Non temere le parole sbattile come il polpo sulla pietra
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Non temere le parole sbattile come il polpo sulla pietra
“Non temere le parole sbattile come il polpo sulla pietra fino a che non si arrendano, fino a guadagnarne tutto l’inchiostro fino a tingertene le mani. Stupido, per questo non sarai mai poeta perché non sei diventato polpo ma solo e soltanto ostinato pescatore.” (Spýros Aravanìs1) Vinicio Capossela Musica e poesia – parte 3 di Catia Manna Ovunque proteggi, dall’album omonimo del 2006, è una preghiera, come anche S.S. dei Naufragati, dallo stesso disco. La religiosità degli uomini di mare è nota fin dalla prima odissea. Vinicio Capossela ha preso parte a più equipaggi e ascoltato storie di quiete e tempeste, su navi spinte da onde di speranza o di terrore. Tutto l’uomo in Melville, Celine, Conrad, Coleridge e in testi sacri come il Qohélet, i Salmi e i Vangeli. S.S. dei Naufragati è un’invocazione tesa su corde di violoncello. Una voce, dalle profondità marine, supportata da cori di disperazione, prega (“Oh madre mia / Salvezza prendimi nell’anima”). La canzone si può considerare una riscrittura de La ballata del vecchio marinaio, anche se il protagonista del poemetto di Coleridge (1789), il colpevole della flotta diretta verso l’Antartide, quello che uccide inaspettatamente l’albatros, assume qui le sembianze di Achab, la figura ingombrante del romanzo Moby Dick di Melville, quella che giganteggia in ognuno di noi. Nella canzone di Vinicio Capossela, il viaggio dei marinai ad un certo punto si interrompe, lasciando intuire la fine di tutti, come è. Questa ballata è dedicata a “chi si è preso il mare”, a quanti si sono imbarcati nel legno del proprio volere e hanno potuto soltanto pregare di salvarsi. Le parole, in questo caso, non giudicano, servono a ricordare. http://youtu.be/MYd8RI8EEpo “E venne dall’acqua venne dal sale la penitenza dall’amaro del mare” 1 http://rebstein.wordpress.com/2014/01/15/poeti-greci-contemporanei-ix/ Il marinaio, protagonista dei versi di Coleridge, si macchia di una colpa. Sfigura la natura uccidendone un figlio, l’albatro che aveva fino a quel momento accompagnato l’equipaggio nella sua rotta. Siamo a confronto con il poemetto che può essere considerato uno dei manifesti del romanticismo, quello che uscì nell’introduzione della raccolta Lyrical Ballads di Wordsworth. Il marinaio compie un gesto inconsulto in mare, forse assecondando il suo sale, l’amaro del suo istinto. La penitenza per lui sarà nei giorni di “niente sotto il sole” tranne lo sguardo morto degli altri marinai, colpevoli anche loro di aver ritenuto, ad un certo punto, positiva l’uccisione dell’albatros. “E il comandante avanza e niente si può fare vuole una morte la vuole affrontare … Il comandante è pazzo e avanza nel peccato e il demone che è suo adesso vuole mio Brinda con il sangue all’odio ci convince che se è sua la barca che vince dev’essere la mia” Il capitano della S.S. dei Naufragati, come si può vedere, è Achab, il fascino zoppo delle nostre ossessioni. Egli è al centro di un’altra canzone del cantautore irpino, I fuochi fatui, dall’album Marinai, profeti e balene del 2011. Qui Capossela mette in bocca al comandante le parole poetiche che gli aveva attribuito lo stesso Melville: http://youtu.be/nid9LL2qfDI “Che cos’è mai questa cosa senza nome? Quale tiranno mi comanda? Perché contro tutti gli affetti io debba osare ciò che nel mio cuore vero non ho mai osato di osare? Sono io questo o chi? Dove vanno gli assassini marinaio? Chi dovrà sentenziare quando il giudice stesso è trascinato alla barra? Ma è un vento dolce oggi e un cielo dolcissimo e l’aria odora come se spirasse da prati lontani Vi sentite coraggiosi marinai coraggiosi?” La canzone S.S. dei Naufragati prosegue raccontando il drammatico momento della punizione: il marinaio ha ucciso l’albatros e gli altri dell’equipaggio hanno, in seguito, approvato macchiandosi della colpa. Il mare diventa verde come il corpo umano sottoposto alle intemperie, come la speranza che la situazione vada migliorando. Non c’è vento e l’arsura tra i marinai cresce, si stanno spegnendo il respiro e la voce. “E lì l’attendeva (la morte) dove il sole cala Cala e non muore e l’acqua non lo lava e il demone lo duole Sui banchi d’acqua stregati di olio e di petrolio E il vento non alzava e il mare imputridiva legati a un solo raggio tutti presi in ostaggio avanzavamo lenti senza ammutinamenti … Il tempo stremava l’arsura ci cuoceva parlavamo a levare il silenzio dal mare e il legno cedeva all’acqua suo pianto la vela cadde la sete ci asciugò” Arriva dunque, nella canzone, la Vita in Morte. Nei versi di Coleridge gli spettri sono due, la Morte e la Vita in Morte che si giocano a dadi il destino dei marinai; la prima vince l’equipaggio, la seconda il protagonista dell’epopea. La Vita in Morte è così descritta dal poeta inglese: “Le labbra rosse, gli occhi erano audaci i ricci erano biondi come l’oro: con una pelle bianca di lebbrosa l’incubo Vita in Morte era, l’esosa che fa gelare il sangue2” La vita nella morte, l’unico sentire di fronte a tanto morire? La colpa che ci porta alla rovina, secondo Coleridge. La natura è sacra ed espressione di Dio, come tale occorre rispettarla. Il marinaio, che racconterà la sua avventura ad un invitato a nozze, ipnotizzandolo con il suo sguardo (“il convitato subisce l’incanto dell’occhio del lupo di mare”), si salva solo nel momento in cui benedice i serpenti marini che sopraggiungono a lui, le creature del Signore. 2 http://www.greendayfactory.it/Coleridge_web.htm L’invocazione alla Santissima dei Naufragati si conclude con queste parole: “Questa è la ballata di chi si è preso il mare che lapide non abbia né ossa sulla sabbia né polvere ritorni ma bruci sui pennoni nei fuochi sacri i fuochi alati della santissima dei naufragati Oh Santissima dei Naufragati vieni a noi che siamo andati senza lacrime senza gloria vieni a noi perdon pietà” Per quanti sono naufragati, inconsapevoli o consapevoli che non ci sarebbe stata per loro alcuna gloria, non si può che cantare una preghiera come protezione dalla dimenticanza. Né lapide, né ossa insepolte, né cenere morta, ma fuoco nella parola che corre di bocca in bocca. Anche Ovunque proteggi è una preghiera e trova spesso parte nel rito dei suoi concerti. Ripete le strofe musicali per essere sacra. Fa appello alla grazia del cuore, che sia preservata. Strappa quasi una promessa. “In ricchezza e in fortuna in pena e in povertà nella gioia e nel clamore nel lutto e nel dolore nel freddo e nel sole nel sonno e nel rumore Ovunque proteggi la grazia del mio cuore Ovunque proteggi la grazia del tuo cuore” http://youtu.be/dJpPFBv5DEg Ovunque proteggi, per quando tornerà “il tempo per partire, il tempo di restare, il tempo di lasciare, il tempo di abbracciare”. “Tutto ha sotto il cielo una sua ora Un tempo suo Il tempo di nascere e il tempo di morire Il tempo di piantare e il tempo di spiantare Il tempo di uccidere e il tempo di curare … Il tempo del cercarsi e il tempo del lasciarsi Il tempo di tenere e il tempo di gettare … Dalla polvere viene tutto Nella polvere tutto riposa” (Qohélet, 3) (3 - continua)