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O N N A IV LE IA EC SP 16 20 L’EMOFILIA A ACQUISITA TRA CRITICITÀ DIAGNOSTICHE, BISOGNI INSODDISFATTI E NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE tre gli 85 anni (Figura 1). Nelle due casistiche più ampie finora pubblicate, uno studio prospettico condotto nel Regno Unito e l’European Acquired Haemophilia Registry (EACH2), l’età mediana alla diagnosi era infatti di 78 e 74 anni. Va peraltro sottolineato che, oltre agli anziani, l’AHA può colpire anche le donne in età fertile, nelle quali può insorgere nel periodo post-partum (primi quattro mesi), e si può associare più raramente alla presenza di tumori solidi, patologie linfo- o mieloproliferative, malattie autoimmuni o assunzione di farmaci. Soltanto in una minoranza dei pazienti è possibile identificare un fattore causale, mentre fino al 70% dei casi l’AHA è idiopatica (Figura 2). AUTORI Pier Mannuccio Mannucci - Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Fondazione Cá Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano Domenico Tarantino - Segreteria Redazionale SIFO Giuseppe Turchetti - Professore Ordinario di Economia e Management Sanitario presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa Francesco Violi - Professore Ordinario di Medicina Interna, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, La Sapienza - Università di Roma Il termine “emofilia” esprime intrinsecamente il concetto di malattia emorragica, che acquista connotati clinici e terapeutico-assistenziali differenti a seconda della specifica dinamica fisiopatogenetica. A tale riguardo, è opportuno differenziare l’emofilia A congenita da quella acquisita (AHA): mentre la prima è ereditaria, interessa il sesso maschile ed è dovuta alla carenza di fattore VIII (FVIII) della coagulazione, la seconda ha una frequenza simile nei due sessi ed è caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi inibitori diretti del fattore VIII (FVIII) endogeno, a cui consegue la comparsa di diatesi emorragica in soggetti con anamnesi personale negativa per malattie della coagulazione. In Italia è stato istituito nel 2005 il Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite (RNCC) che fornisce i dati epidemiologici sulla loro prevalenza, sulle complicanze delle terapie e sui fabbisogni dei farmaci necessari al trattamento in relazione alla gravità della patologia, delle reazioni avverse e dei vari regimi terapeutici. Il totale dei pazienti rilevati nel 2013 è stato di 9.461 (68,5% maschi, 31,5% femmine), mentre i pazienti affetti da AHA sono stati 90 (0,95%), rispettivamente 39 maschi e 51 femmine. LE MANIFESTAZIONI CLINICHE Alla diagnosi circa il 30% dei pazienti non mostra sanguinamenti, che sono invece gravi nel restante 70%: le sedi più frequentemente coinvolte sono cute, sottocute e muscoli di addome, tronco e arti (vasti ematomi confluenti). I sanguinamenti gastrointestinali, quelli post-chirurgici e quelli intracranici, nonché le sindromi comparti- UNO SCENARIO EPIDEMIOLOGICO SOTTOSTIMATO Il tasso di incidenza annuale nella popolazione generale di AHA è probabilmente ancora sottostimato e aumenta progressivamente con l’età: sale da 0,045 casi per milione al di sotto dei 16 anni d’età a 14,7 casi ol01 ITALIAN HEALTH POLICY BRIEF L’APPROCCIO TERAPEUTICO Il cardine del trattamento dell’emofilia congenita è la terapia sostitutiva basata su concentrati di FVIII esogeno, la cui somministrazione può tuttavia indurre lo sviluppo di anticorpi, riscontrato nel 25-30% dei pazienti naïve e nel 2-5 per mille di quelli già precedentemente trattati. Si tratta di alloanticorpi che esplicano un effetto neutralizzante sull’attività coagulante del FVIII, rendendone nullo l’effetto terapeutico. Nei pazienti affetti da emofilia A congenita complicata da inibitori, come in quelli con AHA, la gestione degli episodi emorragici è affidata all’uso di farmaci emostatici alternativi al FVIII, noti come agenti bypassanti, rappresentati dal concentrato di complesso protrombinico attivato (aPCC) e dal concentrato di FVII attivato ricombinante (rFVIIa). L’efficacia emostatica degli agenti bypassanti è però da considerarsi subottimale se paragonata a quella della terapia sostitutiva con FVIII. Tali farmaci richiedono, inoltre, somministrazioni ripetute e prolungate e hanno un potenziale effetto protrombotico che spesso limita il loro impiego in pazienti già ad alto rischio come gli anziani o i pazienti con malattie neoplastiche. 02 30 Donne Uomini 25 Number of patients 20 15 10 5 0 13-14 15-16 17-18 19-20 21-22 23-24 25-26 27-28 29-30 31-32 33-34 35-36 37-38 39-40 41-42 43-44 45-46 47-48 49-50 51-52 53-54 55-56 57-58 59-60 61-62 63-64 65-66 67-68 69-70 71-72 73-74 75-76 77-78 79-80 81-82 83-84 85-86 87-88 89-90 91-92 93-94 95-96 97-98 99-100 101-102 mentali con danno neurologico, sono gli eventi più temuti perché gravati da elevata mortalità. Sul piano clinico una criticità particolarmente sentita è rappresentata dal ritardo diagnostico, che nei dati EACH2 il più delle volte supera i 7 giorni. Altrettanto importante, soprattutto nei piccoli centri ospedalieri, è la presa in carico del paziente, la cui gestione richiede l’intervento dell’ematologo e un attento monitoraggio clinico e di laboratorio. Knoebl P. et al. S Thromb Hoemost. 2012;10;622-631. Age range (years) Figura 1: Incidenza di AHA in relazione alla fascia d’età (dati dell’European Acquired Hemophilia Registry, EACH2) Idiopathic Malignancy Autoimmune Postpartum Infections Dermatological Drug induced Others 0 10 20 30 40 50 60 70 Figura 2: AHA: distribuzione in relazione alle cause DAL CASO PRATICO ALLE POSSIBILI INSIDIE DIAGNOSTICHE Una paziente di 85 anni affetta da ipertensione arteriosa da circa 30 anni in buon controllo, diabete mellito di tipo 2, morbo di Alzheimer (da tre anni), in terapia con ACE-inibitori, metformina, quetiapina, clorpromazina, rivastigmina e ormone tiroideo, si presenta al pronto soccorso a causa dell’estensione di un ematoma alla coscia destra non dolente. Era stata recentemente ricoverata in un altro ospedale per la comparsa di ematoma alla coscia destra e algia lombocrurale, e in tale circostanza era stata riscontrata la presenza di anemia e lieve aumento del tempo di coagulazione (incremento isolato dell’aPTT). Per questa ragione, la paziente era stata sottoposta a radiografia del femore e ecografia addominale, dalle quali non erano emersi elementi significativi, e a visita ematologica, che non poneva indicazione a ulteriore approfondimento diagnostico: dopo emotrasfusione la paziente era stata perciò dimessa con terapia sostitutiva con vitamina B12 per via iniettiva e acido folico per via orale. Ulteriori elementi a completamento della raccolta anamnestica sono la familiarità per patologia cardiovascolare (ictus) e mieloproliferativa (leucemia), due gravidanze normodecorse e l’intervento di artroprotesi di ginocchio eseguito più di dieci anni fa. Viene ricoverata in medicina interna, ANNO VI - SPECIALE 2016 dove si praticano subito gli esami di routine. Non si rilevano segni clinici di infezione (leucocitosi, febbre), la radiografia del torace è negativa e all’esame urine si riscontra lieve batteriuria. La paziente viene sottoposta a trasfusione mentre esofagogastroduodenoscopia, colonscopia e TC addome-pelvi con mezzo di contrasto non evidenziano fonti di sanguinamento o neoplasie. Lo screening per la ricerca di patologie autoimmunitarie mostra unicamente una debole positività degli ANA (+ omogeneo). Sulla base della negatività del quadro clinici si escludono altre patologie autoimmuni (sclerosi sistemica, sindrome di Sjögren, miastenia gravis e lupus eritematoso sistemico). Durante la degenza si osserva tuttavia la progressione dell’estensione degli ematomi presenti (a livello lombare) e la comparsa di vasto ematoma a livello dell’arto superiore di destra, per cui viene intrapreso trattamento bypassante con fattore VII ricombinante (rFVIIa) al dosaggio di 90 μg/kg ogni 3 ore e cortisonico (prednisone 1 mg/kg/die): la conseguente graduale normalizzazione dei valori di emoglobina (fino a 9,5 g/dL), PTT (54,08 secondi) e PTT-ratio (1,77) consente di ridurre progressivamente il dosaggio della terapia con rFVIIa. Grazie ai corticosteroidi si ottengono anche una riduzione dell’inibitore (da 40 BU a 21 BU) e un aumento, seppur minimo, del fattore VIII (da indosabile a 0,5%) e si osserva contestualmente un miglioramento degli ematomi. Il caso sopra illustrato suggerisce alcune riflessioni pratiche. Innanzitutto, occorre un’adeguata sensibilizzazione e formazione del clinico, con particolare riguardo all’internista: l’AHA deve essere infatti sospettata nei pazienti affetti da emorragia grave, soprattutto anziani, dopo aver opportunamente escluso possibili cause iatrogene, quali anticoagulanti e antipiastrinici. In secondo luogo, la conferma è alquanto semplice e immediata: è infatti sufficiente eseguire un test globale dell’assetto emocoagulativo (aPTT) e, in presenza di allungamento dei valori, richiedere il dosaggio degli anticorpi anti-fattore VIII con metodica Bethesda, che dovrebbe essere reso disponibile in tutti i centri ospedalieri. Un ulteriore aspetto da considerare è che la prevalenza dell’AHA è probabilmente sottostimata, in quanto molti casi che vanno incontro ad exitus per emorragie più gravi rischiano di sfuggire al riconoscimento. Per tale ragione, al fine di stabilire un quadro epidemiologico più analitico e preciso, sarebbe quanto mai importante e auspicabile l’istituzione di un monitoraggio capillare basato su una rete di internisti dislocati sull’intero territorio nazionale. Il ricorso tempestivo a un trattamento farmacologico appropriato consente di evitare le complicanze maggiori e le relative implicazioni in termini di responsabilità professionale. Va tuttavia precisato che gli agenti bypassanti, attuale standard di cura, comportano una serie di limitazioni, a partire dai costi insostenibili. Essi, inoltre, non sono in grado di assicurare piena efficacia terapeutica e di evitare il rischio di complicanze immunologiche e di nuovi sanguinamenti potenzialmente fatali. La prospettiva di un’alternativa con farmaci non bypassanti, tali da coniugare il vantaggio della sostituzione immediata del fattore VIII con quello della semplificazione della gestione del paziente anche da parte di medici senza specifica expertise ematologica, possibilmente con costi inferiori, si delinea quindi come una strategia di notevole interesse sia per il clinico sia per il farmacista ospedaliero, nell’ottica di una razionalizzazione della spesa assistenziale e di un miglioramento degli outcome. I LIMITI DEL TRATTAMENTO ATTUALE La maggior parte delle terapie ad oggi disponibili permettono di valutare la risposta solo in base a parametri clinici ed all’emocromo, ma non sono stati individuati parametri di laboratorio validati predittivi dell’efficacia del trattamento: anche se si riducono il tempo di protrombina (PT) e il tempo parziale di tromboplastina attivato (aPTT), non è stata dimostrata alcuna correlazione con l’efficacia dei farmaci. Al fine di garantire l’accesso alle cure da parte di tutti i pazienti, ma al tempo stesso di ridurre gli sprechi, è dunque opportuna una valutazione di costo-efficacia, utilizzando preferenzialmente la terapia che presenta pari efficacia, ma un costo minore all’interno della classe dei ricombinanti. APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE E PROBLEMATICHE ASSISTENZIALI Sebbene la AHA sia una patologia estremamente rara, se non diagnosticata tempestivamente, e quindi non trattata in maniera adeguata, il rischio di mortalità precoce è elevato anche se estremamente variabile (7,9%-22%). Per tale ragione, è necessario e fondamentale un approccio multidisciplinare che coinvolge medico, farmacista e responsabile di laboratorio: nell’ottica di un team a servizio del malato, il medico interverrà nella fase diagnostica e nella scelta terapeutica, mentre il farmacista ospedaliero fornirà indicazioni su effetti attesi e collaterali della terapia, sul dosaggio, sul numero e sugli orari delle somministrazioni giornaliere, sulla gestione della patologia (durante gli incontri con i pazienti/ parenti/caregiver), sulle potenziali interazioni farmacologiche e sulla farmacovigilanza pre- e post-marketing. 03 ITALIAN HEALTH POLICY BRIEF Per garantire la sicurezza dei pazienti, è necessario un approccio multidisciplinare (medico, farmacista e infermiere). Da anni il farmacista ospedaliero si occupa della valutazione e della gestione del rischio clinico; per tale ragione, è in grado di sviluppare e aggiornare programmi per la promozione delle politiche di gestione del rischio clinico, coinvolgere le organizzazioni professionali, scientifiche e le organizzazioni sanitarie, attivare e gestire il monitoraggio, utilizzando e applicando sistemi informativi ed informatici, diffondere le pratiche migliori, promuovere attività di comunicazione e formazione degli operatori. Quando compaiono dei sanguinamenti inaspettati in soggetti precedentemente asintomatici come anziani o donne nel post-partum, è dunque importante fare riferimento al medico o al farmacista, che sapranno indirizzare il paziente verso centri specializzati. La gestione del paziente affetto da AHA è affidata a Centri specializzati presenti in tutta Italia: ne sono stati individuati dalle Regioni circa 55 (che trattano le sindromi emofiliche e rare malattie emorragiche ereditarie e acquisite) distribuiti in maniera abbastanza uniforme sul territorio nazionale (il 50% delle strutture si trovano nel nord Italia, il 20% al centro ed il 30% sud e isole, come si evince dalla Tabella 2). Sebbene l’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE) abbia da tempo avviato un percorso di sviluppo di un Sistema di Accreditamento Professionale dei Centri finalizzato al conseguimento di elevati standard professionali, nonché all’adozione di politiche di miglioramento continuo e di best practice, sussistono ancora enormi differenze tra i vari centri. Un’indagine svolta dalla Federazione delle Associazioni Emofilici (FedEmo) nel 2011 ha infatti evidenziato come nel 63% delle Regioni non esista un protocollo regionale per la gestione delle emergenze nei pazienti coagulopatici; nel 32% delle Regioni i farmaci per il trattamento delle coagulopatie non sono immediatamente disponibili presso le strutture di emergenza; nel 42% delle Regioni non è prevista la reperibilità di un medico specialista di coagulopatie e nel 58% delle Regioni non è disponibile un laboratorio per eseguire i saggi specifici della coagulazione, in particolare nelle fasce orarie notturne e festive. REGIONI Abruzzo Basilicata Calabri Campania Emilia-Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte P.A. di Bolzano P.A. di Trento Puglia Sardegna Sicilia Toscano Umbria Valle d’Aosta Veneto Totale POPOLAZIONE CENTRI PRESENTI POPOLAZIONE CENTRO CENTRI RISPONDENTI 1.333.939 1.980.533 5.860.965 4.446.354 1.229.363 5.870.451 1.591.939 9.973.397 1.553.138 314.725 4.436.798 515.714 536.237 4.090.266 1.663.859 5.094.937 3.750.511 896.742 4.926.818 60.782.668 2 3 4 8 1 4 1 5 1 1 4 1 1 4 3 3 2 2 5 55 666.970 660.178 1.467.491 555.794 1.229.363 1.467.613 1.591.939 1.994.679 1.553.138 314.725 1.109.200 515.714 536.237 1.022.567 554.620 1.698.312 1.875.256 448.371 985.364 1.105.139 2 2 Tabella 1: Distribuzione regionale dei Centri Emofilia (2013) 04 4 8 1 4 1 5 1 4 1 1 3 2 3 2 1 5 50 IL PERCORSO DELLA RICERCA La ricerca clinica ha compiuto numerosi progressi e il farmacista ospedaliero ha contribuito alla crescita in qualità di valutatore degli studi clinici e componente del Comitato Etico, nella gestione dei farmaci sperimentali, e nella farmacovigilanza, pre-marketing (durante la sperimentazione) e post-marketing. Nell’arco di un trentennio si è passati dai concentrati plasma derivati, che non erano sottoposti a procedure specifiche di inattivazione o eliminazione di eventuali virus contaminanti (uso associato alla trasmissione di infezioni virali, come HBV e HCV, e HIV), ai prodotti ricombinanti (1992), con i quali il rischio di trasmissione d’infezioni virali trasmesse dal sangue e dai suoi derivati è stato minimizzato (prodotti con tecnologie di ingegneria genetica, FVIII ricombinante, FIX ricombinante, rFIX). I requisiti di un farmaco commercializzato sono soltanto tre: qualità, efficacia e sicurezza. Nel caso di uno specifico farmaco indicato per il trattamento del sanguinamento in pazienti affetti da AHA il farmaco dovrebbe pertanto: - essere altamente purificato e concentrato (qualità) per ridurre al minimo l’insorgenza di eventi avversi (reazioni allergiche o trombocitopenia); - essere in grado di bloccare l’emorragia nel minor tempo possibile (efficacia); - essere sicuro in termini di reazioni avverse (per esempio ridurre al minimo l’incidenza di eventi trombotici), di dosaggio e soprattutto di sicurezza virale. Diversi fattori hanno contribuito a migliorare notevolmente la sicurezza virale dei concentrati plasma-derivati. Un ruolo essenziale per la sicurezza dei concentrati rivestono le procedure di inattivazione virale divenute par- ANNO VI - SPECIALE 2016 I NUOVI TRATTAMENTI Recentemente è stato sviluppato un concentrato di FVIII di origine porcina (rpFVIII) ottenuto tramite la tecnologia del DNA ricombinante, approvato da FDA per la commercializzazione in USA e autorizzato da EMA in Europa per il trattamento dell’emofilia A acquisita (AHA). Il razionale per l’utilizzo del FVIII di origine porcina nell’emofilia A 30 # of Subjects with positive response te integrante del processo produttivo (trattamento al calore secco, pasteurizzazione, trattamento al vapore e trattamento con solventi e detergenti). Negli ultimi anni sono state messe a punto tecniche di ultrafiltrazione e nanofiltrazione, già parte integrante del processo di produzione di diversi concentrati, che consentono di trattenere, nelle membrane filtranti, anche virus di dimensioni estremamente ridotte. Inoltre, anche nel processo di produzione dei fattori ricombinanti, sono stati inseriti metodi virucidi simili a quelli utilizzati per i concentrati a derivazione plasmatica e sono state progressivamente rimosse proteine umane e animali, potenziale veicolo di infezioni. È stato, poi, messo a punto un processo di produzione che non prevede l’impiego di proteine di origine animale in qualsiasi fase del processo produttivo e di purificazione. Non vi è quindi alcun dubbio che i prodotti ricombinanti e plasma-derivati, attualmente disponibili, abbiano un elevato profilo di sicurezza infettiva. Tuttavia, come per ogni prodotto biologico, non è possibile garantire una totale assenza di rischio. L’elevato profilo di sicurezza di tutti i prodotti per la terapia sostitutiva dell’emofilia e delle coagulopatie emorragiche ereditarie è stato confermato nell’ambito del programma di sorveglianza in corso in Europa dal 2008. 20 19/20* 95% 18/18* 100% 10 0 8 hours 16 hours 24 hours Positive Response at Time Points Figura 3: Efficacia (in termini di risposta a 24 ore) del fattore VIII porcino (KruseJarres R et al. Haemophilia 2015:1-9) congenita complicata da inibitori e nell’AHA risiede nella bassa reattività che esso presenta con gli anticorpi diretti contro il FVIII umano, stimata in media intorno al 30% nel caso di pazienti affetti da emofilia A congenita ed anche inferiore o assente in soggetti affetti da AHA. Ciò è dovuto a differenze presenti nelle due specie animali a livello delle sequenze aminoacidiche dei domini A2 e C2 della molecola del FVIII, che rappresentano i principali bersagli per gli inibitori anti-FVIII. La scarsa reattività del rpFVIII fa sì che, anche in presenza di anticorpi anti-FVIII umano, questo fattore di origine animale possa essere utilizzato per raggiungere e mantenere livelli emostatici nel plasma. Va ricordato che nel passato era già stato impiegato un concentrato di pFVIII di origine plasmatica (Hyate:C, Speywood) per ottenere l’emostasi in pazienti affetti da emofilia A complicata dalla presenza di inibitori, il quale non era registrato in Italia e veniva importato per uso compassionevole. Tuttavia, la sua frequente associazione a reazioni allergiche post-trasfusionali e/o alla comparsa di piastrinopenia dovuta all’aggregazione in vivo indotta dalla presenza del fattore di von Willebrand (VWF) e a problemi legati anche all’approvvigionamento di materia prima (plasma porcino) rispondente a requisiti adeguati di sicurezza (contaminazione da parvovirus porcino) hanno portato nel 2005 alla sospensione della produzione, che è stata percepita come una grossa perdita sia da parte dei medici che dei pazienti stessi. Quindi, è stato recentemente sviluppato un concentrato di pFVIII ottenuto grazie alla tecnologia del DNA ricombinante (rpFVIII) al fine di fornire nuovamente tale preziosa arma terapeutica e ottimizzarne il profilo di sicurezza: poiché questo prodotto non contiene VWF, non determina la piastrinopenia tipica del prodotto plasmatico che spesso aumentava la tendenza emorragica. Come sopra, tale rpFVIII è stato autorizzato sia da FDA che da EMA ed è commercializzato in USA e Germania, al momento. L’OPPORTUNITÀ DI UNA TERAPIA PERSONALIZZABILE: VANTAGGI GESTIONALI E IMPLICAZIONI FARMACOECONOMICHE Fino ad oggi la dimensione economica dell’AHA è stata oggetto di scarsa attenzione nell’ambito della letteratura di tipo scientifico, come dimostra il fatto che le evidenze disponibili in letteratura relative al costo dell’AHA sono limitate e spesso circoscritte alla sola valutazione del costo associato al trattamento farmacologico. I pochi dati disponibili sono tuttavia concordi nel documentare che, pur trattandosi di una patologia estremamente rara, l’impatto economico dell’AHA è considerevole. Un recente studio condotto negli Stati Uniti da Lin et al. stima 05 ITALIAN HEALTH POLICY BRIEF un costo associato alla degenza e alle visite di controllo a seguito di evento emorragico, comprese tra i 22.880 e i 1.392.785 dollari per singolo evento, con oltre il 75% dei costi attribuibili al consumo di agenti emostatici. In questo studio, inoltre, la durata media della degenza è pari a 11 giorni e varia da un minimo di 1 giorno a un massimo di 45 giorni. In un altro studio americano di Shatzel et al., relativo a 80 ricoveri con diagnosi di AHA, il costo medio del ricovero è risultato di 280.730 dollari, ossia circa il doppio rispetto a quello associato al ricovero di pazienti con emofilia congenita (pari a 139.459 dollari), e la degenza media era pari a circa 8 giorni. La difficoltà nel diagnosticare la patologia e la scelta dell’approccio terapeutico rappresentano i maggiori driver dell’impatto economico dell’AHA. In particolare, come evidenziato nello studio di Ewestein et al., la scelta dell’approccio terapeutico iniziale determina il costo complessivo della gestione dell’evento emorragico, avendo implicazioni sia sull’efficacia e sulla durata del trattamento sia sull’eventuale necessità di ricorso a terapie aggiuntive. Con riferimento all’evento emorragico in una paziente con AHA associata a lupus eritematoso sistemico, lo studio indica un costo complessivo del trattamento dell’evento emorragico pari a 331.000, 347.000 e 378.000 dollari nel caso di trattamento iniziale rispettivamente con pFVIII, agenti bypassanti e FVIII di origine umana. Considerando il costo degli agenti bypassanti in Italia, il consumo di prodotto per la gestione di un evento di sanguinamento, i test di laboratorio e l’incidenza di eventuali eventi trombotici, si può stimare un costo totale dell’evento che varia tra 110.000 euro nel caso di utilizzo di concentrato di complesso protrombinico ricombinante (aPCC) e 315.000 06 euro nel caso di utilizzo di fattore VII attivato ricombinante (rFVIIa).Benché gli agenti bypassanti siano raccomandati come trattamenti di prima linea per la gestione dell’evento emorragico nei pazienti con AHA, l’efficacia subottimale di tali prodotti e il dosaggio empirico degli stessi – dettato dall’impossibilità di determinare in maniera oggettiva la risposta al trattamento – determinano implicazioni economiche significative. Va tra l’altro sottolineato che il trattamento può protrarsi per un periodo relativamente lungo, con conseguenze rilevanti in termini di costi sanitari diretti (in particolare per l’approvvigionamento del farmaco e per la degenza), costi indiretti (perdita di produttività) e qualità della vita. Inoltre l’impiego di dosaggi sovra- o subottimali possono indurre una sequela di eventi a forte impatto sulle condizioni di salute del paziente (per esempio complicanze trombotiche ed eventi emorragici incontrollati) e sulla spesa assistenziale, nonché promuovere uno spreco di prodotti che, come già ribadito, sono già di per sé estremamente costosi. In quest’ottica, le evidenze relative al profilo di efficacia e sicurezza di un fattore ricombinate antiemofilico con sequenza porcina (con delezione del dominio B), pFVIII, recentemente approvato negli Stati Uniti e in Germania per il trattamento degli episodi di sanguinamento, rappresentano una prospettiva interessante per il trattamento dell’AHA. Prodotti sostitutivi per il trattamento dell’AHA che, oltre a presentare un basso grado di cross-reattività con gli inibitori del FVIII umano, permettano di monitorare i livelli circolanti di FVIII, valutare oggettivamente la risposta terapeutica e di conseguenza adattare i dosaggi alle reali necessità, rappresentano non soltanto un’esigenza terapeutica, ma anche un’opportunità nell’ottica del contenimento dei costi. Tali prodotti potrebbero infatti consentire sia di ridurre l’incidenza di eventi legati alla sicurezza (in particolare, il rischio di eventi tromboembolici) sia di ottimizzare il trattamento e la durata dello stesso, con risvolti considerevoli su tutte le voci di costo (costi diretti, costi indiretti, legati alla perdita di produttività, e costi intangibili associati in particolare al miglioramento della qualità di vita). Infatti, sulla base dei dati sopra citati relativi alla durata media dei ricoveri per episodi emorragici nei pazienti con AHA e di quanto emerge dallo studio di fase II/III relativo a pFVIII, l’utilizzo di quest’ultimo potrebbe consentire una diminuzione di almeno due giorni della degenza e del rischio di eventi trombotici. Il costo medio di una giornata di degenza in Italia è pari a circa 674 euro (Rapporto ASSR - Analisi Aziende Ospedaliere anno 2004) della sola ospedalizzazione per la gestione di eventi trombotici è pari a 1.349 euro (Gussoni et al.): alla luce di questi dati si può calcolare che per ogni paziente, soltanto in termini di costi diretti, il risparmio associato alla riduzione della degenza e dell’incidenza di complicanze trombotiche ammonterebbe a circa 1.400 euro e salirebbe a circa 2.000 euro per un soggetto in piena produttività. In una prospettiva di lungo termine l’impiego del pFVIII, malgrado il suo costo elevato, potrebbe dunque generare un risparmio significativo a fronte sia del contenimento dei costi generali per il trattamento di un singolo caso di AHA sia della possibilità di abbattere il rischio di eventi trombotici, unitamente al vantaggio di una terapia sostitutiva sicura e facilmente gestibile anche nei centri ospedalieri sprovvisti di Servizio di ematologia, il quale deve essere e rimane coinvolto come riferimento per la gestione ottimale del paziente con emofilia A acquisita. ANNO VI - SPECIALE 2016 BIBLIOGRAFIA Abbonizio F, A. G. (2013). Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite. AICE. (2014). Raccomandazioni per il trattamento dei pazienti affetti da malattie emorragiche congenite (MEC) Baudo F, C. T. (2010, maggio). Diagnosis and treatment of acquired haemophilia. Haemophilia, 102-106 Baudo F, Collins P, Huth-Kuehne A et al. 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