Mafia: la crisi colpisce anche Cosa Nostra. Riina

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Mafia: la crisi colpisce anche Cosa Nostra. Riina
Mafia: la crisi colpisce anche Cosa Nostra.
Riina comanda ancora e torna il pericolo
stragi
Andrea Purgatori, l'Huffingtonpost | 06/02/2014
Le ombre della Prima Repubblica allungano le braccia sulla Seconda, e ora c’è il rischio che magari
qualcuno venga ammazzato perché all’improvviso uno scheletro potrebbe uscire dall’armadio. Con
un po’ di enfasi, la sintesi estrema di ciò che pensano e temono i magistrati siciliani (il frutto di una
serie di colloqui) è questa. Partendo dalle minacce e dagli sfoghi di Totò Riina, che hanno segnalato
l’allarme. Ma senza perdere di vista il quadro generale delle inchieste e dei processi in corso, da
Caltanissetta a Palermo, da Trapani a Catania. Dove si continua a scavare per rendere trasparente il
passato e chiudere una storia mai chiusa. Quella della mafia che incrocia lo Stato e viceversa.
Persino oggi, al tempo della crisi. Vediamo.
La crisi economica - La cosidetta mafia della Seconda Repubblica, quella del dopo Riina, ne sta
avvertendo i morsi perché ha sempre avuto come principale introito la partecipazione predatoria alla
spesa pubblica (appalti, commesse, eccetera) e in parte minore - qui sta la grande differenza rispetto
alla ‘Ndrangheta - il traffico di droga. Ma ora che la spesa pubblica è crollata e diminuisce il
numero degli imprenditori da estorcere, si è creato uno stato di sofferenza economica per
l’organizzazione che non ha più soldi per mantenere le famiglie dei boss in carcere né per pagare gli
avvocati. Non solo. Le confische e i sequestri dei beni mordono molto di più, perché quando gli
affari giravano, il boss a cui sequestravano un immobile era in condizione di comprarne
rapidamente un altro. Invece adesso non ha più una seconda possibilità.
Quindi, comincia ad emergere un forte malumore nel popolo di Cosa Nostra che si manifesta con
minacce nei confronti di magistrati e amministratori dei beni sequestrati. Ma, ecco la novità, anche
nei confronti della classe dirigente mafiosa. Un esempio clamoroso è quello di un personaggio un
tempo carismatico come Matteo Messina Denaro, accusato anche da Riina di farsi soltanto i fatti
propri perché inserito in un circuito di relazioni privilegiate che gli consente di rimanere comunque
finanziarimente a galla. C’è infine anche una critica nei confronti di quella parte di Cosa Nostra che
vorrebbe continuare nella strategia della sommersione voluta da Provenzano, che funzionava
quando gli affari giravano per tutti ma ora non più.
L’uomo forte – La conseguenza di questa insofferenza è doppia. Da una parte la richiesta che
proviene dal basso dell’organizzazione di un uomo forte, di un leader che sappia battere i pugni sul
tavolo. Dall’altra, il pericolo di un rischioso rompete le righe che permetterebbe a ciascuno di
decidere per proprio conto quale linea seguire e quali obiettivi prendere di mira. Ed è proprio
davanti a questo bivio che la mafia della Seconda Repubblica torna ad incrociare quella della Prima,
incarnata dalla figura di Totò Riina, che con i suoi sfoghi cerca di legittimare la componente che
auspica un ritorno alle maniere forti. Un bluff, secondo qualcuno. Ma non è così.
Secondo le regole di Cosa Nostra, nonostante sia ormai costretto da ventitre anni al regime del
41bis, Riina continua ad avere un ruolo di comando. E che non sia affatto fuori gioco, lo
confermano le inchieste. Quella denominata Gotha, ad esempio. Dove emerse chiaramente che, di
fronte alla possibilità di un ritorno dagli Stati Uniti della famiglia Inzerillo esiliata durante la guerra
di mafia, per prendere una decisione i capi di Cosa Nostra posero la pregiudiziale del beneplacito di
Riina, già in carcere da 13 anni. In un contesto come questo, valutano i magistrati, le parole del
Capo dei capi assumono il valore di pericolosissime scintille di cui qualcuno all’interno di Cosa
Nostra potrebbe autonomamente e legittimamente servirsi per appiccare il fuoco.
Gli scenari – Il punto di partenza per cercare di capire dove sta andando Cosa Nostra non è il
presente ma il passato, la memoria del Gioco Grande del potere a cui la mafia si è sempre applicata.
L’attuale situazione economica riflette i vizi di una attuale classe dirigente che, nella sua
componente legale e in quella mafiosa e illegale che fa appunto riferimento a Cosa Nostra, ha
vissuto finora di rendita, cioè di spesa pubblica e si trova impreparata a fronteggiare la crisi. Al
contrario della ‘Ndrangheta, che ha sempre mantenuto un profilo mercatista, occupando
progressivamente tutti gli spazi lasciati liberi dalla mafia siciliana e che, nel caso del traffico di
stupefacenti, hanno oggi un respiro planetario, oltre che plurimiliardario. Ebbene, posto che ciò che
rimane della spesa pubblica è ormai riservato alla élite di Cosa Nostra e non è più spalmabile né
condivisibile con tutta la filiera dell’organizzazione, la conseguenza è che il popolo mafioso
disoccupato che non riesce più a sopravvivere comincia a reagire esattamente come la società civile:
ribellandosi, in tutte le forme possibili.
Inutile spiegare che le imprese floride lo erano perché dopate dal sistema mafioso, e oggi non lo
sono più perché il bacino degli investimenti pubblici a cui attingere attraverso appalti e commesse si
è prosciugato. La reazione della base di Cosa Nostra non prevede alcun ragionamento sulla legalitàillegalità e si trasforma, grazie anche allo stimolo di registi occulti che manovrano per alimentare la
tensione, in protesta elementare: la mafia dà lavoro, lo Stato no. Non molto diversa, per fare un
esempio, da quella dei Forconi, dove la protesta spontaneista viene sapientemente indirizzata contro
le responsabilità di magistratura e politica, e senza alcuna distinzione.
Il gioco grande – Qui l’analisi si fa più complessa. Con questa premessa: che in una situazione di
instabilità politica c’è il rischio di una crisi di sistema e tutto diventa estremamente pericoloso.
Come accadde a cavallo della fine della Prima Repubblica, quando Cosa Nostra decise di esportare
la strategia stragista al Nord, per trasformarla da questione siciliana in questione nazionale. Ma fu
davvero e soltanto Cosa Nostra a decidere questo spostamento? I dubbi, e in alcuni casi anche le
evidenze, dicono che non fu tutta farina del sacco mafioso. Da Capaci a via D’Amelio (la moglie di
Di Matteo che lo implora di non rivelare i nomi degli “infiltrati” in quella strage ne è un esempio),
al Velabro, ai Georgofili, a Milano, fino all’autobomba che era destinata ai carabinieri in servizio
allo stadio Olimpico di Roma (strage fallita per un difetto nel telecomando e non ripetuta), sono
molte le mani o le menti esterne a Cosa Nostra che lasciano impronte e anche le ombre che vengono
dal passato dello stragismo di stato e dell’eversione: pezzi deviati dei servizi italiani e stranieri,
massoneria, neofascisti.
In questo senso, un capitolo centrale è quello che riguarda Totò Riina, e la partita che sta giocando
dal cortile del carcere di Opera. La sua ossessione per il processo sulla trattativa Stato-Mafia è
ormai pubblica come le intercettazioni durante le ore d’aria consumate a passeggiare insieme
all’eccentrico mafioso pugliese Alberto Lorusso. Memorie amare di un uomo che ha fatto di tutto
per passare alla storia come il Capo dei capi che costrinse lo Stato a ballare la samba, come lui
stesso dice? O invece la paura di passare alla storia come il Capo dei capi che, credendo di piegare
lo Stato al negoziato, non si rese conto di essere a sua volta pedina e strumento di un gioco più
grande? Nel primo caso, in un altro contesto storico e politico, i suoi sfoghi non avrebbero
spaventato nessuno. Nel secondo caso, il problema diventa personale e si riflette sull’intera
organizzazione: Riina conosce segreti che non ha mai condiviso con la base e potrebbero affiorare
tra le pieghe del processo (perché lo spostamento delle stragi al Nord? perché l’accelerazione
improvvisa della strage di via d’Amelio?) danneggiandone quella immagine di stratega vincente che
si era costruito nel tempo.
Ma un appendice al capitolo Riina spetta di diritto anche a Lorusso, che si dimostra loquace,
puntuale nelle domande, curioso ma soprattutto informato al punto da sapere con quarantottore
d’anticipo cosa succede nelle stanze della Procura di Palermo, e addirittura il contenuto di alcuni
scambi di mail tra magistrati. “Dama di compagnia” o “badante” che dir si voglia, come il gergo
carcerario definisce il detenuto scelto per accompagnare nella passeggiata un boss di calibro più
elevato, oppure burattino al servizio dei servizi, Lorusso (che tra l’altro è un esperto di codici
cifrati) è la prova provata dell’esistenza di un circuito che veicola notizie riservate all’interno di
quello che dovrebbe essere un penitenziario impermeabile, e rende più che credibile il sospetto che
quello stesso circuito funzioni al contrario. Veicolando all’esterno i messaggi elaborati all’interno.
In questo caso, la chiamata alle armi di Totò Riina.
E Matteo Messina Denaro? E’ un egoista che ormai pensa agli affari di famiglia infischiandosene
dei compagni di strada finiti in disgrazia, come sostiene Riina? O invece, data la sua lunga militanza
stragista, sta solo aspettando il momento buono per rispondere alla chiamata del Capo dei capi? Il
problema, anzi il rompicapo, è capire in questo caso quale sia questo momento buono. Poteva non
esserlo tre mesi fa, nei giorni delle esternazioni di Riina. Lo è stato forse, ma per fortuna senza esiti,
alla vigilia delle ultime elezioni, quando il quadro politico in disfacimento avrebbe potuto
consegnare il Paese come già la Sicilia nelle mani di “comici” e “froci” (un elegante riferimento a
Beppe Grillo e al governatore Rosario Crocetta, contenuto nel messaggio di “un uomo d’onore della
famiglia trapanese” alla Procura di Palermo).
Il sismografo – Intuire e capire quello che potrebbe accadere un minuto prima che accada è la sfida
di fronte alla quale si trova ora la magistratura siciliana. Come un sismografo. E il sismografo dice
che la situazione è pericolosamente in movimento, soprattutto se rapportata al quadro politico. Che
potrebbe accelerare o rallentare una eventuale ripresa dello stragismo. La specificità della mafia
siciliana, che l’ha resa diversa da tutte le altre mafie, è questa: vivere e svilupparsi come
sottosistema di un sistema più ampio, di politica e di potere nazionale. Costruendo le proprie
strategie sulle strategie degli altri, come è accaduto da Portella della Ginestra fino alle carte del
processo Dell’Utri, passando attraverso la strategia della tensione, la strage del Rapido 904, i
tentativi di golpe, i delitti di stato, disegnando alleanze di scopo e di affari con la massoneria, pezzi
dei servizi segreti italiani e stranieri, con la Banda della Magliana piuttosto che con la gestione degli
affari sporchi dello Ior ai tempi di monsignor Marcinkus. Questa, a giudizio dei magistrati, è la
storia che viene da lontano e non si riesce a chiudere. Questo il pericolo imponderabile che si
nasconde nel sottotesto del rozzo testo delle frasi pronunciate da Totò Riina. E che nemmeno il più
sofisticato bomb jammer è in grado di neutralizzare con certezza assoluta.