Fabrizio Bottini Il centro commerciale compie 50 anni, e si fa il lifting

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Fabrizio Bottini Il centro commerciale compie 50 anni, e si fa il lifting
Fabrizio Bottini per Eddyburg - 1/6 - Greater Southdale Plan
Fabrizio Bottini
Il centro commerciale compie 50 anni, e si fa il lifting
Non esiste un monopolio della faziosità, ma la lotta è all’ultimo sangue. Come
nelle polemiche sulle “periferie”, i cui guai sono stati ascritti dai vari soloni al
solito comunismo, alla poca sensibilità dei progettisti (magari pure comunisti)
ipnotizzati dal feticcio della modernità, a un’urbanistica rigida e burocratica
sostanziata negli standards, o nello zoning monofunzionale.
A girare la boa del mezzo secolo, però, e a mostrare rughe profonde, non sono
solo i complessi di residenza popolare del dopoguerra, ma anche
quell’ambiente suburbano middle-class che ne ha sempre rappresentato
l’immagine speculare: bassa densità, solidi valori familiari, ubique auto private e
falciatrici ronzanti nei week-end. Soprattutto, al centro fisico e immaginario di
questo ex sogno, il grande centro commerciale suburbano, tempio del consumo
e della socialità programmata sui ritmi della grande impresa moderna.
Qui, il socialismo sembra proprio innocente: privatissime le “macchine della
crescita”1 alla base dello sviluppo residenziale per grandi lottizzazioni
unifamiliari e reti superstradali, privatissimo (benché garantito dell’ente
pubblico) il sistema di rigida separazione dello zoning monouso, che garantiva
certezze di investimento, semplicità progettuale, e in fondo una certa aderenza
ai modi e tempi della vita nella società industriale. Attorno il mare di casette,
sparpagliate qui e là negli svincoli superstradali le grandi piastre dei malls, con
ciambella di automobili a contorno.
Paradigma replicato all’infinito (sino a diventare anonimo), il Southdale Mall di
Edina, nell’area metropolitana di Minneapolis, aperto nel 1956 su progetto di
Victor Gruen, secondo uno schema allora rivoluzionario: una scatola piuttosto
anonima, molto arretrata rispetto alla strada e completamente circondata da
piazzali a parcheggio, a contenere in un ambiente chiuso e climatizzato tutta
l’articolazione commerciale e di servizi. Un successo incredibile, come chiunque
può testimoniare semplicemente uscendo di casa e girando l’angolo.
Come gli speculari complessi residenziali di iniziativa pubblica di tutto il mondo,
ma (molto spiegabilmente) senza i medesimi clamori sul rapporto fra qualità del
territorio e socialismo più o meno strisciante (che, per inciso, non è ancora
reato), anche il Southdale Mall alla fine cade a pezzi. Non le strutture edilizie,
sottoposte negli anni da proprietà e operatori commerciali a successivi
refurbishments, e nemmeno il sistema urbanistico che lo accoglie e sostiene, e
che anzi si è arricchito localmente nel tempo di altri complessi simili, lungo la
striscia nord-sud fra l’autostrada urbana 62 e la Interstate Highway 494, come i
nuovi scatoloni del commercio big-box. Pochi chilometri a est, nel territorio
comunale di Bennington a sud della 494, c’è il nipote affetto da orchite: Mall of
1
Il termine “growth machine”, complesso di intrecci fra impresa e scelte politico-legislative,
nient’affatto orientato da semplici scelte del consumo di massa, è stato ben argomentato da
Dolores Hayden, Building Suburbia: Green Fields and Urban Growth, 1820-2000, Pantheon
Books, New York 2003, in particolare per il rapporto sprawl/mall pp. 162-172; della stessa
Autrice, una definizione più concisa e definitiva, nel glossario illustrato A Field Guide to Sprawl
– With aerial photographs by Jim Wark, Norton & Co., New York-London 2004, p. 48.
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America, che replica il medesimo modello con la bellezza (?) di oltre mezzo
milione di metri quadrati di superficie commerciale.
E anche il Mall of America, come il trisavolo di Southdale, a suo modo cade a
pezzi: nell’immagine, nel rapporto con la città, nel suo faticare a mantenere tutte
le mirabolanti promesse.
Per farla breve, la municipalità di Edina e gli operatori commerciali hanno preso
la loro decisione: dopo i cinquant’anni, qui ci vuole un lifting serio (magari
affiancato da psicoterapia). E proprio dai metodi scelti per lo spianamento delle
rughe del Southdale Mall, lifting urbanistico e sociale deciso secondo un
processo che sembra abbastanza partecipato, è possibile tentare di
immaginare una tendenza.
Non è un caso da questo punto di vista che Victor Gruen, famoso soprattutto
per i suoi progetti commerciali, abbia collaborato con alcune firme prestigiose
(Oskar Stonorov e Louis Kahn, per fare due nomi) anche negli studi di
“famigerati” complessi residenziali modernisti ad alta densità. Non è un caso,
dicevo, perché forse la crisi di un modello socio-spaziale è identica a quella del
suo doppio, e coincide con un mutamento di paradigma più generale.
Quello ad esempio che nella vulgata del nuovo urbanesimo colloca il centro
commerciale tra le
Cinque componenti dello Sprawl: “Le lottizzazioni residenziali, dette anche baccelli ... gli
Shopping Centers ... posti dove è piuttosto improbabile camminare ... gli Office Parks ... derivati
dalla visione architettonica modernista dell’edificio che emerge da un parco ... fatti di solito da
scatole e parcheggi ... gli Edifici pubblici .. grossi e rari, di solito spogli per mancanza di fondi,
circondati da parcheggi e collocati a caso ... Strade ... chilometri di asfalto necessari a collegare
le altre quattro dissociate componenti”2.
E come osservano gli stessi critici più feroci di questo modello insediativo, non
è detto che le sue parti siano di bassa qualità formale o funzionale, anzi. Quello
che non funziona, e sempre più rivela debolezze sociali, ambientali,
“insostenibilità”, è l’appartenere di questo modello a un immaginario passato,
dove si poteva anche prospettare come desiderabile, in assenza di esperienze
concrete, un ambiente di vita del genere: lunghi tempi di pendolarismo in auto;
luoghi specializzatissmi per fare pochissime cose alla volta; una socialità ben
dosata e segregata tra gli ambienti della famiglia, del lavoro, di tempi liberi
standardizzati e incomunicanti. A ben vedere, contraddizioni parallele e simili
(almeno nel metodo) a quelle dei grandi quartieri modernisti, con le loro
relazioni spazio-società studiate a tavolino, per una società più auspicata che
reale, e che l’evoluzione concreta di due generazioni ha ridotto a poco più di
una caricatura degna al massimo dei serial televisivi o degli spot pubblicitari.
Ma anche lo shopping mall, da dal punto di vista dell’obsolescenza strisciante
del modello generale, non scherza.
Nasce anche da questi presupposti, l’idea del piano Greater Southdale,
promosso congiuntamente dall’amministrazione municipale di Edina e dagli
2
Andres Duany, Elizabeth Plater-Zyberk, Jeff Speck, Suburban Nation: the rise of Sprawl and
the decline of the American Dream, North Point Press, New York 2000, pp. 5-7.
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operatori commerciali e immobiliari interessati, per la ristrutturazione urbanistica
di un’ampia fascia di territorio, e ritentare di costruire mezzo secolo dopo
“aree pedonali di aspetto attraente, con ombra e verde, e sì, anche opere d’arte, perché queste
cose attirano più clienti, aumentando gli affari dei negozi ... un buon progetto significa buoni
affari”3.
Un obiettivo dichiarato 50 anni fa, fa ma evidentemente fallito nella
segregazione funzionale dello sprawl suburbano, dove il centro commerciale coi
suoi originari 64 negozi e due grandi magazzini anchor, le catene Dayton e
Donaldson ha attraversato due generazioni di evoluzione sociale e anche
insediativa. Il primo tentativo di riorganizzazione risale al 1972, quando si
aggiunsero un terzo grande magazzino della catena JCPenney, e nuovi 43
negozi. Poi nel 1990 ci fu un’altra grossa espansione, con un nuovo magazzino
Dayton da 35.000 metri quadrati e 50 negozi, che portarono la superficie
commerciale complessiva del Southdale Mall a circa 120.000 metri quadrati,
esclusi i parcheggi, parte scoperti e parte su tre livelli serviti da rampe. Poi dai
primi anni Novanta la concorrenza, a pochi minuti di macchina a est sulla
Interstate Highway 494, del Mall of America, con le sue molte centinaia di
migliaia di metri quadri di attrazioni varie, e un relativo declino4.
Ora, la concorrenza col Mall of America la si intende in modo innovativo: non
più (solo) aumento di superfici commerciali, ma ripensamento radicale del ruolo
dell’area, che non a caso si dilata a una grossa striscia nord-sud assumendo il
nome un po’ altisonante di Greater Southdale. Il fatto innovativo è da un lato un
recuperato rapporto col resto dell’insediamento,a superare la segregazione
funzionale suburbana in una logica di maggior permeabilità e intreccio con le
aree residenziali e non circostanti, dall’altro un ribaltamento dell’organizzazione
interna. Del resto si tratta di un’idea coerente ai programmi della pianificazione
di coordinamento, così come fissati nelle politiche territoriali del Metropolitan
Council per l’area regionale delle sette contee di Minneapolis, approvate nel
2004, che per le fasce di alta urbanizzazione (Developed Communities,con più
dell’85% del territorio urbanizzato) a cui appartiene la circoscrizione di Edina,
propone un deciso salto verso uno schema insediativo non più suburbano.
Densità maggiori innanzitutto, perseguite attraverso incentivi e incoraggiamento
delle iniziative miste pubblico-privato, finalizzate al riuso, rivitalizzazione,
edificazione di riempimento, coordinamento nell’uso e modernizzazione delle
strutture. Questo dovrà avvenire, definito nei dettagli dalla pianificazione locale,
attraverso l’insediamento in queste zone entro il 2030, del 30% delle nuove
famiglie e del 50% dei nuovi posti di lavoro. La parola d’ordine, già a livello
regionale, sembra essere così mixed-use, ovvero compresenza (da definirsi poi
nelle forme concrete in piani e progetti locali) di varie attività entro i medesimi
sistemi, utilizzando la medesima gamma di infrastrutture e servizi, seguendo
anche una tendenza già manifestata da alcune grandi imprese che
“riconoscono i benefici di legare posti di lavoro e residenze entro la stessa area, attraverso
opzioni di trasporto ad alta accessibilità”, e dalle amministrazioni pubbliche che “vedono i
3
Dichiarazione di Victor Gruen del 1956 a proposito di Southdale, riportata da M. Jeffrey
Hardwich, Mall Maker: Victor Gruen architect of the American Dream, University of
Pennsylvania Press, Philadelphia 2004, p. 118.
4
Cfr. Beth Mattson, “The Grand Dame of Twin Cities Retail”, Retail Traffic Magazine, 1 maggio
1999 http://retailtrafficmag.com/mag/retail_grand_dame_twin/
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vantaggi economici delle ... aree a mixed-use nei propri piani regolatori, adattando le ordinanze
locali ... a questi tipi di uso dello spazio”5.
Un tipo più compatto di insediamento che mira tra l’altro, oltre ad un minor
consumo di suolo a scala regionale, ad un più razionale uso delle infrastrutture
esistenti e a un rilancio del trasporto pubblico.
E l’amministrazione municipale di Edina, inizia nell’autunno 2004 il processo di
costruzione (abbastanza partecipata) del progetto per l’area di Southdale, sotto
gli auspici tra l’altro dello Urban Land Institute, approfittando anche di un
cambio di proprietà degli immobili del mall. L’idea, pur ancora (e come potrebbe
essere diverso?) fortemente centrata su funzioni commerciali, è quella di
costruire un sistema altamente pedonalizzato:
“I visitatori che vengono da più lontano sarebbero incoraggiati a lasciare l’auto negli spazi
multipiano posti ai margini dell’area, e spostarsi verso i negozi a piedi o con qualche tipo di
trasporto collettivo. Gradualmente l’intera zone si evolverebbe da un sistema di negozi posto
oltre grandi parcheggi, a un sistema di fronti commerciali con marciapiede, percorsi pedonali
trasversali, verde”6.
Ma c’è di più, della sola razionalizzazione commerciale. Si tratta infatti di una
vasta zona, che si intende riorganizzare internamente e fisicamente ricucire al
resto della città e della rete metropolitana, ma anche arricchire di funzioni:
trasporto pubblico e nodi di interscambio, attività economiche, residenza a varie
densità, ruolo di vero e proprio “centro” su cui basare l’intero piano urbanistico
cittadino7.
Salta all’occhio, anche solo ad una osservazione rapida del piano di massima Greater Southdale Study Concept - attualmente in corso di discussione
pubblica, il tentativo di articolare quanto più possibile gli spazi già a grande
scala: viali alberati, e un sistema gerarchico di strade che integra il sistema sia
all’ex suburbio residenziale, sia alla rete di grandi arterie e autostrade; due
stazioni del sistema di trasporto pubblico (impensabili, sino a una decina d’anni
fa), a fungere anche da possibili nodi di scambio intermodale; una compresenza
e intreccio di funzioni e densità che comprendono la residenza, le attività
terziarie con notevoli blocchi per uffici, fronti commerciali ad orientamento
pedonale, gruppi di funzioni pubbliche; soprattutto, predominante, la scelta del
mixed-use8. E si potrebbe sospettare, anche, un uso “ideologico” del termine,
se non fosse che anche l’ordinanza di zoning della municipalità di Edina
prevede ben quattro gradazioni di aree omogenee così denominate, delle quali
tre non includono il commercio (retail) ma comprendono la residenza mista, e
fra gli usi condizionali viene introdotta (fatto nuovo, anche se in diffusione nei
regolamenti municipali americani) la possibilità di compresenza di negozi e
residenze entro il medesimo edificio9. Di particolare rilevanza, infine, il fatto che
5
Twin Cities Metropolitan Council, Regional Development Framework 2030, gennaio 2004,
Policy Directions and Strategies, p. 13 http://www.metrocouncil.org
6
David Peterson, Edina’s Southdale area seeks 21st-century look, Star Tribune, 10 febbraio
2005 http://www.startribune.com/stories/462/5232411.html
7
Cfr. The public is invited to participate in the second public workshop on the future of the
Greater Southdale area, comunicato stampa dell’amministrazione municipale di Edina, 28
gennaio 2005 http://www.ci.edina.mn.us/
8
Cfr. Hoisington Koegler Group Inc., Greater Southdale Area Land Use & Transportation Study,
Land Use Concept, City of Edina/Hennepin County, giugno 2005.
9
Cfr. City of Edina, Zoning Code, 850.14 - Mixed Development District (MDD).
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sia proprio la zona del Southdale Mall di Victor Gruen, a costituire il cuore del
sistema mixed-use, definito su un lato da un fronte commerciale a negozi
tradizionali, e delimitato a nord da una delle stazioni del trasporto pubblico.
Naturalmente è impossibile, in presenza di un semplice studio di massima per
un’area di parecchi ettari e notevole complessità e articolazione, esprimere
giudizi sulle potenzialità dei risultati spaziali, sia in termini di rapporti funzionali
(ad esempio la pedonalità, o la distribuzione nel tempo delle varie fruizioni), sia
in termini di equilibrio fra ambiti effettivamente pubblici, e la sottile
privatizzazione che sempre per un verso o l’altro si insinua negli ambienti
progettati in con un ruolo centrale delle grandi catene e imprese. In mancanza
di una articolata serie di linee guida progettuali della municipalità (che auspico
comunque in corso di redazione)10, aiutano a dare meglio un’idea generale le
“tipologie”: piccole serie di immagini fotografiche, ciascuna a corredo di una
specifica zona omogenea così come segnata nella planimetria. E in effetti,
anche solo per restare al mixed-use, gli esempi illustrano né più né meno
quanto regolamentato con linguaggio più burocratico alla voce “B. MDD-6.
Commercial uses in residential buildings” della citata ordinanza municipale di
zoning: spazi da città europea, con arretramenti degli edifici ridotti al minimo,
parcheggi anche a lato strada, marciapiedi, e appunto i piani terreni destinati al
commercio, e quelli superiori a residenza e uffici11.
La discussione pubblica del piano è ancora in corso in questi mesi estivi del
2005, e ci si può ragionevolmente aspettare che anche dal punto di vista dei
particolari di organizzazione spaziale questo radicale lifting urbanistico dell’ex
mall suburbano e dintorni si precisi prima del compleanno ufficiale del 2006.
Appare però già chiaro un orientamento: non solo riorganizzazione, per quanto
radicale e su vasta scala, di uno spazio commerciale e di servizio immerso
nell’ambiente suburbano, ma vera e propria riconversione a spazi decisamente
urbani. Sembra, anche e a prima vista, aumentato il ruolo generale dell’ente
pubblico, dall’articolata presenza fisica di uffici e servizi nell’ex tempio del
consumo familiare, al ruolo di arbitro delle decisioni (ad esempio per il sistema
intermodale di trasporti), alla forzatura pianificata del sistema dei tre ambiti:
strada, parcheggio, interni. Quella che si prospetta, è una città molto più simile
al sistema complesso che sinora la storia ci ha lasciato in eredità, anche se non
dovessero necessariamente spuntare i manierismi architettonici neotradizionalisti, o se qualche rigidità regolamentare (o interesse commerciale)
impedisse l’abolizione dei sistemi auto-oriented e la conseguente piena
integrazione fra area suburbana e nuovo centro multifunzionale.
Resta il fatto che, in modo per niente diverso da quanto accaduto ai grandi
complessi residenziali modernisti, anche la santa trinità dello sprawl
10
Ad esempio sulla base di quelle di derivazione new urbanism redatte dallo studio Clarion di
Denver una decina di anni fa per il caso specifico dei big-box di Fort Collins, Colorado, e poi
utilizzate come base da molte città per proprie varianti. Cfr. Chris Duerksen, Robert Blanchard,
Belling The Box: Planning For Large-Scale Retail Stores, National Planning Conference, Atti,
1998 http://www.asu.edu/caed/proceedings98/Duerk/duerk.html [trad. it. di Fabrizio Bottini su
http://eddyburg.it ]
11
Cfr. Hoisington Koegler Group Inc., Greater Southdale Area Land Use & Transportation
Study, Futures Study – Conceptual Plan – Land Use Typology, gennaio 2005.
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(autostrada, villetta, servizi segregati) sembra entrata definitivamente in crisi
anche nella sua icona storica. Il problema è che rischiamo di doverci comunque
subire i colpi di coda delle “macchine della crescita”, pronte a spostarsi da un
contesto all’altro – come accade ora nel caso della Cina – a riproporre una
“modernità” schematica, rozza e stupidotta. Una modernità che certo appariva a
tutti un futuro auspicabile a metà Novecento, con la prospettiva di grande
mobilità, consumi, specializzazione, socialità taylorizzata. Ma che ora in
prospettiva pare attuale come certi capi di abbigliamento scomodissimi
indossati in una foto in bianco e nero, o quelle automobili da due tonnellate che
consumavano un litro ogni due chilometri. Se qualcuno continua a ragionare in
questi termini, è meglio che cambi aria.
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