Cronache Golose_LIBRO.indb
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L’insostenibile leggerezza del semplice Gambero Rosso San Vincenzo Ci si emozionava arrivando a San Vincenzo. Bastava guardare quello spicchio di mare incorniciato che ci si trovava davanti arrivando dall’Aurelia Nord prima di svoltare sul lungomare di viale Marconi. Ma ci si emozionava anche perché quel luogo era magico e incuteva un po’ di timore: un mix tra il fascino del cuoco e il suo terribile carattere, le luci sul mare e quella saletta arredata con cura. Dettagli perfetti, dai fiori alle porcellane di Emanuela, che completavano la sensazione nettissima di un posto diverso da tutti gli altri, una specie di scatola delle meraviglie nella quale si entrava – se si riusciva, a entrare1 – e si vivevano due ore indimenticabili, impossibile il confronto con qualsiasi altro ristorante. Quello era il Gambero Rosso di Fulvio Pierangelini. Un ristorante che non esiste più, da tre anni ormai: in punta di piedi, dopo un periodo di tira e molla, Fulvio toglie gli ormeggi nell’estate del 2008 lasciando tutti a bocca asciutta. Adesso, quando si arriva a San Vincenzo, non c’è più nemmeno il lungomare, stravolto da lavori di ristrutturazione del porto turistico, a sottolineare che si è davvero chiusa un’epoca. L’insegna è rimasta, a pochi passi dal locale originario, e oggi segnala il piccolo e raffinato ristorante di Emanuela. Non lontano anche 1. Lo chef era noto per rifiutare prenotazioni di ospiti sgraditi o semplicemente sospetti. 128 cronache il Bucaniere di Fulvietto, il nome è quello del figlio di Emanuela e Fulvio, stabilimento balneare durante il giorno e bellissimo ristorante la sera, disegnato da Massimiliano Fuksas, amico di famiglia da sempre. Ma torniamo al Gambero Rosso che fu e che aprì l’8 marzo del 1980: era solo una trattoria sulla spiaggia, un piccolo locale con le tovaglie a quadri che portava il nome dell’osteria dove Pinocchio conosce il Gatto e la Volpe. Nome diffusissimo e bistrattato nella ristorazione italiana, ma per chi è superstizioso i nomi dei ristoranti non si cambiano, come quelli delle barche. Si mangiava con poco e Fulvio, autodidatta, preparava piatti semplici, ma che segnalavano già in modo inequivocabile sensibilità e voglia di fare bene. «Gli antipasti erano in parte allestiti su un tavolo da buffet e in parte arrivavano direttamente in tavola senza essere richiesti. Sono questi a decretare da subito la fortuna del locale. Prove che lasciano allibiti molti avventori. Come la sontuosa insalata di mare: pezzi di aragosta, scampi, tocchi di branzino e frutti di mare conditi semplicemente con extravergine e limone. Come le capesante con i fili di patate o gli spaghetti al cartoccio. Preparazioni che non hanno più nulla a che vedere con quelle dello stesso nome servite altrove. In quell’angolo di turismo piccolo borghese che è San Vincenzo, dove gli alberghetti economici evocavano piuttosto pranzi di mezza pensione a base di spaghetti con le vongole congelate si stava consumando una rivoluzione silenziosa»2. Due anni più tardi un’amica suggerì a Fulvio di andare a conoscere Roger Vergé, a Mougins nel ristorante gestito con la moglie, Le Moulin de Mougins, che aveva qualcosa in comune con il Gambero Rosso. Si sa: la Francia è la Francia e Vergé era già un mito. Protagonista della rivoluzione della nouvelle cuisine insieme a Bocuse e Guérard, era stato maestro di cuochi del calibro di Ducasse e Bouley. Dopo la breve esperienza in Costa Azzurra, alla fine del 1982 il piccolo locale di Pierangelini compie il primo salto di qualità. «I tempi sono ormai maturi. Il 2. R. Prandi, Fulvio Pierangelini il grande solista della cucina italiana, Gambero Rosso Editore, Roma 2005, p. 32. 129 cronache vento della nouvelle cuisine soffia forte come il mistral. La “nuova cucina” che nel decennio precedente aveva già conquistato la Francia, si sta saldamente insediando anche fuori dai suoi confini […] A Capodanno dell’82 dalla cucina di Pierangelini esce il primo menù della nuova era: sfogliatine, insalata di gamberi, spaghetti con i frutti di mare, il riso all’Armagnac, il bianco di spigola con i carciofi3, il filetto mignon alla crema di funghi, il dolce di kiwi. L’Aurelia è a due corsie ma questa cucina è già sulle rotte internazionali. Anche se l’Europa capita qui solo d’estate. Fuori dall’uscio del ristorante la gente non si capacita di quelle piccole porzioni, di quei piccoli scrigni di sapore. La rottura si consuma in fretta. Gli operai della Sip hanno da tempo scelto altre mense»4. Ma per capire questo cuoco solista e il segno che ha lasciato nella cucina italiana probabilmente non sono sufficienti i piatti. Non è l’idea della passatina di ceci con crostacei5 – piatto tirrenico che mette insieme legumi e pesce, un po’ come avveniva spesso con Paracucchi (vedi pag. 52) – che scompone le carte. Non è l’idea ma l’esecuzione. Tutto nella cucina di Pierangelini rimanda all’esecuzione, al tocco, allo stile. L’irripetibilità del gesto è forse la forza e al tempo stesso il limite più grande di questo re Mida capace di cambiare con le mani anche il sapore di un’alice semplicemente sfilettandola: è difficile trasmettere questo sapere a un allievo. Cosa, infatti, sostanzialmente mai successa. Il gesto irripetibile, il rapporto con la materia, la cessione di emozioni sono elementi fondamentali in questa cucina, tanto da impedire deleghe. Così come sono la forza di uno stile riconoscibile tra mille, fatto di conoscenza maniacale del prodotto, qualunque esso sia, senza trucchi o alchimie tecniche. La cucina del Gambero Rosso, spartana e priva di strumenti tecnologici, è sempre stata un piccolo laboratorio artigiano che non poteva prescin3. Un piatto che resiste sostanzialmente fino alla chiusura nel 2008. 4. R. Prandi, Op. cit., p. 36. 5. La passatina di ceci con crostacei, piatto feticcio della cucina del Gambero Rosso rimarrà in carta come antipasto per più di vent’anni, a partire da una sera del 1986 in cui nacque per caso come piatto di risulta da quattro etti di ceci lessati e qualche gambero fresco. Da quel giorno è imitatissimo, cosa che ha sempre irritato Pierangelini. 130 cronache dere dal maestro. In cui il potere e la qualità del gesto hanno governato ogni processo. Ma se Pierangelini non è riuscito a trasmettere e a dare a un allievo, è altrettanto vero che invece regalava ai suoi clienti prediletti. Che difficilmente erano i più importanti e facoltosi. Nel 1994, durante la Settimana del Gusto6, due giovani partirono dall’Università di Siena per concedersi un pranzo al Gambero Rosso a prezzo ridotto. I ragazzi furono serviti con cura e dedizione direttamente dallo chef, in una giornata di maggio a ristorante vuoto, senza sapere di chi si trattasse. Allora non erano capaci di distinguere una giacca da chef da una da cameriere. Lui li guardava e li serviva, insalata di trigliette e passatina, e via con tutto il menù dei classici del Gambero Rosso7. Li serviva e li fiutava. Superate le diffidenze cominciò una bella chiacchierata: Pierangelini era curioso di capire perché questi studenti avessero fatto tanta strada. Curioso e onorato. Fu un pomeriggio memorabile per tutti e da quel giorno, nelle successive visite fuori “Settimana del Gusto” quei due pagarono sempre 50 000 lire. «Per pagare ci sarà tempo» chiosava Pierangelini. Oggi Fulvio Pierangelini si divide come consulente tra alcune grandi tavole della Rocco Forte Hotel in Europa. Sono pochi quelli che hanno ancora la fortuna di mangiare i suoi piatti, cucinati da lui. A guardar bene però buona parte della nuova cucina italiana, e dei giovani emergenti, senza saperlo ha seguito il suo percorso. Mediterraneo, tirrenico, lineare. Anche se a lui solo l’idea fa accapponare la pelle. 6. Iniziativa di Slow Food volta a promuovere l’alta cucina presso i giovani consentendo, una settimana all’anno, l’accessibilità ad alcune grandi tavole italiane con un prezzo stracciato ai giovani sotto i 26 anni. 7. Il menù “I classici del Gambero Rosso”, invariato per anni, proponeva insalata di trigliette, passatina di ceci con crostacei, ravioli di pesce in salsa di frutti di mare, spigola con i carciofi, dessert. Volendo era possibile aggiungere il piccione al rosmarino, con un piccolo sovrapprezzo. 131