesto e colonna
portante del Romanticismo inglese. Nel concepire la storica raccolta, i
giovani Coleridge e Wordsworth si suddivisero i compiti con
impeccabile simmetria: Wordsworth avrebbe reso onirico il reale; a
Coleridge, viceversa, il compito di rendere credibile l’ultramondano.
“… i miei sforzi si sarebbero rivolti a personaggi di carattere soprannaturale, o
quantomeno fantastico – in modo, tuttavia, da richiamare un umano interesse dalla
nostra intima natura e conferire un sembiante di verità, per procurare a tali
evanescenti frutti dell’immaginazione quella volontaria, momentanea sospensione
d’incredulità che costituisce la base stessa della fede poetica.” 2 In quella prima
stesura, composta da un Coleridge venticinquenne, il poema era ancora
appesantito da numerosi arcaismi, come già indicava la grafia del titolo:
The Rime of the Ancyent Marinere. Il progetto iniziale, per inciso,
prevedeva un lavoro a quattro mani da parte di Coleridge e
Wordsworth: di quest’ultimo, ad esempio, l’idea dell’uccisione
dell’Albatro e dell’equipaggio reso schiera di morti viventi, come anche
il contributo di alcuni versi, ad esempio 13–16 e 226–27.
Per la nuova versione, che uscirà nel 1817 nella raccolta Sibylline Leaves,
Coleridge rimise mano alla ritmica, rendendola più asciutta e potente,
dopo aver aggiunto l’epigrafe latina e le note esplicative in prosa, date
le critiche di eccessiva oscurità rivolte all’edizione d’origine.
Prese, così, forma definitiva uno dei massimi capolavori dell’arte di
ogni tempo, che splende al centro del trittico visionario di Samuel
Taylor Coleridge, fra due grandi incompiute: la flessuosa, ipnotica
Christabel e la spezzata gemma d’Oriente, Kubla Khan.
Giulio Viano, 6 Aprile 2015
2
S. T. Coleridge, Biographia Literaria, Cap. XIV.
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La Ballata del Vecchio Marinaio
In sette parti
Facile credo, plures esse naturas invisibiles quam visibiles in rerum universitate. Sed
horum omnium familiam quis nobis enarrabit? Et gradus et cognationes et
discrimina et singulorum munera? Quid agunt? Quae loca habitant? Harum rerum
notitiam semper ambivit ingenium humanum, nunquam attigit. Juvat, interea, non
diffiteor, quandoque in animo, tanquam in tabula, majoris et melioris mundi
imaginem contemplari: ne mens assuefacta hodiernae vitae minutiis se contrahat
nimis, et tota subsidat in pusillas cogitationes. Sed veritati interea invigilandum est,
modusque servandus ut certa ab incertis, diem a nocte, distinguamus.
T. Burnet, Archaeol. Phil. p. 68.
Argomento
Come una nave, avendo dapprima veleggiato in direzione dell’Equatore,
venne portata dalle tempeste nella gelida terra prossima al Polo Sud;
come il vecchio Marinaio, crudelmente e in disprezzo delle leggi
dell’ospitalità, uccise un uccello marino e come egli venne perseguitato
da molte e strane punizioni divine; e in quale maniera egli fece ritorno
al suo Paese.
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Parte prima
Un vecchio Marinaio incontra
tre giovani di mondo invitati
ad una festa nuziale
e ne trattiene uno.
È un vecchio Marinaio
e ferma uno dei tre.
“Per la tua barba e i tuoi occhi lucenti,
perché hai fermato me?
Le porte dello sposo sono aperte,
e io sono di stretta parentela;
giunti gli ospiti, la festa è iniziata:
ne puoi udire il gioioso tumulto.”
Egli lo tiene con la secca mano:
“C’era una nave…”, disse.
“Lasciami, matto dalla barba grigia!”
Subito la sua mano lo lasciò.
L’Invitato viene ipnotizzato dagli
occhi del vecchio uomo di mare
e costretto ad ascoltare il suo
racconto.
Egli lo tiene con l’occhio lucente –
l’Invitato, impietrito,
ascolta come un bimbo di tre anni:
il Marinaio lo ha in suo potere.
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Sedette su una pietra l’Invitato:
altro non poté fare che ascoltare;
e quel vecchio riprese la parola,
il Marinaio dagli occhi lucenti.
“Salutata la nave, oltre il porto
sereni scivolammo
sotto la chiesa, sotto la collina,
Al di sotto della torre del faro.
Il Marinaio racconta come
la nave salpò verso Sud con
vento favorevole e tempo buono,
sino a quando non raggiunse
l’Equatore.
Sorse a mancina il Sole,
emergendo dal mare!
Splendeva intenso, e a dritta
nel mare scompariva.
Sempre più in alto, giorno dopo giorno,
A mezzogiorno fino sopra l’albero...”
Batteva a tempo il petto l’Invitato,
mentre il suono del fagotto ascoltava.
L’Invitato ascolta la musica nuziale,
ma il Marinaio prosegue il suo racconto.
La sposa ha fatto ingresso nella sala,
rossa come una rosa,
e dondolando il capo
le fanno strada allegri menestrelli.
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Si batte a tempo il petto l’Invitato,
ma non può che ascoltare;
e così parlò il vegliardo,
il Marinaio dagli occhi lucenti.
La nave viene portata da una
tempesta verso il Polo Sud.
“E giunse la TORMENTA,
tirannica e furente;
colpì con le sue ali soverchianti,
e ci rincorse a Sud.
Con gli alberi e con la prora inclinati,
come chi, furiosamente inseguito,
ancora calchi l’ombra del nemico,
e chini avanti il capo,
veloce andò la nave, urlò la raffica,
e noi fuggimmo verso Meridione.
E allora giunse la nebbia e la neve,
e un gelo inconcepibile:
fluttuava il ghiaccio, alto come gli alberi,
verde come smeraldo.
La terra del ghiaccio e dei
suoni spaventosi, dove non
si scorgeva essere vivente.
E fra i turbini i crepacci nevosi
mandavano un tetro bagliore;
non vi era ombra d’uomo o d’animale,
e il ghiaccio in ogni dove.
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Qui era ghiaccio, e là altro ghiaccio ancora,
il ghiaccio era ovunque;
strideva e ringhiava, urlava e ululava,
come rumori durante un deliquio!
Sino a quando un grande
uccello marino, chiamato l’Albatro,
non giunse attraverso il nevischio,
accolto con grande gioia
e ospitalità.
Lontano passò un Albatro,
era arrivato attraverso la nebbia;
e come fosse un’anima cristiana,
lo salutammo nel nome di Dio.
Cibo mangiò mai assaggiato prima,
tracciando cerchi e cerchi nel suo volo.
Il ghiaccio si divise con un tuono
e il timoniere vi passò attraverso!
Ed ecco, l’Albatro si rivela
uccello di buon auspicio
e segue la nave nel suo ritorno
verso Nord attraverso nebbie
e ghiacci galleggianti.
E si levò un buon vento da Sud;
l’Albatro ci seguiva,
ed ogni giorno, per cibo o per gioco,
giungeva al richiamo dei marinai!
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