Ubaldo Villani-Lubelli: Perché è fallito il

Transcript

Ubaldo Villani-Lubelli: Perché è fallito il
Ubaldo Villani-Lubelli: Perché è fallito il multiculturalismo e come faremo a superarlo
Ubaldo Villani-Lubelli
Perché è fallito il multiculturalismo e come faremo a superarlo
La Fondazione Magna Carta ha partecipato alla tavola rotonda "La crise du modèle
multiculturaliste en Europe et l’expérience de la Russie" che si è svolta a Parigi presso l’Institut
de la Démocratie et de la Coopération (IDC). Pubblichiamo la relazione tenuta da Ubaldo
Villani-Lubelli, saggista e ricercatore universitario.
Da più parti si prende atto della fine del multiculturalismo. Recentemente sia Angela Merkel sia
David Cameron hanno ricordato come il multiculturalismo abbia sostanzialmente fallito. I due
leader europei, seppur in momenti diversi, hanno manifestato l'importanza e la necessità di una
reale e profonda integrazione dei giovani immigrati musulmani nelle rispettive società nazionali
europee. Tuttavia il fallimento del multiculturalismo è dimostrato, in modo evidente, dal caso
olandese, che a lungo e' stato visto come un modello di riferimento. In Olanda, l’idea che fosse
sufficiente concedere la libertà a tutte le etnie e a tutte le religioni in nome del relativismo
culturale si è rivelata essere un'utopia. La conseguenza di questa impostazione sono stati gli
assassini del leader olandese Pim Fortuyn nel 2002 e del regista Theo van Gogh nel 2004.
Preso atto, dunque, del fallimento dell’esperimento multiculturalista, è indispensabile pensare e
riflettere ad un nuovo modello che ne possa rappresentare il superamento. Particolarmente
1/5
Ubaldo Villani-Lubelli: Perché è fallito il multiculturalismo e come faremo a superarlo
significativo in questo senso è il caso della Germania. Qui il dibattito tedesco sull'Islam e
l’integrazione ha avuto, negli ultimi mesi, un’inaspettata e imprevedibile accelerazione. Il
protagonista principale è stato Thilo Sarrazin, un uomo dell'establishment politico-finanziario
tedesco. Il suo libro (La Germania si autodistrugge) ha scatenato un vero e proprio terremoto
politico. Le tesi di Sarrazin sono facilmente riassumibili: l’immigrazione islamica in Germania
deve essere bloccata, non solo perchè dal punto di vista economico non abbiamo bisogno degli
immigrati musulmani, ma anche perché, a causa della loro scarsa preparazione professionale,
abbassano il livello di competitività della società tedesca. Sarrazin riporta una serie di dati per
dimostrare come la Germania, nonostante resti ancora oggi tra i paesi più ricchi in Occidente,
non occupa più i primi posti della classifica. La migliore università tedesca, la
Ludwig-Maximilians-Universität (LMU) di Monaco, è al cinquantacinquesimo posto nella
graduatoria internazionale. Considerato che la Germania è un paese che dedica grande
attenzione alla formazione scolastica, universitaria, alla difesa della propria lingua nazionale e
tradizione culturale potete capire bene quale impatto hanno avuto queste tesi nella società
tedesca.
L’economista tedesco ha lanciato un allarme: la Germania sta lentamente perdendo i suoi
connotati tradizionali e si sta letteralmente de-germanizzando. Sta perdendo la sua identità
socio-culturale della Germania. Se a questo aggiungiamo che le nascite in Germania erano 1.3
milioni negli anni sessanta, 650.000 nel 2009 e, di questo passo, fra novant’anni saranno tra
200 e 250.000, allora, la popolazione tedesca è destinata a diminuire a 25 milioni fra cento anni,
a 8 milioni tra duecento e 3 milioni fra trecento. Per Thilo Sarrazin, la Germania sta subendo un
processo di graduale e costante rimpicciolimento che la porterà, di fatto, all’estinzione. E’
naturalmente difficile fare una previsione da qui a trecento anni, come fa Sarrazin, e potrebbe
anche essere possibile che questo trend descritto da Sarrazin venga, in qualche modo,
invertito. Tuttavia il problema che pone l’economista tedesco è che il numero di immigrati
(soprattutto di religione musulmana) è in costante aumento e molto spesso hanno oggettive
difficoltà ad integrarsi: parlano a stento il tedesco, vivono di sussidi statali (problema grave e
molto sentito in Germania) e l’orizzonte culturale di riferimento resta sempre e soltanto quello
del proprio gruppo nazionale di provenienza. In compenso sono particolarmente fertili, al
contrario di gran parte dei tedeschi (ricordo che la Germania ha l’indice di natalità più basso in
Europa). Thilo Sarrazin porta l’esempio del grosso quartiere Neukölln di Berlino, dove su
305.000 abitanti 120.000 sono turchi o arabi (ai quali vanno aggiunti circa 20 o 30.000 di altri
immigrati illegali) ed il numero crescerà ancora. Oramai il quartiere viene considerato la più
significativa società parallela in Germania, ovvero dove gli immigrati hanno realizzando una
sorta di microcosmo all’interno della società tedesca. Non dimentichiamo, tra l’altro, che proprio
in questo quartiere alcune scuole hanno dovuto realizzare dei moduli di iscrizione in arabo per
la scarsa conoscenza del tedesco da parte degli immigrati.
E’ difficile dire quanto sia apocalittico lo scenario descritto da Sarrazin. E’, però, realistico
pensare che la popolazione musulmana possa crescere ancora molto grazie alla combinazione
di elevati indici di natalità e continua immigrazione verso la Germania.
2/5
Ubaldo Villani-Lubelli: Perché è fallito il multiculturalismo e come faremo a superarlo
Ora, il dibattito in Germania si è articolato anche su altre due questioni. La prima legata alla
possibilità dell’Islam di adattarsi alle istituzioni democratiche occidentali. E qui mi riferisco alla
libertà di informazione, ai diritti fondamentali dell’uomo ed in particolare ai diritti delle donne. La
seconda questione è sicuramente quella maggiormente discussa in Germania e sulla quale ci
sono le maggiori divisioni politiche, ovvero se l'Islam sia parte della storia e della cultura
tedesche. L'argomento è talmente dibattuto che anche all’interno dello stesso Governo Merkel,
le posizioni siano discordanti.
In conclusione vorrei porre alla vostra attenzione tre questioni:
1) L’Europa è terreno di enormi flussi migratori. Ora, ogni generazione ha i suoi compiti
assegnati dalla storia. E la nostra ha il compito di dominare i flussi migratori ed i cambiamenti
demografici. La novità rispetto al passato è che non abbiamo nessun modello precedente a cui
poterci ispirare. Questo è ancor più vero se si pensa che in Europa non si sono ancora stabiliti
criteri su come fronteggiare l’immigrazione. Ripensare il rapporto tra identità, integrazione ed
immigrazione è diventato estremamente difficile. Molto spesso si oscilla tra il multiculturalismo
ed il nazionalismo, tra l’apertura indiscriminata delle frontiere e la chiusura ad oltranza. Le élite
culturali e politiche di gran parte dei paesi occidentali non hanno alcuna idea veramente
convincente per considerare la migrazione come parte costante della società occidentale. Da
una parte c’è un’enorme richiesta di nuove misure di contrasto all’immigrazione, dall’altra, la
politica ha spesso difficoltà a trattare in modo organico, senza ideologismi ed in maniera neutra
un tema, che negli ultimi mesi è diventato di grande attualità in Europa. Bisogna, dunque,
ripensare e ristabilire i parametri nel rapporto tra l’identità nazionale, il fenomeno
dell’immigrazione e la necessità di integrare gli immigrati regolari. Per realizzare questo compito
le parole d’ordine del passato, multiculturalismo da una parte e nazionalismo dall’altra, non
offrono più quel patrimonio concettuale sufficiente a risolvere le questioni odierne. Fermo
restando che la nostra società occidentale è inevitabilmente destinata a diventare sempre più
eterogenea, variegata e mista, dobbiamo, al contempo, essere ancor più decisi a difendere i
nostri principi di democrazia e libertà propri di uno stato di diritto. Il flusso migratorio verso
l’Europa è un fenomeno da tenere sotto controllo se vogliamo difendere il nostro stile di vita ed i
nostri valori di riferimento. Thilo Sarrazin l’ha detto in modo chiaro: le generazioni future
rischiano di vivere in un paese “musulmano”, con donne con il velo e ritmi della giornata scanditi
dai muezzin. Sarà anche una visione apocalittica, ma, a mio avviso, è doveroso non
sottovalutarla.
2) In Europa l’indice di natalità è basso. La Germania (come anche l’Italia!) è il paese con il
tasso di natalità più basso - la metà di quello della Turchia (fonte: Central Intelligence Agency),
un paese che aspira ad entrare in Europa.
3/5
Ubaldo Villani-Lubelli: Perché è fallito il multiculturalismo e come faremo a superarlo
3) L’ideologia multiculturale degli ultimi decenni ha portato ad una relativizzazione dei valori di
riferimento. Si è dato vita ad un relativismo multiculturale che viene troppo spesso
erroneamente confuso con il pluralismo culturale. Secondo il relativismo multiculturale non c’è
più alcuna differenza tra le culture e le civiltà, si vive un magma indistinto, secondo il quale
siamo tutti uguali a prescindere dalla nostra storia e tradizione. In un futuro non lontano, nella
nostra società, tenderanno a coesistere sempre di più gruppi di nazionalità e di religioni diverse.
E questa è una prospettiva che non possiamo negare, ma è fondamentale cercare di stabilire in
che modo la nostra società occidentale ed europea intende confrontarsi con la concreta
prospettiva di una società costituita da un insieme di paralleli microcosmi culturali e religiosi.
Con quale sistema di valori e con quali idee si proporrà la nostra società davanti al crescente
numero di competitors culturali e religiosi? In un futuromelting-pot in quali condizioni ci
arriveremo? Semplicemente con i valori, assolutamente indiscutibili, della democrazia, della
libertà e dei diritti umani o è forse necessario aggiungere a questi qualcosa di più profondo? Un
sistema di valori, uno stile di vita, una propria cultura che possa rappresentare il paradigma di
una civiltà alla quale l’immigrato potrà trovare, eventualmente, una nuova identità ed anche
cittadinanza?
La questione dell’integrazione non può prescindere dall’identità culturale di una nazione, di una
comunità o di una civiltà (ed in questo caso mi riferisco alla civiltà europea). Si tratta, in primo
luogo, di tutelare l’esigenza primordiale di qualunque individuo e, più in generale, di qualunque
società di riconoscersi in un sistema di valori ed in una tradizione culturale. La nostra società
occidentale deve presentarsi davanti al flusso migratorio ed ai cambiamenti demografici, con un
chiaro e solido sistema di valori in cui il Cristianesimo non può che svolgere una funzione
fondamentale.
Anche qui la discussione sull’integrazione in Germania offre un patrimonio concettuale e
linguistico di una certa utilità: Leitkultur, ovvero cultura dominante o cultura guida. Ora,
Leitkultur vuol dire, almeno così come la discussione si è sviluppata in Germania negli ultimi
anni, riconoscimento dei diritti e dei doveri stabiliti dalla costituzione, un patrimonio comune a
tutti ed in cui tutti si possono e si devono riconoscere, un vasto consenso che possa evitare il
dissolversi di una società. Chiunque intende vivere in una determinata società deve entrare in
sintonia con la cultura che plasma quella società stessa. L’ordine statale non può esserci senza
un consenso, intellettuale ed emozionale, dei cittadini. Una Leitkultur deve essere il perno di
qualsiasi politica di integrazione. E per cultura dominante bisogna considerare tutte quelle
convenzioni tipiche della nostra società che non possono essere realmente comprese senza
conoscere l’importanza e la funzione della tradizione cristiana nella storia della nostra civiltà.
Non si tratta naturalmente di costringere gli immigrati a recidere le proprie radici, ma di
responsabilizzare tutti i cittadini di una comunità al fine di riconoscere una serie di valori di
riferimento in cui identificarsi, valori che devono, inoltre, essere considerati come maggiormente
rappresentativi della società stessa.
4/5
Ubaldo Villani-Lubelli: Perché è fallito il multiculturalismo e come faremo a superarlo
Credo, infine, che la recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul Crocifisso
vada nella direzione qui auspicata. Non si tratta di creare uno Stato confessionale, ma di
riconoscere alcuni punti fermi, un sistema di valori minimo di riferimento, in cui il Crocifisso trova
un suo spazio in quanto simbolo di inclusione e non di esclusione. La cultura dei diritti dell'uomo
non deve mai essere pensata in contrapposizione ai fondamenti religiosi della civiltà, in
particolare di una civiltà come quella europea, a cui il Cristianesimo ha dato un contributo
essenziale. La sentenza, inoltre, riafferma il principio di sussidiarietà secondo il quale ogni
paese europeo deve godere di un margine di discrezionalità sul ruolo da attribuire ai simboli
legati alla propria storia e alla propria identità nazionale, restando libero di decidere circa il
luogo della loro esposizione. La presenza del Crocifisso non rappresenta una violazione
dell'altrui libertà, ma, al contrario, l'identità culturale e religiosa di un paese con una indiscutibile
tradizione cristiana.
[Torna a inizio]
5/5