Fa tutto per gloria di Dio
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Fa tutto per gloria di Dio
Lavoro: senso e speranza per l’uomo a cura della Funzione Vita Cristiana – Acli nazionali Fa tutto per gloria di Dio UIOGD? Che password sarà mai? Ut in omnibus glorificetur Deus. Fa tutto per la gloria di Dio. Non è raro trovare nei monasteri, soprattutto su qualche portale d’ingresso, questa espressione. Significa obbedienza a Dio nel senso più pieno del termine: ovvero agire in libertà piena per Colui che amiamo senza misura. In effetti, l’azione di glorificare Dio, include la vocazione originaria di ogni uomo, non solo riconoscere chi siamo veramente, ma anche esprimere il servizio e la cura per quanto ci è stato donato. Obbedienza come ascolto Certamente significa riconoscere la nostra dipendenza da Dio nell’obbedienza. È un obbedire nel senso etimologico di ab-audire, ovvero, tender l’orecchio per ascoltare con amorevolezza. Ma vi è sotteso qualcosa di più: vi è qui il segreto per una sana integrazione tra lavoro e fede. In un certo senso, io consacro il mio lavoro per darlo a Dio, per essere obbediente a Dio in tutto, «ti offro le azioni della mia giornata – recita un’antica preghiera popolare –, fa che esse siano tutte secondo il tuo volere». Qualunque cosa io faccia, la faccio per l’amore di Dio, come meglio posso, nella fiducia che Dio si compiace di ricevere i miei sforzi. Amministratori della grazia di Dio Si tratta di una prospettiva che ricaviamo dalla regola benedettina, ma vi è qui, quanto ravvisiamo nella Prima lettera di Pietro: «Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,8-11). Dunque, tramite il lavoro, noi siamo amministratori non solo dei nostri talenti, ma anche della “grazia multiforme di Dio”. La vita di Dio è resa in qualche modo visibile nella creazione quando lavoriamo nell’amore di Dio. Quanto volte sperimentiamo il nostro lavoro come una distrazione da Dio? Forse si tratta di imparare a dire: fammi guardare di nuovo, facendomi capire che quando sono presente realmente al mio lavoro sono presente a Dio, che è il mistero che tutto sostiene. Certo non mancano i momenti in cui si sperimenta il nostro lavoro come una prova ardente, come una prova di fede, vissuto con tanta sofferenza. Non importa, sembra dire lo scritto petrino, affidiamoci a Dio, come faceva Gesù, continuando a fare il bene. Ci sarà una dura, se non impossibile, pressione di impegni su di noi nel corso della giornata, o in taluni momenti nei quali non sarà risparmiata l’oscurità della conoscenza e il dubbio della fede. Ma in ogni caso, semplicemente, noi possiamo offrirli a Dio. Offrire il lavoro e la sua fatica a Dio Quando il lavoro è percepito come vuoto, sbagliato, inadeguato, o difficile, facciamo del nostro meglio e offriamolo a Dio. Ci resta il solo atto di offrire a Dio quanto abbiamo, è tale atto che lo consacra. Il lavoro frustrante che diviene la nostra vita nelle mani di Dio, dove è santificata. Sempre, qualunque cosa presenta a Dio. «Mediante il duro lavoro, vivi la Pasqua (passaggio) quotidiana dalla sofferenza alla offerta, dalla costrizione all’accettazione; e dall’essere semplicemente sottomesso diverrai un figlio che condivide il lavoro del Padre. Così unificato, puoi tutto per la gloria di Dio». (Regola di vita della Comunità di Gerusalemme, i monaci nella città). Lavoro: senso e speranza per l’uomo a cura della Funzione Vita Cristiana delle Acli Ogni vita ha le sue esigenze e frustrazioni; ogni vita ha i suoi limiti. Ogni mestiere ha le sue costrizioni, che possono essere opportunità per offrire completamente a Dio il nostro lavoro. Ad esempio possiamo dare a Dio quello che non comprendiamo, e ci sarà ridonato indietro immerso nella vita stessa di Dio. In questo modo la nostra obbedienza diviene uno strumento misterioso di aiuto al lavoro incessante di Dio nel mondo. È la nostra risposta, Dio desidera attivamente la nostra collaborazione nella ri-creazione continua del mondo, e quindi siamo invitati a vedere il nostro lavoro quotidiano come un contributo al lavoro stesso di Dio. Lavoro e santità In un tempo come il nostro, che presta scarsa attenzione al lavoro inteso come un elemento essenziale della vita, è ancora fattibile concepire il nostro lavoro come strumento di santificazione? Qualcuno potrebbe pensare a una sorta di frustrazione per gente come noi, in effetti pare essere impensabile pensare il lavoro integrato nella vita e nella fede stando lontani dal silenzio di un chiostro. Per la verità i tanti modi mediante i quali ci si guadagna da vivere appaiono lontani se non contrapposti alla fede. Modalità e ambienti di lavoro che coinvolgono la nostra vita paiono esigere la negazione di qualunque aspetto inerente alla mistica. La lezione di san Benedetto Riemerge oggi la prospettiva introdotta da Benedetto, essa continua a interrogarci e perfino a sfidarci attraverso i tempi. Guardando la figura di Benedetto da Norcia, sentiamo di poter attingere il “segreto” e applicarlo alle nostre situazioni, insieme a quei ritmi di vita che ci caratterizzano come uomini e donne impegnati totalmente con la professione, la famiglia e il guadagnarsi da vivere. È interessante ricordare a tal proposito quanto, qualche anno fa, in un incontro informale con delle studentesse universitarie, l’allora card. Ratzinger, in una botta e risposta sui temi sollecitati dalle stesse giovani, circa il ruolo del cristiano nella società contemporanea, egli le invitava alla riscoperta di una spiritualità del lavoro, in grado di aprire al laicato un fondamentale e vivace spazio all’interno della chiesa. È questa la via per cercare un senso della vita che sia cristiano e possa rivelarsi coerente con un progetto di vita professionale. Un itinerario fatto di piccoli ma costanti passi. «Vedendo i nostri sforzi come gocce d’acqua contro un muro insormontabile, si potrà quasi disperare dell’esigenza della fede nel mondo. Però proprio questi è il modo d’agire divino… la strada divina è quella dell’amore e della giustizia, e con queste gocce d’acqua si può trasformare il mondo». Una “strategia” – proseguiva l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina e la fede – che si è rivelata feconda nella esperienza del Gesù di Nazaret, ma non solo. «Pensiamo anche ai grandi santi. S. Benedetto comincia dimenticando il peccato, con un piccolo gruppo di persone poco affidabili. E dai monasteri, piccole isole della sopravvivenza della cultura e dell’umanità, verranno le città, la nuova cultura, la stessa Europa. Lo stesso si può dire per s. Francesco. Il coraggio di incominciare di nuovo, e iniziative umane ispirate dalla luce divina, non soltanto sono necessarie, ma rappresentano la vera speranza del mondo. Certo, le grandi imprese positive sono necessarie, ma esse si spengono, muoiono, si inaridiscono se non viene questa piccola fonte d’acqua delle iniziative semplici e personali. In questo senso direi: coraggio! Queste iniziative hanno un senso, hanno un futuro». padre Elio Dalla Zuanna accompagnatore spirituale Acli nazionali 2