Il patto mafia-Stato nelle carte di Riina

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Il patto mafia-Stato nelle carte di Riina
Il patto mafia-Stato nelle carte di Riina
26 maggio 2003 — pagina 23 sezione: CRONACA
PALERMO - Cosa nascondeva Totò Riina nel suo covo? Perché il generale Mario Mori e quegli
altri ufficiali del Ros non perquisirono la tana del boss di Corleone e non la sorvegliarono mai?
Cosa c' era dentro quella cassaforte scardinata da un muro, aperta con la fiamma ossidrica da una
mezza dozzina di mafiosi che entrarono indisturbati nella villa appena qualche giorno dopo la
cattura del loro capo? Il sospetto che avanzano alcuni pentiti è che nel covo ci fosse il "papello",
quelle richieste che Cosa Nostra inoltrò a pezzi dello Stato a cavallo delle stragi del '92 e del '93 per
fermare le bombe mafiose. Pace in cambio di un regime carcerario meno duro, pace in cambio della
revisione del maxi processo. Nell' inchiesta giudiziaria sullo "svuotamento" della villa di un boss
che era rimasto latitante per un quarto di secolo, tra testimonianze di colonnelli e generali, ci sono
infatti anche le confessioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Giovanni Brusca, l' altro è Santino
Di Matteo, il terzo è Balduccio Di Maggio. Raccontano dei misteri del covo e delle «carte scottanti»
che poteva aver occultato lo «zio Totò», ciascuno di loro però offre una sua verità sui segreti di
almeno vent' anni di mafia che custodiva il capo dei capi. Brusca parla del boss di Corleone e subito
ricorda «che aveva l' abitudine di conservare i documenti in una cassaforte». Poi aggiunge: «Io
stesso, quando Riina abitava alla Molara (è una borgata di Palermo, ndr), l' ho visto varie volte
aprire e chiudere una cassaforte a muro, dentro la quale vi erano conservate molte carte». La
dichiarazione che segue è molto significativa per capire come "ragionano" i boss e come, fino a
quel 15 gennaio 1993 - giorno della cattura di Riina - si usava fare indagini a Palermo. Spiega
infatti Brusca: «Quando arrestano un latitante noi ci attiviamo sempre al fine di eliminare, dai
luoghi frequentati dallo stesso, tutte le tracce che possono comunque metterlo in relazione con altre
persone. Ovviamente tale nostra abitudine è ben conosciuta dalle forze di polizia che, naturalmente,
perseguono un interesse opposto». A questo punto Giovanni Brusca punta direttamente sul covo:
«Parlando con Leoluca Bagarella e con Leonardo e Vito Vitale (al tempo erano tutti latitanti, ndr),
siamo perciò giunti alla conclusione che i carabinieri non sono voluti entrare subito nell' abitazione
del Riina in quanto temevano che all' interno della stessa potesse trovarsi traccia del papello». Il
pentito fa riferimento poi alla famigerata «trattativa» e conclude: «Posso dire che se fosse stata
scoperta traccia del papello sarebbe stata compromessa l' immagine dell' Arma dei carabinieri». Fin
qui le rivelazioni di Brusca. Passiamo a Mario Santo Di Matteo. Il suo racconto si apre così: «Ho
appreso da Balduccio Di Maggio che era stato portato dalle forze dell' ordine con un aereo a
Palermo, per essere interrogato in Procura, in relazione a un omicidio verificatosi a San Giuseppe
Jato...». Di Matteo sta ricordando la vicenda di Balduccio Di Maggio che ritorna in Sicilia per
consumare da pentito le sue vendette, regolamenti di conti contro gli sgherri del clan Brusca.
Continua il collaboratore di giustizia: «Di Maggio, nel timore di essere arrestato per i traffici che
aveva organizzato al suo paese, disse a suo figlio che se ciò fosse accaduto egli doveva parlare con
il generale Delfino avvertendolo che se qualcosa gli fosse successa lui avrebbe 'spiattellato' tutto...».
Il generale Delfino è Francesco Delfino, comandante dei carabinieri della "Regione Piemonte" all'
epoca della cattura di Totò Riina. Fu proprio Di Maggio, arrestato una notte di quel gennaio 1993 in
provincia di Novara, a chiedere subito di parlare con il generale e a svelargli in pochi minuti la
"via" per prendere Totò Riina. Ma torniamo a Di Matteo e alla sua confessione: «Di Maggio mi
accennò che al momento dell' arresto nella casa di Riina si trovavano documenti scottanti, di cui lui
non poteva parlarmi...il Riina venne arrestato sulla circonvallazione e, nel frattempo, qualcuno dei
carabinieri era andato a svuotare la casa dei documenti più rilevanti». E infine, sempre Di Matteo:
«Era questo il segreto fra Di Maggio e il generale Delfino, sulla base del quale voleva ricattare l'
alto ufficiale». A parte la smentita del generale Delfino su tutto il fronte, un' altra smentita a Santino
Di Matteo è arrivata proprio da Balduccio Di Maggio, il mafioso che ha raccontato quel "bacio" tra
Totò Riina e il senatore Andreotti. Ribatte Balduccio: «Di Matteo si è invenato tutto, di questa
storia non so niente». Viene messo confronto con Di Matteo, i magistrati intuiscono che mente sul
grado di conoscenza che ha con il generale Delfino, ma alla fine non cambia di una virgola la sua
prima versione dei fatti: «Di Matteo inventa e il generale Delfino l' ho visto mezza volta solo
quando mi hanno arrestato». Questi i racconti dei pentiti. Di alcune ricostruzioni i magistrati della
Procura di Palermo dicono che fino ad ora non c' è stato un «adeguato riscontro», di altre spiegano
che sono «tutt' altro che prive di una connessione logica con tutte le altre risultanze esaminate». In
conclusione i procuratori stanno finendo di scrivere la storia del covo in due capitoli. Nel primo
hanno accertato ormai la «condotta anomala» di alcuni alti ufficiali del Ros, quelli che non vollero
fare la perquisizione e poi abbandonarono la vigilanza senza «avvertire» né Caselli né i loro
colleghi del reparto operativo. Il secondo capitolo è quello che riguarda le carte «scottanti». Da una
parte osservano: «Non è stato acquisito alcun concreto riscontro in ordine alla presunta sottrazione
di documenti che possa ricondurre all' Arma dei carabinieri». E dall' altra precisano: «E'
incontestabile, su un piano logico, che la presunta sottrazione dei documenti di Totò Riina sarebbe
stata praticamente irrealizzabile se, subito dopo il suo arresto, fosse stata effettuata un' irruzione
nella villa».
ATTILIO BOLZONI