La questione culturale: dalla Brexit all`immigrazione
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La questione culturale: dalla Brexit all`immigrazione
La questione culturale: dalla Brexit all’immigrazione Molti eventi di cronaca sollecitano a mantenere aperte le riflessioni sul tema del rapporto tra cultura e diritti umani. Gli esiti del referendum britannico sulla permanenza nella UE hanno mostrato, nella manifestazione del voto, fratture profonde tra Scozia ed Inghilterra, tra gruppi integrati ed elite e gruppi socialmente e culturalmente marginali, ma anche tra giovani ed anziani. Hanno anche ricordato che, per tradizione, la cultura inglese ha sempre separato fortemente essere “Britannico” ed essere “Europeo”, quasi che i Britannici vivessero in un loro continente autonomo. Da secoli gran parte dei Britannici non solo non si sentono europei ma hanno spesso manifestato una sorta di paranoia che ha identificato l’Europa con costanti minacce alla loro indipendenza, motivo per il quale hanno operato incessantemente per sostenere qualsiasi causa bellica e geopolitica che potesse indebolire l’ascesa di una potenza europea egemone, indipendentemente dalla loro altra idea fissa: mantenere il dominio marittimo. La maggioranza di coloro che supera i 60 anni in Inghilterra è intriso di quella cultura, certamente assorbita fin dai banchi di scuola; altro l’orientamento di gran parte dei giovani, formatisi in un ambiente diverso e che certo si vedono più simili ai loro coetanei europei. C’è però un aspetto che ha maggior valenza in tema di diritti umani: ciò che è stato inteso solo come voto contro l’Europa è in realtà anche, o forse prevalentemente, un voto contro l’immigrazione. Un rigurgito di orgoglio nazionalista che ha buon gioco in una fase di crisi. Come da tempo i sociologi hanno scientificamente dimostrato, nei periodi di crisi economica e sociale l’elettorato tende a spostarsi a destra e anziché proporre soluzioni politiche o mediazioni estremizza i temi, in preda ai vari manipolatori del momento. Così, l’impoverimento di parte della popolazione causato da crisi e speculazioni finanziarie viene impropriamente addebitato agli altri poveri (immigrati) che cercano una migliore sopravvivenza. Sebbene alcuni si siano già sbilanciati a predire la dissoluzione e la fine dell’Europa unita, forse si dovrebbe parlare anzitutto di crisi e confusione interna al Regno Unito, poi di carenza delle istituzioni europee nel produrre e trasmettere idee forti e valori europei. Passando all’Italia, in una recente intervista il Direttore dell’area archeologica di Paestum Zuchtriegel ha affermato che la tutela dei beni archeologici ed artistici del nostro Paese più che da specifiche Leggi dipende e dipenderà dal mutamento culturale e dalla mentalità delle persone, oggi spesso insensibili ad essi. In un’altra intervista, relativa alla criminalità, organizzata e non, l’attuale Capo della Polizia Pansa ha dichiarato che la sicurezza e la lotta alla criminalità non potrà mai essere solo basata sul numero dei poliziotti ma dipende in gran parte dall’atteggiamento e dalla cultura della società. Un Italiano da ammirare, Giovanni Falcone, ricordava: “A scuola avevo un professore di filosofia che voleva sapere se, secondo noi, si era felici quando si è ricchi o quando si soddisfano gli ideali. Allora avrei risposto: Quando si è ricchi. Invece aveva ragione lui.” Ed il pure ammirevole Paolo Borsellino, ribadiva: “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.” L’importanza della cultura, emerge prepotentemente. Altri analisti hanno ribadito che almeno parte della crisi che caratterizza la classe politica italiana (e probabilmente non solo italiana), ormai occupata prevalentemente in miopi affari di scarsa prospettiva, è culturale, della mentalità e dei valori individuali, cosa che determina l’assenza cronica di statisti. Allargando la panoramica ad un altro problema italiano, il forte divario territoriale tra Nord e Sud, che anziché ridursi nel tempo ha ripreso ad ampliarsi, una delle cause di fondo è considerato il vuoto culturale, sia di quanti hanno speculato per tornaconto personale, o per mediocrità (si pensi alla patetica “padanità”, per un ventennio al governo del Paese), sia di quanti al Sud hanno subito l’ineguale distribuzione di risorse e l’emarginazione senza saper azionare strumenti di sviluppo e di rivendicazione. Non ultimo, l’ansia collettiva che i flussi di immigrati sta provocando verte, in buona parte, sull’incompatibilità culturale e sull’idea che gli immigrati, una volta stabilitisi in Europa, rivendichino l’adozione delle proprie tradizioni culturali e sociali, non sempre compatibili con quelle europee. Nello specifico, il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali in molti dei Paesi di origine dei migranti: da quello della dignità di ciascuno, alle discriminazioni tra uomini e donne, dall’accettazione della tortura e della pena di morte ad altre manifestazioni più o meno eclatanti (la lapidazione per le adultere, le mutilazioni genitali, la condanna penale della omosessualità, l’assenza di libertà di informazione, ecc.), riporta a differenze culturali consolidate e che sembrano essere passivamente accettate dalla maggior parte dei quei popoli. Ciò che “spaventa” una parte della popolazione europea è la malcelata spocchia di una parte degli immigrati già presenti sul territorio i quali rivendicano la loro piena autonomia culturale, la loro estraneità permanente e definitiva alla nostra cultura, talvolta la loro superiorità (si leggano i contenuti diffusi da alcuni predicatori nelle moschee di Londra) rispetto ad una società che alcuni di essi continuano a descrivere come decadente e amorale, pronta al compromesso meschino più che alla lotta, mollemente accondiscendente in nome di diritti da essi snobbati perché estranei alla loro cultura ma sfruttati per rivendicare il più possibile, popolata da schiere di donne di facili costumi, stupidamente fissata su soldi ed immagine, sempre più permeata di omosessualità. Purtroppo, pochi i casi nei quali le popolazioni immigrate hanno fortemente protestato e preso le distanze in relazione a tali contenuti, molti invece i casi nei quali hanno testimoniato il loro desiderio di restare ancorati alla loro cultura. Torna quindi dirompente il tema della cultura immateriale, delle differenze che appaiono insormontabili, dell’importanza di trasmettere alle nuove generazioni valori forti e modelli positivi; si tratti di affrontare la violenza o il crimine organizzato o la convivenza tra persone diverse. Ma anche la necessità di far comprendere i valori della nostra tradizione culturale, diritti e doveri anzitutto, la necessità di trasmetterli nella loro ricchezza e varietà, di farli conoscere ai migranti che abbiamo la sorte e la fortuna di aiutare a sopravvivere. Molti, quindi, convengono che la soluzione di tanti problemi è anzitutto culturale, pochissimi, purtroppo, ne prendono atto e operano di conseguenza. Il rispetto dei diritti umani fondamentali non può mai essere dato per scontato e non si limita al solo dato giuridico, è un processo sociale e culturale dinamico, che si costruisce nel tempo, seminando principi e valori, avendo costante cura ed attenzione per i giovani, dando il buon esempio, svolgendo sempre al meglio i propri compiti. Prof. Antonio Virgili Presidente Commissione Cultura