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IL DIRITTO DI ESSERE BAMBINI: LA LEZIONE DI IQBAL MASIH
"Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro
che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite". Dentro questa frase, semplice e
inequivocabile, è racchiuso il senso di una storia straordinaria, di una favola più forte della violenza
che avrebbe voluto impedire al protagonista di scriverla, e che poi ha provato, invano, a
cancellarla. Ma la favola di Iqbal è bella, viva, e continua a commuovere chiunque si fermi ad
ascoltarla.
Iqbal Masih non è nato in una metropoli occidentale, ma a Muridke (città pakistana in cui lo
sfruttamento minorile al lavoro era la norma) nel 1983. Non può sottrarsi al destino comune dei
bambini che, come lui, sono venuti al mondo in quella regione tormentata, e a soli 4 anni inizia a
lavorare in condizioni di schiavitù, legato a un telaio per dodici ore al giorno, dopo che il padre
l’aveva venduto al direttore di una fabbrica per cercare di salvare un altro figlio, gravemente
malato. Soffre Iqbal, cerca ripetutamente di fuggire da una vita impossibile, ma viene
regolarmente riacciuffato dal direttore, che per punirlo lo getta in un pozzo nero che lui ribattezza
“la tomba”. Ma questa brutalità non fa altro che accrescere nel bambino il desiderio di libertà,
senza riuscire a fiaccarne la forza di volontà e la voglia di correre verso una vita diversa. È il 1992
quando, a soli 9 anni, la fuga da quella prigione lo porta a partecipare a una manifestazione del
Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato, durante la celebrazione della “Giornata della
Libertà”: è in quell’occasione che Iqbal decide di raccontare spontaneamente la propria storia e
quella degli altri bambini che lavorano in condizioni disumane nella stessa fabbrica di tappeti in cui
lui passa le sue giornate, diventando il simbolo della lotta contro lo sfruttamento minorile. Il
segretario dell’associazione, Eshan Ullah Khan, lo strappa a quella vita di miseria e trasforma la sua
storia in un grido contro i diritti violati di milioni di bambini: Iqbal diventa la voce di chi, come lui,
vive un’infanzia indegna.
La favola di Iqbal inizia in quel momento, da quando lui, con la sua corporatura esile e mai
pienamente sviluppata a causa del durissimo lavoro in fabbrica, si trasforma nel gigante della lotta
condotta contro chi calpesta l’infanzia, diventa il punto di riferimento più prezioso per grandi e
piccoli, un sindacalista bambino che scuote le coscienze di tutti sensibilizzando l’opinione pubblica
mondiale sui diritti internazionali dei più piccoli. È il protagonista di conferenze in tutto il mondo,
dall’Asia a Stoccolma, fino a Boston; il suo impegno è coronato dal premio Reebok, di 15.000
dollari, per la Gioventù in Azione, con cui sogna di finanziare una scuola nel suo Paese. L’amore
per la sua terra è dimostrato dal rifiuto di trasferirsi negli Stati Uniti per beneficiare di una borsa di
studio messa a disposizione per lui dall’Università Brandeis di Waltham: è troppo importante, per i
bambini del Pakistan, che lui rimanga laggiù, a combattere per loro con la forza della sua
testimonianza. I risultati non tardano ad arrivare: grazie alla sua azione, il governo pakistano
chiude decine di fabbriche di tappeti, e circa tremila bambini escono dalla schiavitù che li aveva
inghiottiti.
È libero Iqbal, è un bambino che ha lottato per uscire da un incubo, fuori dal quale ha trascinato
migliaia di piccoli lavoratori, indifesi da sempre. Ha 12 anni e corre in bicicletta quando qualcuno,
affiliato alla mafia dei tappeti in Pakistan, spezza la sua vita sparandogli da pochi passi. È il 16
aprile del 1995, la domenica di Pasqua, il giorno della Resurrezione. Lui muore, ma la sua vita
troppo breve è un miracolo che rinasce ogni giorno negli occhi dei bambini che, grazie a lui,
possono avere una vera infanzia, possono andare a scuola, possono sfuggire a un destino che,
senza Iqbal, sarebbe stato inesorabilmente segnato.
Per saperne di più:
Iqbal, film del 1998 diretto da Cinzia Th Torrini.
Ferdinando Morabito