percorso h - Simone per la scuola

Transcript

percorso h - Simone per la scuola
N
O
E
S
Percorso H
La responsabilità extracontrattuale
Approfondimenti
La responsabilità nella circolazione dei veicoli
L’art. 2054, 3° comma, c.c. contiene una previsione di responsabilità per fatto altrui: particolarmente esso
si riferisce a quella del proprietario del veicolo per danni arrecati dal conducente, salva la prova che il
veicolo ha circolato contro la sua volontà. Nella teoria tradizionale, la responsabilità del proprietario era
fondata sulla presunzione del suo permesso alla circolazione ovvero dell’omissione di alcun divieto di
circolazione.
Invece, anche questa è una forma di responsabilità oggettiva, tesa a garantire il risarcimento del danno da
parte del proprietario che è obbligato per legge a stipulare il contratto di assicurazione. L’obbligo legale trova
un limite solo nel fatto che il veicolo ha circolato contro la volontà del proprietario che, però, deve concretizzarsi in atti e fatti tali da dimostrare diligenza e cautela e non in un generico e vago divieto di usare il veicolo.
Si è fuori dall’ambito di applicazione della norma nel caso in cui il proprietario abbia affidato il veicolo ad
un garage o ad un’officina di manutenzione, seria e professionale (onde non configurare una culpa in eligendo), non tanto perché non c’è volontà alla circolazione, quanto, piuttosto, perché manca la materiale
disponibilità del veicolo.
L’applicazione della norma alla P.A. è consentita con riferimento alle attività materiali collegate all’esplicazione di funzioni pubbliche.
La responsabilità della P.A. è esclusa da un concreto ed efficace comportamento ostativo alla circolazione
del veicolo e non da una norma astratta o un ordine in tal senso. Nella categoria che collega la responsabilità civile all’esercizio di un’attività pericolosa rientrano le previsioni di cui agli artt. 2050 e 2054, 1°
comma, c.c.
La tutela risarcitoria del trasportato
Con il contratto di trasporto (artt. 1678-1702 c.c.) una parte, detta vettore, si obbliga verso corrispettivo a
trasferire cose o persone da un luogo all’altro (art. 1678 c.c.).
Il contratto di trasporto è un contratto essenzialmente oneroso e il pagamento del corrispettivo costituisce
un elemento essenziale del contratto. Ancorché il contratto di trasporto sia normalmente a carattere oneroso, non è esclusa la possibilità di un trasporto gratuito. In questa ipotesi, l’esecuzione della prestazione
ad opera del vettore pur non collegandosi alla previsione di una controprestazione, trova una sua ragione
giustificativa nell’esistenza di un interesse del vettore, diretto o mediato, ma comunque giuridicamente
apprezzabile e rilevante, all’adempimento della prestazione.
Diverso è, invece, il trasporto amichevole (o di cortesia) assunto per ragioni sociali, politiche, religiose o
altro, che è caratterizzato dalla volontà delle parti di non dar vita a un rapporto giuridicamente rilevante.
La tutela risarcitoria del trasportato, fino alla sentenza della Cassazione n. 10629/1998 dipendeva, in modo
decisivo, dalla qualificazione del rapporto di trasporto come rapporto contrattuale o come rapporto di mera
cortesia.
Approfondimenti
Infatti, al solo rapporto di trasporto contrattuale, ancorché gratuito, è applicabile l’art. 1681 c.c., che fissa
la presunzione di responsabilità contrattuale del vettore nei confronti del trasportato.
L’art. 1681 c.c. dispone che «salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento nell’esecuzione
del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e
della perdita e dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottato tutte le
misure idonee ad evitare il danno».
Né al trasporto di cortesia si riteneva applicabile, se danneggiato era il trasportato, il sistema di responsabilità (extracontrattuale) fissato dall’art. 2054 c.c., che dispone, al 1° comma, che il conducente è «obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di avere
fatto tutto il possibile per evitare il danno», e prevede la presunzione di responsabilità a carico del proprietario del veicolo, disponendo, come detto, al 3° comma, che «il proprietario del veicolo è responsabile in
solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà».
Così, mentre il trasportato a titolo contrattuale poteva valersi della presunzione di responsabilità apprestata dall’art. 1681 c.c. nei confronti del conducente dell’autoveicolo, il trasportato a titolo di cortesia poteva
valersi esclusivamente della tutela risarcitoria apprestata dall’art. 2043 c.c., sia nei confronti del conducente, sia nei confronti del proprietario, con la conseguenza di dover dare la prova del fatto illecito e della
colpa in base ai principi generali. La persona trasportata a titolo di cortesia in un veicolo coinvolto in un
incidente stradale — sosteneva la Cassazione — per ottenere il risarcimento del danno alla persona da
parte del proprietario del veicolo sul quale viaggiava, può agire nei suoi confronti non ai sensi del 3° comma dell’art. 2054 c.c., che è applicabile soltanto ai terzi estranei alla circolazione e non anche ai trasportati, ma ai sensi dell’art. 2043 (Cass. 4389/1979). La già citata sentenza della Cassazione 10629/1998 ha
superato l’orientamento precedente, stabilendo che l’art. 2054 c.c. debba essere applicato anche a favore
del trasportato, quale che sia il titolo del trasporto, nella sua interezza, sia nella parte in cui prevede in via
presuntiva la responsabilità del conducente, sia nella parte in cui a questa aggiunge la responsabilità solidale del proprietario del veicolo.
L’argomento cardine della Cassazione è che non sia conforme alla realtà attuale la tesi secondo cui il trasportato sarebbe in grado di valutare il rischio del trasporto e quindi lo accetterebbe, rendendo così ingiustificata la presunzione di responsabilità a carico del conducente. La tesi della «non estraneità» del trasportato alla circolazione era sostenibile, secondo la Cassazione, in un momento in cui «la circolazione dei
veicoli costituiva un fenomeno relativamente contenuto, la velocità e la potenza media dei veicoli a motore erano incomparabilmente inferiori, i grandi spostamenti venivano in prevalenza effettuati su mezzi
pubblici che non viaggiavano su strada.
In quel contesto, la valutazione del rischio da parte del trasportato era, in certi limiti, possibile; l’eventualità che egli subisse lesioni personali o la perdita della vita a causa del trasporto appariva obiettivamente
remota; la «cortesia» costituita dal trasporto era socialmente più apprezzata; la tipologia degli incidenti
era più ristretta e, dunque, appariva più agevole per il trasportato provare la colpa del conducente».
Attualmente, invece, mutate queste condizioni, non vi è più ragione di ritenere il trasportato «rispetto a chi
non viaggi sul veicolo, e quindi sia estraneo alla circolazione di esso, in una situazione tanto diversa da
giustificare una differenziata disciplina della responsabilità del conducente (e del proprietario) per il danno
derivatogli ». Orientamento questo confermato anche dalla successiva giurisprudenza (Cass. 24749/2007).
La responsabilità per gli illeciti commessi dai minori
Nel caso di fatti illeciti compiuti dai minori occorre distinguere due ipotesi: quella del minore incapace di
intendere e volere e quella del minore capace di intendere e volere.
Nel primo caso l’art. 2046 del codice civile stabilisce che non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e volere al momento in cui l’ha commesso e il risarcimento è
dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto
(art. 2047).
L’obbligo della sorveglianza può derivare da un dovere legale, come per i genitori e i tutori o da un obbligo conseguente ad un rapporto obbligatorio volontariamente assunto, come per esempio nel caso di una
baby sitter.
2
percorso H • La responsabilità extracontrattuale
Approfondimenti
Secondo l’opinione tradizionale (DE CUPIS, CORSARO) si tratta di una responsabilità diretta per fatto
proprio, in particolare di una responsabilità per colpa e precisamente per colpa in vigilando. «La responsabilità dei sorveglianti è diretta e non già indiretta perché si ricollega alla violazione di un preciso dovere
che a loro incombe e discende pertanto da un proprio comportamento» (GAZZONI).
Secondo BIGLIAZZI-GERI più che di responsabilità per colpa dovrebbe parlarsi di un obbligo legale di
garanzia posto a carico di chi sorveglia l’incapace; mentre il poter provare di non aver potuto impedire il
fatto costituisce una limitazione dell’obbligo legale di garanzia.Tale obbligo di garanzia è posto dalla legge
a carico di determinati soggetti per rendere più sicuro il risarcimento del danno cagionato da incapaci.
Secondo altri si tratta di responsabilità indiretta, cioè per fatto altrui, e di tipo oggettivo (FRANZONI,
BOBBIO). Infatti provare di non aver potuto impedire il fatto significa essere ammessi a provare solo la
mancanza del nesso causale tra il fatto e l’evento dannoso.
Diversa è l’ipotesi in cui il minore è capace di intendere e volere poiché in tal caso il minorenne capace
di intendere e volere risponde personalmente ma insieme con lui rispondono solidalmente i genitori a meno
che non provino di non aver potuto impedire il fatto (art. 2048).
Al pari della prima ipotesi la dottrina è divisa. Parte della dottrina ritiene che si tratti di responsabilità per
colpa e precisamente di una colpa in educando.
Dello stesso avviso sono alcuni giudici secondo cui «i genitori sono tenuti a dimostrare, per liberarsi da
responsabilità per il fatto compiuto dal minore in un momento in cui lo stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso un’educazione adeguata a prevenirne comportamenti
illeciti» (Cass. 14-3-2008, n.12501).
Secondo altri autori, invece, la norma contempla un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui e oggettiva. Il
genitore risponde, infatti, non per il fatto proprio ma per quello del minore e la possibilità di fornire la
prova di aver dato un’educazione adeguata al figlio è praticamente impossibile.
Si trova spesso affermato che non potendosi provare in positivo quale tipo di educazione i genitori hanno
fornito al figlio, la prova può essere data in negativo, nel senso che dalle stesse modalità del fatto illecito si
può risalire all’educazione ricevuta: come dire se un figlio è stato ben educato non causa danni; se li causa vuol dire che non è stato ben educato e quindi i genitori sono da considerarsi responsabili.
percorso H • La responsabilità extracontrattuale
3