UnieuroAsta sugli scaffali hi-tech L`amico

Transcript

UnieuroAsta sugli scaffali hi-tech L`amico
16
COR RI E RECONO M I A
LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015
Le scelte dei gruppi
Imprese
Storie & Personaggi
Distribuzione Al vaglio le offerte per la catena dei 178 store di elettronica di consumo che fatturano 1,4 miliardi
Bergamo Tra i soci la Curia
Unieuro Asta sugli scaffali hi-tech
L’amico americano passa alla cassa
Quei droni
sono benedetti
Rhone, il fondo Usa, vende. Incarico a Unicredit e Banca Imi. Valore 300 milioni
DI CARLO TURCHETTI
Le vendite per prodotto
L’
ultima ad alzare bandiera bianca è stata la
Fnac Italia, ceduta da
François-Henry Pinault alla Dps group. E anche gli
store di elettrodomestici della
Darty sono finiti nella stessa orbita, quella della Gre-Trony. Era
prevedibile. Un lustro di consumi
stagnanti ha lasciato parecchi acciacchi, e qualche ferito serio, tra i
retailer dell’elettronica di consumo e le insegne più note di telefonia, televisori, lavatrici e altri prodotti «bianchi»: un mercato stimato in 14 miliardi che solo da
poco è ritornato a svegliarsi, dopo
aver perso una bella fetta di affari.
Adesso le acque tornano ad
agitarsi in un mondo che appare
destinato a una stagione di consolidamento, dove soltanto due
player superano la quota di un
miliardo di ricavi. A dare la scossa è il fascicolo intestato «project
Themis» che Banca Imi e Unicredit, in veste di advisor congiunti,
hanno recapitato a una platea selezionata di private equity italiani, paneuropei e anglosassoni. Lo
scopo? Valutare le possibili opzioni strategiche per Unieuro, la
seconda catena per fatturato alle
spalle di MediaWorld (1,4 miliardi di scontrini contro 2,15) ma al
primo posto se si guarda il numero di negozi. In tutto sono 178
grandi magazzini a gestione diretta per una superficie di vendita
totale di 282 mila metri quadrati,
che danno lavoro a quasi 4 mila
persone.
Un network capillare, diffuso
in tutte le regioni con punti di forza in Lombardia (sono 34), Veneto (29), Piemonte (23), Emilia e
Lazio (18 a testa), a cui si aggiungono altri 260 store in franchising.
I fondi pretendenti
In pratica è stato affisso il cartello vendesi sul network nato poco più di un anno fa dall’integrazione tra la Sgm distribuzioneMarco Polo, che ha così abbandonato la centrale d’acquisto e le
insegne Expert, e la stessa Unieuro il cui marchio è stato adottato
dal nuovo gruppo. Il dossier è all’esame di alcuni pretendenti, tut-
Altro
Bilancio chiuso il 28-02-2015,
dati in milioni di euro
Telefonia
10%
25%
Piccoli
elettrodomestici
Computer
e tecnologia
23%
9%
Bianchi
13%
Tv e hi-fi
20%
ti nomi noti del private equity, anche se non è scontato che si arrivi
davvero a un passaggio di mano.
Questione di prezzo e di aspettative del venditore, in un affare che
viene stimato attorno a 300 milioni. Almeno è quanto si può dedurre sulla base dell’ebitda: si
tratta di 57 milioni nell’esercizio
fiscale chiuso il 28 febbraio scorso, con un’incidenza del 4% sui ricavi che colloca Unieuro nella fascia alta del settore. Il tutto con
una buona posizione di cassa e
debiti netti limitati a 35,5 milioni.
A prendere l’iniziativa è stato il
fondo Rhone capital, determinato
a valorizzare il suo investimento
che vale il 70% del capitale in associazione con il gruppo inglese
Dixons (15%), i manager capitanati dal ceo Giancarlo Nicosanti
Monterastelli (5%) e il presidente
1
I conti del 2015
Ricavi
1.397
Utile
lordo
355
Ebitda
57
Debiti
netti
Tappe d’integrazione
35
Giuseppe Silvestrini (10%), veterano del settore, un imprenditore
che conosce il commercio di elettrodomestici come nessun altro.
La Rhone capital, sede a
Manhattan nel Rockefeller center
e uffici a Londra e Parigi, è il regno del finanziere italoamericano
Robert Agostinelli che l’ha fondata assieme a Steven Lagman un ex
Soci Robert Agostinelli
e Giuseppe Silvestrini
aveva anche provato a uscirne, affinandosi ai buoni uffici della Citigroup per cercare un compratore. Ma senza esito. Meglio allora
raddoppiare la posta e aggiungere valore. L’occasione si è presentata quando l’inglese Dixons,
stanca di perderci soldi, ha messo
in vendita la Unieuro. Qualche
mese di negoziato e nell’autunno
2013 è stato varato il merger che
ha dato vita al secondo player nazionale. Una sorta di ritorno a casa per il fondo Rhone che era stato assieme a JP Morgan e Mcc-Sofipa tra i soci di Oscar Farinetti fino al 2002, quando l’attuale
patron di Eataly aveva venduto la
catena di elettrodomestici fondata dal padre facendosela pagare a
peso d’oro dalla Dixons, ben
528milioni.
Pparra
collega della Lazard ai tempi in
cui erano entrambi tra i protetti
del banchiere Michel David Weill.
Agostinelli, 62 anni, è un tycoon
ben conosciuto nel mondo degli
affari così come nel jet set e nei
circoli conservatori. Buon amico
della famiglia Bush, di José Maria
Aznar e di Nicolas Sarkozy. Vanta
storiche entrature anche in Italia,
per esempio in Intesa Sanpaolo e
alle Generali, almeno fino a prima dell’arrivo come ceo di Mario
Greco.
Non ha avuto sempre fortuna,
per esempio nei Cantieri del Pardo (Gran Soleil). Mentre gli è andata meglio con la Sgm-Marco
Polo, la società di Silvestrini che
fino a due anni fa era il pezzo più
grande del consorzio Expert.
Rhone capital vi ha investito nel
lontano 2005 e qualche anno fa
L’integrazione tra Unieuro e
Sgm è stata realizzata a tempo di
record. Poco più di un anno per
unificare il quartier generale a
Forlì, le piattaforme logistiche a
Piacenza, l’information technology e i siti web, che generano 76
milioni di vendite online con un
ritmo di crescita a doppia cifra. Il
primo esercizio completo dopo il
merger si è chiuso con 1,4 miliardi
di ricavi in crescita del 9,8% sul
pro-forma aggregato delle due catene d’origine. L’ebitda è a quota
56,7 milioni, ossia quasi tre volte il
precedente che era influenzato
dal margine negativo (-13,3 milioni) degli store Unieuro. E la rete si è arricchita con gli otto «travel store» negli aeroporti appena
ceduti al gruppo dalla Dixons. Potrebbe essere il timing giusto per
vendere con un buon ritorno, visto che un acquirente potrebbe
sfruttare la fase di consolidamento tra i retailer dell’elettronica di
consumo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gruppo Lvmh
Loro Piana rafforza il vertice, in arrivo Alberto Festa da Bulgari
S
i rafforza il vertice di Loro Piana. Nel gruppo italiano, di proprietà del colosso francese Lvmh, è, infatti, in arrivo Alberto Festa
destinato a occuparsi, secondo indiscrezioni,
di Europa, Russia e Middle East. Festa lavora
già per Lvmh, essendo attualmente a capo di
Bulgari Usa, e ha precedenti esperienze di largo consumo (Bristol-Myers Squibb divisione
Matrix e Mattel). Dal quartier generale della
società non commentano, come è tradizione.
Assumerà l’incarico a partire da luglio.
E a luglio saranno trascorsi tre anni da
quando il gruppo francese di Bernard Arnault
ha acquistato l’80 per cento dell’azienda italiana a un prezzo superiore ai 2 miliardi di euro. I primi due anni sono stati passati «a studiare», come ha ricordato in una recente intervista a Corriere Economia Antoine Arnault,
figlio di Bernard che di Loro Piana è presidente. «Noi abbiamo una sessantina di brand nel
nostro gruppo e conosciamo bene le logiche
del mercato del lusso — spiegava Arnault jr
—, ma il caso Loro Piana è molto specifico. Ha
un posizionamento fantastico e il nostro
obiettivo è cambiare il meno possibile».
Adesso, però, è arrivato il momento dello svi-
luppo, in particolare sui mercati esteri come
era stato preannunciato.
Con lo scadere dei tre anni dall’ingresso nel
capitale, si potrebbe aprire anche una nuova
fase societaria. Le intese sottoscritte a suo
tempo prevedono che dopo tre anni Lvmh
possa rilevare il 20% che è rimasto nelle mani della famiglia fondatrice. Arnault ha, però,
già detto che il rapporto con i Loro Piana è ottimo e «non c’è ragione di non continuare insieme».
M. S. S.
J
eff Bezos, il gran capo di Amazon,
progetta di usarli per le consegne di
pacchi. Google è al lavoro su un progetto simile per portare Internet
nelle zone più remote, tanto che si è
comprato la Titan aerospace, un produttore di robot volanti. Quello dei droni è un mercato con un potenziale inesplorato anche in campo civile. Che attira molti.
Ma chi penserebbe di associare gli
Apr (aeromobili a pilotaggio remoto)
anche alla Curia di Bergamo? Eppure è
proprio una start-up orobica, la Dronica, l’ultimo dossier vagliato dalla 035 Investimenti, la holding di private equity
promossa tre anni fa dalla Diocesi locale e da un club di esponenti dell’imprenditoria con base nella città. Dalla Italmobiliare dei Pesenti a Domenico Bosatelli (Gewiss), da Angelo Radici (filati
sintetici) alla famiglia Zanetti (latte), fino ai Sestini della Siad (gas tecnici). La
Curia, attraverso l’Opera diocesana San
Narno, ha il 25%, seguita dai cugini della Isa di Trento con il 20% e dalla platea
dei privati con quote del 5-10%.
Ad attirare l’interesse di Roberto
Guerini, commercialista, vicepresidente
di Italcementi e a capo della 035 Investimenti, è stata l’iniziativa di Luca Rettore
(nella foto), Ferdinando Longhi e Giacomo Parlanti, un gruppo di giovani
amici (età comprese tra 27 e 47
anni) che costituisce un team
ben aff iatato
con tutte le professionalità necessarie: c’è il pilota di voli commerciali, l’inform a t i c o ,
l’ingegnere aerospaziale.
È nata così la Dronica con questo
obiettivo: mettere a disposizione gli Apr
per videoriprese aeree, fotogrammetria
e termografia utilizzabili nei campi della comunicazione, sicurezza, agricoltura, tutela idrogeologica del territorio e
altri campi ancora.
I soci operativi hanno il 40% mentre
la 035 Investimenti ha sottoscritto il
35% del capitale e dei relativi finanziamenti soci per far decollare la start-up.
Tra gli altri soggetti contattati ha aderito, con il 15%, anche il Patronato San
Vincenzo di Bergamo il cui superiore,
don Davide Rota, ha sposato l’iniziativa
per le ricadute che può avere sugli studenti dell’ente, attivo nei tirocini e nella
formazione professionale dei giovani.
Le cifre in campo sono in questa fase
abbastanza modeste, visto che si tratta
di un progetto in fase di sviluppo e che
la Dronica non fabbricherà i droni del
cielo che utilizza per i clienti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
C. TUR.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nomi storici Il rilancio sotto la regia di Europa investimenti. Nasce una linea di abbigliamento. Resta nel limbo il marchio delle due ruote ora di Piaggio
Laverda esce dal garage e torna per vestire i centauri
Comprata da un fallimento, è gestita da Cose Belle d’Italia, polo con focus sul rilancio di brand italiani
È
stato uno dei marchi
icona dei centauri negl i a n n i S e t t a n t a ,
quando ha raggiunto il picco
di notorietà con il modello
da competizione 750 SFC
sfidando la rivale Ducati.
La Laverda oggi è uno dei
modelli «in sonno» della
scuderia di moto Piaggio,
assieme a Gilera e Derbi,
eredità del salvataggio, oltre
dieci anni fa, del gruppo
Aprilia da parte di Roberto
Colaninno. Ma nell’immaginario dei motociclisti appassionati di due ruote vintage,
il brand rotondo stampato
sul Tricolore, fondato negli
anni Cinquanta dall’imprenditore delle omonime macchine agricole Francesco La-
verda e dal tecnico Luciano
Zen, esercita ancora fascino.
Non solo dal punto di vista
motoristico ma anche da
quello dell’abbigliamento e
degli accessori.
Ne è convinto il team che
guida Europa investimenti,
la società che investe in realtà da ristrutturate e rilanciare, guidata dall’ex Citibank,
Stefano Vegni, presidente, e
dal vice operativo Tommaso
Micaglio, ex Dea alternative,
più altri manager come Ennio Vitullio e Stefano Bennati (entrambi già i2 capital).
Tutti soci dell’investment
company.
Adesso la squadra si impegnerà nell’avventura Laverda cercando di resuscita-
re il marchio storico per l’abbigliamento che rispetto alla
due ruote finita a Piaggio ha
seguito un altro percorso.
Era stato rilevato anni fa dalla vicentina Alteo che non è
riuscita nel rilancio della
collezione. E che ora passa la
mano. L’acquisto del marchio nel quadro di una procedura fallimentare avverrà
attraverso Cose belle d’Italia, controllata di Europa investimenti. Si tratta della
piattaforma di investimento
di Vegni e Micaglio nei
brand un tempo icona, ora
appannati da crisi finanziarie o industriali.
Il progetto è alle battute
iniziali ma l’idea è di costituire un team creativo affidato
Volti Tommaso Micaglio,
Europa investimenti
a Roberto Del Biondi, l’imprenditore designer la cui
azienda, finita in concordato
un paio di anni fa, è ora nella
scuderia di Cose belle d’Italia. Serviranno le competenze nel design maturate da
Del Biondi che ha lavorato in
passato per Gucci, Prada e
Dior.
La strategia del gruppo
Europa investimenti è comunque di coinvolgere gli
imprenditori, che spesso restano soci di riferimento, e
fornire il necessario supporto al rilancio. Del Biondi, a
cui fa capo un centro stile
che lavora anche per Tommy Hilfiger, PZero, Blauer, e
Calvin Klein, adesso si metterà all’opera per realizzare
un progetto industriale e distributivo. Si partirà dall’archivio storico della Laverda
per riprodurre giacche, calzature e accessori per centauri appassionati di marchi
vintage. È un’iniziativa che
ha intrapreso anche la famiglia di Franco Malenotti, l’ex
proprietario della Belstaff,
impegnato nel rilancio del
look dei cultori del marchio
di moto inglesi Matchless.
Anche se l’imprenditore della «M alata» ha voluto riavviare anche la produzione di
qualche modello più famoso
di due ruote per supportare
il business abbigliamento.
Intanto è già partita la ricerca di partner distributivi
in Europa e nell’area Asia e
Pacifico e l’intenzione di arrivare a settembre con i primi modelli griffati Laverda
con un investimento iniziale
di 500mila euro. La strategia
è ripetere quanto avvenuto
con il salvataggio di altre
aziende ora in portafoglio. È
il caso della Vismara Marine
attiva nelle imbarcazioni a
vela e motor yacht, controllata al 100% ma gestita in
tandem con Alessandro Vismara. Oppure quello del
polo editoriale costituito da
Amadeus, Mondo del Golf e
Madia, oltre a Utet grandi
opere e Fmr fondata da
Franco Maria Ricci.
La fine del percorso della
piattaforma di investimenti
con focus sul rilancio di
brand storici del made in
Italy sarà l’apertura del capitale a nuovi soci. Ossia partner internazionali interessati a un portafoglio già costruito di marchi nazionali e
che proseguiranno nelle fasi
successive dello sviluppo
del business di ciascun ramo di attività.
DANIELA POLIZZI
© RIPRODUZIONE RISERVATA