LA NEWSLETTER IN SINTESI APPROFONDIMENTI IN EVIDENZA

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LA NEWSLETTER IN SINTESI APPROFONDIMENTI IN EVIDENZA
Newsletter Giuridica di Filodiritto - Numero 312 - 26 ottobre 2009
Tribunale di Bologna, Registro della stampa, 24 luglio 2007, n.7770
Direttore responsabile Antonio Zama
LA NEWSLETTER IN SINTESI
APPROFONDIMENTI IN EVIDENZA SU FILODIRITTO
- Armin Kapeller:
L'OBBLIGO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI NEL DIRITTO SVIZZERO
- Massimiliano Molinari:
ALCUNE RIFLESSIONI ATTORNO AI PRIMI COMMA DEGLI ARTICOLI 594 E 599
DEL CODICE PENALE
- Giuseppe Febbo:
IL VINCOLO DI GIUSTIZIA IN AMBITO F.I.G.C. NON OPERA IN RELAZIONE A
FATTISPECIE CHE INTEGRI GLI ESTREMI DI UN REATO
Publio Cornelio Tacito
ANNALI
RASSEGNA DI NOTIZIE
- CORTE COSTITUZIONALE:
NO ALLA SOSPENSIONE DEL PROCESSO PENALE PER LE ALTE CARICHE DELLO
STATO
- CASSAZIONE CIVILE:
RISARCIMENTO DEL DANNO FUTURO DI SOGGETTO NON PRODUTTIVO DI
REDDITO
- CASSAZIONE CIVILE:
PARCHEGGIO PERTINENZIALE NEL SOTTOSUOLO CONDOMINIALE
- MINISTERO LAVORO:
IL FRANCHISING PER LE AZIENDE DI SERVIZI
Friedrich Dürrenmatt
IL MATRIMONIO DEL SIGNOR MISSISSIPPI
INIZIATIVE ON LINE
- ASSO CTU
FOCUS
- TRIBUNALE TORRE ANNUNZIATA: CONSUMATORI, DENUNCIA DEI VIZI DELLA
COSA ACQUISTATA
Philip Matyszak
ROMA ANTICA PER 20 SESTERZI AL GIORNO
CONTRIBUTI DOTTRINARI DALL'ARCHIVIO DI FILODIRITTO
- IL CASO BWIN: IL DIVIETO AD UN OPERATORE AUTORIZZATO DELL’ESERCIZIO
DI GIOCHI DI AZZARDO SU INTERNET NON VIOLA IL DIRITTO COMUNITARIO Michele Giannino
- IL DELITTO DI CONTRAFFAZIONE, ALTERAZIONE O USO DI MARCHI O SEGNI
DISTINTIVI OVVERO DI BREVETTI, MODELLI E DISEGNI (ART. 473 C.P.) Maurizio Arena
- RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE: RIDUZIONE DEI RITI E RIFORMA DEL
PROCESSO TRIBUTARIO - Maurizio Villani
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- LA SENTENZA SUCCINTAMENTE MOTIVATA - Davide Prinari
- QUANDO LE SOCIETÀ ED ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE
SUPERANO IL PLAFOND PREVISTO DALLA LEGGE N. 398/91- Massimiliano Giua e
Pietro Accardi
Silvana Balbi De Caro
LA BANCA A ROMA
APPROFONDIMENTI IN EVIDENZA SU FILODIRITTO
- Diritto comunitario, diritto dei Paesi dell'Unione Europea:
L'OBBLIGO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI NEL DIRITTO SVIZZERO
Dott. Armin Kapeller
- Diritto penale:
ALCUNE RIFLESSIONI ATTORNO AI PRIMI COMMA DEGLI ARTICOLI 594 E 599
DEL CODICE PENALE
Dott. Massimiliano Molinari
- Diritto dello sport:
IL VINCOLO DI GIUSTIZIA IN AMBITO F.I.G.C. NON OPERA IN RELAZIONE A
FATTISPECIE CHE INTEGRI GLI ESTREMI DI UN REATO
Avv. Giuseppe Febbo
Publio Cornelio Tacito
(55-117)
ANNALI
Libro Terzo
XXXIII. In tale occasione, Severo Cecina propose che nessun magistrato, incaricato di
reggere una provincia, potesse farsi accompagnare dalla moglie: ciò dopo aver a più
riprese affermato d'essere in armonia con la propria sposa, che gli aveva dato sei figli, e
d'aver già applicato nella sua casa ciò che proponeva per tutti, poiché sua moglie era
sempre rimasta in Italia pur avendo egli trascorso quarant'anni di servizio nelle diverse
province. Non senza ragione si era un tempo decretato che non si conducessero donne
fra gli alleati o fra genti straniere. La compagnia femminile è per sua natura capace di
intralciare le opere di pace col lusso, i doveri della guerra con la paura, e di assimilare un
esercito romano in marcia a un'avanzata di barbari. Non solo il sesso femminile è debole
ed impari alle fatiche ma, ove gli sia data libertà, è anche crudele, intrigante, assetato di
potere. Le donne, procedendo fra i soldati, sanno tenere ai loro ordini i centurioni: non
era passato molto tempo da che una donna aveva presieduto alle esercitazioni delle
coorti, alle manovre delle legioni*; considerassero i senatori quante volte, nei processi di
malversazione, le responsabilità maggiori fossero da addossare alle mogli. A esse si
legavano subito i peggiori elementi della provincia, esse intraprendevano e concludevano
affari; doppie le scorte d'onore, doppi i pretori; e tanto piu sfrontato e senza freno era
l'imperio delle donne che, vincolate un tempo dalle leggi Oppie** e da altri decreti,
avendo infrante ora tali barriere, dirigevano le case, il foro e anche gli eserciti.
* Si allude a Plancina, moglie di Pisone.
** Istituita nel 215 a.C., la Legge Oppia aveva lo scopo di moderare l'esibizione del lusso
femminile.
[Traduzione di Annamaria Rindi, Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1965, pp.119-120].
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RASSEGNA DI NOTIZIE
Diritto
costituzionale,
procedura
penale:
CORTE
COSTITUZIONALE:
NO ALLA SOSPENSIONE DEL PROCESSO PENALE PER LE ALTE CARICHE DELLO
STATO
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge
23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei
confronti
delle
alte
cariche
dello
Stato).
Sotto
un
primo
profilo
la
Consulta
ha
affermato
che:
- "Il problema dell’individuazione dei limiti quantitativi e qualitativi delle prerogative
assume una particolare importanza nello Stato di diritto, perché, da un lato, come già
rilevato da questa Corte, «alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio
della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» (sentenza n. 24 del 2004) e,
dall’altro, gli indicati istituti di protezione non solo implicano necessariamente una deroga
al suddetto principio, ma sono anche diretti a realizzare un delicato ed essenziale
equilibrio tra i diversi poteri dello Stato, potendo incidere sulla funzione politica propria
dei diversi organi. Questa complessiva architettura istituzionale, ispirata ai
princípi della divisione dei poteri e del loro equilibrio, esige che la disciplina
delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione debba essere intesa
come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e
assetto di interessi costituzionali; sistema che non è consentito al legislatore
ordinario
alterare
né
in
peius
né
in
melius.
Tale conclusione, dunque, non deriva dal riconoscimento di una espressa riserva di legge
costituzionale in materia, ma dal fatto che le suddette prerogative sono sistematicamente
regolate da norme di rango costituzionale. Tali sono, ad esempio, le norme che attengono
alle funzioni connesse alle alte cariche considerate dalla norma denunciata, come: l’art.
68 Cost., il quale prevede per i parlamentari (e, quindi, anche per i Presidenti delle
Camere) alcune prerogative sostanziali e processuali in relazione sia a reati funzionali
(primo comma) sia a reati anche extrafunzionali (secondo e terzo comma); l’art. 90
Cost., il quale prevede l’irresponsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti
compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato
alla Costituzione; l’art. 96 Cost., il quale prevede per il Presidente del Consiglio dei
ministri e per i ministri, anche se cessati dalla carica, la sottoposizione alla giurisdizione
ordinaria per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, secondo modalità stabilite
con
legge
costituzionale".
Sotto
un
secondo
profilo,
la
Consulta
ha
argomentato
come
segue:
- "La denunciata sospensione è, infatti, derogatoria rispetto al regime processuale
comune, perché si applica solo a favore dei titolari di quattro alte cariche dello Stato, con
riferimento ai processi instaurati nei loro confronti, per imputazioni relative a tutti gli
ipotizzabili reati, in qualunque epoca commessi e, in particolare, ai reati extrafunzionali,
cioè estranei alle attività inerenti alla carica. La deroga si risolve, in particolare, in una
evidente disparità di trattamento delle alte cariche rispetto a tutti gli altri cittadini che,
pure, svolgono attività che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose,
come quelle connesse a cariche o funzioni pubbliche (art. 54 Cost.) o, ancora piú
generalmente, quelle che il cittadino ha il dovere di svolgere, al fine di concorrere al
progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, Cost.).
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È ben vero che il principio di uguaglianza comporta che, se situazioni uguali esigono
uguale disciplina, situazioni diverse possono richiedere differenti discipline. Tuttavia, in
base alla giurisprudenza di questa Corte citata al punto 7.3.1., deve ribadirsi che, nel
caso in cui la differenziazione di trattamento di fronte alla giurisdizione riguardi il titolare
o un componente di un organo costituzionale e si alleghi, quale ragione giustificatrice di
essa, l’esigenza di proteggere le funzioni di quell’organo, si rende necessario che un tale
ius singulare abbia una precisa copertura costituzionale. Si è visto, infatti, che il
complessivo sistema delle suddette prerogative è regolato da norme di rango
costituzionale, in quanto incide sull’equilibrio dei poteri dello Stato e contribuisce a
connotare
l’identità
costituzionale
dell’ordinamento.
Le pur significative differenze che esistono sul piano strutturale e funzionale tra i
Presidenti e i componenti di detti organi non sono tali da alterare il complessivo disegno
del Costituente, che è quello di attribuire, rispettivamente, alle Camere e al Governo, e
non ai loro Presidenti, la funzione legislativa (art. 70 Cost.) e la funzione di indirizzo
politico ed amministrativo (art. 95 Cost.). Non è, infatti, configurabile una preminenza del
Presidente del Consiglio dei ministri rispetto ai ministri, perché egli non è il solo titolare
della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l’unità, promuovendo e
coordinando l’attività dei ministri e ricopre, perciò, una posizione tradizionalmente
definita
di
primus
inter
pares".
La Corte ha così concluso: "la sospensione processuale prevista dalla norma
censurata è diretta essenzialmente alla protezione delle funzioni proprie dei
componenti e dei titolari di alcuni organi costituzionali e, contemporaneamente,
crea un’evidente disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione. Sussistono,
pertanto, entrambi i requisiti propri delle prerogative costituzionali, con
conseguente inidoneità della legge ordinaria a disciplinare la materia. In
particolare, la normativa censurata attribuisce ai titolari di quattro alte cariche
istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo, che non è
desumibile dalle norme costituzionali sulle prerogative e che, pertanto, è privo
di copertura costituzionale. Essa, dunque, non costituisce fonte di rango idoneo
a
disporre
in
materia".
(Corte Costituzionale, Sentenza 19 ottobre 2009, n.262: Sospensione del
processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato - Incostituzionalità).
- Diritto processuale civile, diritto della responsabilità civile e risarcimento dei danni:
CASSAZIONE
CIVILE:
RISARCIMENTO DEL DANNO FUTURO DI SOGGETTO NON PRODUTTIVO DI
REDDITO
La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla risarcibilità e sulle modalità di liquidazione
del danno patrimoniale futuro di soggetti non ancora produttivi di reddito a causa della
giovane
(o
giovanissima)
età.
La Corte afferma innanzitutto che “è indubbia la validità generale (e quindi anche nelle
fattispecie come quella in esame) del principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e del
principio secondo cui (ex art. 1226 cod. civ.) è consentita la liquidazione equitativa del
danno solo se quest’ultimo è provato (o non è contestato) nella sua esistenza e non
dimostrabile, se non con grande difficoltà, nel suo preciso ammontare”.
Secondo la Corte “il modo con cui tali due principi sono stati applicati ha talora condotto a
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rendere in sostanza la liquidabilità del danno in questione meramente teorica ma non
concretamente realizzabile in pratica”, e aggiunge “È in realtà ovvio che è (quasi) sempre
impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno futuro; infatti,
persino se il danneggiato produceva un reddito al momento del sinistro, l’evoluzione
successiva della sua capacità di produrlo (ovviamente nell’eventualità che il sinistro
medesimo non si fosse verificato) può essere oggetto solo di un giudizio prognostico
meramente probabilistico (potrebbe infatti persino accadere che in concreto tale capacità
venga successivamente a mancare) basato su presunzioni; la più importante e basilare
delle quali è certamente costituita dall’entità del reddito già prodotto. È palese che tale
impossibilità è ancora più evidente nell’ipotesi di danneggiato che al momento del sinistro
non produceva reddito, in quanto in tal caso viene meno pure quell’elemento presuntivo
che
è
costituito
dall’entità
del
reddito
già
prodotto”.
Tuttavia, “Ciò non significa però che tale danneggiato debba sempre e comunque restare
privato (applicando un errato “rigore” interpretativo che porterebbe in concreto ad
escludere sempre la liquidabilità in questione) del risarcimento del danno patrimoniale;
che ben può essere liquidato invece in base ad una corretta interpretazione della
normativa in questione (in particolare in tema di presunzioni). Va precisato a questo
punto che è nell’ordine naturale delle cose che un soggetto ancora in età scolastica,
qualora non abbia particolari deficienze, in futuro produrrà un reddito. Si potrà discutere
in ordine all’entità di tale presumibile reddito futuro in relazione agli elementi prognostici
offerti, con riferimento allo specifico soggetto in questione, dalle risultanze processuali
della
particolare
causa
di
cui
si
tratta”.
La Cassazione ha così elaborato questo principio di diritto (nel solco di un ormai
consolidato filone interpretativo): “In tema di risarcimento di danno patrimoniale
subito da una persona minore o comunque in età giovanile, qualora sia
accertata non una “micro permanente” ma una percentuale superiore di
invalidità permanente, la mera circostanza che il soggetto danneggiato,
all’epoca dell’incidente, non avesse una specifica capacità professionale e non
svolgesse attività lavorativa non autorizza ad escludere un danno futuro solo
sulla base di ciò e senza ulteriori indagini. Al contrario il Giudice, con giudizio
prognostico fondato su basi probabilistiche, deve valutare se ed in che misura i
postumi permanenti ridurranno la futura capacità di guadagno di detta persona,
tenendo conto in primo luogo della percentuale di invalidità medicalmente
accertata, della natura e qualità dei postumi stessi, dell’orientamento
eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata
attività redditizia, degli studi da lui portati a termine, dell’educazione ricevuta
dalla famiglia nonché delle presumibili opportunità di lavoro che si
presenteranno al danneggiato anche in relazione al prevedibile futuro mercato
del lavoro; ed in secondo luogo della posizione sociale ed economica di
quest’ultima; nonché di ogni altra circostanza rilevante (ferma restando la
possibilità per colui che è chiamato a rispondere di dette lesioni di dimostrare
che il minore, da quel particolare tipo di invalidità, non risentirà alcun danno o
risentirà danni minori rispetto a quelli prospettati). In assenza di riscontri
concreti dai quali desumere gli elementi suddetti, (e, perciò, in mancanza della
possibilità di ricorrere alla prova presuntiva), la liquidazione potrà avvenire
attraverso il ricorso al triplo della pensione sociale. La scelta tra l’uno o l’altro
tipo di liquidazione costituisce un giudizio tipicamente di merito ed è, pertanto,
insindacabile
in
sede
di
legittimità
se
congruamente
motivata”.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, 30 settembre 2009, n.20943:
Risarcimento danno futuro del giovane).
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- Diritto immobiliare, del condominio e dei diritti reali, diritto processuale civile:
CASSAZIONE CIVILE:
PARCHEGGIO PERTINENZIALE NEL SOTTOSUOLO CONDOMINIALE
La Cassazione ha giudicato del tutto corrette le motivazioni e le conclusioni ha cui è
pervenuta la Corte d'appello in un giudizio relativo alla realizzazione di parcheggi
pertinenziali nel sottosuolo del condominio.
In particolare:
- la sottrazione del sottosuolo comune al pari uso di tutti i condomini per la edificazione di
autorimesse di proprietà esclusiva di una parte di essi trova giustificazione nel disposto
dell'articolo 9 della legge 122/1989;
- la detta norma si riferisce esclusivamente al sottosuolo o ai locali siti al piano terreno e
non ad altri beni comuni;
- il richiamo al secondo comma dell'articolo 1120 c.c. operato dall'articolo 9 della legge
122/1989 è riferibile solo ai beni comuni diversi dal sottosuolo;
- è possibile realizzare box sotterranei - previa delibera condominiale approvata con la
maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136 c.c. - pur se in numero inferiore
a quello della totalità dei condomini non potendo i condomini dissenzienti impedire tale
realizzazione voluta invece dalla maggioranza dei partecipanti al condominio;
- è lecito l'uso del sottosuolo per frazioni corrispondenti alle singole autorimesse
pertinenziali da realizzare - con esclusione di qualsiasi uso su ciascuna porzione da parte
di tutti gli altri condomini - purché venga rispettato il pari diritto sul sottosuolo comune in
capo ai condomini contrari o rimasti estranei all'innovazione di tale bene comune;
- tale rispetto è assicurato ove il numero delle autorimesse sotterranee realizzate sia
inferiore al numero delle unità di proprietà esclusiva ed ove sia possibile per i condomini
dissenzienti "senza restrizioni o difficoltà maggiori di quelle degli altri condomini", dotare
"le loro unità di analoghe autorimesse pertinenziali sotterranee".
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 18 settembre 2009,
n.20254).
- Diritto dei contratti e delle obbligazioni, diritto commerciale, diritto del lavoro:
MINISTERO LAVORO:
IL FRANCHISING PER LE AZIENDE DI SERVIZI
Il Ministero del Lavoro ha risposto ad una istanza di interpello formulata dalla
Confcommercio in ordine alla applicazione del contratto di franchising di alla L. n.
129/2004 alle aziende di servizi e alla gestione dei relativi rapporti di lavoro instaurati dal
franchisor e dal franchisee.
Innanzitutto il Ministero non si ravvisa motivi per escludere il ricorso al franchising da
parte di soggetti che svolgono attività nel settore dei servizi. Quanto alla gestione dei
rapporti di lavoro facenti capo al franchisor ed al franchisee, il Ministero afferma che il
franchisee o il franchisor soggiacciono alle vigenti disposizioni in materia di rapporti di
lavoro alla stregua di ogni altro soggetto di natura imprenditoriale. "Ne deriva, in capo al
franchisor e al franchisee, la piena e assoluta titolarità del potere direttivo sulla forza
lavoro alle rispettive dipendenze e la responsabilità esclusiva di ciascuno degli
imprenditori individualmente per quanto riguarda gli obblighi e le responsabilità relativi ai
rapporti di lavoro utilizzati nelle proprie organizzazioni. L’appartenenza alla rete di
franchising infatti non incide sui normali criteri di imputazione dei rapporti di lavoro anche
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quando, elementi che in altre circostanze potrebbero essere ritenuti sintomatici di una
unicità di impresa trovino invece adeguato e razionale riscontro in un genuino rapporto di
franchising. Da ciò discende, inoltre, che i diritti dei lavoratori possono essere esercitati
esclusivamente nei confronti del proprio datore di lavoro (franchisor ovvero franchisee)
che, unico responsabile del rapporto di lavoro, rimane altresì unico destinatario di cause o
rivendicazioni eventualmente avanzate dai propri dipendenti".
(Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Interpello 12 ottobre
2009, n.73: Il franchising per le aziende di servizi).
DAL 2001 FILODIRITTO PUBBLICA LE NOTIZIE DEL GIORNO - VISITA
L'ARCHIVIO
Friedrich Dürrenmatt
(1921-1990)
IL MATRIMONIO DEL SIGNOR MISSISSIPPI
(Parte prima)
MISSISSIPPI (in tono cupo) È stata la peggiore mezz'ora della mia vìta.
ANASTASIA (sconvolta) Questo è dunque il destino che ci incatena l'uno all'altro.
MISSISSIPPI (esausto) Abbiamo confessato l'uno all'altro quello che abbiamo fatto.
ANASTASIA Lei ha ucciso e io ho ucciso. Siamo ambedue degli assassini.
MISSISSIPPI (con fermezza) No, gentile signora, io non sono un assassino. Tra il mio
gesto e il suo c'è un'enorme differenza. Ciò che lei ha fatto spinta da un impulso
mostruoso, io l'ho fatto per convinzione morale. Lei ha ammazzato suo marito, e io ho
giustiziato mia moglie.
ANASTASIA (spaventata da morire) Giustiziata?
MISSISSIPPI (con orgoglio) Giustiziata.
ANASTASIA Non so come intendere queste sue parole.
MISSISSIPPI Alla lettera. Ho avvelenato mia moglie perché per il suo adulterio era rea di
morte.
ANASTASIA In nessun codice del mondo l'adulterio viene punito con la morte.
MISSISSIPPI Nella legge mosaica.
ANASTASIA Da allora sono passati migliaia d'anni.
MISSISSIPPI Proprio per questo sono fermamente deciso a reintrodurla di nuovo.
ANASTASIA Lei è pazzo.
MISSISSIPPI Sono soltanto un uomo assolutamente morale, gentile signora. Nel corso
dei secoli le nostre leggi hanno vergognosamente perso il loro primitivo rigore.
Sono cartamoneta ormai fuoricorso, che per rispettare le convenienze continua
a circolare in una società la cui unica religione è il piacere, che ha favorito la
rapina e traffica in donne e petrolio. Solo degli idealisti ignari di come va il
mondo possono credere che l'assegno, con cui la giustizia paga, sia coperto.
Paragonato con la legge dell'Antico Testamento che in caso di adulterio
prescriveva la morte di ambedue i colpevoli, il nostro codice civile è una vera e
propria beffa. Per questo sacrosanto motivo era indispensabile che io uccidessi
mia moglie. Occorreva invertire il corso della storia di un mondo che ha lasciato
perdere la legge e ha acquistato una libertà che neanche per un attimo può
trovare una giustificazione morale.
ANASTASIA Se è cosi, non riesco assolutamente a capire perché lei mi chieda di sposarla.
MISSISSIPPI Lei è molto bella. Eppure è colpevole. Lei mi commuove profondamente.
ANASTASIA (esitante) Lei mi ama?
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MISSISSIPPI Lei è un'assassina, gentile signora, e io sono il procuratore
generale. Eppure è meglio essere colpevoli che vedere le colpe altrui. Di una
colpa ci si può pentire, mentre vedere le colpe degli altri può essere letale. Per
venticinque anni la mia professione mi ha messo faccia a faccia con le colpe
altrui ed è uno spettacolo che mi ha distrutto. Intere notti ho implorato che mi
fosse concessa la forza di amare almeno una persona. Invano. Non sono piu
capace di amare chi è perduto, sono solo capace di uccidere. Sono diventato una
belva che balza alla gola dell'umanità intera.
ANASTASIA (rabbrividendo) E ciononostante ha espresso il desiderio di sposarmi.
MISSISSIPPI Proprio l'idea assoluta di giustizia mi costringe a compiere questo passo. Ho
giustiziato Madeleine da privato cittadino, non da cittadino di uno Stato. Facendo così ho
violato le leggi oggi in vigore. Per questa mia azione devo essere punito, anche se le mie
motivazioni erano pure come l'acqua di fonte. In questi tempi infami sono tuttavia
costretto a essere il giudice di me stesso. Ho pronunciato la mia sentenza. Mi sono
condannato a sposarla.
[Teatro, Edizione a cura di Angelo Bernardi, Einaudi, 2002, pp.276-277]
INIZIATIVE ON LINE
Segnaliamo la nascita di Asso CTU - Associazione Nazionale dei Consulenti Tecnici
del Tribunale in Materia Bancaria e Finanziaria, presieduta dal Dott. Roberto
Marcelli.
L'associazione ha lo scopo di fornire un punto di riferimento per le problematiche tecniche
che si incontrano negli incarichi peritali svolti per i Tribunali e per favorire incontri di
formazione, informazione e confronto fra esperti del settore.
Per maggiori informazioni rinviamo al sito http://www.assoctu.it.
FOCUS
- Diritto della responsabilità civile e del risarcimento dei danni, diritto processuale civile:
TRIBUNALE
TORRE
ANNUNZIATA:
CONSUMATORI,
DENUNCIA
DEI
VIZI
DELLA
COSA
ACQUISTATA
In tema di diritti del consumatore, la domanda intesa ad ottenere l’accertamento
nella cosa compravenduta della sussistenza di vizi, che determinino l’obbligo del
venditore al ripristino della conformità del bene ovvero alla riduzione del
prezzo, deve essere rigettata nell’ipotesi in cui la denuncia delle difformità non
precisi
l’epoca
della
scoperta
delle
stesse.
È quanto stabilito dalla sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 25.06.2009.
La suddetta sentenza ha affermato il richiamato principio, sulla base di un’attenta
interpretazione dell’art. 132 comma 2 del Codice del consumo, a norma del quale “il
consumatore decade dai diritti previsti dall'articolo 130, comma 2, se non denuncia al
venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto
il
difetto”.
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La tempestività della denuncia nel caso di specie si configura quale condizione per la
valida proposizione dell’azione ex art. 130 C. d. c., in virtù della quale il consumatore, in
caso di difetto di conformità del bene consegnato rispetto a quello descritto nel contratto
di vendita, può richiedere “il ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante
riparazione o sostituzione (…), ovvero una riduzione adeguata del prezzo o (…) la
risoluzione
del
contratto”.
L’impossibilità di desumere – seppure sulla base di elementi presuntivi, che il
consumatore avrebbe potuto offrire anche in sede di formulazione delle istanze istruttorie
– l’epoca in cui si sono manifestati i pretesi vizi, cagiona la decadenza dalla proposta
azione,
alla
quale
consegue
il
rigetto
della
domanda.
A tal fine la richiamata sentenza precisa che “sarebbe stato onere dell’attrice provare la
tempestività della denuncia stessa” (pag. 5, cit.); mancando tale prova non può
desumersi con certezza la distanza temporale tra le denunce e la scoperta del vizio stesso
(ibidem).
La richiamata pronuncia si collega idealmente a quella giurisprudenza di merito che ha
contribuito a delineare i contenuti che la denuncia dovrebbe avere per rivestire piena
efficacia
nei
confronti
del
venditore
(o
del
produttore).
Oltre alla precisazione del tempo di insorgenza dei vizi la stessa dovrebbe caratterizzarsi
per una esposizione chiara delle doglianze, atteso che “ai fini della contestazione dei vizi
della cosa venduta, non può considerarsi valida la denuncia caratterizzata da una estrema
genericità delle contestazioni, prive di qualsiasi concreto riferimento alla tipologia e alla
natura delle difformità” (Trib. Monza, 20-03-2007). Un altro orientamento di merito ha
puntualizzato che in tema di azione di garanzia per i vizi della cosa venduta “anche se la
denuncia ex art. 1495 c.c. non richiede una forma o un contenuto particolari, essa deve
pur sempre consistere in un atto (…) che sia idoneo a manifestare l'intento del primo di
valersi della garanzia ed a mettere il venditore in condizione di verificare
tempestivamente la veridicità della doglianza” (App. Roma Sez. II, 27-10-2005). Ciò
anche a tutela della parte venditrice perché “la denuncia dei vizi della cosa venduta (…)
oltre allo scopo di far conoscere i vizi al venditore che li abbia eventualmente ignorati, ha
anche quello di consentire sollecitamente l’accertamento dell’entità e della causa degli
stessi, anche nell’interesse del venditore ai fini della sua eventuale rivalsa verso il proprio
fornitore”
(Trib.
Roma
Sez.
III,
24-01-2008).
La sentenza infine si segnala inoltre per aver ribadito in premessa il principio della
competenza territoriale esclusiva del luogo di residenza o domicilio del consumatore nelle
controversie tra consumatore e professionista, nel caso in cui non venga sollevata
un’eccezione di incompetenza territoriale a favore di altro foro, ma di diversa sezione
distaccata afferente la sede centrale del Tribunale (nella specie: il convenuto aveva
eccepito la competenza funzionale della Sezione distaccata di Castellammare di Stabia del
Tribunale di Torre Annunziata – foro del convenuto – rispetto al Tribunale di Torre
Annunziata
adito
dal
consumatore).
(Tribunale di Torre Annunziata - Sezione Seconda Civile, G. U. Dott.ssa Lara
Vernaglia
Lombardi,
Sentenza
19
giugno
2009).
[Avv. Vincenzo Grimaldi]
Newsletter Giuridica di Filodiritto - Numero 312 - 26 ottobre 2009
Tribunale di Bologna, Registro della stampa, 24 luglio 2007, n.7770
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Philip Matyszak
ROMA ANTICA PER 20 SESTERZI AL GIORNO
Un genere di teatro di strada molto apprezzato dagli intenditori è l'usanza di trascinare
qualcuno in tribunale. Secondo il sistema romano fai-da-te di applicazione delle leggi, una
volta fissato un appuntamento con il magistrato, la parte lesa deve assicurarsi che
l'imputato si presenti davanti al giudice. Ovviamente, più debole è la tesi difensiva
dell'imputato, più riluttante egli sarà a comparire in giudizio.
Per fare pressione sul convenuto, l'attore potrà ingaggiare uno specialista, che si
siederà sotto la finestra dell'imputato, o sulla strada fuori dalla sua porta, e gli
ululerà insulti e imprecazioni ben studiati, per la delizia dei passanti e la
mortificazione della vittima. Qualora l'oggetto di tali attenzioni dovesse mettere
il naso fuori dalla porta, verrà inseguito lungo la strada dal suo persecutore, che
informerà a gran voce tutti quanti della villania dell'accusato, e del suo vigliacco
rifiuto di difendersi davanti al giudice. Un accusato fermamente determinato
pagherà diversi "infamatori" perché si dicano il cambio e, tempo qualche notte
insonne, anche i vicini iniziano a fare pressioni.
Poiché la reputazione personale (la dignitas) ha un'enorme importanza per un romano, è
raro trovare un cittadino che riesca a tollerare a lungo simili trattamenti, specie se si
considera che, più tarda a comparire in tribunale, più tutti si convinceranno che è
colpevole, e lo tratteranno di conseguenza.
[Garzanti, Milano 2009, pagine 87-88-89]
CONTRIBUTI DOTTRINARI DALL'ARCHIVIO DI FILODIRITTO
- Diritto comunitario, diritto della concorrenza:
IL CASO BWIN: IL DIVIETO AD UN OPERATORE AUTORIZZATO DELL’ESERCIZIO
DI GIOCHI DI AZZARDO SU INTERNET NON VIOLA IL DIRITTO COMUNITARIO
Michele Giannino
- Diritto penale commerciale, diritto industriale:
IL DELITTO DI CONTRAFFAZIONE, ALTERAZIONE O USO DI MARCHI O SEGNI
DISTINTIVI OVVERO DI BREVETTI, MODELLI E DISEGNI (ART. 473 C.P.)
Maurizio Arena
- Diritto tributario e diritto processuale civile:
RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE: RIDUZIONE DEI RITI E RIFORMA DEL
PROCESSO TRIBUTARIO
Maurizio Villani
- Diritto processuale amministrativo:
LA SENTENZA SUCCINTAMENTE MOTIVATA
Davide Prinari
- Diritto tributario, diritto dello sport:
QUANDO LE SOCIETÀ ED ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE
SUPERANO IL PLAFOND PREVISTO DALLA LEGGE N. 398/91
Massimiliano Giua e Pietro Accardi)
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Silvana Balbi De Caro
LA BANCA A ROMA
Il deposito
Uno dei più antichi servizi forniti dagli argentari consisteva nell'accettare in deposito e
custodire somme di denaro per conto dei propri clienti.
Sul valore giuridico che l'istituto del deposito ebbe nel mondo romano e sulle modifiche
subite dallo stesso nel corso del tempo è aperto oggi il dibattito in campo specialistico. La
dottrina giuridica moderna infatti, partendo da una distinzione di base tra deposito
regolare e deposito irregolare, tende a negare che il secondo tipo di obbligazione trovasse
nella legislazione romana, almeno per l'età repubblicana, un riconoscimento formale sul
piano giuridico.
A Roma il contratto di deposito infatti appare, sulla base della testimonianza
fornita dalle fonti antiche, specie giuridiche, caratterizzato dall'obbligo del
depositario di custodire il bene depositato senza farne uso e di restituire lo
stesso dietro richiesta del depositante o alla scadenza del contratto, senza
ricavarne alcun utile. «Altra cosa è dare in prestito, altra depositare», scrive
Ulpiano, giurista degli inizi del Il sec. d.C., in un passo riportato nel Digesto di
età giustinianea.
Da questo tipo di contratto venivano al depositante precisi vantaggi nell'eventualità di un
fallimento del banchiere, poiché in tal caso la somma veniva iscritta automaticamente in
un elenco privilegiato.
Ancora da Ulpiano apprendiamo infatti che, quando falliva un nummularius, era
prassi (solet) stilare un elenco di coloro che avevano depositato denari presso di
lui (ratio haberi depositariorum). «Questo si intende per coloro i quali hanno dato
denaro in deposito - scrive il giurista - e non per quanti ne ricavavano un interesse, dopo
averlo depositato presso i banchieri per utilizzarlo sia in società con i banchieri, sia per
tramite degli stessi». Anche «coloro che hanno percepito interessi solo in un secondo
momento (vel postea) non devono entrare in elenco»; nei loro confronti infatti ci si deve
comportare «come se avessero rinunciato al deposito» dal primo dei due passi di Ulpiano
sopra ricordati viene una ulteriore conferma alla netta contrapposizione esistente,
secondo il giurista, tra il «deposito» improduttivo e il «prestito» produttivo di frutti.
«Coloro che hanno ricevuto dal banchiere degli interessi per le monete depositate» infatti
«non devono essere distinti dagli altri creditori» e non possono, pertanto, essere iscritti
tra quelli privilegiati. «Qualora invece - precisa Ulpiano - si trovino le monete di un
qualche creditore ancora numerate (chiuse, cioè, evidentemente entro un sacco
che ne rendesse possibile l'identificazione), il credito di costui passerà tra quelli
privilegiati». In quest'ultimo caso il deposito verrebbe quindi ad assumere le
caratteristiche di un «deposito regolare»: gratuità del contratto, conservazione della cosa
da parte del depositario, divieto di fame uso. Cessando tali condizioni, però, cessava
automaticamente ogni privilegio per il depositante.
[Roma, Edizioni Quasar di Severino Tognon, 1989, pp.38-39]
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