Natura morta o vita silenziosa? - Fondazione Internazionale Menarini
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Natura morta o vita silenziosa? - Fondazione Internazionale Menarini
n° 321 - luglio 2005 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Natura morta o vita silenziosa? La “natura morta” è un genere pittorico autonomo che si sviluppa all'interno di numerose ricerche artistiche, fino ad esplodere con un successo dirompente nei primi decenni del Seicento, diventando tra i più importanti fenomeni nella cultura pittorica europea e nel mercato internazionale dell’arte. Con il termine “natura morta o “vita silenziosa” (secondo la definizione dei nordici) si è soliti indicare le rappresentazioni di forme e oggetti inanimati: composizioni di fiori, frutta, selvaggina morta, vasi, libri, strumenti musicali, curiosità esotiche che entrano gloriosamente nelle gallerie principesche e nelle collezioni più selezionate. Si deve però rilevare che solo nella seconda metà del Settecento il termine “natura morta” compare nella terminologia artistica italiana e francese, e pur definendo la stessa classe di opere d’arte suona quasi opposto rispetto al concetto di “vita silenziosa o immobile” utilizzato un secolo prima nell’area inglese e germanica. Si registra, infatti, una difficoltà a codificare un genere artistico che nell’ottica degli scrittori antichi si colloca ai margini della tradizione classica; la sua stessa definizione “natura morta o pittura di cose inanimate” suona, almeno in origine, apertamente negativa rispetto alla “natura vivente” delle figure umane considerate il genere più elevato, il metro con cui mi- surare la grandezza di un vero artista. Tale atteggiamento di tipo gerarchico fra i soggetti dell’arte si manifesta in un’epoca in cui la natura morta è ormai da tempo un genere autonomo, già pienamente radicato sia nel mercato sia nella prassi artistica con la suddivisioni in sotto-generi. Si deve tuttavia ammettere che a livello teorico la letteratura antica e rinascimentale non ha mai dedicato attenzione a tale argomento; anche Vasari nella prima edizione delle Vite celebra il nudo virile come il soggetto più nobile dell’arte, lasciando intendere che la pittura “di cose naturali, d’animali, di drappi, d’instrumenti, vasi, casamenti, paesi e verdure” è tema minore che soddisfa il gusto di chi non riesce a intendere la “grande arte”. Proprio nella letteratura e nell’arte del periodo greco-romano si ritrovano alcuni importanti indizi, veri e propri antecedenti della natura morta. Nel considerare la Naturalis Historia di Plinio ci si rende conto che i soggetti a tema “natura morta” non sono poi una rarità, anzi costituiscono il banco di prova per i maestri più noti, come nel celebre aneddoto del grappolo d’uva dipinto da Zeusi in modo talmente realistico da ingannare perfino gli uccelli che cercano di beccare i chicchi dipinti. Altrettanto importanti sono le composizioni decorative in cui si rappresentano sovente le più disparate tipologie di natura morta con le tec- niche ad affresco o mosaico, esempi provenienti dall’arte classica greca e romana. Superato il periodo Altomedievale, che privilegia la dimensione simbolica degli oggetti, grazie all’apertura di Giotto verso il mondo della natura e della realtà si assiste a uno sviluppo importante del genere. Nella pittura fiorentina del Trecento si incontrano sovente finte nicchie con oggetti, come quelle di Taddeo Gaddi nella Basilica di Santa Croce, che possono rappresentare un suggestivo precedente per lo sviluppo della natura morta. Sempre nella stessa tipologia, ma nell’ambito della tarsia lignea in epoca quattrocentesca, lo studiolo realizzato a Urbino per il duca Federico da Montefeltro presenta nicchie illusionistiche da cui si intravedono splendidi brani di nature morte: composizioni con frutta, libri, fiori e i più diversi oggetti che si susseguono secondo un percorso ricco di rimandi simbolici. Nel passare agli sviluppi tardo-cinquecenteschi del genere, che vedranno il decisivo affermarsi della natura morta sia in Italia sia in Olanda, si deve ricordare l’originale interpretazione del tema per opera di Giuseppe Arcimboldi (1537-1593), maestro milanese che diviene uno dei più celebrati alla corte di Praga. L’artista diviene noto proprio grazie ai suoi stravaganti “ritratti vegetali” dell’imperatore Rodolfo II in cui da buon pittore lombardo, Il giardino dipinto nella Casa del bracciale d’oro: parete d’ingresso (part.) - Pompei Domenico Remps: Scarabattolo Firenze, Opificio delle Pietre Dure Giuseppe Arcimboldi: Vertumno Stoccolma, Skoklosters Slott pag. 2 attento all’osservazione della realtà, rivela un nuovo volto della natura, costruendo personaggi attraverso oggetti senza vita come rami secchi, fiori e ogni tipo di frutta e verdura. Il vero successo del genere è però legato indissolubilmente al nome di Caravaggio, che nel clima cosmopolita ed effervescente di Roma, alla fine del Cinquecento, decreta il successo e l’affermazione del genere, destinato nel giro di pochi decenni a diventare un vero status symbol per la borghesia europea. Con la Canestra di frutta, dipinta per il cardinale Federico Borromeo, la natura viene per la prima volta eletta a soggetto dell’opera con un nuovo e proprio genere; Caravaggio stesso affermerà che non vi è nessuna differenza d’impegno e difficoltà nel dipingere un quadro di figure da un cesto di frutta. L’artista continuerà a dipingere i suoi straordinari elementi inanimati come elementi secondari dell’opera, ma il seme gettato dalla sua intuizione è carico di conseguenze per lo sviluppo e la consacrazione del genere che avviene nel corso del Seicento. Il Barocco conosce inoltre lo sviluppo della natura morta pervasa da un ricco apparato simbolico: il teschio compare come metafora della caducità della vita e come ammonimento contro le vanità; gli strumenti musicali diventano un inno alla musica e al senso dell’udito; i libri vengono associati alla storia e alla conoscenza; le armi alla fama, al coraggio, alla gloria ma anche alla morte provocata dalla lotta. Si assiste ad uno sviluppo imponente, soprattutto in area fiamminga e olandese, senza tralasciare la Spagna, l’Italia e la Francia in un percorso che non sembra conoscere sosta, a eccezione di una breve fase di stasi in epoca neoclassica. Il rinnovamento non tarda ad arrivare già a fine Ottocento con la famosa Trota di Courbet (1872) in cui vi è un diretto parallelismo tra la vicenda personale dell’artista, protagonista nelle lotte per la libertà repubblicana, e la condizione dell’animale, condannato ad essere continuamente braccato. Il genere conosce un ultimo ma non meno significativo sviluppo in epoca impressionista e postimpressionista con le interpretazioni di Claude Monet, Eduard Manet, Vincent Van Gogh che dipingono nature morte intrise di motivi metaforici ed autobiografici, fino alla rivoluzionaria opera di Cézanne in cui sparisce totalmente la personalità dell’artista davanti alla natura: un’esperienza che apre alle successive e radicali sperimentazioni artistiche di Severini, Picasso e Braque, fino a Morandi, artista simbolo della natura morta nella sua più alta e compiuta rappresentazione. federico poletti Caravaggio: Canestra di frutta - Milano, Pinacoteca Ambrosiana Paul Cézanne: Frutta - San Pietroburgo, Ermitage Giorgio Morandi: Natura morta - Rovereto, MART