Covo di Riina, bugie inspiegabili

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Covo di Riina, bugie inspiegabili
La Procura di Palermo chiede l'archiviazione: non possiamo provare che i
carabinieri volessero aiutare Cosa Nostra. E la mancata sorveglianza della casa
del padrino resta un mistero
«Covo di Riina, bugie inspiegabili»
I pm: atteggiamento non veritiero o quantomeno reticente di
Mori e di «Ultimo» Il «pentito» Giuffrè: «Il boss teneva lì le
carte sui rapporti con persone esterne "vicine" alla mafia,
Bagarella voleva prenderle per evitare danni a questi
referenti. Ritengo che ora le abbia Matteo Messina Denaro»
ROMA - Il mistero che dura da 11 anni riprende la strada dell' archivio, ma senza soluzione.
Piuttosto con ulteriori dubbi e «gravi perplessità», accusa il pubblico ministero. La storia della
mancata perquisizione e della sorveglianza sospesa al covo di Totò Riina subito dopo la sua cattura,
lasciato sguarnito dai carabinieri del Ros a insaputa dei magistrati palermitani, resta un groviglio di
«inammissibili contraddizioni logiche», fatti che «non trovano alcuna plausibile spiegazione»,
«inspiegabili condotte». Di fronte all' impossibilità di provare che i responsabili dell' operazione
avessero non solo la consapevolezza, ma anche la volontà di «agevolare obiettivamente gli uomini
di Cosa Nostra», la Procura di Palermo ha nuovamente chiesto l' archiviazione dell' inchiesta. Quelli
dei due carabinieri indagati per favoreggiamento sono nomi importanti nella storia della lotta alla
mafia: il generale Mario Mori - ex capo del Ros, oggi prefetto e direttore del Sisde - e l' ex capitano
Ultimo, oggi tenente colonnello in servizio al Nucleo operativo ecologico dell' Arma, l' uomo che
materialmente catturò Riina la mattina del 15 gennaio 1993 in una strada di Palermo. Il capo della
mafia, latitante da trent' anni, da pochi minuti era uscito dalla sua abitazione, in un residence di via
Bernini. Ma la casa non fu perquisita; secondo gli accordi presi con la Procura ricostruiti dall'
indagine, i carabinieri del Ros dovevano sorvegliarla per intercettare eventuali «uomini d' onore»
che fossero andati a prelevare la famiglia di Riina. Due settimane dopo, però, la stessa Procura
scoprì che quella «sorveglianza a distanza» non c' era mai stata. Solo «un grosso equivoco nato
dalla concitazione di quei giorni», ha spiegato Ultimo ai magistrati; «tutt' al più una dimenticanza,
non certo un' omissione dolosa da parte nostra», ha confermato Mori. Giustificazioni che il pm di
Palermo Antonio Ingroia definisce «poco convincenti». Ma nelle 15 pagine inviate al giudice delle
indagini preliminari (che nel 2002 aveva respinto una prima richiesta di archiviazione, ordinando
altri accertamenti) e consegnate dal procuratore Grasso alla commissione parlamentare antimafia, c'
è di più. Per esempio, scrive il pm, «elementi indiziari più che sufficienti per ritenere provato che
gli ufficiali del Ros e segnatamente il tenente colonnello, con l' avallo del generale Mori, lasciarono
intenzionalmente credere ai magistrati e agli altri ufficiali dell' Arma una circostanza non
rispondente al vero e cioè che l' attività di osservazione (del covo, ndr) sarebbe proseguita senza
soluzione di continuità fin tanto che la perquisizione non sarebbe stata eseguita». Una bugia
intenzionale, affermano gli inquirenti, intorno alla quale ruota l' intera vicenda che in passato ha
prodotto duri contrasti tra il Ros e la Procura palermitana. Alla base c' è un appunto dell' allora
procuratore aggiunto Aliquò, che fissando i fatti del 15 gennaio ' 93 scrisse: «Durante il pranzo,
Ultimo (...) dice che contava di vedere chi sarebbe venuto a prelevare i familiari di Riina. Intervento
di Mori. (...) Garanzia di controllo assoluto e costante». Parole piuttosto precise, che Ultimo ha di
fatto smentito nel suo interrogatorio: «Io non specificai se l' attività di osservazione sul complesso
di via Bernini sarebbe o meno proseguita nei giorni successivi... Io non volevo fare sorveglianza...
Quella lì era la casa di Riina. Per me, forse ho sbagliato le valutazioni, rimane la casa, l' abitazione
del sangue di Riina, non la base logistica della latitanza di Riina. Per me non aveva valore
investigativo come non lo ha oggi l' abitazione di Provenzano a Corleone dove ha la moglie e i
figli». Per il pm c' è una «insanabile contraddizione» tra questa e altre affermazioni di Ultimo. Così
come «la brillante operazione» dell' arresto del superlatitante lontano dal covo, «di cui non può che
darsi merito ai carabinieri», rende «ancor più incomprensibili le scelte adottate dai vertici del Ros
nelle ore immediatamente successive». Anche perché in quelle ore e in quei giorni successivi, altri
mafiosi andarono effettivamente a prendere al moglie e i figli di Riina, svuotarono l' appartamento
(cassaforte compresa) e tinteggiarono le pareti per evitare che rimanessero impronte digitali. L'
hanno raccontato alcuni pentiti che parteciparono alla missione e questo fa scrivere al pm Ingroia
che oltre al rinvio dell' irruzione, «fu soprattutto la sospensione di ogni attività di osservazione a
determinare un' obiettiva agevolazione di Cosa Nostra, consentendo a quest' ultima di trarre il
massimo vantaggio possibile dalla mancata perquisizione del covo». Secondo il magistrato restano
«gravi perplessità in ordine all' attendibilità della ricostruzione dei fatti fornita a distanza di tanti
anni dai vertici del Ros», anche per via di un altro appunto del procuratore aggiunto Aliquò.
Riferendosi a una riunione svoltasi il 27 gennaio ' 93, dodici giorni dopo l' arresto di Riina, il
magistrato scrisse: «Caselli sollecita ancora la perquisizione ma Mori sembra non avere urgenza e
dice che l' osservazione del complesso di via Bernini stava creando tensione e stress al personale
operante, accennando alla sua sospensione». Ribatte Mori interrogato dal pm: «Non ho ricordo di
quella riunione... Escludo tuttavia di aver fatto riferimento all' attività di osservazione sul complesso
di via Bernini come causa di stress». L' ultimo pentito di Cosa Nostra considerato importante e
attendibile dai magistrati antimafia, Nino Giuffrè, ha raccontato di aver parlato con Provenzano e
altri boss (Spera, Greco e Aglieri) della «possibilità concessa a Riina di "ripulire tutto"» nella base
della sua latitanza: «Ritengo che il discorso sia stato "pilotato a tavolino", che Riina tenesse a casa
le "carte" più compromettenti, quelle sui rapporti con persone "terze" rispetto a Cosa Nostra. Questi
erano fatti, non chiacchiere». Il pentito allarga i suoi sospetti all' intera operazione: «Lo scopo della
cattura era molteplice: da una parte Riina era diventato "ingombrante" e dunque sacrificarlo poteva
servire per salvare Cosa Nostra; dall' altra Bagarella si impossessa delle carte, penso tramite la
sorella, moglie del Riina, Ninetta Bagarella, per neutralizzare i danni che poteva fare a personalità
esterne vicine a Cosa Nostra... Ritengo che adesso le "carte" le abbia Matteo Messina Denaro, che è
il "gioiello" di Totò Riina». Le dichiarazioni di Giuffrè, scrive Ingroia, sono «frutto di una
ricostruzione certamente "autorevole", ma insufficiente per trarne definitive conclusioni». Tuttavia
la Procura mantiene le perplessità su comportamenti e decisioni di due «ufficiali di tale esperienza e
conoscenza del fenomeno mafioso» come Mori e Ultimo, le cui dichiarazioni «appaiono non
veritiere, o quantomeno reticenti, anche nell' ambito del presente procedimento». Ma la prova del
dolo non c' è, sostiene il pm, e non resta che archiviare: il destino dell' inchiesta e del «giallo» torna
nelle mani del giudice.
Giovanni Bianconi
La casa dei misteri
IL RIFUGIO La fuga della famiglia Poco dopo l' arresto di Riina la moglie Ninetta Bagarella e i
figli che hanno condiviso con lui la latitanza lasciano il covo di via Bernini a Palermo
I CONTROLLI Nessuna perquisizione La casa di via Bernini non viene perquisita. I carabinieri
avrebbero dovuto sorvegliarla per intercettare altri mafiosi che arrivavano
LO SCANDALO La villa non è sorvegliata Dopo due settimane si scopre che non c' è stata
l'irruzione nel covo, ma neppure la sorveglianza a distanza. Il procuratore Caselli solleva il caso
UOMINI D' ONORE Sparite le carte di Riina Dalla villa nel frattempo una squadra di «uomini d'
onore» fa sparire mobili e tinteggia le pareti Sarebbe stato portato via anche l' archivio di Riina
L'INCHIESTA Il no all' archiviazione Il 21 novembre 2002 il gip ha rigettato la richiesta di
archiviazione per gli ufficiali indagati chiedendo l' audizione dei militari che parteciparono all'
arresto
L' arresto
IL BLITZ Il 15 gennaio 1993 i carabinieri del Ros arrestano a Palermo, nei pressi del motel Agip di
via Regione Siciliana, il boss dei boss Totò Riina dopo 30 anni di latitanza
IL SEGNALE A dare il segnale agli uomini del comandante Ultimo è Balduccio Di Maggio,
nascosto in un furgone fuori dalla casa di Riina Il pentito è infatti l' unico, dopo anni di latitanza, in
grado di riconoscerlo
Bianconi Giovanni
Pagina 20
(27 maggio 2004) - Corriere della Sera