Afro Basaldella Natura morta, 1946 Matita su carta Cm 32,4 x 26,3
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Afro Basaldella Natura morta, 1946 Matita su carta Cm 32,4 x 26,3
Afro Basaldella Natura morta, 1946 Matita su carta Cm 32,4 x 26,3 Afro Basaldella (Udine, 1912 – Zurigo,1976) Natura morta, 1946 Matita su carta Cm 32,4 x 26,3 Archivio / Fondazione Afro n. 00805. 1947. La guerra è finita da un paio d’anni. E un paio d’anni sono trascorsi dal trasferimento da Venezia a Roma, la città delle prime mostre importanti, delle prime vere possibilità. In una sua breve introduzione all’arte di Afro, Cesare Brandi lo incluse in quel gruppo di artisti “proteici”, quegli artisti dotati di facce varie come poliedri che, dopo tanto cercare e cercarsi, nascono da se stessi “come la farfalla dalla crisalide” (Brandi 1977). Il 1947 è l’anno in cui Afro è fiduciosamente iniziato ad uscire dal suo involucro per lanciarsi in un nuovo volo: Natura morta e Studio di tre figure si presentano come testimonianze di questa metamorfosi in atto. In questi anni, il centro gravitazionale della sua ricerca è la scomposizione cubista che viene studiata e pensata in relazione alla necessità di Afro di liberare la tela da qualsiasi evidenza figurativa: sul supporto non viene più messa in scena un’illusione, un segno che sostituisce la cosa, l’oggetto reale, ma una traccia, l’impronta di un’immagine che, passata attraverso l’interiorità dell’artista, acquisisce una propria e autonoma conformazione. Entrambi i disegni, Natura morta e Studio di tre figure, fanno parte di un corpus di diciassette opere, tutte autografe, che furono esposte in occasione di una mostra organizzata dalla Galleria del Laocoonte di Roma nel 2013. La natura morta è un genere che è stato lungamente praticato da questo artista durante la sua carriera. Attraverso la rappresentazione di oggetti disposti in un determinato ordine nello spazio, emerge in maniera estremamente chiara questa tensione verso un distacco dalla figuratività e l’approdo a una forma artistica indipendente da qualsiasi referenza con la reltà. La bottiglia, il tavolo, i due pesci sul piatto, non sono sulla tela per sostituire un’entità reale ma per testimoniarci un processo artistico compiuto dall’artista. Come ha ben espresso Libero de Libero: “si comincia a pensare che l’oggetto materialmente percettibile è stato per il pittore punto di partenza, d’avvio e non d’arrivo: che ad un certo momento il quadro ha avuto una vita sua singolare, mano mano più coerente, non importa quanto discostata dall’oggetto iniziale” (de Libero 1946). Il tratto, che definisce e confonde, diventa allora il vero protagonista di quest’opera come lo sarà nel successivo Studio di tre figure. In questo secondo disegno il processo di scomposizione risulta ancora più chiaro: come già si è notato, l’artista sta definendo, in questi anni, la sua posizione rispetto al linguaggio cubista, lo sta correggendo per poterlo rendere il più possibile funzionale alla sua personale ricerca. Assemblate verticalmente, queste forme geometriche, frammenti di un intero ormai distrutto, evocano quelle di tre personaggi schiacciati sulla carta. Nonostante la bidimensionalità di queste silhouettes, le zone scure, riempite da Afro con l’inchiostro, alludono ad una certa corporeità. Se è indubbia la preziosità di questi disegni come testimonianze di un momento preciso, di cambiamento nella carriera artistica di Afro, in essi è presente anche quella domanda che ha accompagnato l’artista per tutta la sua vita: “Può una forma pittorica avere anche valore come apparizione? Può il rigoroso organismo formale di un dipinto contenere la luminosità, l’alito vivente di un’evocazione, lo scarto o il brivido della memoria? Questo è il mio problema; questo è la ragione della costante inquietudine che mi fa dipingere” (Crispolti 1984).