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INSEGNAMENTO DI
FILOSOFIA DEL DIRITTO
LEZIONE IX
"SISTEMA DEI DIRITTI E PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI.
ORDINAMENTO INTERNAZIONALE"
PROF.SSA FLORA DI DONATO
Filosofia del diritto
Lezione IX
Indice
1
PREMESSA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
IL PRIMO SISTEMA DI DIRITTI: CIVILI E POLITICI ------------------------------------------------------------ 5
3
IL SECONDO SISTEMA DI DIRITTI: SOCIALI ED ECONOMICI ---------------------------------------------- 7
4
LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO O CARTA DELL’ONU (1948) ------ 8
5
IL PROBLEMA DELLA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI -------------------------------------------------- 10
6
LA PROTEZIONE SOVRANAZIONALE DEI DIRITTI: CENNI ALLA FUNZIONE DELLE CORTI -- 12
6.1.
LA DIMENSIONE REGIONALE EUROPEA DI TUTELA DEI DIRITTI DELL‟UOMO --------------------------------------- 12
7
DIRITTI UMANI E CONVIVENZA MULTICULTURALE -------------------------------------------------------- 16
8
PER UNA TEORIA UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO ------------------------------------------------- 19
9
CONCLUSIONI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 22
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Premessa
L‟affermazione dei diritti dell‟uomo deriva da un rovesciamento radicale di prospettiva nel
rapporto Stato-cittadino, tipico dello Stato moderno. Si tratta di un rapporto che, nel passaggio
dallo Stato assoluto a quello moderno, viene guardato sempre più dal punto di vista dei diritti dei
cittadini - non più sudditi - anziché dal punto di vista del potere del sovrano: il cittadino è un
individuo in carne ed ossa, titolare di bisogni e di interessi dei quali si chiede il progressivo
riconoscimento. Si tratta di una visione “individualistica” della società che invita ad uno sguardo
“dal basso”, cioè nella prospettiva degli individui che la compongono, in antitesi alla concezione
“organicistica” che, al contrario, antepone la società agli individui.
Questo passaggio è ben delineato da Bobbio nell‟Età dei diritti (1997):
“In sede storica sostengo che l‟affermazione dei diritti dell‟uomo deriva da un
rovesciamento radicale di prospettiva, caratteristico della formazione dello stato moderno, nella
rappresentazione del rapporto politico, cioè nel rapporto stato-cittadini o sovrano-sudditi: rapporto
che viene sempre più guardato dal punto di vista dei diritti dei cittadini non più sudditi, anziché
dal punto di vista dei poteri del sovrano in corrispondenza alla visione individualistica della
società, secondo cui per capire la società bisogna partire dal basso, cioè dagli individui che la
compongono, in opposizione alla tradizionale concezione organica, secondo cui la società come
un tutto viene prima degli individui. Il rovesciamento di prospettiva, che diventa da allora
irreversibile, è provocato all‟inizio dell‟età moderna principalmente dalle guerre di religione
attraverso cui si viene affermando il diritto di resistenza all‟oppressione, il quale presuppone un
diritto ancora più sostanziale e originario, il diritto del singolo individuo a non essere oppresso”1.
Il rovesciamento di prospettiva è dunque provocato, all‟inizio dell‟Età moderna, dalle
guerre di religione, con l‟affermazione del diritto di resistenza all‟oppressione, che presuppone
anche il diritto dell‟individuo a godere di alcune libertà fondamentali. La prima di queste libertà è
quella religiosa. L‟uomo ha dunque diritto al riconoscimento di diritti originari, “fondamentali”,
che gli spettano in quanto uomo. Essi non sono più considerati come una concessione del sovrano.
Tali diritti non possono essere il frutto di una concessione quanto piuttosto di un
“riconoscimento”.
1
Bobbio, N., L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1997, p. XI-XII.
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È evidente la portata rivoluzionaria di una tale concezione, di ispirazione giusnaturalistica,
che porterà ad una giustificazione della volontà sovrana a partire dai singoli, in antitesi a quella
concezione in cui è invece lo stato che autolimita i propri poteri per stabilire una relazione con i
singoli.
Seguendo lo sviluppo dei diritti fondamentali, per comodità teorica, i filosofi generalmente
individuano quattro generazioni di diritti fondamentali, cui, attualmente, ne viene aggiunta una
quinta che fa riferimento ai diritti connessi alla bioetica, alla sperimentazione sulle cellule
staminali, al divieto di manipolazione del patrimonio genetico, alla clonazione, etc….
Le generazioni sono comunemente individuate nelle seguenti quattro:
 Prima generazione: diritti civili e politici (libertà fondamentali di espressione, di
culto);
 Seconda generazione: diritti economici e sociali (diritto all‟istruzione, alla salute, al
lavoro);
 Terza generazione: diritti eterogenei (diritto alla pace, diritto alla solidarietà
internazionale);
 Quarta generazione: diritti la cui affermazione e tutela proviene dal campo
scientifico o da ricerche ingegneristiche.
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2 Il Primo Sistema di diritti: civili e politici
“Nella storia della formazione delle dichiarazioni dei diritti si possono distinguere almeno
tre fasi. Le dichiarazioni nascono come teorie filosofiche. La loro prima fase è da ricercarsi nelle
opere dei filosofi. Se non vogliamo risalire sino all‟idea stoica della società universale degli
uomini razionali - il saggio è cittadino non di questa o quella patria ma del mondo -, l‟idea che
l‟uomo in quanto tale ha dei diritti per natura che nessuno, neppure lo stato, gli può sottrarre e che
egli stesso non può alienare (anche se in caso di necessità li aliena, il trasferimento non è valido) è
stato elaborata dal giusnaturalismo moderno. Il suo padre è John Locke. Secondo Locke, il vero
stato dell‟uomo non è lo stato civile ma quello naturale, cioè lo stato di natura in cui gli uomini
sono liberi ed eguali, e lo stato civile è una creazione artificiale che non ha altro scopo che quello
di permettere la più ampia esplicazione della libertà e dell‟eguaglianza naturale”2.
Oltre all‟influenza delle correnti filosofiche di cui testimonia Bobbio, non è possibile poi
non considerare gli eventi rivoluzionari che determinarono la nascita di un vero e proprio Sistema
di diritti.
Il primo Sistema di diritti “civili e politici” rimanda alle rivoluzioni inglese, americana e
francese ed alle rispettive Dichiarazioni. La rivoluzione inglese darà vita alla prima monarchia
costituzionale; la rivoluzione americana produrrà due importanti documenti: la Dichiarazione di
Indipendenza e i Bill of Rights; infine la Rivoluzione francese dà vita alla “Dichiarazione dei
Diritti dell‟uomo e del cittadino”.
La Dichiarazione di Indipendenza Americana (1776) codifica l‟emancipazione del popolo
americano nel senso dell‟affermazione della sua identità rispetto alla Corona inglese, i Bill of
Rights (1689) rappresentano invece una delle prime attestazioni del diritto degli uomini come
persone e come comunità. La Dichiarazione dei Diritti dell‟Uomo e del Cittadino (1789),
considerata “Magna Charta” dei Diritti dell‟Uomo, sancisce il diritto di partecipazione dei cittadini
alla decisione politica.
Le Dichiarazioni dunque, in particolare quella americana e francese, proclamano una
particolare concezione dell‟uomo e della società: l‟uomo è tale se è “libero”, e se fa parte di una
società di “eguali”.
2
Ivi, pp. 21-22.
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Una distinzione fra le due dichiarazioni è operata da Bobbio che ritiene che, pur partendo
entrambi i testi dalla considerazione degli uomini uti singuli e dalla proclamazione di diritti che
appartengono agli uomini in quanto tali, tuttavia i costituenti americani collegano i diritti
dell‟uomo con il bene della comunità mentre i costituenti francesi intendono affermare
esclusivamente i diritti degli individui.
In sintesi, dalla combinazione delle Rivoluzioni e delle Teorie giusnaturaliste trarrebbe
fondamento il Primo Sistema dei Diritti dell’Uomo. Si tratta, in questa prima fase, del
riconoscimento innanzitutto delle cd. libertà civili, intese come libertà del cittadino dallo Stato o
libertà negative, rispetto alle quali è vietata ogni interferenza da parte dello Stato. Il riferimento è,
per esempio, alla libertà personale, alla libertà di domicilio, al diritto di proprietà, alla libertà di
manifestazione del pensiero, etc. A partire, poi, dalla seconda metà dell‟Ottocento e dalle
rivendicazioni del proletariato, si afferma la lenta e progressiva partecipazione dei cittadini alla
vita dello stato. Si affermano i cd. diritti politici, le cd. libertà nello Stato: il diritto di voto attivo e
passivo (sia pure in misura ristretto), il diritto di associazione in partiti e sindacati. Queste libertà
cd. di seconda generazione sono tipiche di uno stato pluriclasse, dove a dominare non è più solo la
borghesia ma l‟emergere del ruolo politico e sociale del proletariato urbano.
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3 Il Secondo Sistema di diritti: sociali ed economici
Sulla scorta delle Dichiarazioni che segnano l‟affermazione del modello costituzionale
dello Stato di Diritto, il fondamento dei diritti e della libertà non è più nello Stato di Natura. I
diritti trovano fondamento esclusivamente nelle norme dello Stato che si autolimita per la tutela
della dignità politica dell‟individuo.
La Rivoluzione Francese che vede l‟affermarsi della borghesia con le sue rivendicazioni di
diritti civili e politici (nei confronti della nobiltà e del clero) e di eguaglianza sociale, apre la
strada ad un nuovo tipo di rivendicazioni che caratterizzeranno la Rivoluzione industriale
(promossa dalla borghesia economica). Il concetto di uguaglianza rivendicato dalla borghesia
spinge il nuovo ceto proletario o quarto stato a rivendicazioni legate a fattori economici: il terzo
stato è titolare della capacità di uso degli strumenti di produzione ma, a parte il salario, non è
partecipe del profitto dei borghesi. Ciò implica la rivendicazione di un nuovo tipo di diritti
dell‟uomo, quelli economici e sociali, che costituiscono il Secondo sistema.
A tale sistema corrisponde un nuovo corpus declaratorio: la Dichiarazione dei Diritti dei
lavoratori e degli sfruttati, adottata dal Congresso delle Repubbliche Sovietiche del 1918,
espressione della rivoluzione sovietica del 1917.
Allo scopo dunque di riequilibrare le disparità sociali e rendere accessibili alla collettività
la cd. libertà mediante lo stato, vengono riconosciuti diritti sociali, come il diritto all‟istruzione,
alla salute, alla previdenza sociale, etc.
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4 La Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo o Carta dell’ONU (1948)
I Sistemi dei diritti civili e politici e dei diritti sociali confluiscono nella successiva
Dichiarazione universale che apre un nuovo e fondamentale capitolo dei rapporti tra diritti umani e
dichiarazioni.
La Carta dell‟ONU del 1948, formulata dalle Nazioni Unite, nasce dall‟esigenza di sancire
determinati diritti dando loro un valore universale. Essa scaturisce dalla necessità di scongiurare
crimini come quelli perpetrati durante la seconda guerra mondiale. Durante il conflitto erano state
compiute massicce violazioni dei diritti degli individui. I governi di numerose nazioni avevano
messo in atto forme estreme di persecuzione delle minoranze etniche e dei gruppi di opposizione
politica.
La Dichiarazione nasce allora anche con questa finalità di ovviare a questa sorta di
contraddizione, sancendo un nucleo di diritti individuali da ritenere validi in ogni circostanza.
La Carta dell‟ONU che in un primo momento si caratterizza per la proposta del blocco
occidentale di proclamare a livello mondiale solo i diritti civili e politici, come la libertà di culto,
di opinione, arriva, in un secondo momento, a comprendere anche una sezione sui diritti
economici e sociali. Dunque essa concilia due sistemi di diritti umani: quelli civili e politici che
scaturiscono dalla Rivoluzione Francese e quelli economici e sociali, frutto delle rivendicazioni
dei ceti proletari ed alla base della stessa Rivoluzione russa del 1917. “È l‟ONU che per la prima
volta porta a livello internazionale e tendenzialmente universale i principi dei diritti umani, che
costituiscono lo sviluppo di quelli affermati nelle dichiarazioni dei diritti della fine del Settecento,
e ne fa oggetto della Dichiarazione universale dei diritti dell‟uomo proclamata dall‟assemblea
delle Nazioni Unite il 1 dicembre 1948. Il linguaggio che parla la Dichiarazione è lo stesso dei
primi documenti costituzionali della fine del Settecento, arricchito e sviluppato da un secolo e
mezzo di tragedie e di progressi. Sono enunciati i diritti che spettano a ogni individuo […] senza
distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione
politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra
condizione (art. 2): le libertà civili, i diritti politici di partecipazione, i diritti sociali. Su tutti,
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riassuntivamente „il diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà
enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati‟ (art. 28).
In parallelo, si affermano i principi della convivenza tra i popoli e l‟organizzazione
internazionale. La comunità delle ragioni, per la prima volta nella storia, si fonda su
un‟organizzazione giuridica”3.
Che valore ha la Dichiarazione Universale?
Secondo Bobbio la “posizione” della Dichiarazione risolve il problema tanto dibattuto del
fondamento dei diritti umani che dunque non è “assoluto” ma “storico”.
Si tratta di un fondamento universale non in principio ma di fatto: viene infatti
esplicitamente dichiarato il consenso generale sulla sua validità per regolare le sorti future della
comunità di tutti gli uomini. La dichiarazione costituisce una chiara prova del “consensus omnium
gentium” circa un determinato sistema di valori che si afferma in un preciso momento storico4.
Qualche autore come Beetham tuttavia dubità della positività della dichiarazione
trattandosi di un atto che non ha portata vincolante anche per l‟assenza di previsione di sanzioni in
caso di violazione o inadempienza.
3
4
Onida, V., La Costituzione, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 112-113.
Bobbio, N., L’età dei diritti, cit., pp. XIII-XV.
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5 Il problema della protezione dei Diritti Umani
Se la Dichiarazione risolve il problema del fondamento positivo dei diritti umani, lascia
aperta la questione della loro protezione.
Secondo Bobbio, infatti, non è importante “fondare” i Diritti dell‟Uomo quanto
proteggerli. È un problema non filosofico ma “politico”. Per proteggerli non è sufficiente
proclamarli. Evidentemente il problema essenziale è quello delle misure che possono essere messe
in atto per garantire l‟effettiva protezione di tali diritti. A tal proposito Bobbio intravede due
difficoltà principali ai fini della tutela dei diritti.
La prima è di tipo giuridico-politico ed è legata ai rapporti che intercorrono fra gli Stati
della Comunità Internazionale. Il limite principale che caratterizza l‟operato degli organismi
internazionali sta nel fatto che essi agiscono rispetto agli stati che li compongono con una vis
directiva e non coactiva. Il che, in linea teorica, richiede che l‟organismo che agisce sia dotato di
un sufficiente grado di autorevolezza e che lo Stato cui è rivolto il comando abbia una
disposizione ad obbedire ispirata a “ragionevolezza”.
Sostanzialmente la funzione degli organi internazionali è quella di “controllo” su quanto
avviene nei singoli Paesi. Si tratta di un controllo a un carattere “sussidiario” perché può essere
esercitato solo quando i diritti sono già protetti all‟interno degli Stati.
Per poter pensare ad un‟effettiva tutela internazionale dei diritti è necessario che una
giurisdizione internazionale si sovrapponga a quella nazionale. Allo stato, la Corte Europea
istituita dalla Convenzione Europea dei Diritti dell‟Uomo ha una giurisdizione estesa agli
individui di oltre quaranta stati. Tale giurisdizione non è soggetta ad accettazione da parte dello
Stato che ha violato la Convenzione.
La seconda difficoltà riguarda il contenuto dei diritti. I diritti dell‟uomo sono solo
apparentemente una categoria omogenea. Essi, per la maggior parte, non sono valevoli per tutti gli
uomini e in tutte le situazioni, dunque non sono assoluti.
In alcuni casi si tratta di diritti la cui protezione non può essere realizzata senza che venga
ristretta la protezione di altri. Ad esempio, nel caso dell‟obiezione di coscienza ci si domanda
quale diritto tutelare: quello dell‟obiettore di non uccidere o quello della comunità di difendersi
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dalle aggressioni esterne? Del resto lo stesso elenco dei diritti dell‟uomo si è continuamente
modificato nelle diverse condizioni storiche. Nelle diverse epoche, al modificarsi delle condizioni
politiche e sociali, sono cambiati gli interessi e i bisogni, le classi dominanti, i mezzi per
l‟attuazione dei diritti stessi.
Il classico esempio, richiamato dallo stesso Bobbio, è quello del diritto di proprietà che nel
1700 veniva dichiarata sacra e inviolabile e, successivamente, ha subito notevoli limitazioni.
Allo stesso modo, può essere previsto l‟emergere, in futuro, di nuove categorie di diritti
umani in relazione all‟evoluzione storica, politica e culturale della società.
Di fatto, oggi si parla di una Quarta generazione di diritti, legata allo sviluppo economico,
culturale, tecnologico delle nostre società. Si pensi alla tutela dell‟ambiente, all‟informazione, alla
procreazione artificiale, alla bioetica. Il “relativismo” di tali diritti più che un pericolo costituisce
una vera e propria garanzia di pluralismo5.
5
La libertà di religione, ad esempio, trova fondamento esclusivamente nella convinzione della relatività e della
pluralità delle concezioni religiose. Cosicché il diritto alla libertà religiosa è diritto a professare qualsiasi religione ma
anche a non professarne alcuna.
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6 La protezione sovranazionale dei diritti: cenni alla
funzione delle Corti
Definita la relatività dei diritti umani come categoria dogmatica, abbiamo visto come tale
relatività si riproponga a livello sovranazionale nella protezione dei diritti stessi.
Attualmente non è facile individuare uno standard di protezione dei diritti umani in campo
internazionale. Organi come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite valutano
“politicamente” anche gravi e reiterate violazioni dei diritti umani.
Nella prospettiva internazionale di tutela assume un ruolo fondamentale l‟attività dei
tribunali internazionali. Nel 1998, la Convenzione di Roma istituisce una Corte penale
Internazionale permanente, competente a conoscere delle violazioni più gravi dei diritti umani.
Essa rappresenta un successo nella lotta per la protezione internazionale dei diritti umani anche se
la sua azione è limitata dal numero modesto di Paesi che hanno ratificato la convenzione. Questa
Corte rappresenta una risposta efficace anche alle accuse di occasionalità mosse all‟istituzione ad
hoc dei precedenti tribunali come quello per la ex Jugoslavia. Tuttavia, dalla sua ratifica la Corte
non ha potuto ancora offrire soluzioni ai contrasti fra i diversi Paesi anche per il problema della
concorrenza tra giudici nazionali ed internazionali.
6.1.
La dimensione regionale europea di tutela dei Diritti
dell’Uomo
Nel quadro della tutela internazionale, una considerazione specifica merita la dimensione
regionale europea di tutela dei diritti dell‟uomo.
Decisive in tal senso le affermazioni della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che,
nel corso degli anni, ha sostenuto, sempre con maggiore decisione, l‟inclusione dei diritti
fondamentali tra quelli tutelati dal diritto comunitario. Inoltre la stessa Corte ha sancito la vigenza
di diritti fondamentali come quello all‟uguaglianza, alla libertà di religione, di espressione e di
informazione, la libera circolazione, del rispetto della privacy, etc.
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Nei paesi dell‟Europa Unita, fino al Trattato sull‟Unione Europea (1992), i diritti
fondamentali della persona non appaiono esplicitamente tutelati. Sarà l‟articolo F del Trattato a
presentare una prima esplicita disposizione che afferma: “l’Unione europea rispetta i diritti
fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 1950) e quali risultano dalle tradizioni
costituzionali degli Stati membri in quanto principi generali del diritto comunitario”. L‟art. 7 del
T.U.E. disciplina anche le sanzioni per la violazione dei diritti sanciti nello stesso trattato. Tale
procedura si svolge in tre momenti distinti: constatazione dell‟esistenza della violazione,
emanazione della sanzione ed infine modifica e revoca delle sanzioni adottate.
In questa fase dunque, la tutela dei diritti, per essere garantita all‟interno della Comunità
europea, si ispira alle tradizioni costituzionali degli Stati membri e si fa riferimento ai trattati
internazionali in materia di tutela dei diritti dell‟uomo che avevano visto gli Stati Europei fra i
promotori.
Si tratta, tuttavia, secondo alcuni autori, di un meccanismo di un‟integrazione
“dall‟esterno” o “eterogiuridica” del sistema giuridico comunitario a partire da elementi di altri
sistemi giuridici (in special modo quelli nazionali). Evidentemente questo tipo di tutela appare
carente proprio rispetto alle forme sovranazionali.
Il Trattato di Amsterdam del 1997 introduce una serie di novità volte a rafforzare la tutela
dei diritti fondamentali. Si tratta della possibilità di comminare sanzioni agli Stati membri che
abbiano violato i principi di democrazia e rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali da esso
sanciti. Fino a questo momento i trattati comunitari tacciono sul problema dell‟obbligo di
rispettare tali principi probabilmente perché appare sottinteso che solo Stati ispirati ai principi
della democrazia possano aspirare a far parte dell‟unione. Il Trattato rinforza proprio questo tipo
di tutela anche, probabilmente, in funzione preventiva, in prospettiva del prossimo allargamento
dell‟unione a paesi dell‟Europa Centrorientale.
In termini generali, considerando la specifica vocazione regionale europea alla tutela dei
diritti dell‟uomo, tale Trattato, sembrerebbe piuttosto svolgere la funzione di legittimare la
competenza degli organi europei a comminare sanzioni, senza alcun riflesso di tipo sostanziale.
Il Trattato di Amsterdam costituisce una tappa intermedia verso quello che sembra il
risultato più importante in vista della Costituzione Europea, ossia di una Carta che non si
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riconosca più prevalentemente nella dimensione prettamente economica e politica dell‟Europa, ma
che esalti piuttosto i grandi valori di dignità umana ai quali si connettono, da una parte, quelli di
libertà-eguaglianza e solidarietà e, dall‟altra, i grandi valori della civiltà europea e della giustizia.
Al Trattato di Amsterdam ha fatto seguito la Carta di Nizza (2000) che costituisce un
passaggio fondamentale verso una sovranità, ancora non realizzata, dei diritti contro i minimalismi
delle costituzioni. Come afferma Habermas nessuno Stato Federale europeo potrà fregiarsi del
nome di “Europa democratica” se non si passa prima attraverso la creazione di una cultura politica
condivisa, di una società civile europea al di sopra delle sovranità nazionali6.
L‟art. 6 del Trattato UE stabilisce che “l’Unione si fonda sui principi di libertà,
democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Stabilisce altresì che essa
“rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali […] e quali risultano dalle
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto
comunitario”. Sino al momento della proclamazione della Carta di Nizza, la tutela dei diritti
fondamentali, dunque, trova un riconoscimento giurisdizionale attraverso i trattati. È soltanto con
l‟entrata in vigore della Carta di Nizza che la tutela dei diritti fondamentali riceve una tutela sicura
e certa, perché non più rimessa ai trattati o ai particolarismi dei singoli Governi, ma inserita
specificamente nel tessuto normativo del Trattato UE.
Come infatti ha sostenuto Luigi Ferrajoli, è solo il passaggio da un “discorso” sui diritti
umani ad un effettivo progetto di Costituzione che evidenzia la nascita di uno Stato costituzionale
europeo moderno”:
“Lo Stato di diritto in senso forte […] comporta semplicemente che la legge, e più in generale la
produzione giuridica, sono di fatto – anche se non di diritto – sottoposte a principi normativi quali le
libertà fondamentali e la divisione dei poteri […]. Il nesso del costituzionalismo – invece – risiede
nel fatto che le costituzioni rigide hanno positivizzato quei principi, e perciò garantito la soggezione
a essi di tutti i pubblici poteri, affidandola non già al loro spontaneo rispetto da parte di giudici e
legislatori, ma anche alla loro formulazione in norme positive di rango superiore alla legge e al
controllo giurisdizionale di costituzionalità sulle loro violazioni” 7.
6
Habermas, J., L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, tr. it. (a cura di) L. Ceppa, Feltrinelli, Milano, 1998.
Ferrajoli, L., Lo Stato di diritto tra passato e futuro, in P. Costa-D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria,
critica, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 377-378.
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Il passaggio successivo alla Carta di Nizza avrebbe dovuto essere la creazione di una
Costituzione europea. Tuttavia nel 2004 solo 16 paesi su 24 hanno ratificato il testo della
Costituzione: il “no” dei Francesi e degli Olandesi ha determinato nell‟Unione Europea una cd.
pausa di riflessione.
Probabilmente il processo costituente ha subito una battuta d‟arresto proprio per le
difficoltà di predisporre strumenti per la tutela dei diritti umani cui ciascuno Stato deve
uniformarsi. Probabilmente gli Stati guardano con preoccupazione a quelle situazioni che
comportano il rischio di limitazione della propria sovranità. (Basti pensare agli “scontri” tra Corte
Costituzionale italiana e tedesca, da un lato, e le istituzioni comunitarie, dall‟altro).
Tuttavia il 1° dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona che ha affrontato
temi cruciali, quali la globalizzazione, la sicurezza, l‟energia e i cambiamenti climatici,
rafforzando il potere delle istituzioni comunitarie rispetto a quello dei singoli Stati8.
8
In seguito alla firma apposta dal Presidente della Repubblica Ceca il 3 novembre 2009 tutti e ventisette gli Stati
membri dell‟Unione europea hanno ratificato il Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull'Unione europea e il
trattato che istituisce la Comunità europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 (2007/C 306/01) che è poi entrato in
vigore il 1° dicembre 2009, con il deposito dei singoli strumenti di ratifica da parte dei vari Stati. Questo trattato ha
innovato in modo rilevante i due precedenti trattati fondamentali dell‟Unione: il trattato che ha istituito la Comunità
europea (firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1958) e il trattato sull‟Unione europea
(firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993). Il trattato di Lisbona mette fine a
diversi anni di difficili negoziati sulle riforme istituzionali. In particolare, per la prima volta nella sua storia, con questo
trattato l‟Unione europea acquista una propria personalità giuridica e, quindi, diviene capace di interloquire con una
sola voce nelle relazioni internazionali e di firmare trattati come un soggetto unico di diritto internazionale.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Filosofia del diritto
Lezione IX
7 Diritti umani e convivenza multiculturale
Un aspetto fondamentale della tematica complessa dei diritti umani è legato alla
dimensione multiculturale delle società contemporanee per effetto di fenomeni legati alle
immigrazioni di massa ed alla globalizzazione.
A partire dalla Dichiarazione del ‟48, matura una rappresentazione internazionale o
sovranazionale dei diritti umani o “fondamentali”. Essi appartengono agli individui
indipendentemente dalla loro cittadinanza. Tuttavia una parte rilevante della dottrina continua ad
appiattire la questione della tutela e del godimento dei diritti umani sulla dimensione di
cittadinanza, negando una dimensione di universalità di diritti che, per definizione, non
andrebbero attribuiti ai cittadini di questo o di quello Stato, ma a tutti i cittadini del mondo. Resta
dunque irrisolto il problema della “convivenza giuridica” di gruppi culturalmente differenti in uno
stesso territorio, nel rispetto sia della società accogliente che della comunità neo-arrivata.
Il problema del riconoscimento “multiculturale” dei diritti umani influisce sicuramente
anche sul progetto europeo di stesura della Costituzione.
Per richiamare un esempio, già accennato e piuttosto attuale e riconducibile anche ad una
recente polemica all‟interno degli Stati europei, si pensi alla questione del cd. velo islamico, ossia
alla richiesta da parte delle donne islamiche che vivono nei Paesi occidentali di indossare il velo,
come prescritto dalla loro religione. Per comprendere meglio la questione multiculturale,
riproponiamo le diverse posizioni di due Stati europei, Italia e Francia, sul diritto ad indossare il
velo islamico. In Italia, i rapporti tra Repubblica italiana e religioni diverse dalla confessione
cattolica sono regolati dall‟art. 8 della Costituzione italiana. In particolare, il rapporto con la
confessione islamica è stato regolata da una prima bozza di intesa del 1992 dall‟U.C.O.I.I.
(Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia). Nel 1994, l‟Associazione dei
Musulmani Italiani propose una propria bozza di intesa. Infine, nel 1996, l‟Associazione per
l‟informazione sull‟Islam in Italia-Coreis ha presentato una ultima bozza di intesa. A queste bozze
hanno fatto seguito una serie di provvedimenti di carattere normativo. Innanzitutto una circolare
del Ministero dell‟Interno (24/07/2000) che così recitava: “Il velo, come il chador o il turbante, è
parte integrante degli indumenti abituali e concorre ad identificare chi li indossa”. A tale circolare
ha fatto poi seguito la previsione legislativa della Legge Bossi-Fini n. 189/2002, la quale sanciva
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Lezione IX
la legalità del comportamento delle donne di fede islamica di indossare il velo, in quanto simbolo
di appartenenza religiosa9. Restava qualche perplessità sulla legittimità del “burqa”, quale
“barriera” ed “impedimento” all‟identificazione di una persona. Ma anche questa perplessità era
destinata a cadere nella storia legislativa italiana, giacché, prima una circolare del Dipartimento di
Polizia di Stato del dicembre 2004 e poi una sentenza della III sez. Penale della Suprema Corte di
Cassazione, resa nell‟aprile 2006, hanno stabilito che “l‟utilizzo del burqa, in quanto segno
esteriore di una tipica fede religiosa nonché pratica devozionale” non costituisce reato. A tale
conclusione si è pervenuti perché nella sentenza n. 11919/06: la Corte di Cassazione ha accolto
l‟interpretazione islamica più estremista del versetto XXIV, 30-31 del Corano che prescrive alle
donne islamiche di indossare obbligatoriamente il velo.
Diversa è la situazione della Francia, dove, invece, l‟uso del velo è escluso e la più chiara
manifestazione di tale posizione si è avuta in occasione della celebrazione dell‟anniversario della
Rivoluzione francese, quando fu impedito a ragazze islamiche di frequentare l‟università
indossando il velo.
Queste reazioni sono il sintomo che in Europa manca ancora una vera e propria
dimensione del multiculturalismo e l‟esistenza di una vera e propria integrazione.
Il dibattito sul multiculturalismo esprime, in sostanza, la conflittualità che caratterizza le
moderne società e che rende talvolta impossibile realizzare quella che Habermas definisce una
“solidarietà tra estranei”10. In altre parole affronta il problema dell‟integrazione delle minoranze
etniche e culturali in termini di „inclusione‟: “inclusione non significa accaparramento
assimilatorio né chiusura contro il diverso. Inclusione significa piuttosto che i confini della
9
In un recente intervento (ottobre 2006) l‟onorevole Fini, nel citare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell‟Uomo
(art. 18: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di religione; questo diritto implica la libertà di manifestare la propria
religione, da sola o in comune, tanto in pubblico quanto in privato, con l'insegnamento, le pratiche, il culto e
l'adempimento dei riti”) dichiarava la sua contrarietà ad una legge anti-velo.
10
A proposito della “solidarietà tra estranei”, Danilo Zolo (Il cosmopolitismo kantiano di Jürgen Habermas, in
“Ragion Pratica”, n. 10, 1998, pp. 161-74) così osserva: “L'estraneità, se non è intesa in senso puramente psicologico,
è l'opposto della solidarietà democratica”. L'osservazione ci induce ad una seria riflessione sulle difficoltà che i
governi moderni incontrano nella loro azione politica in un contesto multiculturale. Altra espressione, molto
indicativa, è quella usata da Engelhardt (Engelhardt, H. T. Jr., Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano, 1991), il
quale parla di “stranieri morali” che si incontrano su basi solidaristiche, definendo gli stessi come i nuovi abitanti della
società laica e pluralistica. La condivisione non riguarda le presunzioni morali dei cittadini e, pertanto, sono necessarie
regole procedurali e formali che “[…] forniscono un orientamento formale laddove non è possibile presumere degli
accordi informali. Sono tentativi di raggiungere il fine di proteggere i diritti quando gli individui si incontrano come
stranieri morali”. Nella medesima opera, Engelhardt riferendosi ad Aristotele sostiene: “l'amicizia con uno straniero è
possibile solo nella misura in cui si condividano gli impegni per determinati fini e determinati beni”. La condivisione
moderna riguarda dunque proprio tali impegni e le regole con cui raggiungere i fini prescelti. La sfida è lanciata.
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Lezione IX
comunità sono aperti a tutti, anche e soprattutto a coloro che sono reciprocamente estranei e che
estranei vogliono rimanere”11. Habermas è consapevole che in una società multietnica e
multiculturale12, quale può essere quella italiana e francese, in un gruppo dove ci sono portatori di
proprie ideologie, dottrine, culture e tradizioni è necessario raggiungere un consenso su un nucleo
minimo di diritti e di libertà fondamentali. Il progetto di una Costituzione europea fondata sui
diritti fondamentali deve dare chiari segnali di apertura per realizzare quella che Habermas
definisce “inclusione dell‟altro”, affinché si possa praticare una forma di multiculturalismo il cui
principio-chiave risieda nel cd. diritto all‟evoluzione. Esso consiste nel riconoscimento a ciascun
individuo che ha tradizioni e costumi diversi da quelli degli altri gruppi di integrarsi nel rispetto di
tempi e modi di evoluzione, con la possibilità di crescere in uno spazio sociale e politico più
grande, aprendosi a tutti i colori che vivono in questo medesimo spazio, ma, al tempo stesso,
attraverso uno sviluppo autonomo e volontario.
Sono queste le due grandi sfide che il processo costituente europeo deve affrontare: la
realizzazione di una forma di pluralismo legale e un‟effettiva dimensione di multiculturalismo.
Solo l‟attenzione alle sfumature, alle diversità e alle specifiche condizioni di ogni individuo potrà
avviare l‟Europa verso una dimensione di Stato costituzionale fondato sui diritti fondamentali
dell‟uomo.
11
Habermas, J., L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, cit., p. 10.
A tal proposito Habermas (Staatsbürgerschaft und nazionale Identität, Erker Verlag, St. Gallen, 1991) scrive: “[…]
la componente repubblicana della cittadinanza si svincola dall‟appartenenza ad una comunità prepolitica, integrata
sulla base della discendenza, della tradizione o della lingua comune. […]. La nazione dei cittadini non trova la propria
identità in affinità etnico-culturali, ma nella prassi dei cittadini stessi che esercitano attivamente i propri diritti
democratici di partecipazione e di comunicazione”, in La cittadinanza: appartenenza, identità, diritti, a cura di Zolo,
D., Laterza, Roma-Bari, 1994.
12
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Lezione IX
8 Per una teoria universale dei diritti dell’uomo
Andando oltre il processo costituente europeo e considerando la questione della tutela
internazionale dei diritti fondamentali, bisognerebbe immaginare un modello universalistico,
basato sull‟idea che “esista una fondamentale essenza o natura umana la quale ci attribuisce
un‟identità in quanto umani”13.
Benhabib definisce l‟universalismo “come il principio per cui tutti gli esseri umani, senza
distinzione di razza, genere, orientamento sessuale, attitudini fisiche o materiali né di background
etnico, culturale, linguistico e religioso, hanno diritto a pari rispetto morale”14.
Ma l‟universalismo dei diritti fondamentali dovrebbe avere anche un fondamento
giuridico, costruito e basato su un nucleo di regole e principi che potrebbe essere così riassunto:
tutti gli esseri umani godono di determinati diritti umani fondamentali; tra questi, il diritto alla
vita, libertà, sicurezza e integrità fisica, a una qualche forma di proprietà e possesso privato,
nonché il diritto ad un equo processo davanti alla legge e alla libertà di parola e associazione,
senza dimenticare la libertà religiosa e di coscienza.
Probabilmente una giustificazione giuridica dell‟universalismo dei diritti fondamentali non
è sufficiente a garantire la loro tutela in contesti sovranazionali. Basti pensare alla circostanza che
le decisioni dell‟ONU e degli altri organismi internazionali non sono sempre rispettate e che gli
stessi Stati membri delle Nazioni Unite, quali la Cina, continuano ad avere condotte contrarie e
lesive dei diritti fondamentali e delle libertà principali. Filosofi come Habermas, Honneth e la
stessa Benhabib, propongono allora di coniugare un universalismo giuridico con un universalismo
morale, di chiara derivazione kantiana. Il collegamento si esplica nel senso che l‟universalismo
morale poggia sull‟idea che la tutela dell‟integrità della persona parta dal riconoscimento del
«diritto ad avere diritti» e guidi l‟universalismo giuridico, nel senso che impone come presupposto
ineliminabile il riconoscimento della libertà comunicativa dell‟altro, ossia del diritto di
quest‟ultimo ad accettare come norme legittime soltanto quelle regole di condotta la cui validità
sia stata ragionevolmente dimostrata. Insomma, universalismo morale ed universalismo giuridico
conducono ad una teoria dei diritti fondamentali universale basata sull‟idea che all‟interno,
13
Benhabib, S., Another Universalism: On the Unity and Diversity of Human Rights, “Proceedings and Addresses of
the American Philosophical Association”, vol. 81, no. 2 (November 2007), pp. 7-32.
14
Ivi.
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all‟esterno e tra società la convivenza tra individui debba essere retta da immunità reciprocamente
e vicendevolmente garantite, da vincoli sulle rispettive azioni e legittimo accesso a determinati
beni e risorse. La teoria universale dei diritti fondamentali dovrebbe risolversi nel garantire a tutti
gli individui non “quel che esiste, bensì il mondo in cui, a rigor di ragione, dovremmo voler
vivere”15.
15
Ivi.
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Lezione IX
9 Conclusioni
In questa lezione abbiamo cercato di illustrare gli aspetti, i problemi e i nodi di una
possibile ed efficace tutela dei diritti fondamentali in contesti sovranazionali. Nel trasferimento da
una dimensione statale ad una sovranazionale, la protezione dei diritti umani deve essere basata,
oltre che su un riconoscimento giuridico – e quindi sulla possibilità che le decisioni di organismi
internazionali, corti e tribunali possano essere rispettate ed attuate – su un riconoscimento
universale a carattere morale che abbia per presupposto un principio morale fondamentale che è il
«diritto ad avere diritti», garantito a ogni essere umano in quanto tale.
Gli attuali contesti multiculturali, favoriti dai flussi migratori e dall‟apertura delle frontiere, hanno
inasprito la polemica sulla tutela dei diritti fondamentali e reso difficile il percorso di
costituzionalismo europeo e di tutela dei diritti e delle libertà umane a livello internazionale. Il
dialogo potrà riprendere soltanto quando i diritti umani verranno considerati come presupposto
ineliminabile del dialogo stesso, ovvero quando posizioni divergenti si accosteranno non per un
accaparramento assimilatorio, né per prevalere l‟una sull‟altra, ma per dialogare partendo dall‟idea
che esistono un nucleo minimo di diritti e libertà che non possono essere negati, perché
costituiscono l‟essenza stessa dell‟individuo, indipendentemente dalla sua appartenenza ad una
cultura, religione o gruppo politico.
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Filosofia del diritto
Lezione IX
Bibliografia
 Benhabib, S., “Another Universalism: On the Unity and Diversity of Human Rights”,
Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, vol. 81, no. 2
(November 2007), pp. 7-32.
 Bobbio, N., L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1997.
 Engelhardt, H.T.Jr., Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano, 1991.
 Ferrajoli, L., Lo Stato di diritto tra passato e futuro, in Costa, P., Zolo, D. (a cura di), Lo
Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Feltrinelli, Milano, 2002.
 Habermas, J., L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, (ed. italiana a cura di Ceppa,
L.), Feltrinelli, Milano, 1998.
 Habermas, J., Staatsbürgerschaft und nazionale Identität, Erker Verlag, St. Gallen, 1991.
 Onida, V., La Costituzione, Il Mulino, Bologna, 2007.
 Zolo, D., (a cura di) La cittadinanza: appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari,
1994.
 Zolo, D., Il cosmopolitismo kantiano di Jürgen Habermas, in “Ragion Pratica”, n. 10,
1998, pp. 161-74.
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