Nessuna intenzione di abbandonare il mio lavoro

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Nessuna intenzione di abbandonare il mio lavoro
Mafia, il pm Di Matteo: “Nessuna intenzione
di abbandonare il mio lavoro”
Sul blog di Beppe Grillo l'intervista al pm di Palermo che indaga sulla trattativa Statomafia finito nel mirino del boss Totò Riina. Il magistrato si dice "orgoglioso" che
neanche una riga delle intercettazioni tra Mancino e Napolitano siano state rese
pubbliche e sottolinea "il 41 bis è regime assolutamente fondamentale. Noi
auspichiamo che venga mantenuto nella sua vigenza e nella sua regola attuale anche in
futuro"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 7 aprile 2014
“Non è un Paese per onesti”. Si intitola così l’intervista al pm Nino Di Matteo sul blog di Beppe
Grillo. Si tratta del magistrato che indaga sulla trattativa Stato-mafia, finito nel mirino di Totò
Riina, che da mesi lancia dal carcere “ordini di morte”, e protagonista suo malgrado dello scontro
istituzionale per le intercettazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Di Matteo
– si legge nel il blog – fra Quirinale, Csm e Riina non sa da chi doversi guardare prima”. Proprio il
Consiglio superiore della magistratura ha deciso che non ci sarà nessun procedimento disciplinare
nei suoi confronti.
Di Matteo, come già ripetuto molte volte in passato, ha ribadito l’irrilevanza penale delle
conversazioni che sono state oggetto del conflitto di attribuzione, sollevato e vinto da
Napolitano: ”Abbiamo fino dall’inizio rilevato e esternato che quelle intercettazioni” del capo dello
Stato “non erano penalmente rilevanti. Abbiamo un orgoglio: di quelle intercettazioni non è mai
uscita una sola riga, eppure è stato sollevato un conflitto di attribuzioni. In situazioni analoghe
durante indagini delle Procure di Milano e Firenze” non è accaduto. “Non dovete chiedere a noi
perché in quei casi non venne sollevato il conflitto di attribuzioni” aggiunge.
Il magistrato, sottoposto al massimo livello di protezione per le minacce di morte, però non intende
mollare: ”Io non ho nessuna intenzione di abbandonare il mio lavoro, è stata eccessivamente
enfatizzata la notizia della domanda di partecipazione a un concorso, quello per la Procura
nazionale antimafia, ma io nei mesi scorsi avevo presentato anche altre domande, per esempio per
procuratore aggiunto a Palermo e a Caltanissetta e giustamente nessuno aveva dato quella
notizia. Ritengo che la partecipazione a un concorso sia normale, sia fisiologica – ha aggiunto –
tanto più che eventualmente nel caso in cui dovessi essere prescelto tra i magistrati designati per la
direzione nazionale antimafia potrei chiedere di essere applicato a Palermo per continuare le
indagini e i processi di cui mi occupo”.
Poi una riflessione sul 41bis da cui Riina vorrebbe disperatamente uscire, ma che come ha sancito
Strasburgo è una condizione che non viola i suoi diritti: “Fin da quando il 41 bis è stato introdotto la
sua abolizione è uno degli scopi fondamentali dell’organizzazione mafiosa. Non mi stupirebbe
se qualcuno tentasse di utilizzare vicende legate a singoli detenuti per cercare un’ulteriore
strumentalizzazione contro il 41 bis”.
A chi gli fa notare che se il boss Bernardo Provenzano, per il quale è stato prorogato il 41 bis,
morisse in carcere potrebbe essere “la scusa per iniziare a picconare il 41 bis” il pm risponde: “La
procura di Palermo non ha firmato un documento, tecnicamente ha espresso un parere e così come
le procure di Caltanissetta e di Firenze (tutte favorevoli alla revoca, ndr) ha ritenuto che in questo
momento, e con queste condizioni di salute, certificate da più perizie, Provenzano non sarebbe in
grado di fare uscire ordini neanche se detenuto a un regime normale di alta sorveglianza e non di 41
bis. Per questo avevamo ritenuto di esprimere un parere contrario all’ulteriore proroga del 41 bis
allo Stato. Questo su un presupposto che però deve essere chiaro a tutti: il 41 bis – prosegue il pm –
è regime assolutamente fondamentale. Noi auspichiamo che venga mantenuto nella sua vigenza e
nella sua regola attuale anche in futuro, si è rivelato fondamentale per cercare di recidere i rapporti
tra i capi detenuti e i mafiosi ancora in libertà, deve continuare a essere applicato con rigore, ma la
ratio è proprio quella di recidere i possibili contatti, non è una ratio afflittiva nei confronti del
detenuto, per questo avevamo ritenuto di dare un parere favorevole, proprio perché ritenevamo,
sulla base delle perizie, che in questo momento il pericolo del rapporto con l’esterno fosse un
pericolo astratto e non minimamente concreto”.