NL 11 - Amministratori Professionisti

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ASSOCIAZIONE DI CATEGORIA PER LA GESTIONE DI IMMOBILI
CONDOMINIO- La legittimazione a impugnare la delibera condominiale
Alle ipotesi codicistiche originarie del condomino assente o dissenziente la legge di riforma del condominio ha aggiunto la legittimazione a
impugnare le delibere condominali anche per il condomino astenuto e la Cassazione aggiunge ancora, in caso di delibera nulla, il condomino che ha
votato a favore. Da una parte si ampliano così le possibilità di impugnazione delle delibere condominiali, ma dall’altra parte si riduce l’ambito
della autoresponsabilità dei condomini, aumentando le occasioni di contenzioso giudiziario.
Secondo la formulazione originaria dell’art. 1137 cod. civ. le delibere condominali possono essere
impugnate dal condomino assente o dissenziente. A partire dal mese di giugno 2013, è diventata
operativa anche la nuova previsione secondo cui pure il condomino astenuto è legittimato a
impugnare una delibera. Nell’applicazione giurisprudenziale la Cassazione ha stabilito inoltre che,
qualora si tratti di impugnazione per nullità della delibera, la legittimazione a impugnarla compete
perfino al condomino che ha espresso voto favorevole a essa (Cass. n. 17101 del 27 luglio 2006 e n.
15042 del 14 giugno 2013).
Risulta allora evidente che in tale modo vengono ampliate le possibilità di impugnazione delle
delibere condominiali, ma allo tempo viene pure sacrificato per assicurare la massima tutela in capo
ai condomini l’autoresponsabilità dei condomini. Bisogna allora verificare se questo si giustifica
davvero, dal momento che in tal modo aumentano anche le occasioni di contenzioso giudiziario.
Le ipotesi codicistiche tradizionali di impugnazione
La principale disposizione di riferimento per quanto riguarda l’impugnazione delle delibere
dell’assemblea condominiale è costituita dall’art. 1137 cod. civ. che, nella sua formulazione
originaria, attribuiva a ogni condomino dissenziente la possibilità di far ricorso all’autorità
giudiziaria contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, indicando un
termine di decadenza di trenta giorni per la proposizione del ricorso, decorrente dalla data della
deliberazione per il dissenziente e dalla data di comunicazione per il condomino assente . La
disposizione limitava così ai soli condomini assenti o dissenzienti la legittimazione a impugnare le
delibere e la sottoponeva al breve termine di decadenza di trenta giorni (operante tuttavia solo per le
delibere annullabili, in quanto per le ipotesi di nullità non è invece mai stato ritenuto sussistere
alcun termine di decadenza, in analogia alla disciplina prevista per i contratti nulli; e questo regime
ha determinato per lungo tempo numerose ipotesi concrete di impossibilità dell’azione per le
delibere nulle, fino a quando la Cassazione non ha individuato principi idonei a contenere le ipotesi
di nullità delle delibere condominiali entro i limitati casi di gravità maggiore, dapprima con la sent.
n. 31 del 5 gennaio 2000 e poi con tutte quelle successive, autorevolmente confermate dalle Sez.
Unite con la dec. n. 4806 del 7 marzo 2005).
Mentre quella dei condomini assenti costituisce una ipotesi evidente, la ulteriore espressa previsione
dei condomini dissenzienti è invece meno scontata di quanto potrebbe sembrare, dal momento che
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comunque essa postula una specifica assunzione di responsabilità da parte dei condomini in
questione.
Infatti, il condomino assente è legittimato a impugnare la delibera perché non ha avuto modo di
esprimersi in alcun modo, né a favore, né contro la decisione assembleare.
Invece il condomino dissenziente, che ha votato contro la deliberazione, è ammesso a impugnarla
perché, giusta o sbagliata che fosse, ha comunque espresso una propria valutazione (in senso
contrario), seppure quest’ultima non abbia prodotto alcuna efficacia concreta perché superata dal
voto, di tenore opposto, della maggioranza dei condomini.
In altre parole il condomino dissenziente nella fase assembleare in cui si esprime in senso contrario
alla deliberazione approvata dalla maggioranza dell’assemblea, dissente offrendo degli argomenti
(è, infatti, raro che una deliberazione approvata non dalla unanimità, ma dalla sola maggioranza non
sia preceduta da una effettiva discussione durante la quale vengono manifestate dai condomini le
rispettive diverse opinioni con le relative argomentazioni), che possono essere condivisibili o meno,
ma conservano comunque una rilevanza, tanto è vero che, quando risulta che la delibera sia stata
assunta in contrasto con la legge o col regolamento condominiale, il giudice la annulla proprio per
effetto dell’impugnazione proposta dal condomino dissenziente. Si vuole insomma qui evidenziare
che la posizione espressa dal condomino dissenziente mantiene la sua utilità pure quando viene
respinta, perché ritenuta non convincente per i più disparati motivi, dalla maggioranza degli altri
condomini, dal momento che in ogni caso offre spunti di riflessione che altrimenti mancherebbero e
che costituiscono l’elemento centrale della discussione, mentre la deliberazione ne è soltanto il
risultato finale.
In questa procedura deliberativa opera (seppure in modo implicito) il canone dell’autoresponsabilità
che rappresenta una conseguenza del principio generale della autonomia privata che ricade sui
condomini sia che votino a favore, sia che votino contro la deliberazione, perché in entrambi i casi
ciascuno di loro si assume una precisa responsabilità col voto che esprime; non è per nulla scontato,
infatti, che la maggioranza che approva la delibera abbia, solo perché sussiste appunto tale
maggioranza, sia dalla parte della ragione (mentre l’opportunità o meno della deliberazione adottata
non può essere oggetto di ulteriore valutazione e quindi questo aspetto si sottrae del tutto all’esame
del giudice, al quale non è consentito verificare l’opportunità di una scelta discrezionale
dell’assemblea) e l’inosservanza delle regole del procedimento deliberativo e delle disposizioni di
legge o regolamentari può comportare l’annullamento della delibera impugnata, con ovvie
conseguenze non solo sul piano gestionale, ma anche del pagamento delle spese del giudizio di
impugnazione.
L’autoresponsabilità che costituisce l’altra faccia dell’autonomia privata, grazie alla quale i soggetti
possono regolamentare come meglio desiderano le situazioni che li riguardano, purché nel rispetto
delle disposizioni giuridiche vigenti viene così a costituire, per quanto riguarda le deliberazioni
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condominiali, l’elemento di bilanciamento del diritto dei condomini a impugnare, al fine di evitare
nella maniera maggiore possibile azioni giudiziarie infondate o addirittura pretestuose.
Il condomino astenuto
Alle due ipotesi tradizionali (condomino assente o dissenziente) già previste dalla versione
originaria dell’art. 1137 cod. civ., la legge di riforma (art. 15 della legge 220 dell’11 dicembre 2012)
ha aggiunto una terza specifica ipotesi, ammettendo adesso l’impugnazione anche da parte del
condomino astenuto . Stabilisce, infatti, il nuovo art. 1137 cod. civ. che contro le deliberazioni
contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o
astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di 30
giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di
comunicazione della deliberazione per gli assenti.
Va subito osservato che in realtà la nuova disposizione non ha fatto altro che recepire, come del
resto è avvenuto per tanti altri aspetti della disciplina condominiale riformata, un orientamento
giurisprudenziale presente da tempo, che già riconosceva anche al condomino astenuto il diritto di
impugnare una delibera condominiale.
La più recente espressione di questo orientamento è data da Cass., sent. n. 21298 del 10 ottobre
2007, che ha stabilito che in tema di impugnazione di delibere di assemblea di condominio
annullabili, la legittimazione a impugnare va riconosciuta anche al condomino presente che si sia
astenuto dal voto. Nella motivazione della decisione della Suprema Corte si ricorda che detto
principio è stato affermato più volte nel tempo (Cass., sent. n. 6671 del 9 dicembre 1988, secondo
cui nel condominio degli edifici tutti i condomini che non hanno votato in maniera conforme alla
deliberazione assembleare sono legittimati a impugnarla, siano stati presenti alla seduta oppure
assenti, con una unica differenza relativa al giorno da cui decorre il termine per proporre
l’opposizione, compresi gli astenuti, i quali sostanzialmente non hanno approvato la delibera, a
nulla rilevando che questi, al momento del voto, abbiano formulato riserva da sciogliere dopo la
seduta; e sent. n. 12 del 1° febbraio 1999) ammettendo la legittimazione pure del condomino
astenuto a impugnare una deliberazione annullabile.
Nella giurisprudenza di merito, invece, si possono menzionare le eseguenti decisioni:
- Trib. Milano, 22 marzo 1990, secondo cui è legittimato a impugnare una delibera assembleare il
condomino che su di essa abbia espresso voto di astensione, dato che in tal modo sussiste una
rinuncia a esprimere una volontà attuale con riserva di esprimerla in un momento successivo;
- (in senso opposto) Trib. Bergamo, 1° marzo 1987, secondo cui nel condominio è privo di
legittimazione a impugnare la deliberazione dell’assemblea del condominio contraria alla legge o al
regolamento condominiale il condomino che, partecipando all’assemblea stessa, si sia astenuto nella
votazione o si sia astenuto dal partecipare al voto senza far risultare esplicitamente a verbale il
proprio dissenso;
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- Trib. Napoli, 3 marzo 1969, secondo cui il diritto all’impugnativa della deliberazione assembleare
nei casi e termini previsti dall’art. 1137 cod. civ. va riconosciuto non solo al condomino assente o
dissenziente, ma anche al condomino che, pur essendo presente alla riunione assembleare, si è
astenuto dal votare: perché il dissenso può, infatti, risultare anche da un semplice comportamento
negativo come quello di chi si limita a non manifestare, espressamente o tacitamente, una volontà
diretta a consentire e devono invece considerarsi giuridicamente irrilevanti i motivi che hanno
determinato l’astensione dal voto; per questa ragione il diritto di impugnativa della deliberazione
assembleare è precluso unicamente al condomino che abbia concorso con il suo voto
all’approvazione della deliberazione o abbia a questa prestato posteriormente acquiescenza
mediante atti incompatibili con una successiva opposizione.
Adesso, come si è già detto, la legge di riforma ha accolto nel codice civile all’interno dell’art. 1137
riformulato il principio secondo cui pure l’astenuto può impugnare la delibera e così non possono
sorgere più dubbi in proposito.
Ma la mera astensione con esclusione del caso in cui venga determinata da situazioni particolari
(come, per esempio, quella della sussistenza di un conflitto di interessi) in realtà denota la mancata
assunzione di una posizione univoca e netta, consentendo al condomino che non ha manifestato
alcuna posizione e si è così astenuto la stessa possibilità, preclusa (di regola) invece ai condomini
che si sono espressi in senso favorevole, di impugnare la deliberazione, che dovrebbe essere
riservata ai condomini dissenzienti (oltre che agli assenti).
In questa situazione resta allora eluso il canone della autoresponsabilità, che è conseguenza (di
norma necessaria) del concetto generale della autonomia privata in generale e della autonomia
contrattuale (art. 1322 cod. civ.) in particolare e che richiede consapevolezza e serietà in capo a chi
assume una qualsiasi decisione, comprese quelle di interesse condominiale.
In questa maniera se, da una parte, risulta certamente assicurata ai condomini una maggior tutela
giuridica (consentendo l’impugnazione, oltre agli assenti e ai dissenzienti, agli astenuti e ampliando
così la possibilità di ricorrere al giudice), dall’altra parte aumentano però anche le possibilità di
contenziosi giudiziari determinati dalla arbitrarietà e mancando la necessità della tempestiva
esternazione, da parte dell’astenuto, delle ragioni di contrarietà alla delibera rimane il dubbio se si
giustifichi una simile scelta operativa, che lascia alla volontà dell’astenuto il potere di impugnare la
delibera anche per ragioni, oltre che (legittimamente) egoistiche, dettate da mero calcolo o
opportunismo.
L’impugnazione del condomino favorevole
Nella giurisprudenza attuale si ammette ancora una ulteriore ipotesi di legittimazione a impugnare
la delibera condominiale, non prevista specificamente dall’art. 1137 cod. civ. Si tratta del diritto di
impugnazione riconosciuto al condomino che si è espresso col suo voto favorevole alla delibera
stessa che successivamente decide di impugnare; è però opportuno evidenziare immediatamente che
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questa possibilità non viene riconosciuta dalla giurisprudenza per qualsiasi tipo di delibera, ma solo
per quelle nulle.
L’ultima decisione emessa in proposito è la recente sent. n. 15042 del 14 giugno 2013, che, con
riferimento a un caso di delibera dell’assemblea condominiale relativa alla modifica, senza il
consenso di tutti i condomini, dei criteri legali e di regolamento contrattuale di riparto delle spese
necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune, ha affermato il principio ricordato
dopo avere esaminato il quesito di diritto relativo alla ipotesi di una deliberazione condominiale,
anche se ricognitiva di una precedente deliberazione assembleare, che possa essere dichiarata valida
oppure debba essere dichiarata nulla, qualora il suo contenuto non sia conforme alle tabelle
millesimali esistenti oppure violi il disposto dell’art. 1123 cod. civ. sulla ripartizione delle spese dei
condomini, in mancanza del consenso unanime di tutti i condomini e, ciò anche quando il
condomino abbia partecipato all’assemblea, mediante proprio delegato, esprimendo oltretutto il
voto favorevole.
La vicenda a cui si riferisce la sentenza della Cassazione riguardava un condomino che aveva
impugnato una delibera relativamente alla quale aveva conferito la delega di partecipazione ad altro
condomino, l’ex amministratore, e si riferiva al fatto che il condominio, nel deliberare su uno dei
punti inseriti all’Odg, aveva aumentato le quote millesimali relative agli immobili adibiti a ufficio,
come quello di cui l’impugnante era titolare, con contestuale diminuzione delle quote di tutti gli
altri appartamenti dell’edificio. Dalla lettura del caso risulta evidente che la sent. n. 15042 del 14
giugno 2013 trova la sua principale motivazione nella particolare fattispecie da cui ha avuto origine.
La Cassazione in proposito ha affermato che deve ritenersi affetta da nullità (che può essere fatta
valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia nella stessa
espresso voto favorevole) e quindi è sottratta al termine di impugnazione di trenta giorni previsto
dall’art. 1137 cod. civ., la deliberazione dell’assemblea condominiale con la quale, senza il
consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali previsti dall’art. 1123 cod. civ. o di
regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell’interesse comune; e
ciò perché eventuali deroghe, venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino
attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono
conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca, come già affermato da varie decisioni
(Cass., sent. 17101 del 27 luglio 2006, secondo cui è affetta da nullità che può essere fatta valere
dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea pure quando abbia espresso voto
favorevole e risulta sottratta al termine di impugnazione previsto dall’art. 1137 cod. civ. la delibera
dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i
criteri legali indicati dall’art. 1123 cod. civ. o dal regolamento contrattuale di riparto delle spese
necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune, perché eventuali deroghe, venendo a
incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte
di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli
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aderisca; Cass., sent. n. 6714 del 10 marzo 2010, secondo cui in tema di condominio, sono affette
da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate, le delibere
condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione
delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 cod. civ. o dal regolamento
condominiale contrattuale, perché è necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre
sono annullabili e, come tali, impugnabili nel termine indicato dall’art. 1137 cod. civ., le delibere
con cui l’assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135, n. 2 e n. 3, cod. civ.,
determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri previsti dall’art.
1123).
Nella sua motivazione la Suprema Corte ha avuto anche modo di precisare che ai sensi dell’art.
1421 cod. civ. le azioni di nullità relative alle delibere condominiali possono essere proposte da
chiunque vi abbia interesse e pure dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole
alla formazione della delibera nulla, purché alleghi e dimostri di avervi interesse perché dalla
deliberazione assembleare deriva un apprezzabile pregiudizio a suo carico non operando nel diritto
sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha concorso a dare causa alla
nullità non può farla valere (Cass., sent. n. 9562 del 1° ottobre 1997).
Sul punto può essere ricordata anche Cass., sent. n. 13331 del 6 ottobre 2000 secondo cui in tema di
condominio, la legittimazione a impugnare una deliberazione assembleare compete individualmente
e separatamente agli assenti e ai dissenzienti (nonché ai presenti e consenzienti, senza limiti di
tempo, quando si verte in tema di nullità) e ognuno può esercitare l’azione verso il condominio
rappresentato dall’amministratore, senza necessità di chiamare in causa gli altri.
In definitiva l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla sent. n. 15042 del 14 giugno 2013
riveste il pregio di perseguire lo scopo di estendere, piuttosto che di restringere, l’ambito di tutela
giudiziaria del singolo condomino per quanto riguarda l’impugnazione delle delibere, ma pure in
questo caso a costo di sacrificare ancora una volta il canone della autoresponsabilità a cui si è
accennato prima.
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