RIPARTIZIONE SPESA CONSUMO DELL`ACQUA Buon giorno

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RIPARTIZIONE SPESA CONSUMO DELL`ACQUA Buon giorno
RIPARTIZIONE SPESA CONSUMO DELL’ACQUA
Buon giorno rispondo al suo quesito relativo al criterio di ripartizione del consumo
dell’acqua.
RIFERIMENTO NORMATIVO artt. 1123 comma 2 e 3 c.c.
RIFERIMENTO GIURISPRUDENZIALE Cassazione, n. 17557 del 1° agosto
2014
RISPOSTA:
La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 17557 del 1° agosto 2014
(estensore dr. Alberto Giusti) offre l'occasione per fare il punto della situazione in
ordine ad una questione molto discussa nella compagine condominiale relativa al
corretto riparto delle spese per il consumo dell'acqua.
A tal fine vanno distinti le diverse modalità d’uso e precisamente:
a) l'uso condominiale (ad esempio per innaffiare te piante del giardino comune) e
b) l’uso esclusivo (si pensi all'acqua potabile all'interno delle singole unità
abitative)
L’art. 1117 n. 3 c.c. (invariato anche a seguito della riforma della normativa di
settore di cui alla legge n. 220/2012) indica tra le parti comuni dell'edificio, oggetto
di comproprietà dei condomini salvo titolo contrario, "gli impianti idrici" (oltre, un
po' anacronisticamente, i pozzi e le cisterne). In effetti, l'impianto idrico svolge una
funzione oggettivamente comune, in quanto strutturalmente destinato a servire tutti
i condomini (Trib. Roma 17 marzo 1988) anche quando tate impianto idrico è
realizzato con un fascio di tubi distinti invece che con una condotta collettiva unica,
fino all'ingresso nella singola unità immobiliare privata, dove cioè il tubo passa al
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servizio esclusivo della porzione di proprietà individuale, conseguendone che, fino a
quel punto, l'impianto è di proprietà del condominio che può modificarne il percorso,
la consistenza ed il servizio, frazionandolo, unificandolo, allacciandovi derivazioni,
o apportando altre variazioni di interesse comune, purché naturalmente assicuri la
funzione a tutti i condomini. Da ciò discende che le spese di conservazione,
manutenzione ed esercizio dovranno essere commisurate alla quota millesimale
di spettanza dei condomini che ne ricavano utilità.
L'uso della proprietà singola
La ripartizione delle spese di ciascun appartamento per il servizio di acqua potabile
avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso l'ausilio di apparecchi misuratori
(contatori) i quali consentono la determinazione dell'effettivo consumo. Più
precisamente sarà necessario effettuare una doppia "lettura":
a) (consumo variabile) dei dati rilevati dai contatori - principale ed individuali
b) ripartizione dei costi.
Può accadere, tuttavia, che lo stabile condominiale sia privo dei contatori
individuali e che sia possibile la sola lettura del contatore generale, il quale rileva il
consumo totale, ma non i consumi singoli, sicché sarà necessario determinare un
criterio per ripartire la spesa per il consumo dell'acqua tra Le singole proprietà
esclusive.
La giurisprudenza di merito:
a) App. Roma 2 maggio 1959 dopo aver escluso, in una pronuncia risalente, che
possa essere utilizzato il criterio della quota millesimale di spettanza, la quale
nulla ha a che fare con il reale consumo - ha ritenuto valida la ripartizione
effettuata in base agli "abitanti" delle proprietà esclusive;
b) Trib. Milano 9 novembre 1992 nella specie, siccome il regolamento
condominiale prevedeva il riparto "per persona" delle spese per il consumo
dell'acqua potabile, il giudice ha considerato lecita la delibera assembleare che
prevedeva a carico del proprietario, con moglie e due figli, di un appartamento
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e di una mansarda, la quota di partecipazione a tali spese in ragione di otto
unità).
Tale criterio (per numero di persone) si basa sul presupposto che, quanto maggiore è
il numero di persone che vivono in un appartamento, tanto maggiore sarà il consumo
di acqua, ma si tratta, ovviamente, di un criterio presuntivo, utilizzabile solo nel
caso non si possa pervenire alla misurazione dell'effettivo consumo.
Le persne da considerare sono quelle che sono "stabilmente residenti" nei locali
privati e non coloro che vi accedono occasionalmente sul punto il
Trib. Milano 7 febbraio 2003 secondo il quale le spese di consumo dell'acqua
potabile, in un condominio privo di misuratori individuali, vanno ripartite
proporzionalmente al consumo, sicché il criterio della suddivisione tra i
comproprietari, in ragione dei conviventi stabili, appare "ragionevole" applicazione
consona al dettato normativo).
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Di conseguenza, non dovrebbero ritenersi lecite maggiorazioni di spesa dipendenti
da un asserito e supposto maggior utilizzo concreto, quale, ad esempio, quello
dipendente dall'accesso, alla proprietà esclusiva, di pubblico e/o clientela; in altri
termini, anche in questo caso e secondo i principi generali che vigono in materia
condominiale (come per le scale) il godimento del bene deve essere considerato in
maniera "potenziale ed astratta". Sul tale punto
Trib. Monza 26 marzo 2001 secondo il quale è annullabile la delibera con cui si
dispone che gli studi professionali o le sedi di attività commerciali paghino il servizio
di acqua potabile comune in misura superiore a quello delle unità abitative,
poiché la destinazione del servizio comune relativo all'acqua potabile non varia a
seconda del tipo di godimento posto in essere nella singola unità abitativa ed è
manifestamente "irrazionale" il criterio di ancorare l'onere di contribuzione alle
spese in questione alla concreta presenza di un numero più o meno elevato di
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persone.
Sempre al fine della ripartizione della spesa dell'acqua potabile, non sarà parimenti
rilevante il comportamento "concreto" del singolo condomino, perché quello che
potrebbe contare è il numero delle persone che, appunto in astratto, risiedono
stabilmente nell'unità immobiliare esclusiva. Sul punto Trib. Massa 19 ottobre
1982 nell'individuazione del sistema di ripartizione delle spese per l'erogazione
dell'acqua calda, vige il principio della maggioranza, non rientrando la ripartizione di
dette spese tra le norme imperative inderogabili e non apparendo corretto sotto il
profilo non solo giuridico ma anche "etico", sottrarsi al pagamento della quota
proporzionale di un servizio che viene offerto a tutti solo perché non lo si utilizza in
tutto o in parte per motivi propri.
PRINCIPIO GENERALE
Si sottolinea che, nel condominio, le spese relative al consumo dell'acqua devono
essere ripartite in base all'effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con
strumentazioni tecniche.
L’installazione di contatori per il consumo dell'acqua in ogni singola unità abitativa nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario
esercitate nel contesto urbano - costituisce misura alla quale il legislatore guarda con
particolare favore, in quanto volta a razionalizzare i consumi e ad eliminare gli
sprechi e, quindi, a conseguire, in una prospettiva di tutela ambientale, il risparmio
della risorsa idrica.
Nello specifico, già l'art. 5 legge 5 gennaio 1994 n. 36 - recante "Disposizioni in
materia di risorse idriche" - prevedeva che "il risparmio della risorsa idrica è
conseguito, in particolare, mediante la progressiva estensione delle seguenti misure:
d) installazione di contatori in ogni singola unità abitativa", mentre, poi, è
intervenuto il d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, all'artt. 144 e 146, che impone alle Regioni
di adottare norme per l'obbligo di installare in ogni singola unità abitativa dei
contatori di ripartizione del consumo dell'acqua.
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In caso di mancanza di contatori individuati l'art. 1123 c.c. non ammette, salvo
diversa convenzione tra le parti (si pensi ad un regolamento di matrice contrattuale
o ad una statuizione assembleare totalitaria), che il costo relativo all'erogazione
dell'acqua, con una delibera assunta a maggioranza:
a) sia suddiviso in base al numero di persone che abitano stabilmente nel
condominio e che
b) resti di conseguenza esente dalla partecipazione alla spesa il singolo
condomino il cui appartamento sia rimasto disabitato nel corso dell'anno.
Il comma 1 della citata disposizione, infatti, detta un criterio per le spese di tutti i
beni e servizi di cui i condomini godono indistintamente, basato su una
corrispondenza proporzionale tra l'onere contributivo ed il valore della proprietà di
cui ciascuno condomino è titolare; il successivo capoverso (art. 1123 comma 2 c.c.) a
sua volta, stabilisce che, se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura
diversa, le spese sono ripartite "in proporzione all'uso che ciascuno può farne".
Secondo la cassazione Cass. 10 dicembre 1974 n. 4166 questo secondo criterio dal
punto di vista pratico richiede ancora un puntuale adattamento al caso singolo per una
sua più compiuta specificazione, varie potendo essere le concrete modalità di
attuazione del principio che rapporta la spesa all'uso, e quando detto rapporto può
essere tradotto in pratica con più sistemi che attuano, in modo più o meno
soddisfacente riguardo alle circostanze del caso, il precetto di legge, la preferenza
accordata, in concreto, ad uno di essi non è viziata da illegittimità.
Tuttavia, il comma 2 dell'art. 1123 c.c. non legittima la delibera di suddivisione della
spesa nella specie adottata “a persona”, giacché il sistema di riparto da essa previsto
appare inidoneo, per la sua "irrazionalità", a fissare un congruo rapporto tra la spesa
e l'uso individuale; invero, la norma in questione ha riguardo al godimento
potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa o dal servizio comune, atteso
che quella del condomino è un'obbligazione propter rem, che trova fondamento nel
diritto di comproprietà sulla cosa comune, sicché il fatto che egli non ne faccia uso
non lo esonera dall'obbligo di pagamento della spesa.
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Sotto questo profilo, va considerato che, anche in un appartamento rimasto "non
abitato", possono esservi altri usi dell'acqua, ad esempio per le pulizie del locale o
per l'annaffiamento delle piante; inoltre, esentare gli appartamenti non abitati dal
concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico
imputabile al lavaggio delle parti comuni o all'annaffiamento del giardino
condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura dell'acqua potabile
che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del
servizio da parte del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari
domestiche facenti parte del condominio, è indipendente dal consumo effettivo.
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D'altra parte, stabilire il costo dell'erogazione dell'acqua in base al numero delle
persone che risiedono in ogni unità abitativa, significa introdurre al posto del
criterio "potenziale" su base reale (inteso come entità del servizio obiettivamente
prestato o destinato a prestarsi) un criterio "forfettario presuntivo" su base personale;
criterio, quest'ultimo, che soltanto apparentemente risponde ad esigenze pratiche e
di semplificazione, perché, in realtà, è fonte di controversie nel momento dell'accertamento, finendo con il rimettere all'amministratore un compito di vigilanza e di
controllo - la verifica, aldilà dei dati anagrafici da curare ai sensi del novellato art.
1130, n. 6), c.c., di una stabilità di dimora o di convivenza che si realizza in ogni
unità immobiliare - che evidentemente fuoriesce dalle sue attribuzioni, perché tocca
le relazioni personali e di vita di ciascun condomino.
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Quindi secondo la decisione della Corte di Cassazione qui in commento, fatta salva la
diversa disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua,
in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va
effettuata, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c., in base ai valori millesimali delle
singole proprietà, sicché è viziata da nullità per "intrinseca irragionevolezza" la
delibera assembleare (assunta a maggioranza) che ha adottato il diverso criterio di
riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell'unità
immobiliare esentando
al contempo dalla contribuzione i condomini i cui
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appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell'anno.
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In conclusione: stante la narrativa che precede, e rispondendo al suo quesito si può
affermare che in presenza di contatori di consumo la ripartizione del consumo
dell’acqua deve essere effettuata sulla base del consumò rilevato dai singoli contatori.
Inoltre, in relazione al consumo dell’acqua rilevato in capo solo a n. 2 condomini che
(oltre a disporre di un proprio contatore che rileva il loro specifico consumo) hanno
in comune tra loro due un solo ed ulteriore contatore per un uso diverso
(raffrescamento) che misura/rileva il consumo dell’acqua di entrambe senza che sia
consentito all’amministratore rilevare il consumo specifico addebitabile ad entrambi
si rende necessario ripartire il costo del consumo dell’acqua del contatore comune
secondo quando statuito dalla sentenza qui in commento va effettuata, ai sensi
dell'art. 1123, comma 1, c.c., in base ai valori millesimali delle singole proprietà,
fatta sempre salva una diversa convenzione (regolamento contrattuale o accordo).
Cosi operando sarà effettuata una deliberazione assembleare conforme a legge,
diversamente la delibera sarà viziata da nullità con la conseguenza che la stessa potrà
essere impugnata senza limiti di tempo e con l’ulteriore aspetto che la stessa potrà
generare un potenziale credito in capo al condomino (c.d. indebito) che potrò
rivendicare nel termine di prescrizione.
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note esplicative e di completamento
Nota 1 Condominio Parziale
Analogamente agli altri impianti condominiali la proprietà comune dell'impianto
termina al punto della diramazione dello stesso verso le proprietà esclusive, fatta
salva sempre l'applicazione della disciplina sul c.d. condominio parziale qualora
solo alcune delle porzioni immobiliari esclusive dello stabile siano collegate a tale
impianto (argomentando ex art. 1123, comma 3, c.c.).
Nota 2 Bene comune autoclave .
L’"autoclave", intendendo con tale termine l'impianto destinato ad agevolare la
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fornitura dell'acqua potabile alle singole unità immobiliari, mediante il pompaggio
forzato della stessa e la compensazione di deficienze di pressione dell'impianto idrico
centralizzato, del quale costituisce un utile accessorio, anche se non compreso nell'elenco delle parti comuni dell'edificio stilato nel sopracitato art. 1117 c.c. deve
intendersi comune e la ripartizione dei relativi costi di installazione ed utilizzo
deve essere effettuata in proporzione delle quote millesimali di spettanza ai sensi
dell'art. 1123, comma 1 c.c. Tale soluzione pratica si giustifica considerando che
l'utilità fornita alle porzioni esclusive è comunque (astrattamente) paritaria, in quanto
prestata a favore dell'impianto idrico considerato nei suo complesso, con la
conseguenza che, ad esempio, i proprietari di appartamenti posti ai piani più bassi
dell'edificio non potranno vantare un'esclusione dalle relative spese adducendo la
circostanza che la pressione presente al loro livello sarebbe sufficiente per
un'adeguata fornitura ( Cass. 29 novembre 1983 n. 7172 costituisce parte integrante
dell'impianto medesimo e non è di per sé sufficiente a giustificare una diversa
ripartizione secondo il criterio della proporzionalità all'uso di cui all'art. 1123, comma
2, c.c. Una differenziazione può effettuarsi in merito alle spese di energia elettrica
necessarie al funzionamento dell'impianto di autoclave, in quanto, essendo queste
direttamente dipendenti dall'attingimento dell'acqua - la pompa di tale apparecchiatura, infatti, si mette in funzione al momento dell'apertura del rubinetto da parte
del condomino sembrerebbe opportuno che vadano ripartite in proporzione del
consumo dell'acqua, purché, ovviamente, esista un separato apparecchio misuratore dell'effettivo consumo di elettricità dell'impianto di pompaggio.
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Rinuncia a comproprietà - peculiarità (Cass. 27 aprile 1991 n. 4652) la quale ha
affrontato una peculiare situazione in cui l'impianto di autoclave si rivelava
superfluo, per comprovata adeguata efficienza degli impianti esistenti, affermando
che il singolo condomino avrebbe potuto porre in essere validamente una "rinuncia
alla proprietà" dello stesso, con conseguente sottrazione dall'obbligo di pagare le
relative spese di conduzione e manutenzione. Nello specifico, si è statuito che il
principio: secondo cui il condomino non può, rinunciando al suo diritto sulle cose
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comuni, sottrarsi all'obbligo di concorrere nelle spese necessarie per la loro
conservazione, con aggravio a carico degli altri condomini, (art. 1118 comma 2 e 3
c.c.) non trova applicazione riguardo a quegli impianti condominiali da considerarsi
"superflui" in relazione alle condizioni obiettive ed alle esigenze delle moderne
concezioni di vita, oppure "illegali", perché vietati da norme imperative: ricorrendo
tali condizioni deve riconoscersi al condomino la facoltà di rinunciare alla cosa
comune, quando gli altri condomini intendano persistere nella conservazione
degli impianti preesistenti, pur in presenza di nuove tecniche o servizi predisposti
dalla Pubblica Amministrazione. In buona sostanza si tratterebbe un’eccezione alla
regola generale e giustificato dal particolare caso concreto.
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Nota 3 animali sono consideratiti “persone stabili”.
In assenza di una disposizione del regolamento o di una delibera assembleare ad hoc
la sentenza Trib. Monza 14 agosto 1993 nella quale si è escluso dal computo degli
abitanti delle unità immobiliari, rilevanti al fine della ripartizione delle spese per il
consumo dell'acqua, un animale, nella specie un cane, apparendo "arbitrario"
equipararlo ad una persona.
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Il presente parere/opinione legale assume esclusivamente valore di mezzo e non di
risultato in quanto risulta essere un semplice supporto teorico/legale per la
definizione di un caso pratico la cui decisione è demanda all’assemblea di
condominio.
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Centro Studi Anaci Lecco
[email protected]
ANACI
Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari
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