L`immaginazione al podere. La 4 Stati di Marko

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L`immaginazione al podere. La 4 Stati di Marko
L’immaginazione al podere. La 4 Stati di Marko Fon, ovvero Rodin e Giacometti
trasformati
Qualora non foste ancora a parte del mistero dei celebri bronzi scomparsi di Auguste Rodin e Alberto Giacometti,
ebbene, qui se ne dà conto.
C’era una volta, a Parigi, un bronzo di Auguste Rodin. Stanco del podio e annoiato dai commenti di zotici e critici,
tanto da non riuscir più a distinguere gli uni dagli altri, decise di scappare. Possibilmente verso il mare. E c’era a
Zurigo una scultura altrettanto stanca e annoiata, figlia del genio di Alberto Giacometti. Incontratisi a una mostra
itinerante, piaciutisi subito, architettarono una fuga entro un mese giorno più, giorno meno: tanto per cominciare fino
a Vienna, per incontrarsi lì e di lì raggiungere l’Adriatisches Küstenland.
Evasa grazie a una mucca viola che la sbalzò alla Fraumünsterkirche, proprio sotto i finestroni di Chagall, la svizzera
raggiunse rocambolescamente Losanna, dove per il rotto della cuffia riuscì a salire sul Simplon. Sull’Orient Express,
intanto, al termine di inenarrabili peripezie, era furtivamente salito a Parigi il francese. Nascosto tra corpetti e casiers
de maquillage nell’enorme Saratoga di un’enorme dama, moglie di un enorme diplomatico, viaggiò fino a Wien
Südbahnhof e qui, districatosi a stento dai vestimenti della signora, ampi ciascuno quanto un fiocco di prua, grazie
alla compiacenza d’un facchino bisiàcco riuscì ad abbordare il Simplon sul quale lo attendeva, camuffata da piantana
in una carrozza ristorante, la scultura sua cara.
Si riconobbero senza fatica. Si ripiacquero. Si riebbero dalle fatiche. Poi, dopo un giorno di diverse fatiche e di
viaggio e paludamenti, giunsero finalmente nella città della bora e della borsa, la casa di tante nazioni quante
assicurazioni: giunsero a Trieste.
Ma l’agognata e fervida città adriatica fu, malauguratamente, anche teatro della loro perdita. Si narra che un exdipendente della Unionbank di Vienna indicò ai due, ignari e allegri, la via che divenne quella della misteriosa
scomparsa: ritenne, infatti, di consigliar loro una gita panoramica e per questo li indirizzò alla tranvia di Opicina.
Saliti così a Piazza Oberdan su una vettura, sbagliarono fermata e scesero alla stazione ferroviaria, che a quei tempi
era ancora il capolinea. A un dipresso, nel sole di mezzogiorno, li scorse vagar contenti Borut il suonatore, che
procedeva lento verso la stazione col suo organetto di Barberia, e che da loro ricevette persino un obolo per la
musica: di bronzo, manco a dirlo. Fu questo l’ultimo avvistamento giudicato credibile.
A onor del vero, un vecchio avvinazzato di Boriano
raccontava anni dopo d’aver caricato due
implausibili viandanti, due sculture d’amanti, foresti
ma dai sembianti stranamente familiari, sul suo
barroccio; e d’aver poi accostato presso un muretto
a secco, al limitare d’un vigneto a lui caro. Tra quei
filari inframmezzati di peschi di vigna e pruni
voleva riparare per una bevuta di vino e un pisolino,
ma soprattutto per condurre quelle creature a
rivedersi in quelle viti che, secondo lui, tanto gli
somigliavano, nodose e tortili com’erano. E
raccontava, il vecchio, d’averle viste stanche; e che
perciò le accomodò sotto le due viti più speciali,
quelle che stavano loro proprio come un gemello e
una gemella. “A un tratto mi destai – così
l’avvinazzato – per un rumore come di schiocco; e sarò pur stato sbronzo, ma dei bronzi – vi giuro! – neanche
l’ombra. E al loro posto – vi dico! – due viti nuove che parevan vecchie!! E che parevan loro!!!“.
La realtà dei fatti resta avvolta nel mistero. La conoscono solo i personaggi coinvolti in questo giro virtuoso di
creazioni, cioè Rodin e Giacometti, le due sculture, le due viti di malvasia in cui la favola le vuol mutate, il vino che
esse danno. Tutti loro, creatori e creati, di certo la sanno: perché per chi la crea, la realtà non ha misteri.
Se, putacaso, voi non create, né tantomeno siete disposti a bervi una favola, potrà esservi comunque di conforto bere
un vino che, senza suggestioni, attinge alla materia delle favole.
La Quattro Stati 2011 di Marko Fon è una sorta di Venere paleolitica delle Malvasie: tutta terra e rotondità calcaree
e fittili, il senso al suo primordio e la fertilità. È il vino elementare dei Fisiologi: acqua, aria, terra e fuoco.
Svolgimento. Acque: accostare il naso a una polla termale, o a un lago, o sostare presso la battigia. A seguire, aria:
una sensazione di movimento e intensità penetrante, correntizia. Di forza. Nel calice il vino verdeggia: verbena,
avocado, felce, fava, conifere, uva spina, pesca bianca. E fiorisce: ginestra e zagara. In bocca: terra e fuoco. Presenza
distesa, sensazione diffusa di energia e materia. Calore radioso e sapidità radiale, ficcante. Sale, assenzio, genziana e
arancia amara. Verso il finale, dopo il calore, terra e calcare, succo di pesca, neroli. Dolcezze mimetiche (agrumi e
zenzero canditi) e persistenza su erbe amare, radici (ginseng), loto, anice stellato e cioccolato bianco. Vino ampio,
profondo, che regala sensazioni di spazialità.
D’altronde, dai Fisiologi ai fisici, dalle curve della Venere alla curvatura dello spaziotempo, è sempre questione di
massa, energia e pressione.