Afro Basaldella Studio di tre figure, 1947 Inchiostro su carta Cm 30

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Afro Basaldella Studio di tre figure, 1947 Inchiostro su carta Cm 30
Afro Basaldella
Studio di tre figure, 1947
Inchiostro su carta
Cm 30,8x36,6
Afro Basaldella (Udine, 1912 – Zurigo,1976)
Studio di tre figure, 1947
Inchiostro su carta
Cm 30,8 x 36,6
Sul verso, composizione di tre linee, matita.
Archivio / Fondazione Afro n. 00C547.
1947. La guerra è finita da un paio d’anni. E un paio d’anni sono trascorsi dal trasferimento da Venezia a Roma, la città delle prime mostre importanti, delle prime vere possibilità. In una sua breve introduzione all’arte di Afro, Cesare Brandi lo incluse in quel
gruppo di artisti “proteici”, quegli artisti dotati di facce varie come poliedri che, dopo
tanto cercare e cercarsi, nascono da se stessi “come la farfalla dalla crisalide” (Brandi
1977). Il 1947 è l’anno in cui Afro è fiduciosamente iniziato ad uscire dal suo involucro
per lanciarsi in un nuovo volo: Natura morta e Studio di tre figure si presentano come
testimonianze di questa metamorfosi in atto. In questi anni, il centro gravitazionale della sua ricerca è la scomposizione cubista che viene studiata e pensata in relazione alla
necessità di Afro di liberare la tela da qualsiasi evidenza figurativa: sul supporto non
viene più messa in scena un’illusione, un segno che sostituisce la cosa, l’oggetto reale, ma
una traccia, l’impronta di un’immagine che, passata attraverso l’interiorità dell’artista,
acquisisce una propria e autonoma conformazione. Entrambi i disegni, Natura morta
e Studio di tre figure, fanno parte di un corpus di diciassette opere, tutte autografe, che
furono esposte in occasione di una mostra organizzata dalla Galleria del Laocoonte di
Roma nel 2013.
La natura morta è un genere che è stato lungamente praticato da questo artista durante la sua carriera. Attraverso la rappresentazione di oggetti disposti in un determinato
ordine nello spazio, emerge in maniera estremamente chiara questa tensione verso un
distacco dalla figuratività e l’approdo a una forma artistica indipendente da qualsiasi
referenza con la reltà. La bottiglia, il tavolo, i due pesci sul piatto, non sono sulla tela per
sostituire un’entità reale ma per testimoniarci un processo artistico compiuto dall’artista.
Come ha ben espresso Libero de Libero: “si comincia a pensare che l’oggetto materialmente percettibile è stato per il pittore punto di partenza, d’avvio e non d’arrivo: che ad
un certo momento il quadro ha avuto una vita sua singolare, mano mano più coerente, non importa quanto discostata dall’oggetto iniziale” (de Libero 1946). Il tratto, che
definisce e confonde, diventa allora il vero protagonista di quest’opera come lo sarà nel
successivo Studio di tre figure. In questo secondo disegno il processo di scomposizione
risulta ancora più chiaro: come già si è notato, l’artista sta definendo, in questi anni, la
sua posizione rispetto al linguaggio cubista, lo sta correggendo per poterlo rendere il più
possibile funzionale alla sua personale ricerca. Assemblate verticalmente, queste forme
geometriche, frammenti di un intero ormai distrutto, evocano quelle di tre personaggi
schiacciati sulla carta. Nonostante la bidimensionalità di queste silhouettes, le zone scure, riempite da Afro con l’inchiostro, alludono ad una certa corporeità.
Se è indubbia la preziosità di questi disegni come testimonianze di un momento preciso,
di cambiamento nella carriera artistica di Afro, in essi è presente anche quella domanda
che ha accompagnato l’artista per tutta la sua vita: “Può una forma pittorica avere anche
valore come apparizione? Può il rigoroso organismo formale di un dipinto contenere la
luminosità, l’alito vivente di un’evocazione, lo scarto o il brivido della memoria? Questo
è il mio problema; questo è la ragione della costante inquietudine che mi fa dipingere”
(Crispolti 1984).