articolo ItaliaOggi Sette del 20.02.2012

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articolo ItaliaOggi Sette del 20.02.2012
Lunedì 20 Febbraio 2012
IM MO BIL I & C OND OM I NI O
19
Sentenza della Cassazione sull’utilizzo degli spazi. Vietato pregiudicarne la destinazione
Parti comuni, di tutti e nessuno
Ogni condomino deve poter godere dei beni in condivisione
Pagina a cura
DI GIANFRANCO DI RAGO
E GIUSEPPE BORDOLLI
C
iascun condomino può
usare le parti comuni
dell’edificio nel modo
che ritenga più opportuno, ma a condizione che
l’utilizzo concreto delle stesse
non ne pregiudichi la naturale
destinazione e consenta anche
agli altri comproprietari di godere del bene. Lo ha ribadito la
seconda sezione civile della Corte di cassazione con la sentenza
n. 869, depositata in cancelleria
lo scorso 23 gennaio 2012, nella
quale gli ermellini hanno ritenuto legittimo l’utilizzo di una
parte del cortile condominiale
per l’apposizione di tavoli e sedie da bar.
La decisione della Suprema corte. Nel caso in questione
la società proprietaria di alcuni
locali siti al piano terra di un
edificio condominiale e adibiti
a bar dall’azienda conduttrice
aveva impugnato dinanzi al
giudice di pace la deliberazione assembleare con cui il condominio, revocando uno specifico
permesso assentito in passato,
aveva vietato ai gestori dell’esercizio commerciale di continuare
a occupare il cortile con tavoli e
sedie destinati alla clientela. Il
giudice di pace aveva respinto
l’impugnazione, giudicandola
infondata. Il ricorso in appello
aveva invece portato il tribunale a capovolgere la situazione,
dichiarando l’illegittimità della
delibera condominiale. Di qui il
ricorso in Cassazione da parte
del condominio, che aveva nuovamente contestato l’utilizzo
improprio del cortile da parte
dei gestori del bar, giudicato
tale da comportare l’impossibilità per gli altri comproprietari
di farne parimenti uso, oltre a
presentare due ulteriori motivi
di doglianza.
Con il primo motivo, infatti, il
condominio aveva nuovamente
lamentato l’errata presentazione del ricorso al giudice di pace
invece che al tribunale del luogo in cui era situato l’immobile,
evidenziando quindi un problema di competenza. Invero, come
già stabilito dai giudici di merito e ribadito dalla Suprema
corte, nel caso di specie, pur
essendo stata impugnata una
delibera assembleare, l’oggetto
del contendere era rappresentato dalle modalità di utilizzo
di un bene comune, ovvero del
cortile condominiale. Si tratta
di un tipo di controversia che
rientra pacificamente nella previsione di cui all’art. 7, comma
3, n. 2, del codice di procedura
civile, che appunto assegna
alla competenza funzionale del
giudice di pace questo tipo di
liti (come confermato, in una
fattispecie analoga, dalla stessa Cassazione con sentenza n.
7295 del 28/06/95).
Con il secondo motivo di ricorso, invece, il condominio aveva
riproposto un’eccezione di carenza di legittimazione attiva
in capo alla società proprietaria dei locali condominiali, sul
presupposto che, essendo gli
stessi stati concessi in locazione a un soggetto terzo, soltanto
quest’ultimo avrebbe potuto
legittimamente impugnare la
deliberazione assembleare.
Anche in questo caso la Suprema corte ha però avuto gioco facile nel ribadire che, stante
la previsione di cui all’art. 1337
c.c., in merito al potere di impugnativa della volontà dell’assemblea, l’unico caso nel quale è
ammessa la legittimazione attiva del conduttore è quello relativo al servizio di riscaldamento
condominiale (e, per analogia,
a quello per il condizionamento
dell’aria, se comune), come già
chiarito dai medesimi giudici di
legittimità con una precedente
sentenza del 1993 (n. 8755 del
18 agosto).
Quindi, giungendo al terzo motivo di ricorso, relativo
all’utilizzo improprio del cortile
condominiale da parte dei conduttori dei locali siti al piano
terreno, la seconda sezione civile della Cassazione, vista anche
la mancanza di specificità del
motivo, così come articolato dal
condominio ricorrente, si è limitata a ribadire il principio di diritto tradizionale di cui all’art.
1102 c.c., norma dettata dal
legislatore in materia di comunione ma applicabile anche in
materia condominiale giusto lo
specifico rimando di cui all’art.
1139 c.c.
In particolare, i giudici di
legittimità hanno ritenuto che
la collocazione di tavoli e sedie
per i clienti in una porzione limitata del cortile condominiale
rappresenti un uso proprio del
bene comune, di per sé non
tale da impedire il pari uso del
medesimo da parte degli altri
comproprietari, salve sempre
le specificità del singolo caso
concreto.
© Riproduzione riservata
La sentenza sul sito
www.italiaoggi.it/
docio7
I limiti della legge e quelli del regolamento interno
I limiti di legge. Il condomino per
legge non può utilizzare parti comuni
in modo tale da rendere impossibile o,
comunque, alterarne in modo apprezzabile la funzione originaria. È chiaro,
ad esempio, che è ammissibile collocare nel pianerottolo uno zerbino o una
pianta ornamentale, mentre è illecito
occupare detto spazio con scarpiere o
oggetti ornamentali di dimensioni tali
da pregiudicare l’accesso al vano scale
o all’ascensore o costringere i vicini a
disagevoli movimenti in caso di trasloco. Il singolo condomino, non può
pregiudicare né la stabilità dell’edificio né il suo decoro architettonico
ma, entro questi rigorosi limiti, può
certamente modificare lievemente i
muri perimetrali. In ogni caso l’alterazione della destinazione della cosa
comune può essere provocata non solo
dal mutamento della funzione, come
nei casi sopraddetti, ma anche dal suo
deterioramento.
I limiti del regolamento di condominio. L’utilizzazione da parte
del singolo condomino delle cose comuni è legittima purché non alteri
la destinazione del bene e non impedisca agli altri condomini di farne
un pari uso secondo il loro diritto:
tale regime legale delle cose comuni
può essere sottoposto a una diversa
o più rigorosa disciplina da parte del
regolamento di condominio.
Così, ad esempio, se il regolamento proibisce il parcheggio nel cortile,
destinato a spazio giochi, non è possibile nemmeno una breve sosta in
detta area.
In ogni caso è possibile che una
disposizione del regolamento condominiale vieti qualsiasi modifica delle
cose comuni nell’interesse del singolo
condomino senza la preventiva autorizzazione.
Tale norma, che prevede un limite
all’uso delle parti comuni più rigoroso rispetto alla legge, ha carattere contrattuale e, se predisposta
dall’originario costruttore dell’edificio, deve essere accettata dai condomini nei rispettivi atti di acquisto
ovvero con atti separati; se invece è
deliberata dall’assemblea, la relativa
deliberazione deve essere approvata
all’unanimità, cioè da tutti i condomini, nessuno escluso.
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L’uso delle parti comuni da parte di
un condomino può avvenire in modo
particolare e diverso da quello praticato dagli altri condomini purché siano rispettati non solo i limiti previsti
dalla legge ma anche quelli indicati
nel regolamento di condominio, documento che spesso è ignorato o poco
conosciuto dai comproprietari.