Bottini_Gotico_Piacenza_Mall

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Fabrizio Bottini
Gotico in scatola a Piacenza
Il punto in cui la tangenziale diretta oltre la ferrovia verso la Caorsana
scavalca la via Emilia Parmense, ancora a fine anni Settanta sembrava
quasi aperta campagna. Finita già più o meno all’altezza della vecchia
Fiera e del cavalcavia per il cimitero la città compatta, qui si cominciava di
nuovo a respirare un po’ di odore di terra. Adesso la città è arrivata in
blocco sin qui, ma viene più che mai da chiedersi: che razza di città è?
Scatoloni, scatoloni, ancora scatoloni.
E passi (?) quando si tratta delle incrostazioni accumulate dal tempo sul
ciglio stradale, una dopo l’altra più o meno a caso, con la solita logica del
poi si vedrà, per adesso lasciateci lavorare. Piuttosto sconcertante invece
è vedere come la “civiltà” scarichi in periferia tutti i suoi scarti mentali,
imbellettandoli al massimo con qualche lucetta colorata, in grado al
massimo di confondere qualche gonzo al buio. La lucetta colorata in
questo caso recita “Gotico”. Sottotitolo “Centro Commerciale”.
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Il quotidiano leghista La Padania ha riportato con evidenza nelle sue
cronache la protesta dei commercianti tradizionali davanti a quella che
viene presentata come invasione di complessi di grandi dimensioni, che
farebbero una concorrenza sleale ai piccoli esercizi di quartiere.
Naturalmente il giornale, vista la sua collocazione politica, spingeva molto
a evidenziare come in questo caso si trattasse della grande distribuzione
cooperativa “rossa”, quindi a loro dire favorita dalla giunta in carica di
centrosinistra.
È sicuro che, storicamente, l’insediarsi delle vaste superfici e delle grandi
organizzazioni rappresenta comunque un colpo per la rete esistente del
commercio, a gestione familiare o comunque di tipo diverso da quello
delle catene nazionali e dei loro formati. È anche sicuro, però, che forse la
pubblica amministrazione dovrebbe/potrebbe fare qualcosa di più per il
proprio territorio e la sua qualità complessiva, visto che il mitico “mercato”
pare non pensarci affatto, salvo riempirsi le tasche e tentare di
abbindolare i succitati gonzi con descrizioni tipo “accogliente cittadella non
solo per gli acquisti ma anche per il relax”, che svolge addirittura la
funzione di “vero e proprio avamposto della città storica”.
L’accogliente cittadella che farebbe da avamposto alla città storica,
consiste di due scatole appoggiate su una crosta di asfalto, il tutto a girare
le spalle al resto dell’universo. Questo è quanto: altro che balle!
Non che la cosa sia una novità, certo: il centro commerciale all’italiana (e
non solo all’italiana) pare una maledizione divina, identica ovunque decide
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di atterrare con la sua dovizia di materiali promozionali e poca sostanza,
salvo appunto le tonnellate di cemento, asfalto, più qualche neon e
stentata aiuola a far da ciliegina.
E nessuno pretende certo, almeno in tempi umani, che al tempo stesso
mercato e normative urbanistiche si adeguino a una filosofia mixed-use (e
a un apparente comune buon senso) che vorrebbe recuperare almeno dal
punto di vista spaziale la complessità degli ambienti davvero “urbani” di
cui in questo caso si dichiara di essere avamposto. La logica degli spazi
omogenei e dedicati a un uso specializzato a quanto pare è dura a morire.
Un’altra logica vorrebbe, però, che anche nella cornice delle sole funzioni
commerciali e dei servizi complementari si facesse qualche passo verso
una maggiore complessità: di relazioni con l’intorno, di composizione
interno/esterno, di gerarchie dei sistemi di mobilità. E invece.
Invece la cittadella avamposto eccetera è un clone più o meno identico a
quello spuntato ad esempio solo qualche mese fa poco distante, a
Cremona, e chissà a quanti altri. Un ipermercato, un corridoio a due
ingressi su cui si affacciano le casse dell’ipermercato e gli esercizi più
piccoli, e la no-man’s-land del mare di parcheggi, dove si naviga
perigliosamente guidando un carrello stracarico gomito a gomito con
l’ultimo modello di SUV rostrato, o viceversa.
Ci sono naturalmente delle varianti possibili, ma il Gotico sembra aver
sposato il modello basic nella sua forma più rustica e primigenia. Al punto
che risulta quasi attraente, se confrontata al resto, anche la pensilina che
fa da trait d’union fra la scatola più grande e quella annessa del centro fai-
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da-te, che chiude a angolo retto un lato dei lunari parcheggi. Parcheggi
che realizzano, come in tanti altri casi, il vero sogno dell’esercizio
commerciale del XX secolo: fare in modo che l’automobilista non veda
altra spiaggia di salvezza diversa da quella dell’ingresso al mall.
Anche l’affaccio sulla via Emilia, sottolinea questa scelta decisamente
enclosed: un basso terrapieno piantumato, parallelo alla corsia di
accelerazione per chi esce dal parcheggio più piccolo (e che
curiosamente sembra più apprezzato dalla clientela, anche se sta di
fianco alla zona servizi, rifiuti ecc.).
In definitiva, dunque, pare che si sia riusciti in un colpo solo a scontentare
sia il popolo padano Doc e il settore del commercio che rappresenta, sia il
resto del popolo padano e dell’umanità. Anche i pochi curiosi che passano
lì davanti la domenica pomeriggio, a vedere la grande novità del posto,
sembrano piuttosto delusi da quel monolite chiuso, e con apertura
rigorosamente a pagamento. Che sia anche questo tipo di
organizzazione, un “avamposto” del tipo di centro storico blindato e sicuro
che ci attende nei prossimi anni?
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