il riconoscimento in prospettiva di genere: dal
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il riconoscimento in prospettiva di genere: dal
IL RICONOSCIMENTO IN PROSPETTIVA DI GENERE: DAL FEMMINISMO AL MULTICULTURALISMO Irene Strazzeri (Università degli studi di Foggia) Riassunto: Viviamo nell’era delle disuguaglianze crescenti. Le lotte per il riconoscimento delle differenze si sovrappongono alle lotte per la redistribuzione economica in assenza di una visione alternativa allo status quo. Come riflettere criticamente sulla giustizia sociale? Ricostruendo il dibattito femminista americano tra Nancy Fraser, Iris Young e Judith Butler l’articolo propone di far coesistere uguaglianza e differenza, classe e genere, universalismo e particolarismo in una visione postsocialista della giustizia sociale. Parole chiave: genere, femminismo, multiculturalismo, riconoscimento, redistribuzione. Abstract: We live in the era of the increasing inequalities. The struggles for the recognition of the differences overlap to the struggles for the economic redistribution in absence of an alternative vision to the status quo. How to reflect critically on the social justice? Reconstructing the American feminist debate among Nancy Fraser, Iris Young and Judith Butler the article proposes to integrate equality and difference, class and gender, universalism and particularism in a post-socialist vision of the social justice. Key words: gender, feminism, multiculturalism, recognition, redistribution. Irene Strazzeri è ricercatrice di Sociologia del mutamento presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Foggia 69 Esiste una tensione tra femminismo e multiculturalismo? Se li analizziamo in quanto concezioni politiche della giustizia sociale, essi certamente divergono in modo sostanziale. Per il femminismo, le donne non dovrebbero subire discriminazioni legate al sesso, le donne hanno la stessa dignità umana degli uomini e dovrebbero avere le stesse opportunità di vivere una vita gratificante e liberamente scelta. Per il multiculturalismo, il problema politico principale consiste nel fatto che le culture e i modi di vivere delle minoranze non siano sufficientemente tutelate sul piano giuridico-legale nei sistemi statali redistributivi liberale: nell’ottica del riconoscimento le culture e modi di vivere specifici dovrebbero essere tutelati mediante speciali diritti di gruppo107. Le tensioni tra femminismo e multiculturalismo, dunque, cominciano a manifestarsi quando le istanze delle culture collidono con la norma della parità di genere. Cosa fare?108 L’interrogativo, cruciale, ricorda la provocazione espressa alcuni anni fa dalla filosofa americana, Susan Moller Okin: “il multiculturalismo danneggia le donne?”109. Riflettendo sulle questioni del velo nelle scuole pubbliche francesi110, sullo statuto giuridico della poligamia, sul significato di parità tra i generi, Susan Moller Okin si chiedeva, provocatoriamente, se i diritti collettivi dovessero essere accordati anche a quelle culture che calpestano i diritti individuali di alcuni dei suoi membri, in particolare le donne. Okin constatò come la maggior parte delle culture fosse attraversata da pratiche e ideologie che avevano a che fare con le differenze di genere111. Notò, inoltre, come alcune di queste pratiche ed ideologie si presentassero palesemente antifemministe. Per quale motivo, si domandò infine, tanto il liberalismo quanto il comunitarismo hanno evitato di affrontare adeguatamente la questione? Il KYMLICKA, W: The Rights of Minority Cultures. Oxford, Oxford University Press 1995. STRAZZERI, I: Dalla redistribuzione al riconoscimento. Declinazioni paradigmatiche della differenza sessuale. Milano, Franco Angeli, 2009. 109 MOLLER OKIN, S: “Is Multiculturalism Bad for Women?”. Boston Review, 2, (1997), pp. 97-113. 110 BENHABIB, S: The Claims of Culture: Identità and Diversità in the Global Era. Princeton-Oxford, Princeton University Press, 2002, pp. 131-139. 111 PICCONE STELLA, S. Y SARACENO, C: Genere. La costruzione sociale del maschile e del femminile. Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 7-37. 107 108 70 motivo di quella “svista” potrebbe derivare da una considerazione eccessivamente statica del concetto di cultura da parte delle scienze sociali, o dalla tendenza, comune tanto al comunitarismo quanto al liberalismo, ad attribuire maggiore rilievo alle differenze “esterne” ai gruppi sociali piuttosto che alle loro differenze interne. Ma sono proprio quest’ultime ad essersi storicamente strutturate secondo la norma di genere dell’eterosessualità. Tale è la ragione per cui i cosiddetti pionieri dei diritti collettivi prestano ben poca attenzione alla dimensione privata dell’esistenza, ossia ad uno dei contesti principali, in cui avviene l’interiorizzazione della cultura di appartenenza sotto forma di socializzazione primaria alla norma di genere dell’eterosessualità. Il contributo di Susan Moller Okin può essere letto, insomma, come un invito a riflettere sulla relazione tra femminismo e multiculturalismo, evitando di cadere nell’alternativa dicotomica, tra fondamentalismo biologico e femminismo radicale, o paradigma della differenza sessuale112. Come ha spesso evidenziato la storica Linda Nicholson, il limite principale di entrambi gli approcci è che “si auto-ignorano in quanto costrutti sociali”113. Il fondamentalismo biologico, presupponendo una derivazione deterministica del dato culturale da quello biologico, non sembrerebbe pienamente cosciente del carattere dialettico della loro relazione, con ciò assecondando il razionalismo androcentrico occidentale. Il paradigma della differenza sessuale114, demistificando il genere in quanto tratto culturale, sembrerebbe assumere un atteggiamento identico, di radicalmente segno opposto. La riflessione sul genere e il multiculturalismo richiede, in definitiva, un’impostazione che vada al di là dei dualismi, che faccia valere la prospettiva di genere di volta in volta in contesti particolari, de-posizionando il soggetto universale donna. In questa prospettiva, Marion Iris Young, Nancy Fraser e Judith Butler propongono di considerare la sfera delle funzioni vitali personali, sessuali e riproduttive come il nucleo centrale del funzionamento della società nel contesto (particolare) del “capitalismo moderno”115. Dalla loro proposta scaturisce, così, un primo, significativo 112 NICHOLSON, L: “Per una interpretazione di genere”. En Piccone Stella Simonetta y Saraceno Chiara: Genere. La costruzione sociale del maschile e del femminile, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 41 -65. 113 Ivi. p. 54 114 Cfr. AA.VV: Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga edizioni, 1987. 115 BENHABIB, S. – BUTLER, J. – CORNELL, D. – FRASER, N: Feminist Contentions: A Philosophical Exchange. New York, Routledge, 1994. 71 corollario concettuale: la struttura latente dell’organizzazione del sistema sociale capitalista è rappresentata dal regime culturale eterosessista. Le autrici offrono un vivido confronto tra le rispettive concezione sul tema delle politiche identitarie, del capitalismo moderno e della giustizia sociale. In questo dibattito è Nancy Fraser a sollevare la questione decisiva del riconoscimento, ossia del il diritto ad avere una propria identità particolare. Secondo Fraser le richieste di riconoscimento mettono fortemente in crisi l’equazione tra redistribuzione economica e uguaglianza di status, su cui si è tradizionalmente fondata la giustizia sociale: nel multiculturalismo lo “status” finisce per denotare il riconoscimento di identità particolari ma condivise, da cui conseguono le moderne rivendicazioni al riconoscimento culturale. Per contrastare la tendenza, tipica di una condizione che definisce “postsocialista”, a porre l’universalismo della redistribuzione e la particolarità del riconoscimento in un rapporto dicotomico, Nancy Fraser propone di comprendere nella categoria dell’oppressione perlomeno due classi distinte di ingiustizie: quelle prodotte dal fallimento della logica universalista della redistribuzione e quelle, più attuali, connesse al conflitto dovuto al misconoscimento116. In Justice and the Politics of Difference, invece, Iris Marion Young ha delineato una classificazione plurale delle forme di oppressione del capitalismo, distinguendone cinque: lo sfruttamento, la marginalizzazione, l’impotenza, l’imperialismo culturale e, naturalmente, la violenza117. Lo scopo di Young non è solo quello di elaborare una classificazione plurale, ma limitata, delle categorie dell’oppressione, ma anche quello di facilitare la possibilità di variare le strutture oppressive in cui collocare individui e gruppi, evitando così di ridurre l’oppressione ad una o due strutture soltanto. Tale riduzione indebita sarebbe, secondo la sua opinione, responsabile della rappresentazione distorta, che circola nella sfera pubblica di movimenti femministi, transgender, delle rivendicazioni di gay e lesbiche in quanto orientati esclusivamente al raggiungimento di un riconoscimento fine a stesso. Con sguardo sociologicamente più raffinato, si può cogliere, invece, nelle rivendicazioni di riconoscimento della propria identità sessuale una pretesa politica essenziale: che il riconoscimento si traduca in giustizia politica ed economica. Molte femministe si sono domandate, se con la sua 116 FRASER, N: Justice Interruptus. Critical Reflexions on “Postsocialist” Condition. London, Routledge, 1997. 72 concettualizzazione binaria della giustizia sociale, che sostanzialmente ricalcherebbe la vecchia contrapposizione marxista tra economico e culturale, Nancy Fraser non abbia effettivamente contribuito ad intrappolare i movimenti per l’identità sessuale in un dilemma autodistruttivo: come separare la politica della differenza sessuale dal suo ruolo nella produzione dell’oppressione culturale e della deprivazione materiale? Una possibilità di fuoriuscita da questo dilemma proviene dall’atteggiamento “antidualista-decostruttivo”, che respingendo a priori la distinzione fra economia e cultura in quanto “dicotomica”, tenta di destrutturarla completamente. La tesi di Judith Butler è appunto che economia e cultura sono talmente connesse che il tentativo di disgiungerle non ha alcun senso politico. Una tesi correlata è che la società capitalistica contemporanea è talmente un sistema monolitico di oppressione che la lotta contro un suo aspetto minaccia necessariamente il tutto; per cui è illegittimo e controproducente distinguere la cattiva redistribuzione dal mancato riconoscimento118. Come si ridefinisce, in seguito a questo dibattito, la pretesa di riconoscimento della differenza sessuale nel contesto delle attuali società capitalistiche e multiculturali? La mia tesi è che i divari nelle condizioni giuridico-politiche delle donne sembrano essere diventati, nel contesto del multiculturalismo, il terreno più evidente in cui si configura una sorta di versione di genere dello scontro di civiltà. Ivi si materializza, infatti, la tensione tra l’irriducibilità dei diritti universali delle donne e i precetti di alcune culture. Propongo pertanto, alla luce del dibattito femminista americano sulla giustizia sociale, di considerare lo scontro di genere tra civiltà precisamente come la conseguenza di un’impostazione contraddittoria dei rapporti tra femminismo, o redistribuzione, e multiculturalismo o riconoscimento: da un lato il messaggio politico di fondo del multiculturalismo rischia di consolidarsi nell’idea che l’appartenenza ad una specifica identità di gruppo attenui i reati contro il sesso femminile - uxoricidio, clitoridectomia, infibulazione, dall’altro si produce una distorsione nella percezione pubblica delle identità di gruppo, tale per cui la difesa culturale dei diritti delle minoranze si trasforma in una 117 118 YOUNG, M. I: Justice and the Politics of Difference. Princeton, Princeton University Press, 1990. BUTLER, J: “Merely Cultural”. Social Text. 53-54, (1998), pp. 33-44. 73 violazione sistematica del diritto all’inviolabilità del corpo119. La femminista Okin fa del valore della libertà soggettiva, intesa come diritto di esercizio della propria autonomia morale, personale e sessuale il requisito fondamentale, universalmente valido, che dovrebbe escludere le culture minoritarie dal riconoscimento di diritti collettivi. Essa intende dire che la differenza sessuale rappresenta il parametro cruciale su cui confrontare le diverse culture in una concezione “post-socialista” della giustizia. L’opinione delle sostenitrici del riconoscimento, come Nancy Fraser, mette in discussione l’idea che il misconoscimento si riferisca alla autonomia personale, invece, e pone al centro della giustizia sociale la questione della partecipazione politica e sociale dei soggetti in rapporto all’istituzionalizzazione dell’ eterosessismo. Da questa angolazione, difatti, la subordinazione delle donne agli uomini è sia informale e privata, sia istituzionale e pubblica, consentendo un ripensamento della relazione tra multiculturalismo, riconoscimento e femminismo. Ciò significa, senza dubbio, che la distinzione tra genere e cultura dovrebbe essere più accurata: se è vero, infatti, che la cultura è qualcosa di molto più complesso del sistema patriarcale, è vero pure che sussistono diverse possibilità di affrontare le disuguaglianze tra gruppi e le disuguaglianze all’interno di un gruppo. Così come sussistono diversi modi di collegare multiculturalismo e femminismo, i quali evidentemente non propongono gli stessi rimedi. Secondo Will Kylimcka120, ad esempio, esisterebbero “tutele esterne”, tramite le quali garantire la libertà personale dei soggetti da costrizioni provenienti dal contesto culturale esterno, e “restrizioni interne”, che inibiscono la libertà personale dei medesimi membri, se considerati in quanto membri di una minoranza. Inutile, dunque, il compiacimento liberale per il livello di autonomia puramente formale- ormai acquisito dalle donne. Se, infatti, lasciare che le culture siano giudicate sulla base del grado di libertà concesso alle donne indubbiamente non potrà rappresentare l’unico criterio, “la subalterna” non dovrà mai risultare una minaccia nei confronti delle donne occidentali, i regimi liberali vigenti nelle società capitalistiche avanzate non potranno essere considerati a lungo meno patriarcali di quelli vigenti in altre culture, poiché essi alimentano una concezione sessista dei ruoli ed una doppia 119 STRAZZERI, I: Dalla redistribuzione al riconoscimento. Declinazioni paradigmatiche della differenza sessuale. Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 97-107. 120 KYMLICKA, W: Liberalism, Community and Culture. Oxford, Oxford University Press, 1989. 74 codificazione dell’emancipazione femminile - secondo quando denunciato da Gayatri Chakravorty Spivak: Se la nostra certezza che l’approccio alle donne del terzo mondo può essere incrinata dal cuneo di una irragionevole paura, schiudendoci la sensazione che quel che riteniamo un guadagno potrebbe essere una perdita, allora saremo capaci di condividere l’effetto testuale dell’alterità121Cambiare, dunque, la relazione tra multiculturalismo e femminismo, ma come? Cambiare in modo da rafforzare l’uguaglianza o cambiare in modo da rafforzare il riconoscimento? La prima opzione presenta il limite di avvalersi di una percezione stereotipata della “subalterna” e finisce col negoziare i diritti collettivi solo con i gruppi che presuppongono un requisito di liberalismo interno. Il conflitto tra multiculturalismo e femminismo appare così, in tutta chiarezza, come tentativo patriarcale di salvare le donne dall’oppressione interna alle culture minoritarie. D’altra parte, attenuare le pressioni del femminismo occidentale significherebbe non cogliere le problematicità avanzate dal multiculturalismo nei confronti delle stesse donne. Tra le problematicità segnalate, non si può che concordare con Butler, la più pericolosa riguarda il fraintendimento in senso meramente culturale del meccanismo politico di funzionamento del multiculturalismo nel sistema capitalistico, un sistema, vale a dire, in cui l’ordine sessuale è coadiuvato dall’economia politica122. Significa non comprendere la fondamentale minaccia che il femminismo e i movimenti per la libertà sessuale rappresentano alla sua sopravvivenza. L’economico, legato al riproduttivo, è necessariamente connesso alla conservazione dell’eterosessualità. Il problema non consiste esclusivamente nell’esclusione dei non-eterosessuali dal suddetto sistema, ma piuttosto nel fatto che la loro soppressione sia essenziale alla sopravvivenza di ciò che in esso è aprioristicamente normativo. Non si tratta solo di mancanza di riconoscimento culturale, ma dello specifico modo di produzione sessuale che opera per la stabilizzazione della differenza di genere, per la riproduzione del desiderio eterosessuale e per la naturalizzazione della famiglia. Per quale motivo, dunque, considerando il ruolo fondamentale della sessualità nella produzione e nella distribuzione economica, la sessualità dovrebbe figurare come esemplificativa del 121 SPIVAK G. C: In Other Worlds: Essays in Cultural Politics. London, Methuen 1987. 75 “meramente culturale?” In che modo la sessualità ed il genere si correlano, al di là dell' esclusione forzata dalla sfera riproduttiva, nel contesto del multiculturalismo? In che modo verrebbero considerate l’omosessualità, la bisessualità e la transessualità, se estendessimo l'analisi del modo di produzione capitalista alla descrizione del meccanismo sociale di regolazione della sessualità? Sono anche questi gli interrogativi cui si tenta di rispondere. Certamente “le ingiuriose tassonomie”, come le definisce la Butler123, operano in questo un intervento di carattere politico. Si potrebbe aggiungere che ogni definizione è un intervento politico, in cui è anche, paradossalmente, contenuta la nostra possibilità di esistenza sociale. Dunque, non si tratta solo di mancanza di riconoscimento culturale, si diceva, ma della violenza di ciò che Althusser chiamò interpellazione124, della volontà di controllo e subordinazione che costantemente limita il discorso sull’altra/o. Così, la chiave del concetto di riconoscimento, la costitutiva e condivisa vulnerabilità del soggetto, è anche un invito a riformulare le implicazioni e gli scopi della trasposizione politica del riconoscimento stesso. In primo luogo, il riconoscimento è un atto performativo; l’atto del riconoscimento crea lo status, come direbbe Fraser. Una seconda caratteristica del riconoscimento potrebbe essere desunta dalla teoria di Michel Foucault, il quale, in Survelleir et punir125, descrisse le modalità con cui il potere agisce sull’autopercezione dei soggetti, in connessione con i parametri, i divari e i segni che ne contraddistinguono la sessualità. Foucault si concentrò sulla istituzionalizzazione delle tecniche di controllo mediche e psichiatriche, che possono ben rappresentare la reificazione dell’identità ad una singolarità fissa, immobilizzata dal riconoscimento. I rischi di fissazione ad una singolarità indiscussa e di esercizio del potere performativo del riconoscimento, divengono poi evidenti se si considera in che modo questi rischi si materializzino nella nostra società: non soltanto si tende a trattare le culture come totalità coerenti e distinte, ad usarle ed abusarne, come direbbe Sheyla Benhabib126, ma gli effetti reificanti del misconoscimento sono manipolati dalle istituzioni: i discorsi legali e le politiche assistenziali costituiscono la BUTLER, J: “Merely Cultural”. Social Text. 53-54, (1998), p. 35. BUTLER, L: Excitable Speech: A Politics of the Performative. Routledge, New York , 1997, p. 2. 124 ALTHUSSER, L: Lenin and Philosophy, and Other Essays. Ed. by B. Brewster, Montly Review Press, New York 2002. 125 FOUCAULT, M: Surveiller et punir. Naissance de la prison. Paris, Gallimard, 1975. 126 BENHABIB, S: Democracy and Difference. Princeton, Princeton University Press, 1996. 122 123 76 devianza dai modelli dominanti come fatto sociale contro cui le istituzioni devono nuovamente reagire. In quest’ottica, la mobilitazione dei movimenti per i diritti delle donne, dei gay, delle lesbiche e dei transessuali conferma il loro ruolo subalterno nella ricezione di adeguamenti mirati: nei provvedimenti istituzionali, in particolare, il risconoscimento non può che favorire la logica discriminativa patriarcale. Infine, l’atto del riconoscimento si pone sempre ad un doppio livello, individuale e collettivo. Da un lato, ciò significa che l’interazione tra femminismo e multiculturalismo alimenta modelli di azione legale, che sfociano nella conservazione dello status quo – i diritti gruppo, dall’altro ciò significa che la derivazione dell’identità sessuale dal contesto culturale nega la complessità dell’esistenza sociale – le restrizioni esterne. A mio avviso, è necessario interrogare la trasposizione del riconoscimento nel diritto e nel discorso politico connessi al multiculturalismo, sia per le conseguenze oppressive sulla sessualità, che per il suo impatto sulle pubbliche. In questo senso Nancy Fraser, Iris Marion Young e Judith Butler hanno l’indiscusso merito di aver inserito nell’agenda politica argomentazioni a favore del dissenso per una lettura perversamente dicotomica della realtà: tra redistribuzione e riconoscimento, tra multiculturalismo e femminismo. Gli effetti della pervasiva vigenza di un sistema duale gerarchico tra genere e cultura, in particolare, diventano doppiamente perversi quando si istituzionalizzano in modelli culturali e rappresentazioni sociali. Si pensi soltanto a quante volte, la distinzione tra culturale e materiale è rimessa in campo, quando nella sfera politica diventa indispensabile tracciare il confine della sessualità. 77