il mondo di maria di francia

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FRONTIERA DI PAGINE
POESIA ANTICA
IL MONDO DI MARIA DI FRANCIA
di Andrea Galgano
Prato, 27 settembre 2011
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I «M
arie ai num, si sui de
France», scrisse così Maria di
Francia (seconda metà del XII secolo) nelle
sue Fables. La sua provenienza e le sue opere
recano la sua firma. Cosa rara per i manoscritti
medievali, sempre difficilmente attribuibili, ma
esse mettono a fuoco anche un ambiente, una
materia e altri dettagli, sotto l’insegna fervida
dell’anglonormanno e dell’ambiente di Enrico II
Plantageneto. Ciò che sorprende in questa figura
così affascinante, non è solo l’eccezionalità della
sua cultura e la dimestichezza con la lingua latina, ma la creazione di un genere nuovo,
che pur non disdegnando l’autorevolezza dei predecessori, percorre una via per la
letteratura coeva: i Lais. Genere narrativo breve in distici di ottosillabi a rima baciata
scritti tra il 1160 e il 1175, la cui origine fu ampiamente studiata da Jean Frappier,
rappresentano un’innovazione nella poesia medievale che per la poetessa rientrano nel
genere del conte (racconto). Rimangono legati, pertanto, alla materia leggendaria di
origine celtica, messa in circolazione dai cantori bretoni. Frequente è in essi sia il tema
dell’Altro Mondo (si pensi ai lais di Guigemar, Lanval, Yonec): dimensione parallela e
magica e dove gli eroi vengono condotti o dove gli esseri fantastici approdano nel nostro
mondo, sia l’amore che costituisce il tema portante di quasi tutti i suoi lais, potremmo
dire che quasi si intrecciano a seconda del tessuto testuale.
Adotta quindi, della materia di Bretagna, esclusivamente l’aspetto d’amore e di
avventura, integrato con coloriture fantastiche.
La poesia di Maria di Francia percorre le cromature dell’amore e si attesta su categorie
tipizzate: il marito geloso e la moglie vittima, ad esempio, analizza varie gradazioni e
anche legami puri si concludono con una tragedia (deus Amanz) o l’illecito raggiunge
invece il lieto fine,come ci dice il lai di Eliduc.
II Quasi tutti i protagonisti sono in qualche modo innamorati. Guigemar, refrattario
all’amore si innamorerà della bellissima dama alla quale l’ha condotto la nave
meravigliosa,
in Yonec l’amore
è
di
una
donna
malmaritata
per
un
essere
fatato,nel Chativel quattro innamorati lottano per il cuore di una dama, ma il superstite
non riesce, ferito, a godere dell’amore della donna e tranne il Bisclavret, storia di un lupo
mannaro, il cuore di Maria di Francia mette a fuoco queste figure, non giustificando però
i suoi innamorati e in alcuni casi l’amore colpevole e ingiustificato determina lutti e
sciagure. Si ricava un continuo cambiamento di prospettiva, di piccola misura aperta alla
tinta assoluta, una miniatura che contiene l’universo. Sembrerebbe che Maria aderisse
alla dottrina dell’amore adultero, condizione, come scrive Andrea Cappellano,
imprescindibile per l’amore vero, Maria però cerca di mettere i suoi amanti in una
posizione morale per giustificare l’adulterio (marito indegno e in tarda età) e il lai
di Equitan smentisce quest’appartenenza, poiché in quel caso è il rivale ad esserlo,
testimoniando una posizione mediana della poetessa tra Cappellano e Chretien de Troyes,
altro estremo di fedeltà. L’amore, pertanto, che non è mai un gioco, è il motore della
vicenda, l’innesco che fa esplodere la vicenda. Nel lai di Guigemar, la riluttanza del
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protagonista all’amore, per un errore di Natura, diviene la molla dell’azione, e la
punizione della cerva ferita risulta quasi un contrappasso: «Né medico né filtro ti
potranno guarire dalla piaga che hai nella coscia fino a che ti risani colei che per amor tuo
soffrirà pene e dolori così grandi che mai donna abbia sofferto, e tu farai altrettanto per
lei».
Nell’opera di Maria si assiste quasi a un dècoupage. Il desiderio di amore inappagato di
donne malmaritate determina l’espressività poetica e l’analisi dell’affezione che sostanzia
la scena. Può essere distorto, una trafila di inganni, un capriccio, ma può essere anche
nobiltà tesa al bene, incontro con la magia di esseri fatati che intervengono sul piano del
racconto, come un assalto di tempo e spazio, da un mondo lontano e inaccessibile.
Esiste uno scenario composito nella sua opera, sembra quasi che i protagonisti entrino
nella realtà nudi nelle loro debolezze, nelle loro limitate strutture, ma acquistino la
rivelazione di un destino strada facendo, come un bozzetto che tinteggia e rimarca.
Scrive Giovanna Angeli: “come in parecchi dècoupages d’autore, si sfiora lo stato di
grazia della gratuità. È il caso di quei «sottili fatti di luce» - così li chiama Contini -,
bianchi raggi lunari, chiarori del mattino, ombre che si profilano (quella dell’astore
in Yonec) facendo presagire misteriose apparizioni. Altrove, improvvisi primi piani
irrompono relegando sullo sfondo l’azione: ma si tratta, più che dettagli inutili, di
sottolineature simboliche che preparano l’evento straordinario.”
Ecco il punto della storia, ossia la tensione verso l’avventura, verso la meta sconosciuta,
verso l’errance che destina l’io, anche a costo di lacerazioni e disdette: Guigemar che
entra in una nave verso un destino straordinario, Eliduc che attraversa il mare, l’amante di
Muldumarec che segue le tracce di sangue del cavaliere.
Il meraviglioso è sotteso e succedaneo alla giustizia e alla verità e infine, alla felicità. È
l’immaginario il luogo del trionfo di Maria di Francia, dove le storie sono vere perché i
personaggi avventurieri credono nell’avventura, come incontro di destino e punto di
snodo dell’esistenza.
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III Quand’ebbe terminato il suo lamento,
vide l’ombra di un grande uccello
attraverso una stretta finestra;
non sapeva cosa potesse essere.
L’uccello entrò volando nella stanza,
aveva i geti alle zampe, sembrava un astore,
di cinque o sei mute.
Si è posato di fronte alla signora.
Dopo essere stato un po’ così,
e dopo che la dama l’ebbe ben guardato,
si trasformò in un cavaliere gentile.
La dama pensò ad un prodigio;
si sentì rimuovere il sangue e fremere
grande paura ebbe, si coprì la testa.
Il cavaliere si mostrò molto cortese,
e per primo rivolse la parola:
“Signora, egli dice, non temete:
l’astore è un uccello gentile!
Se il mistero vi pare inesplicabile,
rassicuratevi,
e fate di me il vostro amico!
IV Per questo, egli dice, sono venuto qui.
Molto tempo vi ho amato
e desiderato in cuor mio;
non ho amato nessuno all’infuori di voi
e non amerò nessun altra.
Ma non potevo venire da voi,
né uscire dal mio palazzo,
se voi non mi aveste chiamato …
(Yonec, vv.105-133)
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