il mare di joseph conrad

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il mare di joseph conrad
 ® Il mare di Joseph conrad
Di andrea galgano
http://polopsicodinamiche.forumattivo.com
9 febbraio 2012
I
IL
dato biografico marino nella dinamica esperienziale di Joseph Conrad (1857‐
1924) è per molti aspetti ricolmo di una densità esistenziale compatta, di un moto di vivezza e di abisso, allo stesso tempo. Non si può comprendere il suo moto espressivo, se non lo si accosta al polo biografico. Nato come Jozef Teodor Konrad Korzeniowski, in Ucraina, da genitori polacchi, cresciuto in Russia, dove il padre era stato esiliato per motivi politici, e poi in Polonia, aveva raggiunto Marsiglia per intraprendere la carriera marinara nella marina mercantile francese e poi in quella inglese, © articolo stampato da Polo Psicodinamiche s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano. “Il mare di Joseph Conrad” 9.2.2012 cercando di impastare l’acqua del mare con l’acqua di pagina, salvo poi dedicarsi completamente a quest’ultima, e intessendo la sua trama espressiva con gli esempi di Maupassant, Flaubert e Dostoevskij, imparando, quindi, appieno la lingua inglese, strumento di conoscenza e profondità: «La verità della faccenda è che la mia facoltà di scrivere in inglese è naturale quanto ogni altra attitudine ingenita che io abbia mai avuto. Nutro la strana e irresistibile sensazione ch’essa sia sempre stata una parte inerente di me stesso». L’esperienza di cabotaggio, il tratto marinaresco che si è affermato nella sua vita sono le tracce di un’atmosfera di accensione e di abisso, di sperdimento e di impenetrabilità. La sua visione è una vertigine di atmosfera e avversità, in cui la comunità che abita la sua scena – come ad esempio l’equipaggio di una nave – si scontra con una precipua responsabilità, un compito, un’obbedienza. Ed ecco che il microcosmo navale rappresenta il bordo e il margine dell’intera umanità e dell’intera società, che si confronta con un universo maschile e con l’esclusione idealizzata della donna, che non appartiene a quel mondo, che però diviene approdo di un’attesa, di un anelito di riparo e terraferma. Scrive Paolo Bertinetti: “Un uomo, dopo settimane o mesi sul mare (…) in cui ha affrontato le fatiche e i pericoli del mondo, quello vero, vuole tornare a casa e trovarvi una presenza affettuosa, consolatrice, serena (anche perché, grazie a lui, lei può ignorare le brutture della realtà)”. La prosa di Conrad si muove sulla congiunzione di un territorio, sull’impresa coloniale che viene valutata con alone critico e riflessivo. Cuore di tenebra è il romanzo che narra la vicenda di un capitano di vaporetto Marlow, al quale viene affidato un incarico lungo un fiume, nell'Africa Nera. Dopo un lungo viaggio giunge alla sede, inospitale e inefficiente, della Compagnia, che aveva basato i suoi interessi sul commercio dell’avorio. Tra epifanie inquietanti ed echi di violenza e schiavitù, il viaggio si trasforma in un viaggio verso il commerciante Kurtz, mandato nella colonia africana come portatore di civiltà e capacità imprenditoriale, il quale malauguratamente, si perde. Percorso di simboli e di voci, di ignote destinazioni e conoscenza di sé. Il raggiungimento della base di Kurtz rivela un luogo oscuro, primordiale e ostile, dove la sua figura è divinizzata dagli indigeni. Marlow lo riporta casa e nel ritorno Kurtz muore pronunciando in punto di morte: «The horror! The horror!», parole che il capitano non oserà pronunciare alla vedova, mentre gli consegnerà un pacco contenente delle lettere. Cos’è quell’orrore? Cos’è quel mistero impenetrabile e tenebroso? Conrad collega l’impenetrabilità di questi luoghi alle “zone bianche” che egli aveva visto nelle carte e muove la sua espressione non già nell’avventura, ma nella doppiezza di una mappa di viaggio. © articolo stampato da Polo Psicodinamiche s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano. “Il mare di Joseph Conrad” 9.2.2012 II
La bianchezza dell’Africa (in quanto immacolata di conoscenza) si scontra con la tenebrosità del nero (Il negro del Narciso), della pelle degli abitanti, del Nilo, fino all’indicibilità della negritudine occidentale nel falso progresso e nella falsità dei miti. Il viaggio dell’uomo nasce dal buio dell’incerto, dallo sgomento dell’io che può tramutarsi nei suoi processi a ciò che è ingovernabile, inconoscibile come l’orrore. Che qui non solo, assume gli aspetti di espansione coloniale, ma diviene sguardo profondo e oscuro sull’uomo, sulla banalità della forza del male, sulla denuncia estrema. È proprio sulla condizione estrema dell’uomo che Conrad fissa il suo punto d’indagine. La terribile tempesta di Tifone, descritta con realismo magico, è in realtà una scena con cui il cuore dell’uomo si confronta e si palesa. Il capitano Mac Whirr, modesto e quasi insignificante, ma allo stesso tempo scrupoloso e ligio al dovere, conduce alla salvezza la nave e il suo equipaggio. La terribile tempesta che si accanisce contro il Nan‐Shan, piroscafo che nell’Estremo Oriente, trasporta merci e duecento coolies cinesi, è il luogo di una responsabilità e di una scelta, misurando la stoffa dell’uomo, così come il capitano de La linea d’ombra che supera la prova e si salva, oppure Lord Jim, storia di un uomo e dell’incrinatura della sua debolezza, che ricerca redenzione e salvezza e trova, finalmente, la morte. Non esiste elogio della vita marittima in Conrad. Anzi, l’evocazione dell’universo si poggia sulla prossimità di eroismo e stupidità, in un concerto di romance e novel, e tutto avviene in una trama e in un mosaico di fatto e sua interpretazione. L’immersione nell’inconscio è cronotipo di emersione, dove il viaggio è formazione di individuo e bagno di buio, peregrinazione negli abissi e nell’estremità assolute, come l’abbandono della patria d’origine che ha alimentato in lui il sentimento di colpa e la lucidità nello scandagliare l’alterità. Il cuore dell’uomo conosce l’insondabilità della migrazione, la terra abitata dal mare ed appare un punto di bagliori e lampi notturni. Il mare, pertanto, assume l’orlo di porti e terre esotiche, splendore di navigli, quadro smagliante di isole e uomini, ma anche isolamento, pienezza astorica di solitudine, plastica fattezza di fantasmi e inquietudini. Egli ha messo in scena la realtà disgregata e ricolma di brutture che, scontrandosi con l’incapacità indicibile della parola a permeare storie compiute, comincia a percorrere le linee sottili dell’ombra. Di tempeste ne aveva incontrate, naturalmente. Era stato bagnato fino all’osso, sbattuto,
travagliato … Ma non aveva mai intravisto la forza incommensurabile e la collera smodata,
la collera che passa e si esaurisce senza mai placarsi – la collera e la furia del mare irritato.
Egli sapeva che ciò esiste, come sappiamo che esiste il delitto e l’odio; ne aveva udito
parlare come un pacifico cittadino sente di battaglie, carestie, inondazioni, senza che ne
conosca il significato … Il capitano MacWhirr aveva navigato sulla distesa degli oceani così
come tanti uomini scivolano sugli anni dell’esistenza per scendere dolcemente in una
placida tomba …
(Joseph Conrad, “Tifone”)
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