I brutti pensieri sull`immigrazione Tranquillizzare l`immaginario e

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I brutti pensieri sull`immigrazione Tranquillizzare l`immaginario e
 „Va bene?! Die deutsch-italienischen Beziehungen auf dem Prüfstand“
Fachkonferenz 01.-02.12.2011 in Berlin
I brutti pensieri sull'immigrazione
Tranquillizzare l'immaginario e chiarire i malintesi
Amara Lakhous
Un anno fa, durante una presentazione a Roma del mio romanzo, una lettrice mi ha chiesto: "Lei
si sente offeso o infastidito quando la chiamano immigrato?". Ho risposto: "Ma perché mi devo
offendere?! Immigrato è una parolaccia?!".
Questa vicenda mi ha fatto molto riflettere sulla percezione negativa dell'immigrazione in
Italia. In altri paesi dell'UE come la Germania e la Francia, la situazione non è diversa. Sentiamo
continuamente parlare dell'immigrazione come un problema urgente da risolvere, come un male
da contrastare, come una malattia da curare prima che sia tardi. Insomma la parola
immigrazione è piena di connotazioni negative.
Mi piace, come scrittore, forzare le metafore. Credo che accostare l'immigrazione alla
malattia sia molto utile perché il problema di fondo è lo stesso: il turbamento dell'immaginazione.
Per chiarire meglio questo concetto, cito F. Nietzsche: "Tranquillizzare l'immaginazione del
malato, che almeno non abbia a soffrire, come è accaduto fino ad oggi, più dei suoi pensieri
sulla malattia che della malattia stessa, penso che sia già qualche cosa. E non è poco!".
Il nodo da sciogliere, quindi riguarda i pensieri turbati sull'immigrazione. Come
intervenire? Come rivisitare le memorie, tranquillizzare i vari immaginari e chiarire i malintesi?
Vorrei rispondere a queste domande, raccontando tre brevi storie:
I.
Nel 2008 Sono stato a New York a presentare la traduzione del mio romanzo in inglese. Durante
gli incontri, molti mi hanno chiesto un commento sui provvedimenti del governo Berlusconi
riguardo gli immigrati, come il rilievo delle impronte digitali ai bambini rom. Le mie risposte
hanno suscitato reazioni e ricordi. Una signora italo-americana, indignata, ha letto un passaggio
dal New York Times del 5 marzo 1882: «Non c’è mai stata una classe così bassa e ignorante tra
gli immigrati che si sono riversati qui come gli italiani. Rovistano tra i rifiuti nelle nostre strade, i
loro bambini crescono in luridi scantinati, pieni di stracci e ossa, o in soffitte affollate, dove molte
famiglie vivono insieme, e poi vengono spediti nelle strade a fare soldi nel commercio di strada».
Il paragone tra gli immigrati italiani e gli immigrati rom è incredibile. Non potevo non
citare «L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi», il libro di Gian Antonio Stella sull’emigrazione
italiana, pubblicato nel 2002. È un repertorio degli stereotipi contro gli immigrati italiani:
assassini, delinquenti, sporchi come i maiali, clandestini, analfabeti, trafficanti dei bambini, ecc.
Gian Antonio Stella mi ha detto che il titolo iniziale era un altro: «L’orda. Quando i
marocchini eravamo noi»! L’uscita del libro però coincideva con la comparsa del nuovo nemico
di turno. Andava di moda l’albanese, il rapinatore, e non il marocchino, lo stupratore,
immortalato nell’immaginario popolare dal pianto disperato di Sofia Loren nel film «La Ciociara»,
dopo essere stuprata insieme alla figlia minorenne dai soldati francesi di origine marocchina.
Dopo l’11 settembre, abbiamo assistito alla moda del musulmano terrorista. Oggi viviamo
la moda rom. Le mode, si sa, non sono mai eterne. Essere di moda significa prima o poi
diventare démodé. Le mode però passano, le ferite e le cicatrici della memoria rimangono.
II.
Ho conosciuto Kamal, un ragazzo di 12 anni, durante una presentazione in una scuola romana.
Sono rimasto davvero colpito dalle sue osservazioni che dimostravano una notevole maturità e
una sottile ironia. Nato a Roma da genitori immigrati egiziani, Kamal parla perfettamente
l'italiano, l'arabo e il romanesco. Ama i film dell'attore Carlo Verdone, tifa per la Roma. Nella sua
camera da letto c'è un poster del giocatore Francesco Totti, accanto a quello del cantante Vasco
Rossi.
Panel 3 – Contributo di Amara Lakhous
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Incontrandolo per strada, sembrerebbe un ragazzo della porta accanto come tanti suoi
coetanei, però, come precisa lui: «Quando sono a Roma, mi chiamano l'egiziano e quando vado
al Cairo, mi chiamano l'italiano». E aggiunge: «Mi dicono spesso che non sono italiano, ma un
extracomunitario perché i miei genitori sono di nazionalità egiziana. In realtà sono un
extraitaliano perché parlo più lingue, conosco più cose di gastronomia, religione, cultura, politica,
eccetera».
Il caso di Kamal non è isolato, visto che il problema tocca un’intera generazione, quella
dei figli di immigrati, nati in Italia o arrivati da minorenni. Si parla di quasi un milione di persone
che aspettano di diventare cittadini italiani. La vicenda delle banlieue in Francia insegna come
sia pericoloso sottovalutare la situazione delle seconde generazioni. La frustrazione genera
sempre rabbia e distruzione.
III.
Ibrahima è un giovane immigrato senegalese. A sentirlo parlare del suo lavoro con competenza
e passione, sembrerebbe un esperto internazionale di marketing. Invece Ibrahima è soltanto un
venditore ambulante. «Il commercio è l’unica cosa che so fare perché è un “vizio” di famiglia,
tramandato da padre in figlio per generazioni». Così scherza spesso con me, quando gli chiedo
perché non cambia questo pericoloso mestiere, sempre nel mirino dei vigili e della guardia di
finanza.
Ibrahima si è fatto le ossa, accompagnando da bambino il padre, nei mercati popolari in
Senegal. Conosce i segreti del mestiere molto bene, ma gli “affari”, ultimamente, non vanno
bene. Il Comune di Roma ha dichiarato guerra all’abusivismo commerciale. I vigili hanno invaso
Porta Portese, il famoso mercato popolare romano, intensificando i controlli. Per la
compravendita, le strade e le piazze non sono più sicure come una volta.
La giovane senegalese, in Italia dal 2000, non ci sta: «Questa è una vera persecuzione.
Ci trattano come ladri, noi compriamo merci e le vendiamo. Poi il mercato e le strade
appartengono a tutti, non sono proprietà privata».
Ho cercato di spiegargli che la situazione non è così. Prima di tutto, il mercato e le strade
sono sotto la giurisdizione del Comune. Bisogna sempre munirsi di permessi per usufruire di uno
spazio pubblico. Poi, il commercio è un settore soggetto a regole. Comprare merce senza
badare alla provenienza, forse rubata, è ricettazione. Vendere merce contraffatta è un altro
reato.
Non sono riuscito a persuadere Ibrahima perché il problema è sostanzialmente culturale.
Forse, anziché dibattere sulla presunta “inclinazione” degli immigrati a delinquere, sarebbe utile
iniziare a chiarire quei malintesi culturali che rendono la comunicazione complicata. Non è una
questione di buona volontà, né di cattiveria. C'è qualcosa di più profondo e complicato che
riguarda la visione del mondo, la distinzione fra il bene e il male, fra chi ha ragione e chi ha torto.
Vorrei concludere con un bel pensiero sull'immigrazione. Mio padre era un immigrato a Parigi
negli anni 50 e 60 e mi diceva sempre: «Gli alberi hanno le radici per stare immobili, gli uomini
hanno le gambe per muoversi, cambiare e migliorare la loro vita».
Amara Lakhous è scrittore, nato ad Algeri nel 1970, vive in Italia dal 1995. Si è laureato in Filosofia presso
l’Università di Algeri e in Antropologia Culturale presso l’Università La Sapienza di Roma. In Italia ha
pubblicato presso Edizioni e/o:
- "Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio", 2006. È stato tradotto in inglese, francese,
olandese e tedesco (Krach der Kulturen um einen Fahrstuhl an der Piazza Vittorio, 2009, Wagenbach). È
stato tratto un film diretto da Isotta Toso nel 2010.
- "Divorzio all'islamica a Viale Marconi", 2010. È stato tradotto in inglese, francese e tedesco (Scheidung
suf islamich in der Via Marconi, 2012, Wagenbach).
- "Un pirata piccolo piccolo", 2011.
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