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Michael Gecan
Tempo preso a prestito
Ricorre il tema della crisi urbana di metà ‘900 che ora si rispecchia nel suburbio già
simbolo dell’american dream. Ampio resoconto di una crisi forse reversibile recuperando
città e comunità, dalla culturale Boston Review, marzo-aprile 2008
Titolo originale: On Borrowed Time – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Alcuni mesi fa, 125 esponenti di gruppi religiosi, organizzazioni di cittadini,
di impegno sociale, si sono incontrati alla sinagoga di Etz Chaim nella
cittadina di Lombard, DuPage County, per confrontarsi con una nuova
realtà: una crisi di bilancio. Le crisi di bilancio non sono una cosa che ci si
aspetta succeda in luoghi come la fascia suburbana occidentale della
DuPage. Ci sta quasi un milione di anime, e ci stanno oltre 600.000 posti
di lavoro del settore privato. Vanta un reddito medio di 70.000 dollari, uno
dei più alti del paese. E pure l’amministrazione di contea, strozzata dal
bisogno di liquidità, minaccia di tagliare i servizi per i convalescenti, i
veterani, quelli per la casa, lo screening per il cancro al seno, e molti altri
servizi pubblici essenziali.
Sino a poco tempo fa, la DuPage County è stata fra chi ha guadagnato di
più dal declino durato quarant’anni della Cook County [quella che
comprende l’area urbana di Chicago, n.d.t.], vicina al collasso. Le grandi
imprese se ne sono andate dall’area del centro di Chicago in crisi, e si
sono spostate nella circoscrizione della DuPage, coi suoi spazi aperti e le
amministrazioni accoglienti dal punto di vista fiscale. I proprietari di case
di ceto operaio nelle fasce occidentale e sud-occidentale della città
vendevano i loro villini per trasferirsi in case più grandi, modelli Cape Cod,
o nelle palazzine a Wheaton o Naperville o Downers Grove. Famiglie in
difficoltà con le scuole pubbliche urbane spostavano volentieri i propri figli
nelle nuove scintillanti strutture dalle aule ben attrezzate.
L’amministrazione di contea era orgogliosa dei propri bilanci in nero e
dell’efficacia nell’erogazione dei servizi.
Al momento di quell’incontro, però, i costruttori che avevano contribuito a
raddoppiare la popolazione della DuPage in soli 30 non avevano più
terreni. Il reddito generato dall’attività di costruzione si era ridotto a un
rivoletto. I costi di istruzione e sicurezza continuavano ad aumentare. Ci
sono schiere di organismi e commissioni specializzate – dall’acqua, a
quelle sanitarie ecc. – che assorbono centinaia di milioni di dollari
esternamente al bilancio generale operative della contea, e sottoposti a
pochi o nessun controllo o coordinamento. E le imposte locali per gli
abitanti – spina dorsale del bilancio di contea sulla base della tradizionale
politica di attirare e mantenere imprese offrendo tasse più ridotte lievitano.
Anche i vari esponenti che affrontavano questa crisi erano a loro volta una
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cosa nuova: più diversificati di quanto si sarebbe mai potuto immaginare
solo dieci anni fa. Nel moderno spazio di incontro della sinagoga, attorno
a tavoli da dieci posti, c’erano complessivamente quindici musulmani tra
la moschea e i centri comunitari, cinque ispanici in rappresentanza di una
popolazione esplosa grazie all’abbondanza di offerta di lavoro, molti
immigrati dall’Africa e afro-americani. Uno dei partecipanti su quattro non
era bianco: quota che rappresenta la composizione della nuova DuPage.
Erano stati tutti convocati da dirigenti e responsabili della DuPage United,
sezione locale della Industrial Areas Foundation (IAF).
L’organizzatrice, Amy Lawless, mi ha chiesto – in quanto veterano della
IAF sia nell’area metropolitana di Chicago che in quella di New York – di
tenere un discorso di mezz’ora sulla situazione della contea. Ho iniziato,
come faccio spesso, ripensando alla zona occidentale di Chicago, l’angolo
della Ferdinand con la Springfield vicino al Garfield Park, dove abitava la
mia famiglia. Non potevamo sapere, negli anni ‘50, di vivere in un
momento di svolta per la città. Le sue grandi istituzioni economiche,
politiche, civili e religiose sembravano solide e inamovibili come ghiacciai
a chi ci abitava dentro o stava nella loro ombra. Dal primo piano della
nostra casa d’angolo in mattoni a vista, potevamo vedere la taverna di
nostra proprietà, l’allora nuovo edificio che ospitava la Newark Electronics,
dove lavorava mio padre e poi avrei lavorato anch’io, e le fine di case che
impedivano di vedere la Tootsietoy Company, dove lavorava mia madre.
Quattro isolate più a nord c’era la parrocchia, Nostra Signora degli Angeli.
Ogni domenica ci andavano a messa in migliaia. Nelle aule si
ammassavano milleseicento alunni.
Verso la metà degli anni ‘80, tutto era in rapido declino. Oggi la nostra
casa, insieme a migliaia di altre, è abbandonata. C’è un centro di servizio
sociale statale insediato nell’ex fabbrica elettronica. I prodotti della
Tootsietoy sono in gran parte made in China. Hanno chiuso sia la chiesa
che la scuola parrocchiale.
Dentro a quel gradevole spazio di incontro della sinagoga, con le ultime
case McMansion in costruzione sull’altro lato della strada, con 60.000
pendolari per lavoro in ingresso più di quanti non ne escano ogni giorno
dalla DuPage, con la squadra locale di football in ascesa e le quotazioni
delle scuole superiori ancora molto alte, ho presupposto che, forse, anche
la contea avesse raggiunto un proprio punto di massima, e che senza un
chiaro intervento di rilancio era destinata, come già accaduto a Chicago a
metà anni ‘50, al declino.
La DuPage non è la sola, naturalmente. Nelle circoscrizioni di Nassau e
Suffolk a New York, di Montgomery e Baltimore in Maryland, di Bergen o
Essex o Middlesex in New Jersey, in quasi tutte le aree suburbane in fase
matura del nord-est, Midwest, e più a sud, le famigli si trovano di fronte le
medesime situazioni. Un sacerdote cattolico che ho incontrato nella
Nassau County descriveva quella del suo suburbio come una crisi della
mezza età. Che potrebbe anche essere crisi di mezza età dell’America.
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Non più giovane, non più trendy, non più il posto in cui essere, ormai non
più senza limiti e confini, questi spazi, come le persone, hanno sviluppato
alcuni metodi per sfuggire alla realtà.
Negarla (con l’aiuto di forti dosi di pubbliche relazioni). Uno dei modi
è semplicemente di negare l’evidenza delle nuove realtà, o che abbiano
qualche effetto sulla vita. Ci sono centinaia di città e suburbi tradizionali,
piccoli o grandi, che lo fanno. La negazione fa contento il blocco
immobiliare: si vendono sicurezza e scuole e posti di lavoro suburbani,
ignorando l’aumento di tasse immobiliari e costi per la sicurezza, nella
speranza che non ci siano nuovi e più giovani territori di contea affamati di
attività economiche, per non parlare di fabbriche cinesi o complessi
tecnologici indiani, a tentare le compagnie ad andarsene.
Trucchetti. Un’amministrazione locale compra una quota di una squadra
di calcio o di una piccola squadra di baseball, un impianto per la pelota, o
un casino, o tutto questo insieme. Le amministrazioni più grandi iniziano a
cedere o affittare grosse quote di sé stesse. Solo due anni fa, a Chicago
si è affittato Skyway nel tentativo di produrre gettito e chiudere qualche
buco in una annata elettorale. Verso la fine del 2007, I giornali
traboccavano di articoli su un altro buco da 250 milioni. Quale sarà la
prossima trovata estemporanea? Se ne discute. Naturalmente ci sono le
Olimpiadi del 2016. In un angolo desolato nella zona meridionale, fra
edifici di pietra grigia dagli ingressi inchiodati e viali sinistramente deserti
in quella che doveva essere l’ora di punta, un altrettanto desolato pastore
mi raccontava della possibilità di un impianto olimpico per il nuoto
(proposto dalla municipalità, fra otto anni, nel quadro di una candidatura
con poche o nessuna possibilità di vittoria) per rivitalizzare il quartiere.
Dare la colpa agli “altri”. Nelle città degli anni ‘50, gli “altri” erano i
lavoratori neri, arrivati a centinaia di migliaia per posti di lavoro che
stavano appena iniziando a scomparire. Avevano bisogno di case, e
scuole per i bambini. La macchina del consenso Democratica era più che
lieta di alimentarsi col denaro di costruttori e speculatori immobiliari che
spingevano l’etnia bianca verso i nuovi quartieri e facevano entrare le
minoranze. L’establishment politico dava ai neri la colpa del degrado dei
quartieri. Uno straordinario strabismo, che rese possibile in una grande
città americana demolire gran parte delle proprie case popolari – quasi
18.000 alloggi – praticamente senza sostituirle. Dieci anni fa, a queste
18.000 famigli erano stati promessi appartamenti sostitutivi. Al momento,
ne sono stati costruiti meno di 2.000, che in gran parte gli inquilini originari
non possono permettersi. Quando ho descritto questa situazione a due
giovani e agiati uomini d’affari di Chicago, non hanno manifestato alcuna
sorpresa. I neri erano il problema, no? E si è dovuto delegare al sindaco
Daley il modo di sfrattarli senza troppa opposizione. Oggi, nei suburbi, i
nuovi “altri” sono gli immigrati: ispanici e musulmani. Alcuni danno a loro
la colpa della crisi fiscale. Contemporaneamente, la debolezza strutturale,
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finanziaria, politica del suburbio – insita dalla creazione e che precede di
trent’anni le ultime ondate di immigrazione – non viene affrontata.
Chiudersi: sempre più frammentazione e privatizzazione. Continua la
crisi di bilancio, emerge evidente l’inadeguatezza dei giochetti, cresce la
retorica di tipo razziale ed etnica, e chi possiede ricchezze inizia a tutelare
i propri interessi. Si costruiscono muri di ogni tipo. Le scuole private e gli
ospedali diventano sistemi chiusi: con una propria interna sicurezza,
servizio pulizia e manutenzione, a volte anche le case. Aumentano gli
istituti di istruzione private per chi può permetterseli. Diventano norma le
gated communities. Già in partenza in gran parte dei suburbi c’erano
pochi trasporti pubblici e case popolari. Ma si afferma la logica secondo
cui qualunque cosa “pubblica” deve essere messa in discussione, quando
il gettito per sostenere qualunque attività condivisa si restringe. Le forze
che sono favorevoli, o contrarie all’impegno pubblico, alle istituzioni
pubbliche, alla vita pubblica, entrano presto in collisione per quanto
riguarda scuole e sicurezza nel suburbio.
Ci siamo parecchio allontanati dall’immagine di nazione descritta da
Abraham Lincoln nel suo Messaggio al Congresso del 4 luglio 1861, “Per
elevare la condizione dell’uomo ... Per alleviare i carichi artificiali su tutte
le spalle; per liberare la a tutti strada verso lodevoli scopi; per offrire a
tutti, di iniziare senza impedimenti, e una buona possibilità, la gara della
vita” Franklin Delano Roosevelt pensava a “tutti” quando formulava il New
Deal. Ma non è una parola che si ascolti al giorno d’oggi nel dibattito
pubblico: a livello di città, contea, stato o nazionale.
Invece, nel paese di Lincoln, vecchie città come Chicago o contee come
la Cook hanno già mostrato di rivolgersi a pochi. Le loro strategie
economiche hanno avvantaggiato chi possiede le attività rivolte al settore
turistico, non certo i lavoratori che rifanno i letti o tritano cipolle. Sono
state create enclave attorno a università e ospedali, dove i genitori
possono comprare appartamenti per i figli che studiano, con le vie
pattugliate dalla sicurezza privata. Sono stati sequestrati i gettiti di attività
e servizi medici concentrati entro questi ambiti, lasciando a secco le
politiche pubbliche generali per la casa, la salute, i trasporti pubblici, il
sistema educativo nei ghetti sempre più vasti che si estendono all’esterno
delle zone chiuse. Si è sostenuta la realizzazione di case e torri ad
appartamenti che pochi abitanti possono permettersi, che vengono
comprate come investimenti dalle elite europee e sudamericane. Si
mantiene il controllo di tribunali, carceri, forze di polizia: sostegno a chi
materialmente garantisce il sistema di potere, con il settore penitenziario a
fare da debole parziale argine alla caduta del ruolo avuto in passato
dall’impresa manifatturiera dell’auto o dell’acciaio.
Molte strade verso lodevoli scopi sono state chiuse, o semiprivatizzate –
chiuse da muraglie, cancelli, guardie armate – per un certo periodo di
tempo. Per tre generazioni di afroamericani, sia la circoscrizione della città
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che quella della contea sono stati luoghi di profonda e diffusa
depressione. Per la classe lavoratrice di etnia bianca, la situazione è stata
più varia. Centinaia di migliaia di famiglie, come la mia, hanno più volte
perduto il valore dei propri investimenti via via che i quartieri della fascia
occidentale e meridionale subivano una ri-segregazione. I bianchi
spaventati svendevano a basso prezzo. Neri disperati di andarsene dai
casermoni d’affitto compravano caro. Gli speculatori immobiliari, con la
benedizione degli apparati Democratici, guadagnavano delle fortune,
passando una percentuale a qualche consigliere o commissario di zona.
Altri bianchi accettavano l’instabilità di varie trasformazioni dei quartieri, in
cambio della stabilità del posto pubblico. L’amministrazione cittadina che
garantiva loro il cibo in tavola, prelevava dai loro conti correnti alla Pioneer
Bank o Talman Savings and Loan sotto forma di calo del valore degli
immobili. Per gli immigrati di epoca più recente, la città risulta in alcuni
casi svuotata di occasioni, in altri completamente chiusa.
L’apparato Democratico e i suoi alleati hanno combattuto una battaglia di
retroguardia da costi altissimi, per quasi mezzo secolo. Alla fine, si è un
po’ rilucidata l’immagine della città, ma sostanzialmente Chicago è a
pezzi. Case abbandonate, gente senza fissa dimora, tassi di liquidazione
anticipata dei mutui, sono a livelli record. Nel solo anno scolastico 20062007 sono stati uccisi 34 studenti delle scuole pubbliche. Le forze di
polizia sono sommerse da accuse multiple di abusi e corruzione. L’antico
zoccolo duro della città – operaio e di contribuenti – è scomparso.
Risulta istruttivo paragonare Chicago con New York, che trent’anni fa
appariva in condizioni forse peggiori. Gran parte degli americani
ricorderanno il famoso titolo di giornale: “Ford dice a New York: A Cuccia”.
Ancora a metà anni ‘80, un’importante rivista [The New Republic, n.d.t.]
pubblicava in copertina l’immagine di una città oscura con le lettere “NYC
RIP”. E in realtà, a partire dalla fine degli anni ‘70, la città era in una
stretta mortale nella vita pubblica. Fu soltanto l’intervento di emergenza
dei sindacati a salvarla dal punto di vista fiscale. Ma, posta di fronte alla
propria morte — forse proprio perché l’aveva di fronte – allora accadde
una strana cosa. La città riprese lentamente a vivere.
Una ripresa che non cominciò in municipio o durante qualche raduno
politico. Non fu innescata da un sindaco, o da un costruttore come il
leggendario Robert Moses. Né dal progetto di una grande impresa o di un
titano della finanza. La ricostruzione cominciò a dimensione locale, negli
angoli più dimenticati della città, dove si combatteva l’equivalente di una
devastante forma avanzata di cancro. Cominciò a East Brooklyn e nel
South Bronx, o nella zona di Manhattan chiamata Washington Heights.
Verso la fine degli anni ‘70, un gruppo poco noto, la Community
Preservation Corporation (CPC) iniziò a recuperare appartamenti in una
delle zone più amate da Hollywood: Washington Heights devastata dalla
droga. Dopo che erano stati realizzati 14.000 alloggi in un decennio, gran
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parte delle case in affitto dell’area tornavano in vita. Nel 1980, una delle
nostre organizzazioni, la East Brooklyn Congregations (EBC), iniziò a
lavorare in un’area che un sindaco di Boston di passaggio aveva
soprannominato “L’inizio della fine della civiltà”. La EBC costruì 3.000
nuove case economiche su aree libere, e mentre vi parlo ne sta
costruendo altre 1.500. Nel South Bronx, un altro gruppo IAF, South
Bronx Churches, ha costruito mille case a partire dal 1986, mentre altre
iniziative di padre Lou Gigante e Mary Daily ne costruivano o
recuperavano centinaia. Common Ground ha realizzato 2.000 alloggi per
persone senza fissa dimora, mettendo così a loro disposizione un rifugio,
servizi, un’alternativa alla vita di strada. Altri 2.000 sono ora in corso di
costruzione. Su un arco di 25 anni, ci sono stati oltre 200.000 unità
residenziali fra recuperi e nuove costruzioni. Un milione di newyorchesi
sono tornati in città, spingendo la popolazione a 8.250.000 abitanti.
L’amministrazione ha investito sino a 500 milioni l’anno nella produzione
di alloggi. New York ha trasformato aree ingombre di macerie e vecchi
copertoni in nuovi quartieri per il ceto lavoratore che viveva nelle case
popolari ma non poteva permettersi di comprare case nei suburbi.
Famiglie che hanno resistito. Hanno risparmiato. Hanno comprato. E si
sono avvantaggiate di uno dei più importanti impegni in opera pubbliche
dell’epoca moderna. I costruttori privati si sono contesi gli spazi restanti, in
aree come Mott Haven o East New York, dove si possono realizzare
abitazioni a prezzi di mercato. Una cosa che, nonostante comporti
ovviamente ancora dei rischi di investimento, era comunque del tutto
impensabile nel 1980.
Nello stesso periodo, si rinnovava in modo simile il sistema del trasporto
pubblico. Negli anni ’70 e ’80, la metropolitana di New York era famigerata
per i guasti, incendi, criminalità. Il numero di passeggeri scendeva in
quella che appariva come una spirale mortale. Grossi investimenti statali
sollecitati da Richard Ravitch e coordinate dallo scomparso presidente
dell’assemblea, Stanley Fink, e dal governatore Mario Cuomo,
contribuirono a stabilizzare il sistema. Un’epica campagna di opposizione
alla realizzazione dell’autostrada del West Side, guidata da Marcy
Benstock, fece risparmiare milioni da usare per il trasporto collettivo.
L’attività costante di Gene Russianoff e della Straphangers Campaign
[associazione pendolari n.d.t.] mantenne viva l’attenzione dei politici e
della stampa su problemi e potenzialità del trasporto pubblico. Un’attenta
gestione da parte di Robert Kiley face sì che le risorse risparmiate fossero
usate in modo adeguato. C’erano 40.000 dipendenti del trasporto
pubblico, in gran parte residenti in città, che facevano viaggiare treni e
autobus. Oggi, i guasti sono rari, e la criminalità eccezionalmente bassa.
Come ci si può immaginare, i passeggeri affollano treni e autobus a tutte
le ore del giorno e della notte. Ora New York sta ampliando la rete della
sotterranea con l’aggiunta di prolungamenti e nuove linee.
Infine, il dipartimento di polizia si è avvantaggiato durante i mandati di tre
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sindaci su un arco di vent’anni. David Dinkins ha assicurato le risorse per
assumere nuovo personale. Rudy Giuliani ha fatto della sicurezza il
marchio della sua amministrazione, ingaggiando Bill Bratton per
rivoluzionare il lavoro della polizia in città. Infine, Michael Bloomberg ha al
tempo stesso stabilizzato e migliorato l’opera di Giuliani, facendo di New
York una delle grandi città più sicure, e rendendo la vita più difficile per la
gente da Hollywood alla ricerca di ambienti stradali estremi da filmare.
Quest’anno, il numero di omicidi potrebbe scendere al di sotto dei 500: dai
2.250 di poco più di dieci anni fa.
Sono tre grandi passi in avanti, di dimensioni tali da essere difficili da
cogliere, assimilare, o interpretare. Ciascuno ha seguito una traiettoria
differente e ha caratteri diversi, ma tutti condividono alcuni aspetti.
Sono stati estremamente costosi, e hanno richiesto un forte sostegno
finanziario per quindici anni e più. Ma ciascuno di questi investimenti di
lungo termine, una volta raggiunta una certa massa critica, ha a sua volta
generato uno straordinario valore aggiunto. Sono lievitate le valutazioni
immobiliari nei peggiori e più lontani angoli di tutti i quartieri. Una ricerca
della New York University mostra come gli edifici esistenti all’intervento
IAF Nehemiah si siano fortemente avvantaggiati dalla nostra
realizzazione.
Ciascun intervento ha richiesto tempo per essere realizzato, poi
raggiungere una massa critica e generare una virtuosa reazione e catena.
La svolta in termini di sicurezza pubblica è avvenuta su un arco di quindici
anni. Il rinnovamento del sistema di trasporti pubblici è cominciato circa 25
anni fa. E il rinnovamento della disponibilità di abitazioni è al suo
trentesimo anno, se si calcola, come facciamo noi, il punto di partenza
all’intervento CPC a Washington Heights.
In ciascun caso ci sono stati vari leaders. La stragrande maggioranza
proviene dall’area del volontariato o dei comitati, o della pubblica
amministrazione (sia politici eletti che, cosa più importante, abili
amministratori nei settori della casa, dei trasporti, della sicurezza). Il
settore privato può vantare qualche sporadica partecipazione, ma
complessivamente segue gli altri due a grande distanza.
Ciascun intervento è stato molto combattuto. I vari leaders coinvolti non
operavano affatto in sincronia, in modo cooperativo, e neppure civile l’uno
nei confronti dell’altro. Al contrario, in ogni caso si verificavano dispute,
rivalità, gelosie, a volte anche guerra aperta. Non c’era alcun “incontro
generale dei soggetti interessati” in qualche elegante sala di fondazione o
aula universitaria.
Che dire? Anche oggi, l’idea corrente è che New York sia fuori controllo,
pericolosa, sporca; un bel posto per divertirsi ma orribile per abitarci.
Mentre Chicago è linda, ordinata, sicura, ottimo posto per turisti, uomini
d’affari, studenti universitari. In quanto persona che ha abitato in entrambe
le città e nei loro dintorni per quasi trent’anni, so quanto sia difficile essere
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obiettivi nel giudicarle. E gli stereotipi, una volta fissati, spesso
nascondono la realtà. D’altra parte, Chicago è la riserva privata del clan
Daley, e il Daley di oggi propone tutto ciò che c’è di positive, prendendo
qualunque critica come qualcosa di personale. Chicago ha un’immagine di
città affacciata sul lago. New York non è la riserva personale di nessuno,
né dell’attuale sindaco (che è miliardario), né di quello precedente (ex
candidate presidenziale), né del prossimo. I suoi abitanti apprezzano
l’essere un po’ estremi e disordinati, qualche volta anche in un modo un
po’ esagerato. New York ha molti volti che sfumano l’uno nell’altro, e molti
punti di interesse.
Una delle conclusioni che si possono trarre è che nel lungo periodo sia
meglio – come persone e come amministrazione municipale – affrontare
la realtà. Qualche volta è una crisi come quella di New York di fronte alla
bancarotta, a contribuire a innescare questo confronto. La realtà a New
York 30 anni fa era che sia il mercato che lo stato erano miseramente
falliti: il mercato non disponibile a investire in aree degradate o ad agire a
sostegno di una città morente, il settore pubblico che sperperava centinaia
di milioni di dollari in programmi senza sbocco gestiti da gruppi locali
legati a politici senza prospettive.
Quando ho descritto la situazione della DuPage County e di altre zone a
un molto ascoltato consigliere Repubblicano, mi ha risposto nel modo
prevedibile: “E se tagliassimo le tasse alle imprese? Non si attirerebbero
così attività e persone?”. Ma le tasse sono basse da sempre nella
DuPage County a guida Repubblicana, e sono in diminuzione in
percentuale al reddito complessivo. Anche con meno tasse, anche con
600.000 posti di lavoro nel settore privato, anche con 60.000 persone che
entrano ogni giorno nel territorio della contea per lavorare in più di quante
ne escano, la circoscrizione si trova comunque in una condizione di
disagio fiscale.
E poi, se alla fine guardiamo davvero in faccia la realtà, non è tanto male.
Se ha subito un declino un’intera generazione di istituzioni, ha iniziatati ad
emergerne una nuova. Sono in ascesa nella DuPage, le comunità
musulmana e ispanica, desiderose di contribuire alla prossima fase della
vita della contea. Crescono e prosperano in tutto il territorio le
congregazioni evangeliche, molte che si avvicinano alla piena maturità, al
trentesimo anno di stupefacente crescita. L’istituto di formazione superiore
locale - College of DuPage – attira coorti diversificate di studenti, 30.000,
verso un unico ampio campus. L’istituzione del community college, iniziata
decenni or sono come piccola scuola professionale spesso isolata, ora
forma il 45% degli studenti degli Stati Uniti. Le vivaci reti formate e gestite
da chi ha superato l’abuso di alcol e sostanze stupefacenti rappresentano
una importante presenza in tutti I quartieri urbani e zone suburbane. A
Long Island, queste comunità di recupero stanno seguendo un proprio
percorso pubblico in modo cauto e creativo. Dagli angoli più dimenticati
dell’ovest di Chicago alle affollate vie di East Harlem, l’impresa sociale
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organizza centinaia di scuole pubbliche di ogni tipo. In ciascuna di queste
aree di intervento, organizzazioni come DuPage United, o East Brooklyn
Congregations, o Washington Interfaith Network, o Greater Boston
Interfaith Organization, iniziano a concepire, progettare, attuare soluzioni
a quanto un tempo veniva considerata una serie di problemi sociali
irrisolvibili.
Una seconda conclusione che si può trarre, è che molte delle attuali
strutture e leaders politici non possono o vogliono confrontarsi con queste
nuove realtà. Quando si trova un’eccezione, come un riluttante ma alla
fine davvero convinto sindaco Ed Koch, o un responsabile per la casa
come Felice Michetti, ottimo. Ma aspettare che la maggior parte si muova,
o dar loro la colpa perché non lo fa, non sembra una risposta molto
costruttiva. Il che riporta il carico delle riflessione e dell’azione a un nuovo
genere di leader civile: un volontario con un vero seguito nella comunità
locale, ma anche con una capacità di analisi e comprensione che vada
oltre i confini cittadini o regionali. Il rinnovo delle città in crisi negli stati in
crisi come in Ohio - Dayton, Toledo, Cleveland, Youngstown, Sandusky,
Lorain, e tante altre – dipende dalle donne e uomini che ci vivono e a cui
interessano queste città. Ma devono anche entrare in relazione con altri
leaders ben oltre i propri contesti. Devono attivare un tipo di squadra ad
hoc per una strategia economica dell’area, dello stato, per l’intera zona in
difficoltà, come quella descritta dall’ottimo libro di Richard Longworth,
Caught in the Middle.
Una terza conclusione è che questa opera richieda una serie di nuovi
alleati e contributi, per riuscire. La ricostruzione di East Brooklyn si è
basata sulla straordinaria leadership e sostegno finanziario di tre entità
religiose: la diocesi cattolica di Brooklyn, quella episcopale di Long Island,
e la Missouri Synod Lutheran Church of St. Louis. Tre entità che non
erano d’accordo su nulla dal punto di vista dottrinario, ma che si sono
unite per investire milioni, senza interesse, a finanziare la costruzione di
case economiche. Altri alleati indispensabili sono stati lo scomparso I.D.
Robbins e l’attuale responsabile generale, Ron Waters. Due esperti del
settore delle costruzioni che hanno contribuito a sovrintendere e portare
avanti un lavoro di recupero straordinariamente difficile e complesso. Altro
soggetto significativo, la Community Preservation Corporation, che ha
offerto inestimabile competenza tecnica e sostegno finanziario.
Nessuno di questi contributi è di carattere “locale” nel senso
dell’organizzazione di East Brooklyn. I vari leaders religiosi e civili devono
riuscire ad aver fiducia in competenze da altri ambiti. Se e quando lo
fanno, rendono più ampio e profondo l’effetto dell’azione, molto oltre
quanto avevano immaginato all’inizio. Un articolo comparso sulla Harvard
Business Review di John P. Kotter descrive la necessità per i leaders di
“schierare” le competenze necessarie, per aumentare le probabilità di
grandi trasformazioni. Gli attuali schieramenti delle attuali dinastie di classi
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dirigenti nazionali e locali, dei programmi riformisti, delle vecchie politiche
conservatrici di riduzione delle tasse, degli enti municipali frammentati,
non possono funzionare. C’è bisogno di un nuovo schieramento: una
nuova generazione di leader locali, di visionari come lo scomparso
vescovo Francis J. Mugavero, di grandi professionalità nei settori della
finanza, del lavoro, della ricerca, che non siano troppo prudenti o al soldo
dell’establishment.
Una quarta conclusione è che sono necessarie nuove forme di
finanziamento, da nuove fonti, utilizzate in modi innovativi, per rivitalizzare
città e regioni. Una cifra relativamente modesta, di 8 milioni di dollari,
raccolta dalle organizzazioni religiose di East Brooklyn nel 1982, ha
cambiato in modo radicale il modo in cui è stata accolta la proposta di
costruzione di case economiche unifamiliari. Questo gruppo di pastori e
laici di una zona della città, nominato dalle elites per una “diminuzione
programmata” in qualche modo aveva accumulato una somma di denaro
tale da impressionare sindaco, consiglieri, giornali e costruttori. Questa
risorsa iniziale costantemente reinvestita ha poi generato abitazioni con
un valore di mercato attuale che si avvicina a un miliardo di dollari. Sarà
necessario che organizzazioni e loro alleati creino nuove basi di
finanziamento: dell’ordine di centinaia di milioni nei centri minori, e di
miliardi in quelle più grandi e nelle regioni metropolitane. Le
amministrazioni locali dovranno abbandonare il dogma del meno tasse o
nessuna tassa dell’epoca dopo Reagan. Tasse più alte, a sostegno di
strategie economiche e sociali accuratamente orientate, saranno
fondamentali per le ricostruzione delle città tradizionali americane e dei
suburbi in fase matura. Negli anni più produttivi del proprio housing
revival, la città di New York ha speso più di altre cinquanta tutte insieme
per costruzione e recupero di abitazioni. Si vede. I risultati di questo
investimento sono incalcolabili.
Una quinta conclusione è che ci potrebbe essere bisogno di meno
amministrazione e più panificazione. Oggi, c’è altrettanta, se non più,
attività legislative locale, di contea, statale, nonostante le risorse
diminuiscano destinate a sempre meno priorità. La virulenza dei contrasti
interni e delle vendetta personali farà solo in modo che queste risorse
diminuiscano ancora. Le dispute politiche ricordano quelle accademiche:
tanto più intense quanto minore l’oggetto. Per i cittadini continuare a
spendere energie e denaro in queste dinamiche rappresenta una micidiale
forma di lento suicidio politico.
Ho concluso le mie osservazioni di quella piacevole serata di fine ottobre
con una sfida: I cittadini di aree suburbane come quella della DuPage –
storicamente Repubblicana, politicamente moderata, collocate tra le
ampie distese delle fattorie che hanno prodotto il primo ciclo di ricchezza
del Midwest, e quella che un tempo era la solida città industriale di
sito diretto da fabrizio bottini -10/11 - http://mall.lampnet.org
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Chicago, fonte del secondo ciclo di agiatezza – devono ri-schierarsi con
nuovi leaders di vari settori, e aprire nuove strade verso i “lodevoli scopi”
dei decenni a venire. Il solo fatto di agire in questo modo, di aprire quelle
strade, coinvolgendo altri, immaginando come offrire a tutti un punto di
partenza equo e una vera occasione nella cosa della vita, rafforzerà
persone e contesti, collocandoli rispetto a un nuovo prospero ciclo di
esperienza nazionale e locale.
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