illegittimo uso dei posti auto nel cortile condominiale

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illegittimo uso dei posti auto nel cortile condominiale
ILLEGITTIMO USO DEI POSTI AUTO
NEL CORTILE CONDOMINIALE
Il problema del parcheggio negli spazi comuni è fonte di una esasperata litigiosità fra condomini.
Che spesso sfocia nelle aule di giustizia.
Il problema della utilizzazione degli spazi condominiali per il parcheggio dell’auto spesso comporta
inevitabili contrasti tra i comunisti, in quanto è inscindibilmente connesso, da un lato, alla titolarità di una
posizione legittimante ad occupare quello spazio e, dall’altro, al rispetto di norme comportamentali la cui
violazione, come è ovvio, non riesce a trovare sempre tutela nelle aule di giustizia, spesso per la
estemporaneità e la sporadicità degli abusi.
Così la saltuaria occupazione di uno spazio condominiale con un’auto, da parte di un condomino o di un
terzo, benché formalmente vietata dall’assemblea, dal regolamento condominiale o addirittura dal magistrato
non comporterà il ricorso all’autorità giudiziaria – non in grado di dare risposte immediate alle istanze di
tutela dei diritti – ma, più spesso, alla ritorsione ed a quella “sotterranea guerra” tra condomini,
potenzialmente e pericolosamente idonea a degenerare in fatti di rilevanza penale.
Comunque, in linea di diritto, va detto che il cortile condominiale e la sua utilizzazione sono regolati da
precise disposizioni di legge, tendenti a salvaguardare il diritto di ciascuno.
L'articolo 1118 c.c. al primo comma sancisce il cosiddetto principio di proporzionalità, secondo il quale
ciascun condomino ha, sulle cose comuni, un diritto proporzionale al valore della proprietà individuale di cui
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è titolare .
Naturalmente ciò è vero, salvo che il titolo non disponga altrimenti.
Particolare rilevanza assume quindi il valore delle unità immobiliari poiché in base ad esse, ed alloro
reciproco rapporto, si determineranno i diritti dei condomini sulle parti comuni e, quindi, anche sul cortile.
Non vi sono problemi quando, come nella maggior parte dei casi, il regolamento di condominio sia stato
preventivamente predisposto dal costruttore poiché sarà questo il titolo che determinerà i millesimi di
proprietà del cortile per ciascun condomino.
Diverso è il caso in cui tale regolamento non ci sia, poiché nasce il problema delle modalità di
determinazione del valore dei singoli appartamenti.
In materia uno dei più problematici aspetti riguarda la possibilità di calcolare il valore dei singoli
appartamenti soltanto in relazione alla semplice costruzione (c.d.: valore allo stato grezzo) oppure anche in
base ai lavori di abbellimento e di rifinitura effettuati negli appartamenti dai singoli proprietari.
La soluzione più plausibile sembra quella di utilizzare, ai fini che qui interessano, i criteri contenuti
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nell'articolo 68 disp. att.c.c. .
Tale articolo dispone i criteri da seguire per la formazione del regolamento di condominio ma può ritenersi
applicabile per tutti i casi in cui si necessiti una valutazione degli appartamenti; in questo modo, in base al
suo terzo comma, si può evincere che il valore dei singoli appartamenti più adeguato (in relazione ai diritti
sulle parti condominiali) è quello calcolato soltanto in base alla costruzione allo stato grezzo.
Il comma secondo dell'articolo 1118 c.c. recita: "Il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose
anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione".
Questa norma, che si innesta nel più generale problema della rinunziabilità ai diritti reali, prevede una
indissolubile unione tra le singole proprietà esclusive e le parti condominiali: da un lato, quindi, il singolo
condomino dovrà sempre versare le spese per le parti condominiali (anche se vi rinuncia), dall'altro lato, egli
vi potrà (definitivamente) rinunciare soltanto allorquando rinuncerà anche alla sua proprietà individuale.
Infine deve farsi una notazione in ordine all’esatta definizione del termine “spese” ai fini dell’applicabilità
dell’articolo in commento; tali spese, cui non si può rinunciare, sono soltanto quelle di tipo straordinario cioè
quelle che determinano la migliore conservazione della res comune ed, infatti, viene sancito il principio,
secondo cui nella particolare materia del condominio d’edifici, per il combinato disposto degli articoli 1118
comma secondo e 1104 c.c., tra le spese indicate in questo ultimo soltanto quelle per la “conservazione”
della cosa comune costituiscono obligationes propter rem al cui pagamento nessun condomino può sottrarsi,
neppure rinunziando alla comproprietà sulla cosa comune stessa se non rinunziando contestualmente anche
al diritto, dacché la prima delle norme indicate nulla dispone, e significativamente, per il condominio, sulle
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spese relative al “godimento” delle cose comuni, considerate invece dalla seconda per la comunione…. .
Ma un altro principio è bene richiamare in tema di diritti sulle parti comuni ed è quello di indivisibilità,
stabilito dall'articolo 1119 c.c., a mente del quale Le parti comuni dell' edificio non sono soggette a divisione,
a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino.
La prescrizione contenuta in questa norma non stabilisce un divieto assoluto alla divisione delle parti comuni
condominiali, ma piuttosto sembra richiedere un accordo tra i condomini, e tale accordo può riguardare non
solo, com'è evidente, la divisione dei beni comuni ma può anche avere ad oggetto, in senso inverso, la
sottoposizione al regime di indivisibilità di altri beni: I condomini possono convenire in forza della loro
autonomia negoziate, che alcuni beni costituiscano parti comuni, al fine di conferire loro una destinazione
indisponibile senza il consenso di tutti e di estendere loro il regime della indivisibilità ed inseparabilità che è
proprio delle parti comuni indicate dall'articolo 1117 c.c. e che impedisce al singolo condomino di disporre
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di queste parti, indipendentemente dalla sua proprietà esclusiva, senza il consenso degli altri .
Di fondamentale importanza ai fini dell'applicazione dell'articolo 1119 risulta essere la valutazione di uso
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della cosa che ciascun condomino può fare: "L'articolo 1119 c.c. non stabilisce l'indivisibilità assoluta delle
parti comuni dell'edificio condominiale, ma ne subordina la divisibilità all'espressa e rigorosa condizione che
la divisione possa farsi senza rendere più incomodo a ciascun condomino l'uso della proprietà singola servita
dalla dividenda parte comune.
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La giurisprudenza della Suprema Corte, che qui si ribadisce , ha precisato e chiarito che, poiché l'uso delle
cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di
uso di cui parla il citato articolo 1119 ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata, oltre che con
riferimento all'originaria consistenza e destinazione della cosa comune, all'uopo considerata nella sua
funzionalità più che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto tra le utilità che i singoli condomini
ritraevano da essa ai fini del godimento delle parti dell'edificio di proprietà esclusiva e le utilità che, agli
stessi fini, ne ricaverebbero dopo la divisione.
Occorre, cioè, che questa non incida sull'essenza e funzione delle porzioni della cosa già comune, di guisa
che ciascuna di esse risulti idonea a realizzare il servizio a vantaggio dei beni di proprietà esclusiva cui era
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destinato il tutto, senza che il godimento di essi ne risulti pregiudicato o diminuito .
Oltre che nei casi in cui si diminuisca la comodità della cosa, vi è un’altra ipotesi in cui si ritiene che la
divisione ex articolo 1119 non sia consentita e cioè quando effettuare tale divisione si rendano necessarie
opere e spese eccezionali.
L’articolo 1119 c.c. non vieta la divisione delle parti comuni dell’edificio, ma la consente unicamente
allorché la stessa possa farsi senza rendere incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.
La norma è stata generalmente interpretata nel senso che la divisione non è consentita allorché per attuarla si
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renda necessaria una spesa sproporzionata rispetto al valore della cosa. (Trib. Padova 21 marzo 1986) .
Per quanto concerne l'uso delle parti comuni non vi è una specifica norma in tema di condominio per cui è
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necessario rifarsi a quanto stabilito dal codice in tema di comunione all'articolo 1102 .
In primo luogo viene in considerazione il fatto che l'uso della cosa comune può essere effettuato da ciascun
partecipante entro due precisi limiti:
‹ il rispetto della destinazione della cosa: tale limite, che può definirsi oggettivo, discende direttamente
dalla natura della cosa, dalla sua normale utilizzazione e dalla, conseguente, aspettativa che tale destinazione
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resti immutata nel tempo ;
‹ il diritto degli altri compartecipi: è questo il limite soggettivo che impone che l'uso della cosa comune
(sia pur effettuato nell'ambito della destinazione della cosa stessa) non sia talmente intenso da rendere
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impossibile agli altri compartecipi di usarne in maniera uguale ; è evidente come tale limite imponga sia
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che l’uso del singolo non deteriori la cosa sia che non la modifichi in maniera sostanziale .
All'interno di questi due limiti non esiste però soltanto un uso che può essere effettuato dai partecipanti alla
comunione ma si deve invece parlare di una pluralità di usi:
™ uso promiscuo: è il caso ordinario in cui tutti i partecipanti usano la cosa comune contemporaneamente
in quanto la: cosa stessa permette tale utilizzazione;
™ uso frazionato: i partecipanti (anche se è possibile l'uso promiscuo della cosa comune) possono
accordarsi per dividersi l'uso della cosa ed averne un'utilità individuale; tale frazionamento può avvenire
secondo le due tradizionali modalità: vi può essere un frazionamento spaziale quando la cosa viene
fisicamente divisa e ad ogni partecipante viene assegnata in uso una pane della res risultante dal
frazionamento; vi può essere inoltre un frazionamento temporale quando le parti si accordano per usare della
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cosa in tempi differenti, in questo caso solitamente si parla di uso turnario della cosa comune ;
™ uso indiretto: solitamente quando non sia possibile l'uso promiscuo né l'uso frazionato (a causa della
conformazione della cosa anche rapportata al numero di aventi diritto) si può sempre accordarsi per un uso
della cosa non direttamente collegato ai partecipanti come nel caso, tipico, di locali comuni (solitamente
scantinati o negozi a piano terra oppure locali e appartamento del portiere quando tale servizio sia stato
eliminato) concessi in godimento a terzi e da cui i partecipanti ricevono un'utilità indiretta consistente nel
canone di locazione.
L'ultimo comma dell'articolo 1102 c.c. vieta l'estensione del diritto di un partecipante sulla cosa comune (a
danno degli altri) a meno che non si sia in presenza di un mutamento del titolo: tale mutamento può avvenire
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attraverso l'istituto dell'usucapione .
In base alla tradizionale struttura di tale istituto (articoli 1158 ss. c.c.) l'acquisto di un bene immobile per
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usucapione avviene mediante il “possesso continuato per vent’anni” .
In virtù dell’estrema genericità del comma secondo dell’articolo 1102 c.c. la giurisprudenza non ritiene
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necessario, ai fini del verificarsi dell'usucapione nell'ambito di una comunione, l'interversione del possesso
anche se non è sufficiente la constatazione del mero non uso da parte degli altri partecipanti: Il condomino,
per usucapire la cosa di proprietà comune, non deve dimostrare l’interversione del possesso, ma deve fornire
la prova di avere sottratto la cosa all'uso comune per il periodo utile all'usucapione e, cioè, di una condotta
univocamente diretta a rilevare che nel condominio si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del
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possesso, e non la prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini .
Giova infine fare riferimento ad un caso particolare di usucapione (che definirei invisibile): è il caso in cui
l'originario unico proprietario cede i singoli appartamenti ai nuovi condomini senza fare riferimento,. nei
contratti di trasferimento, alle parti comuni; in questo modo gli acquirenti possono non rendersi conto che,
nel silenzio del titolo, essi hanno comunque acquistato, pro quota, le parti comuni del fabbricato (ex articolo
1117 c.c.).
Se allora succede che, ciò nonostante, il lastrico solare od anche (più raramente) lo scantinato o una parte del
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cortile rimanga nel possesso effettivo del costruttore-venditore ecco che comincia a decorrere il termine
valido ai fini dell'usucapione in favore di questo ultimo e, dopo venti anni, il bene comune sarà trasferito (per
la seconda volta) nuovamente in capo al costruttore senza che nessuno se ne sia reso conto!
L'ultimo divieto contenuto nel comma secondo dell'articolo 1120 c.c. riguarda le innovazioni che rendano
le parti comuni "inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condominio".
La caratteristica principale di tale divieto sembra essere insita nell'inservibilità, causata dalla innovazione
alla res comune, anche se si verifichi nei confronti di un singolo condomino: viene qui naturale richiamare
l'altro concetto contenuto nell'articolo 1119 c.c., ove viene sancita la regola della indivisibilità, di parti
comuni dell'edificio, ove la divisione renda "più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino".
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La differenza tra le due fattispecie è evidente : mentre nel caso della divisione di parti comuni è sufficiente
una maggiore scomodità, nel caso delle innovazioni esse sono vietate soltanto se rendano la cosa comune
inservibile il che conduce ad un concetto di assolutezza che non comprende quindi i semplici peggioramenti
nell'uso e godimento della res; i quali peggioramenti, quindi, non determinano l'impossibilità di effettuare
l'innovazione.
Ora, passando nel dettaglio del tema che ci occupa, è bene evidenziare che, con riferimento alle parti comuni
dell'edificio, il termine "godimento" deve essere riferito a due differenti realtà: quella della utilizzazione
obbiettiva della res e quella del suo godimento soggettivo in senso proprio.
Con la prima si deve intendere l'utilità prodotta, indipendentemente da qualsiasi attività umana, in favore
delle unità immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale della cosa, nella fattispecie dal
cortile condominiale, mentre la seconda accezione si identifica nell’uso delle parti comuni quale effetto
dell’attività personale dei titolari dei piani o porzioni di piano.
In via generale accade spesso che talune delle parti comuni elencate nell’art. 1117 c.c., solitamente destinate
a fornire utilità oggettiva ai condomini, sono, talora, suscettibili anche di uso soggettivo, diverso, cioè, da
quello connesso con la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale.
Esempio classico è quello dei cortili che, funzionalmente destinati a fornire aria e luce al fabbricato
(destinazione “oggettiva”) ben possono esser destinati (anche) ad un uso soggettivo (parcheggio auto).
E ciò assume particolare rilievo in ordine alla trasferibilità dell’appartamento unitamente al posto auto
condominiale, che generalmente si assume inscindibilmente collegato al primo.
Invero un box auto (o la porzione di autorimessa o lo spazio di parcheggio), gravato da un vincolo
pertinenziale e pubblicistico di destinazione, non può essere alienato con separato atto - rispetto
all'appartamento cui è collegato - in quanto il predetto vincolo a finalità pubblicistica si concreta sia nella
oggettiva inalterabile destinazione di parcheggio, che – in primis – nella concreta modalità d’uso, consistente
nella reale utilizzazione come parcheggio da parte di persona materialmente qualificata a quell’uso dalla
condizione di proprietario stesso o di altro appartamento sito nel medesimo edificio condominiale di
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ubicazione del box-auto (o posto auto) gravato dal suddetto vmcolo .
In altre parole il posto auto pertinenza dell'appartamento non potrà essere alienato separatamente da esso ed
anzi, normalmente, il posto auto è oggetto di trasferimento consequenziale al trasferimento della proprietà
del piano o porzione di piano.
Ma tale principio può subire un'eccezione, o meglio una compressione, allorché sia riconosciuta la
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possibilità, ed è riconosciuta dalla giurisprudenza della Suprema Corte , che il posto auto, "ex titulo", formi,
quanto al relativo godimento soggettivo, oggetto di diversa pattuizione.
Viene riconosciuta, cioè, la possibilità di escludere dal trasferimento dell’appartamento la relativa quota di
comproprietà dell'uso (soggettivo) come parcheggio, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad
ospitare le autovetture di tutti i condomini.
Peraltro, nell'ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della cosa comune, non è al singolo condomino che
spetta la legittimazione alla cessione stessa, essendo, all'uopo, necessario il consenso di tutti i partecipanti
alla comunione, giusta disposto dell'art. 1108 comma 3 c.c.
Con riferimento alla controversia avente ad oggetto l'interpretazione di una clausola regolamentare che si
limiti a stabilire il diritto ad ottenere l'assegnazione di un posto per la sosta auto in favore del "proprietario di
ogni unità immobiliare che la abiti", deve ritenersi che la nozione di abitazione di cui alla norma di
regolamento condominiale prescinda da qualsiasi riferimento alla natura occasionale o stabile della stessa,
ben potendo un condomino "abitare" un'unità immobiliare pur se non in maniera continuativa; d'altra parte,
risulta conforme al diritto di comproprietà in questione un uso della cosa comune che non sia vincolato in
maniera rigida ad una determinata circostanza (abitazione costante) ma tenga conto delle diverse e mutevoli
esigenze di un condominio, il quale riamane tale, ossia nel pieno godimento dei suoi diritti, anche se non
risieda stabilmente in un determinato luogo (Tribunale Napoli, 18 dicembre2000).
In tema di condominio l'art. 1122 c.c. - nel fare divieto al condomino di eseguire, nel piano o porzione di
piano di sua proprietà, opere che rechino danno alle cose comuni - intende riferirsi non solo a quello
materiale, incidente fisicamente sulla cosa comune ma anche a quello funzionale, incidente cioè sulle utilità
che dai beni comuni possono conseguirsi (nella specie, è stato ritenuto che arrecava danno alle cose comuni
la realizzazione da parte di un condomino di una struttura delimitante il posto-auto di proprietà esclusiva, che
rendeva impossibile l'accesso comune antistante ai singoli posti auto limitando altresì l’utilizzo della caldaia)
(Cassazione 10 settembre 2004, n. 182149.
Il procedimento di volontaria giurisdizione, previsto dall'art. 1105 comma 4 c.c., per la nomina d’un
amministratore “ad acta” con il compito di assegnare i posti auto ai singoli condomini nelle aree
condominiali, è precluso in caso di esistenza di una deliberazione condominiale che regolamenti in modo
specifico l'uso del parcheggio nelle aree comuni e le modalità d'uso dei servizi comuni rientrano nella
competenza del giudice di pace (Tribunale Napoli, 24 febbraio 2003).
Le cause inerenti le misure e le modalità d’uso dei servizi condominiali, rientranti ex art. 7 n. 2 c.p.c. nella
competenza per materia del giudice di pace, hanno origine in tutti i casi in cui siano in discussione, oltrechè i
limiti nascenti dalla fonte che regolamenta detti servizi, anche l'esistenza stessa di tale disciplina rimessa
all'autonomia privatistica (fattispecie in materia di parcheggio di auto in piazzale condominiale relativamente
al quale era carente qualsiasi idonea regolamentazione). (Tribunale Firenze, 19 maggio 1998).
Il comproprietario di un cortile destinato al parcheggio degli autoveicoli dei condomini non può utilizzarne
una parte per la costruzione di una autorimessa per la propria auto, comportando questa una alterazione sia
della consistenza strutturale della cosa comune che della destinazione funzionale della stessa, così utilizzata,
oltre che per la sosta della autovettura per il deposito dei relativi accessori e di altri beni (Cassazione 21
maggio 1994, n. 4996).
È legittima e non viola il diritto di comproprietà dei singoli sulla cosa comune la delibera dell'assemblea
condominiale che subordini al pagamento di una quota mensile il diritto dei condomini al parcheggio
dell'auto nel cortile condominiale (nel caso di specie, le dimensioni del cortile condominiale non avrebbero
permesso l’esercizio di tale diritto a tutti i condomini). (Tribunale Napoli, 24 ottobre 1984)
avv. Rodolfo Cusano
[\]^
1) Tale comma infatti recita: “Il diritto di ciascun condomino sulle cose indicate dall' articolo precedente è
proporzionato al valore del piano o porzione di piano, che gli, appartiene, se il titolo non dispone
altrimenti.”; Il principio si discosta notevolmente dal suo omologo in tema di comunione, ove all’articolo
1101 si stabilisce che “le quote dei partecipanti alla comunione si presumo uguali”.
2) Tale articolo recita: “Per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il
regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di
piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini. I valori dei piani o delle porzioni di piano,
ragguagliati a quello dell’intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al
regolamento di condominio. Nell’accertamento deli valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio,
dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano.”
3) Cass. 2 luglio 2001 n. 8924.
4) Cass. 29 maggio 1995 n. 6036.
5) Non risulta chiaramente espresso nella norma se la cosa di cui si parla sia la cosa comune (parte
condominiale che deve essere divisa) o sia la cosa personale (piano o porzione di piano di cui il condomino è
titolare individualmente): sebbene entrambe le ipotesi siano astrattamente ammissibili ritengo che debba
aversi riguardo all’uso (comodo o incomodo) che il condominio può fare sia della cosa comune sia della cosa
individuale; questo perché, a ben vedere, la comodità dell’una si traduce, inevitabilmente nella comodità
dell’altra e viceversa. Si pensi ad esempio alla divisione di un cortile: se esso viene diviso in modo che per
un condomino l'uso della sua parte di cortile sia più scomoda rispetto al passato, questo si traduce in una
minore comodità anche del suo appartamento, in quanto questo ultimo fruirà della scomoda utilità di un
cortile!
6) Si vedano Cass. n. 913/1960, 1364/1969 e 4802/1978.
7) Cass. 13 luglio 1995 n. 7667 ove, trattandosi della divisione di una terrazza e dell'incidenza del tipo di
panorama in ordine alla determinazione della (maggiore o minore) comodità ex articolo 1119c.c., si
aggiungeva: "Invero, in una situazione ambientale fortemente caratterizzata sotto il profilo marino, la vista
sul mare per gli immobili o porzioni immobiliari che la offrono o la consentono, costituisce, per generale e
comune opinione, una qualità positiva, oggettivamente valutabile ed economicamente apprezzabile, dalla cui
considerazione non può prescindersi tutte le volte che, come nel caso di specie, debba procedersi ad una
comparazione delle possibilità di godimento e/o delle utilità che al futuro proprietario (esclusivo) siano in
grado di offrire, rispettivamente gli immobili o porzioni immobiliari forniti di tale qualità e quelli di essa
privi".
8) Il richiamato criterio di proporzionalità tra la spesa da effettuare ed il valore della cosa è da tenere sempre
nella massima considerazione: questo perché i miglioramenti (e le migliori comodità) possono in teoria quasi
sempre effettuarsi (tecnicamente) ma a che prezzo? Il valore della cosa rappresenta così un insostituibile
indice oggettivo do confronto che può determinare il margine (massimo) di erogazione della spesa non solo
per i miglioramenti ma anche, ad esempio, per la relativa manutenzione.
9) Articolo 1102 c. c.: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la
destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine
può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa. Il
partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non
compie atti idonei a mutare il titolo del--suo possesso.”
10) Nel caso, ad esempio, di un viale destinato soltanto al passaggio non sarebbe ammissibile che un
condomino lo voglia usare quale parcheggio per la propria auto, in quanto muterebbe la destinazione della
res comune (viale).
11) Si faccia l'ipotesi di un'attività aperta al pubblico, per accedere alla quale certamente i clienti utilizzano le
scale ed il ballatoio: il numero di clienti non potrebbe crescere a dismisura fino a rendere impossibile il
passaggio agli altri condomini (quindi: anche se le scale vengono utilizzate secondo la propria destinazione
tale uso, eccessivo, ne impedisce l'utilizzazione da parte degli altri partecipanti).
12) Si consideri come nel caso limite di deterioramento, che è rappresentato dalla completa estinzione della
cosa, si arriverebbe a privare gli altri partecipanti dell'uso della cosa per sempre!
13) È bene precisare che a norma del citato capoverso del comma primo dell'articolo 1102 alcune
modificazioni sono ammesse.
14) Vale la pena ricordare che la medesima struttura di comproprietà a godimento turnario può essere
riconosciuta anche all'istituto ormai noto come multiproprietà, per il quale si rimanda a quanto detto al
capitolo secondo.
15) Ai fini della norma in commento tre sono le fattispecie che vengono solitamente ricondotte a tale
mutamento: usucapione della res nella sua interezza; usucapione di una quota maggiore (rispetto a quella di
cui si era titolari in precedenza) della res; usucapione non della res ma usucapione di nuovi poteri sulla res
medesima.
16) Naturalmente esiste la possibilità, rara a giudicare dai precedenti giurisprudenziali, dell'usucapione
abbreviata decennale; essa avverrà in favore di chi acquista "in buona fede da chi non è proprietario di un
immobile in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto"
quando siano trascorsi dieci anni dalla trascrizione ex articolo 1159 c.c..
17) L'interversione viene invece richiesta dall’articolo 1164 c.c. qualora il soggetto usucapente ha già in
precedenza "il possesso corrispondete all' esercizio di un diritto reale su cosa altrui".
18) Cass. 26 aprile 1894 n. 2622.
19) Dal giorno della vendita cioè dal giorno in cui l'acquirente-condomino ha, a sua insaputa, acquistato le
parti comuni dell’edificio.
20) L'omogeneità tra le due fattispecie riguarda, invece, i soggetti tutelati (da una parte si dice: "a ciascun
condomino" e dall’altra: "anche di un solo condomino"), in quanto risulta evidente che entrambe le norme
intendono tutelare il diritto di ogni singolo condomino.
21) Tribunale Roma, 11 novembre 1994 in Arch. locazioni 1995, 137.
22) Cassazione civile, sez. II, 1 marzo 2000, n. 2255.
Da “Italia Casa” n. 24/2006