L`Immaginario Simbolico

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L`Immaginario Simbolico
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LA MEMORIA DEI NIBELUNGHI
Di andrea galgano
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31gennaio 2012
Manoscritto C (1220 circa)
I
S
orta tra il XII e il XIII secolo, fino al
XV secolo La Canzone dei
Nibelunghi (Nibelungenlied), scritta in
alto tedesco medio, venne ricopiata,
ampliata e fusa in quattro cicli di saghe
(bassorenano, burgundo, ostrogoto,
unno). È un dramma denso, non solo
per il rifacimento o l’abbraccio che la
sua storia compie al mondo
germanico, esteso fino alle isole Fär
Öer e al territorio norreno, ma perché
le sue saghe, già presenti nel VI e VII
secolo d.C. – nelle canzoni di Sigfrido e
Brunilde, nella morte dell’eroe e nella
distruzione burgunda- riflettono la
storia dell’antica poesia epica normanna, mescolano linguaggi, condensano morfologie.
Il romanticismo scoprì, grazie agli studi di A.G. Schlegel, la dimensione artistica e unitaria di
questo modello espressivo come assioma del popolo-poeta e l’interesse mutò anche in
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migrazioni musicali e sonore con Wagner, che rimase attratto dalla vicenda universale
all’interno del poema. Ma anche J.R.R.Tolkien ne ha riscritto le linee, ispirandosi alle versioni
islandesi, ne La leggenda di Sigurd e Gudrùn, ora uscite in volume qualche anno fa grazie al
figlio Cristopher.
Numerose sono state le speculazioni sull’autore (forse Konrad von Fußesbrunnen, Bligger von
Steinach o Walther von der Vogelweide) e un’ipotesi suggestiva lo vuole personaggio di una
corte vescovile che scriveva per i chierici e i nobili, in Austria o in Baviera.
La conoscenza della vita cortese, l’idealizzazione e la storicizzazione delle vicende narrate, la
disomogeneità del linguaggio fanno di questa epopea un transito di modelli e di raffinatezze
espressive coese.
Il Nibelungenlied sviluppa la sua trama su due linee chiave: la storia d’amore di Sigfrido e
Crimilde e poi la sua vendetta, e la lotta di popoli per un tesoro immenso. Sigfrido, eroe
primario del poema ‘cortese’ e ‘gentile’, giunge alla corte burgunda di Worms per conquistare
la principessa Crimilde, di cui ha sentito parlare. Viene accolto da suo fratello, Gunther, come
amico ed alleato dietro consiglio dell'astuto consigliere e vassallo Hagen. Sigfrido aveva ucciso
precedentemente il drago Fafnir, si era bagnato del suo sangue diventando, pertanto, quasi
invulnerabile (una foglia era caduta sulla sua schiena e gli aveva impedito che tutta la totalità
del corpo divenisse tale), e si era impossessato del tesoro, sottratto ai nani delle viscere della
terra i “ Nibelunghi” (letteralmente “i figli della nebbia”).
Riesce a sconfiggere Brunilde (rubandole un anello e la cintura), temuta regina d’Islanda, grazie
a un mantello fatato che lo rende invisibile, e darla in sposa a re Gunther, che aveva aiutato
nella battaglia contro i Sassoni. Le nozze tra Crimilde e Sigfrido vengono celebrate, ma la
conquista ottenuta con l’inganno e la riottosità di Brunilde che, in un eccesso di superbia e
gelosia, espone la trama nascosta ai suoi danni da parte del ‘vassallo’ Sigfrido,che inutilmente
giurerà la sua innocenza, la prima notte di nozze fanno precipitare le vicende. L’atteggiamento
di Brunilde viene strumentalizzato dal perfido Hagen, che desideroso di mettere le mani sul
tesoro, decide di aiutare la regina a uccidere l’eroe Sigfrido. Dopo peripezie e colpi di scena
verrà ucciso a tradimento, dopo una caccia, per mano di Hagen dalla sua stessa lancia alla
spalla sinistra, mentre si disseta a una fonte. Riuscirà con il re Gunther a impadronirsi del
tesoro e a nasconderlo.
La morte dell’amato getta Crimilde in un mutamento e in un cambio di carattere, l’ideale
femminile del mondo cortese diviene temeraria vendicatrice, e raccoglierà i sedimenti della
sua vendetta per tredici lunghi anni. Sopraffazione e vendetta quindi, l’offesa che acuisce il
dolore.
Accetta in seconde nozze la mano di Attila coinvolgendo Rudiger e scatenando rivalità e
inimicizie. Al battesimo del primo figlio avuto da Attila, invita i Burgundi a una festa di corte.
Hagen cerca di dissuadere invano Gunther, diventando profeta inascoltato e conoscitore di
futuri inganni. La fierezza dell’eroe è sempre minacciata dal chiaroscuro della cupezza, del
sogno premonitore, del presagio, dell’imminenza degli eventi.
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II
Ogni scena è sempre dominata dal destino e dall’azione: l’attentato scampato dal monaco
della profezia, la decapitazione da parte di Hagen del neonato di Attila e Crimilde, la pretesa di
restituzione del tesoro, l’incendio e il succedaneo salvataggio dei guerrieri nella sala, si
poggiano sul dissidio morale dei personaggi (lo scudo di Rudiger ne è un esempio) e sul
riempimento di scena dei guerrieri di Teodorico. I Burgundi verranno uccisi tranne Hagen e
Gunther. L’unica possibilità di redenzione è il ripristino dell’ordine sociale, solo la restituzione
del tesoro può ridare senso al vuoto e al prestigio sociale mutilato. Crimilde decapita Gunther
e quando la donna gli presenta il capo mozzo del fratello, invece di rivelarle il luogo del tesoro,
Hagen paga con la vita il suo inganno e il suo scherzo al destino. La vita di Crimilde però non ha
più significato e il gesto finale ed estremo di Ildebrando, maestro d’armi di Teodorico, con cui
uccide la regina è una linea razionale di una fine irrazionale.
J.W.Goethe non apprezzava questo testo a causa della dimensione terrifica che lo costituisce,
per la rilevanza orrida del mondo soprannaturale che sembra non arrecare salvezza e
redenzione. Del resto, la poesia germanica, al tempo delle migrazioni, non conosce divinità che
redimono e temperano, ma sono inesorabilità cupe e dense. Gli uomini sono mossi l’uno
contro l’altro, il coraggio e il sacrificio sono asserviti al tradimento, alla doppiezza e alla
vendetta.
La descrizione delle scene, dalla caccia alle feste, ai cortei, fino alle armi o la nascita dei volti
nell’amore condensa il suo effluvio lirico nell’elegia che unisce coscienza religiosa e conoscenza
cortese. La problematica religiosa, insita nell’animo di Rudiger tra la grazia divina e il prestigio
del mondo, cara alla sua tradizione, ha indotto alcuni critici, come scrive giustamente Laura
Mancinelli, a considerarlo un poema cristiano, in cui si rappresenta la tragedia a cui va incontro
un mondo che del cristianesimo non ha accolto l’insegnamento e continua la Mancinelli: “Allo
stesso modo la mancanza di vero spirito cristiano dietro le cerimonie religiose, pure
frequentissime, la convenzionalità delle invocazioni a Dio cui non rinunciano neppure
personaggi come Hagen, l’irriducibile paganesimo di figure chiave come Crimilde (…) hanno
indotto a considerare il Nibelungenlied l’ultima espressione del paganesimo germanico, del
suo tragico pessimismo
per cui, al di sopra dei
concetti
di
fedeltà
vendetta
onore,
non
traluce per nessuno un
barlume di speranza”. Il
gesto è il dialogo, il
significato
è
l’azione,
l’Avventura il senso.
Gunther ordina ad Hagen di
sommergere il tesoro nel Reno
(Peter von Cornelius, 1859)
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III
La ragione dell’epica sta non solo nella grandiosità delle vicende, ma nella condensazione
dell’umanità intera, nella vivezza delle azioni, che qui, pur escludendo quotidianità e familiare
intensità, si muovono secondo schemi cortesi di distanza e impresa. La morfologia fiabesca di
questo testo studiata da Propp, intrisa di fenomeni e vicissitudini, conosce tradizioni e
archetipi antichi, laddove simboli e gesta sono estremità dualistiche tra terreno e ultraterreno,
realtà sensibile e spirituale. Ma dove il “lied” splende di luce e sofferenza, sogno e visione.
Pertanto l’ambiguità e l’ equivoco nel mondo e nel linguaggio sanno rendere però nell’ordito
un filo diretto tra poeta e pubblico, come un’unica grande trama e visione.
“Si videro tutte uscire da una grandissima sala.
Si fece una gran ressa tra i nobili guerrieri,
che avevano speranza che accadesse anche a loro
di gettare lieti sguardi alla nobile principessa.
E venne la leggiadra, come rompe l’aurora
fuori da oscure nubi. Sparì una grande angoscia.
In colui che l’amava, e già da lungo tempo.
Egli vide la bella, splendida, innanzi a sé.
Rilucevano dalla sua veste molte pietre preziose.
Il colore roseo del volto risplendeva dolcemente.
Per quanto grandi possano essere i desideri di qualcuno,
nessuno potrebbe dire d’aver mai visto cosa più bella.
Come splende la luna più di tutte le stelle
quando il suo raggio lucente scende dalle nubi,
così le altre donne superava in bellezza.
Per questo esultava il cuore dei bei guerrieri.
Si videro precederla maestosi camerlenghi.
I superbi guerrieri non potevano trattenersi
Dal far ressa d’intorno, per vedere la fanciulla.
Il sire Sigfrido era lieto e turbato.
Pensava nel suo cuore: “ Come può accadere
Che mi sia dato d’amarti? Non è che un sogno folle.
Ma se devo restarti estraneo, vorrei piuttosto morire.”
E in quel pensiero il suo volto impallidiva e arrossiva.
(V AVVENTURA, 280-285)
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IV