l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLIII n. 41 (46.285) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 . Moltissime persone in piazza San Pietro per l’Angelus prima dell’inizio degli esercizi spirituali in Vaticano La via di Dio e la via dell’uomo Il grazie del Papa per la preghiera dei fedeli in questi giorni difficili «Grazie per la vostra preghiera in questi giorni per me difficili». Si rivolge ai suoi connazionali, Papa Ratzinger, e manifesta riconoscenza per il loro sostegno. Li individua in una piazza straripante di gente, venuta da ogni dove, per esprimergli ammirazione, gratitudine, vicinanza. I fedeli tedeschi si annunciano con un grande cartello dove è scritto semplicemente Danke. In quella parola il sentimento prevalente di quanti ieri, domenica 17 febbraio, hanno voluto cogliere l’occasione dell’Angelus — il penultimo del pontificato prima di quello in programma il 24 — per salutare il Pontefice unendosi a lui nella preghiera. A loro Benedetto XVI ha affidato una consegna precisa: cercare la via di Dio, che non è la stessa dell’uomo; e rimettere Cristo, e non l’egoismo o la sete di potere, al centro della vita. In ogni momento dell’esistenza — ha ricordato — «siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che è realmente bene?». Una domanda alla quale rispondere senza cedere alla tentazione di «stru- mentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali». Terminata la preghiera, la piazza si scioglie in un applauso ricco di calore e affetto. Applauso che si ripete ogni volta che il Pontefice saluta nelle diverse lingue i gruppi presenti. Per tutti ha una parola di gratitudine. E agli spagnoli chiede in particolare di pregare «per il prossimo Papa». Alla fine, la benedizione e il saluto di Benedetto XVI, con il suo classico agitare le dita delle mani protese ver- Sette autobombe esplodono in diversi quartieri di Baghdad provocando ventotto morti e più di cento feriti Sciiti sotto attacco in Iraq BAGHDAD, 18. Ancora sanguinose violenze in Iraq. Ieri sette autobombe sono esplose in zone sciite di Baghdad. Il bilancio è di ventotto morti. Più di cento i feriti. Ne hanno dato notizia fonti di polizia, aggiungendo che le potenti deflagrazioni hanno devastato negozi e ristoranti. Affollate vie commerciali hanno subito danni materiali molto pesanti. Questa mattina si è appreso che la principale organizzazione irachena affiliata ad Al Qaeda, lo Stato islamico d’Iraq, ha rivendicato gli attentati. In un comunicato, citato dall’agenzia Ansa, i miliziani fanno espresso riferimento al fatto che l’obiettivo degli attacchi sono gli sciiti. Tre autobombe sono esplose nel quartiere di Sadr City, una quarta ad Al Amin, una quinta ad Al Husseiniyah, una sesta a Kamaliyah. Una vettura carica di esplosivo è poi deflagrata al lato di una strada del quartiere centrale di Kerrada. «Stavo acquistando un condizionatore — ha raccontato un sopravvissuto — quando c’è stata una forte esplosione. Sono stato scaraventato sul pavimento e solo dopo alcuni minuti ho visto molte altre persone a terra, alcune morte, altre ferite che chiedevano aiuto». Si è poi appreso che un ufficiale dell’intelligence, capitano Mohammed Rakan, è stato assassinato a Mossul, nella provincia settentrionale di Nineveh, davanti alla sua abitazione: tre uomini armati gli hanno teso un agguato. Dopo l’omicidio, una pattuglia dell’esercito ha dato la caccia ai responsabili, che sono stati uccisi al termine di un lungo scontro a fuoco. Si segnala nel frattempo che decine di migliaia di sunniti continuano a scendere in piazza, in diverse città del Paese, per protestare contro il Governo a maggioranza sciita, che Vendite in diminuzione per la prima volta dagli anni Novanta L’austerità colpisce il mercato delle armi secondo loro, scrivono le agenzie di stampa internazionali, avrebbe «atteggiamenti discriminatori». A Falluja e a Ramadi, ex roccaforti dei ribelli nell’ovest dell’Iraq, i manifestanti hanno bloccato la strada principale che conduce in Giordania e in Siria. Altri hanno manifestato nelle principali piazze delle città di Samarra e Mossul. Proteste si sono registrate anche a Baghdad, dove le forze di sicurezza hanno bloccato le strade che portano verso le province a maggioranza sunnita e hanno cordonato i quartieri sunniti. È da dicembre, ricorda l’agenzia Adnkronos, che i sunniti stanno manifestando per chiedere le dimissioni del primo ministro Nouri Al Maliki, lo stop dei raid nelle zone a maggioranza sunnita e il rilascio dei detenuti. In più di un’occasione, nell’arco di questo periodo, Al Maliki ha formulato appelli al dialogo e a un confronto costruttivo, con l’obiettivo di favorire un clima disteso nel Paese, che continua a essere segnato dalle violenze. y(7HA3J1*QSSKKM( +@!"!?!#!; PAGINE 7 E 8 Udienza di Benedetto XVI al presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Monti La «Verbum Domini» e l’allargamento della ragione Novità dentro le cose solite SAMUEL FERNÁNDEZ Per fare il punto sugli aiuti alla popolazione siriana A PAGINA 5 In un mondo frammentato testimoni di comunione Missione di Cor Unum in Giordania PAGINA 2 FRATEL JOHN A PAGINA Nella sera di sabato 16 febbraio, alle 18, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza privata il presidente del Consiglio dei ministri italiano, senatore Mario Monti, per un incontro di commiato particolarmente cordiale e intenso. Il professor Monti ha manifestato al Santo Padre ancora una volta la gratitudine e l’affetto del popolo italiano per il suo altissimo magistero religioso e morale e per la sua attenzione partecipe ai problemi e alle speranze dell’Italia e dell’Europa. NOSTRE INFORMAZIONI Per Cristo e quindi per gli altri PAGINA 7 so la gente. Poi il Pontefice scompare dietro la tenda della finestra che si chiude lentamente, per lasciare spazio al silenzio nel quale ora si immerge per vivere la settimana degli esercizi spirituali quaresimali. A guidare le meditazioni, iniziate nello stesso pomeriggio di domenica, è il cardinale Ravasi. Anche per lui il filo conduttore è quello del confronto tra il volto di Dio e il volto dell’uomo, vissuto attraverso la preghiera del salterio. 6 Il Santo Padre ha ricevuto in udienza nel pomeriggio di sabato 16 Sua Eccellenza il Senatore Mario Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 Vendite in diminuzione per la prima volta dagli anni Novanta Angela Merkel auspica che tutti i Paesi dell’Ue aderiscano al progetto L’austerità colpisce il mercato delle armi Berlino accelera sulla Tobin tax WASHINGTON, 18. L’austerità colpisce il mercato delle armi. Per la prima volta dalla metà degli anni Novanta la vendita di armamenti da parte delle prime cento aziende produttrici del mondo registra un calo. È quanto si apprende da un rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) sul mercato delle armi. «Le politiche di austerità e l’abbassamento possibile o effettivo delle spese militari così come i rinvii delle richieste di armamenti hanno avuto effetti sulla vendita di armi in America del Nord e nell’Europa dell’Ovest» si legge in un comunicato del Sipri. Da rilevare inoltre la trasformazione anche strutturale che la crisi sta imponendo alle aziende. «Il calo delle spese — si legge ancora nel comunicato — ha condotto alcuni gruppi a una specializzazione militare, mentre altri si sono ristrutturati, diminuendo le loro dimensioni o diversificando le attività». Stando ai dati, le vendite totali di armi per il 2011 sono state pari a 410 miliardi di dollari, in calo del cinque per cento rispetto all’anno precedente al netto dell’inflazione. Il dato — riporta il Sipri — è paragonabile al prodotto interno lordo di Paesi come il Venezuela o la Svezia. I produttori di armi e le società di servizi per il settore della difesa stanno cercando di allontanare le misure di austerità, utilizzando nuove tecniche. Inoltre, cercano ancora di adeguarsi ai cambiamenti delle minacce terroristiche percepite dopo gli attacchi dell’undici settembre. In molti casi si affidano anche a controllate in America Latina, Medio Oriente e Asia. Nel rapporto del Sipri sono le società statunitensi e quelle dell’Europa occidentale a dominare la classifica delle prime cento aziende con il novanta per cento delle vendite. In cima alla classifica c’è la Lockheed Martin, le cui vendite di sistemi d’armi sono state pari a 36 miliardi di dollari, il 78 per cento delle entrate totali della società. Segue la Boeing, con 31,8 miliardi. Mentre completa il podio la britannica Bae System, con poco più di 29 miliardi, in calo di una posizione rispetto all’anno precedente. La società europea Eads si piazza invece in settima posizione Il gettito previsto da Bruxelles si aggira intorno ai trenta miliardi di euro con 16,4 miliardi, subito sopra l’italiana Finmeccanica. In realtà, come sottolineano diversi esperti, il calo delle vendite va preso con una certa cautela. È vero infatti che il settore degli armamenti sta subendo un duro colpo a causa della crisi in corso. Tuttavia, la ricerca del Sipri non considera le società cinesi per mancanza di dati e informazioni, e dunque una buona fetta del mercato asiatico non risulta coperto dal rapporto. Gli esperti, infatti, ricordano che l’esercito cinese è secondo al mondo per le spese in armamenti. Inoltre, i dati del Sipri devono essere confrontati con quelli di altri rapporti pubblicati nei mesi scorsi, che dimostrano come al contrario il mercato delle armi — soprattutto di quelle leggere e non registrate — sia ancora in ottima salute. Nel rapporto annuale della Small Arms Survey, un progetto di ricerca sul mercato mondiale delle armi, promosso dal Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra e pubblicato lo scorso settembre, si sottolinea come nel 2011 i trasferimenti legalmente autorizzati di armi cosiddette leggere, di parti di ricambio e di munizioni abbiano raggiunto un totale di 8,5 miliardi di dollari. Appena cinque anni prima, nel 2006, la cifra ammontava a quattro miliardi. Eric Bergman, direttore esecutivo del progetto di ricerca, ha spiegato che una parte di questo aumento dipende dal fatto che un numero sempre maggiore di Governi finalmente fornisce dati anche sulle operazioni di trasferimento di armi leggere. Un’altra consistente parte dell’incremento della vendita di armi, però, riguarda i conflitti mediorientali, come l’Iraq, e la crescita della vendita di armi negli Stati Uniti. Per quanto riguarda i Paesi esportatori, gli Stati Uniti — ai dati del 2009, gli ultimi disponibili per questo settore — sono in cima alla lista con oltre cento milioni di dollari di esportazione. Seguono a breve distanza Francia e Giappone, che hanno anche superato la soglia dei cento milioni, mentre molto vicini a questa cifra sono anche Germania, Brasile e Italia. Il cancelliere tedesco al palazzo di Bellevue, sede della Presidenza della Repubblica federale (Afp) Il vertice del G20 non spegne i timori di una possibile guerra delle valute Yen in calo sul dollaro e la Borsa di Tokyo mette le ali TOKYO, 18. Il G20 non spegne i timori per una possibile guerra delle valute. Il vertice di Mosca non ha criticato apertamente la svalutazione dello yen operata dal Governo giapponese, e le Borse asiatiche oggi hanno risposto molto positivamente. Il calo dello yen sul dollaro ha favorito in particolare Tokyo (più 2,09 per cento), mentre Taiwan (più 0,47), Seoul (più 0,04), Sidney (più 0,59) e Mumbai (più 0,35) si sono mosse con maggiore cautela. Oggi il premier giapponese, Shinzo Abe, ha chiesto alla Boj, la Banca centrale, di raggiungere il più presto possibile il target di inflazione prefissato del due per cento. «Se non conseguirà i risultati previsti — ha dichiarato Abe in Parlamento — dovremo rivedere la legge costitutiva della Boj». Il prossimo 19 marzo si dimetterà l’attuale Governatore della Boj, Masaaki Shirakawa, tre settimane prima della scadenza naturale. Molti esperti Un rapporto della Cisco prevede che nel 2017 ci saranno più connessioni che persone Il mondo e il futuro di internet Gli utenti su rete mobile saranno 5,2 miliardi contro i 4,3 del 2012 WASHINGTON, 18. Nel 2017 gli abitanti della terra saranno 7,6 miliardi, ma in quello stesso anno sul pianeta ci saranno più connessioni internet che persone. Lo rileva una ricerca della Cisco Visual Networking Index intitolata Global Mobile Data Traffic Forecast 2012-2017, secondo la quale il traffico dati sulle reti mobili del mondo crescerà di 13 volte nei prossimi quattro anni e nel 2017 ammonterà a 11,2 exabyte al mese (134 exabyte all’anno). Un incremento così costante è dovuto, spiega la ricerca, alla continua crescita delle connessioni internet, soprattutto a livello mobile. La Cisco è una delle aziende leader nella fornitura di apparati internet: è nata nel 1984 a San José, California, da un gruppo di ricercatori della Stanford University. I 134 exabyte di traffico dati su reti mobili equivalgono a 134 volte il volume del traffico fisso o mobile che esisteva nel 2000. In concreto si tratta — dicono gli esperti — di circa trenta trilioni di immagini all’anno, come se ogni persona sulla terra ogni anno inviasse via reti fisse o mobili dieci immagini al giorno. A ciò si aggiungeranno tre trilioni di video dal sito di Youtube, come se ogni persona sulla terra, ogni anno, caricasse un video al giorno. Un tale incremento nel traffico dati globale su reti fisse o mobili corrisponde a un tasso di crescita annuale di circa il 66 per cento. Soltanto fra il 2016 e il 2017 si avrà un aumento di 3,7 exabyte al mese di traffico mobile: un volume enorme, pari a quattro volte il traffico internet mobile che si è registrato nel 2012 a livello globale. Cisco ritiene inoltre che nel corso del periodo coperto dallo studio il volume di traffico dati su reti mobili a livello globale sarà tre volte maggiore rispetto al traffico che si registrerà sulla rete fissa. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va Fra i principali elementi che spiegano queste previsioni, secondo Cisco, vi sono: la crescita degli utenti su rete mobile, che entro il 2017 saranno 5,2 miliardi contro i 4,3 miliardi del 2012; l’aumento delle connessioni alla rete mobile, con oltre dieci miliardi di strumenti in grado di connettersi; la maggiore velocità di connessione media delle reti mobili a livello globale, che crescerà di sette volte. Infine, un ruolo non da poco sarà giocato ovviamente dall’incremento dei conte- nuti video fruiti su reti mobili. Per il 2017 i contenuti video daranno conto del 66 per cento del traffico dati mobile a livello globale contro il 51 del 2012. Lo studio Cisco prevede infine che entro il 2016 il 71 per cento di tutti gli smartphone e tablet (1,6 miliardi circa) saranno in grado di connettersi a una rete mobile e a nuove estensioni di internet. Nell’insieme, il 39 per cento di tutti i dispositivi mobili del mondo (oltre quattro miliardi) saranno molto più potenti di quelli attuali. considerano come possibile successore Toshiro Muto, un alto esponente del Governo, considerato un candidato più vicino al premier. Il Governo preme affinché la Boj assuma posizioni di politica monetaria più aggressive e dunque vari nuovi programmi di incentivi all’economia. Il premier Abe ha più volte attaccato la Banca centrale, accusandola di essere troppo “timida” sui cambi, impedendo così all’economia di avanzare. Secondo gli analisti, le dimissioni anticipate di Shirakawa rientrano in questo quadro e sarebbero una diretta conseguenza delle pressioni esercitate sulla Boj. Finora il Paese che si è opposto con più veemenza a questa strategia politico-economica è stata la Germania. Intanto, oggi, Standard&Poor’s ha confermato il rating del Giappone al livello AA meno, con outlook negativo. La decisione di Standard&Poor’s è la prima rilasciata da una agenzia di rating dal lancio delle linee economiche del premier Abe. L’agenzia di rating, che ha riaffermato al Giappone il quarto livello più alto della scala di misura del rating, ha detto che «le misure adottate dal Governo Abe all’inizio del suo mandato saranno di importanza fondamentale se finalizzate ad arrestare il declino prolungato sul credito sovrano del Giappone». I temi economici al centro della visita David Cameron in India Il premier britannico (Afp) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione direttore generale NEW DELHI, 18. Il primo ministro britannico, David Cameron, è giunto oggi a Mumbai per una visita ufficiale di tre giorni in India in cui i temi economici bilaterali e internazionali saranno in primo piano. La giornata odierna nella capitale industriale indiana permetterà a Cameron — scrive l’agenzia di stampa Pti — di avere contatti con imprenditori e uomini d’affari indiani nella prospettiva di incrementare un interscambio commerciale che nell’anno fiscale 2011-2012 ha superato i 16 miliardi di dollari. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Domani il premier britannico si trasferirà a New Delhi dove incontrerà il premier indiano, Manmohan Singh, e il presidente della Repubblica, Pranab Mukherjee. Cameron — sempre secondo l’agenzia Pti — dovrebbe ribadire l’intenzione del gruppo Eurofighter di tornare a offrire alle autorità di New Delhi l’aereo da caccia Typhoon di sua produzione nel caso le trattative economiche e tecniche con la francese Dassault per la vendita di 126 Rafale non dovessero andare in porto. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818, [email protected] Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, fax 06 698 85164, [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 BERLINO, 18. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, torna a ribadire la necessità di una tassazione delle transazioni finanziarie. Nel suo discorso video settimanale, ieri, il cancelliere ha evidenziato che la misura sarà introdotta l’anno prossimo nell’Ue e che, almeno all’inizio, sarà efficace in undici Paesi dell’Unione. «Ma è solo l’inizio e sarebbe meglio se tutti i Paesi Ue vi aderissero» ha detto Merkel, aggiungendo che la Germania sta lavorando intensamente per preparare il terreno all’introduzione della nuova tassa. Berlino preme affinché la norma venga introdotta a livello globale, in modo tale da non creare squilibri. «Sarebbe importante che la misura non sia introdotta solo in Europa, ma anche nelle altre parti del mondo» ha proseguito Merkel. La Commissione europea vorrebbe introdurre la misura da gennaio 2014 in undici Paesi: Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. Il gettito atteso si aggira intorno a 30-35 miliardi di euro all’anno. Il tasso è stata fissato allo 0,1 per cento per azioni, bond e intese di riacquisto e allo 0,01 sui prodotti derivati. Tuttavia, molti dettagli della misura sono ancora allo studio e oggetto di trattative. Ma Berlino non guarda solo alle banche. La Germania, insieme a Gran Bretagna e Francia, ha annunciato un’iniziativa per una migliore tassazione delle multinazionali. A Mosca per la riunione dei ministri delle Finanze del G20, i rappresentanti dei tre Paesi hanno detto di voler lavorare per mettere a punto un piano congiunto da sottoporre al prossimo vertice del G20 in luglio. «Gli effetti positivi della globalizzazione non devono portare a compagnie multinazionali che trasferiscono artificialmente i loro profitti ed evitano l’equo pagamento delle tasse» ha detto il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble. Il ministro dell’Economia britannico, George Osborne, ha sottolineato l’importanza che «le compagnie globali, come tutti, paghino le tasse che gli spettano; l’economia — ha aggiunto — è cambiata in modo enorme nell’ultimo decennio, ma le regole fiscali globali sono rimaste uguali da almeno un secolo». Al ballottaggio per le presidenziali a Cipro NICOSIA, 18. Dalle urne cipriote ieri sera non è uscito il nome del settimo presidente della Repubblica nonostante gli exit poll, rivelatisi sbagliati, dessero inizialmente per vincente con un margine di un paio di punti oltre il 50 per cento il candidato Nikos Anastasiades, leader del partito Unione Democratica (Disy, centrodestra). Si andrà quindi al ballottaggio domenica prossima. Deluse anche le attese di molti nell’Ue che si aspettavano l’elezione di Anastasiades per poter subito dare avvio, ai negoziati per la concessione degli aiuti economici di cui l’isola ha estremo bisogno. Con lo scrutinio di tutte le schede è risultato che Anastasiades ha ottenuto il 45,46 per cento dei voti, mentre Stavros Malas — sostenuto dal partito comunista Akel e che sfiderà Anastasiades al ballottaggio — il 26,91 per cento. Giorgos Lillikas, candidato indipendente, ha ottenuto il 24,93 per cento dei suffragi. L’affluenza alle urne è stata alta, con l’83,14 per cento degli aventi diritto al voto che è andato ai seggi contro il 16,86 per cento di astenuti. Gli osservatori, comunque, prevedono che Anastasiades vincerà comodamente al secondo turno facendo confluire su di sé parte dei voti che ieri sono andati a Lillikas, mentre Malas non avrebbe altre risorse elettorali. Il futuro presidente dovrà da subito rimboccarsi le maniche e affrontare la pesantissima situazione economica dell’isola. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 pagina 3 Sostegno dei Paesi del Sahel alla transizione in Mali Per la pace in Siria Brahimi invita al dialogo Governo e opposizione DAMASCO, 18. La diplomazia internazionale cerca una soluzione alla crisi siriana. L’inviato speciale dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, ha invitato ieri Governo e opposizione a colloqui in vista di un cessate il fuoco. Gli incontri — ha specificato il mediatore — potrebbero inizialmente svolgersi in una sede delle Nazioni Unite. Intanto, i ministri degli Esteri dei ventisette Paesi membri dell’Unione europea si riuniscono oggi a Bruxelles per trovare una posizione comune sul dossier siriano. Brahimi, che ieri ha avuto un incontro alla sede della Lega araba al Cairo con alcuni rappresentanti siriani, non ha fornito particolari sulla località in cui potrebbero svolgersi i colloqui. Il leader della Coalizione dell’opposizione, Moaz Al Khatib, ha proposto la scorsa settimana un incontro con il collaboratore del presidente Bashar Al Assad, Farouq Al Shara, uno dei membri dell’Esecutivo non coinvolti nelle violenze in corso. Khatib avrebbe elaborato anche un piano per la transizione democratica del Paese. Finora Damasco ha risposto positivamente all’offerta di dialogo, chiedendo però che non venga avanzata alcuna condizione preliminare. Tutto questo ha «aperto una porta e sfidato il Governo siriano a mostrare con i fatti quanto proclama, e cioè di essere pronto al dialogo e a una soluzione pacifica» ha detto Brahimi. «Se si avvia un dialogo negli uffici dell’O nu, almeno in un primo momento, tra l’opposizione e una delegazione accettabile del Governo di Damasco crediamo che possa essere l’inizio dell’uscita dal tunnel» ha inoltre spiegato. Domani è atteso a Mosca il capo della Lega araba, Nabil El Araby, per discutere della crisi con il Governo russo. Entro la fine del mese dovrebbe recarsi al Cremlino anche il ministro degli Esteri siriano, Walid Moualem. Mentre la diplomazia internazionale cerca la strada della mediazione, le violenze proseguono senza tregua. Almeno sei persone sono morte ieri nel corso di scontri avvenuti al confine con il Libano. Si tratterebbe di cinque ribelli siriani e di un guerrigliero appartenente alle milizie sciite libanesi di Hezbollah. Secondo fonti del Governo di Damasco, all’origine dei combattimenti vi sarebbe stato il tentativo di un gruppo di guerriglieri libanesi di sottrarre all’esercito siriano il controllo su un villaggio. Nel frattempo, fonti locali citate dalle agenzie di stampa riferiscono che più di un centinaio di civili, tra cui numerose donne e bambini, sono stati vittime nelle ultime 72 ore di una catena di sequestri nella Siria nord-occidentale. L’O sservatorio nazionale per i diritti umani — piattaforma che raccoglie diversi gruppi di attivisti — afferma che le vittime dei sequestri sono oltre trecento. Le città più colpite sono quelle di Fawaa e di Kafaraya, località a maggioranza sciita nei pressi di Idlib. Un agente di polizia piange un proprio caro ucciso nell’attentato a Peshawar (Ap) Ottantatré morti e più di duecento feriti in un attentato dinamitardo a Quetta In Pakistan è di nuovo strage ISLAMABAD, 18. Il territorio pakistano non ha tregua: continua infatti a essere segnato da episodi di violenza che rendono sempre più arduo il già difficile processo di ricostruzione. Questa mattina due attentatori suicidi si sono fatti saltare in aria a Peshawar, nel nordovest del Paese, provocando la morte di quattro membri di una milizia tribale. Sette i feriti. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza pakistana. Ma è stato sabato che il Pakistan è stato segnato da un’altra strage. A Quetta, capoluogo della provincia del Baluchistan, un attentato compiuto dal gruppo terrorista Lashkar-eJhangvi ha provocato la morte di ottantatré persone. Più di duecento i feriti. E ieri è stato indetto uno sciopero generale come segno di protesta contro il perdurare di attacchi che stanno causando pesanti perdite fra i civili. Una giornata di lutto e di solidarietà con le famiglie delle vittime è stata decretata, oltre che a Quetta, anche a Karachi e in tutta la provincia di Sindh. L’attentato, riferiscono le agenzie di stampa internazionali, è stato perpetrato nella zona di Hazara Town, popolata dalla comunità Hazara, gruppo etnico della minoranza sciita. A scoppiare è stata una bomba potentissima nascosta in un camion cisterna: un edificio di due piani è stato raso al suolo. Da sottolineare che questi attentati s’inseriscono in un contesto caratterizzato dai rinnovati sforzi, da parte delle autorità di Islamabad, diretti a riportare nel territorio sufficiente ordine e stabilità. E sono sforzi che mirano anche a intavolare una qualche forma di trattativa con i miliziani, nella speranza che addivengano a più miti consigli. Ma fino a questo momento l’azione diplomatica non è riuscita a dare i frutti sperati. E lo stesso copione si registra sul fronte afghano, dove le autorità di Kabul da tempo stanno cercando di far sedere al tavolo dei negoziati i talebani così da sostenere il tanto auspicato processo di riconciliazione. Ma anche in questo caso l’opera della diplomazia stenta a decollare, mentre l’azione destabilizzante portata avanti dai miliziani, con attacchi e imboscate, continua. E riguardo all’Afghanistan si registra un fatto significativo: il presidente Hamid Karzai ha emanato un decreto che stabilisce che le truppe afghane non potranno più chiedere rinforzi alla Nato per raid aerei in zone abitate. Tre giorni dopo l’ultima strage di civili, che aveva provocato più di dieci morti nella provincia orientale di Kunar, Karzai, osservano gli analisti, Terrore stile Hitchcock in Kentucky Le Farc rilasciano ostaggi ma non fermano gli attacchi BO GOTÁ, 18. Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), il gruppo guerrigliero di sinistra impegnato da mesi a Cuba in un negoziato di pace con il Governo di Bogotá, hanno liberato i tre esponenti delle forze dell’ordine catturati il 31 gennaio, i poliziotti Cristian Camilo Yate e Víctor Alfonso González e il soldato Josué Álvarez Meneses. La cattura dei tre aveva segnato la fine della tregua unilaterale che le Farc avevano dichiarato a novembre, proprio per favorire i negoziati a Cuba, e alla quale il Governo non aveva aderito. Álvarez Meneses, l’ultimo a essere rilasciato, è stato consegnato a rappresentanti Ennahdha contro il Governo tecnico in Tunisia TUNISI, 18. Il primo ministro tunisino, Hamadi Jebali, riprenderà oggi i colloqui con i leader dei partiti politici per formare un Governo tecnico nonostante l’opposizione del suo partito, l’islamico Ennahdha. Alla vigilia dei colloqui i media tunisini hanno invitato i partiti a raggiungere un accordo per risolvere la crisi che ha infiammato il Paese dopo l’uccisione, il 6 febbraio scorso, del leader dell’opposizione laica Chokri Belaid. Il presidente di Ennahdha, Rachid Ghannouchi, ha tuttavia fortemente ribadito il rifiuto del suo partito a partecipare all’iniziative del premier Jebali. «Ennahda non lascerà mai il potere fino a quando potrà contare sulla fiducia del popolo e sulla legittimazione delle urne», ha detto sabato Ghannouchi a migliaia di sostenitori riuniti a Tunisi. ha deciso di allontanare da sé «eventuali sospetti di complicità» con le operazioni della Nato. Intervenendo all’Accademia militare, Karzai ha dichiarato: «Emanerò un decreto in base al quale le unità militari afghani non potranno richiedere l’intervento della Nato in operazioni che abbiano come obiettivo abitazioni o villaggi». In sostanza il decreto di Karzai è destinato a impedire per la prima volta la collaborazione tra l’esercito afghano e le unità dell’Alleanza atlantica: e ciò avviene nel momento in cui le forze afghane si preparano ad assumere il controllo totale del territorio con l’uscita, entro il 2014, delle truppe dell’Alleanza. Ieri il comandante della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf), il generale statunitense Joseph Dunford, ha detto che la scelta del presidente afghano non inciderà sulle operazioni della Nato. «L’Afghanistan è una Nazione sovrana e il presidente Karzai sta esercitando la sua sovranità» ha dichiarato il comandante dell’Isaf che ha aggiunto: «Possiamo continuare a compiere in modo efficace le nostre operazioni militari e rispettare le direttive del presidente». della Croce rossa locale e dell’organizzazione non governativa Colombiani e colombiane per la pace. Il rilascio dei tre ostaggi, comunque, non ha interrotto le azioni armate riprese appunto a fine gennaio. Alle Farc è infatti attribuito l’attacco sferrato sabato contro una stazione di polizia a Puerto Asís, nella regione del Putumayo, nel quale sono stati feriti due agenti. Il capo negoziatore di Bogotá, l’ex vice presidente Humberto de la Calle, pur riconoscendo il valore del rilascio dei tre esponenti delle forze dell’ordine, ha ribadito il no del suo Governo a una tregua bilaterale per la durata dei negoziati. BAMAKO, 18. Il vertice tenuto nel fine settimana nella capitale ciadiana N’Djamena tra i leader dei Paesi del Sahara e del Sahel si è concluso con un appello per il pieno appoggio alle autorità di transizione del Mali e per il ritorno della stabilità in quel Paese. Al tempo stesso è stato proposto di creare una forza d’intervento rapido interafricana. Nel comunicato finale della riunione si sollecita «sostegno per il processo politico, diplomatico e militare in corso, così da conseguire la definitiva stabilità nel Mali». In questo senso è stato annunciato anche un contributo di 760.000 euro per finanziare la Misma, il contingente della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale destinato ad affiancare le truppe governative di Bamako nel riassumere il pieno controllo delle regioni settentrionali teatro dell’offensiva delle forze francesi contro i gruppi jihadisti che vi si erano insediati da quasi un anno. Resta tuttavia incerto che l’organismo africano sia in grado di gestire il controllo della crisi e a garantire il rispetto dei tempi della prevista transizione, compreso lo svolgimento di elezioni a luglio. Nonostante il via libera dato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu al dispiegamento della Misma già prima dell’intervento francese, sono ancora in discussione sia l’effettiva dimensione della missione internazionale sia il livello di coinvolgimento dell’O nu, compresa la catena di comando, oltre che il contributo economico di Paesi non africani. In questo senso va letto anche il nuovo intervento del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), l’organizzazione tuareg che per prima era insorta un anno fa nel nord del Mali, appunto chiamato dai tuareg Azawad, contro il Governo di Bamako, salvo poi dover cedere il controllo del territorio ai gruppi jihadisti. L’Mnla ha infatti affermato di appoggiare il dispiegamento di caschi blu dell’Onu. Un documento in questo senso è stato reso pubblico nelle ultime ore e reca la firma del maggiore esponente dell’Mnla, Bilal Ag Acherif. Per il Movimento la presenza della forza dell’Onu eviterebbe le violenze delle quali accusa l’esercito maliano. Questo, composto in maggioranza di soldati delle etnie nere del sud, è accusato di essersi macchiato di crimini di guerra e contro l’umanità, «all’ombra dell’intervento francese», contro la popolazione civile dell’Azawad, segnatamente arabi e tuareg. Accuse in questo senso sono state mosse anche dall’Alto commissariato dell’Onu per i Diritti umani, che ha inviato una propria missione nel Paese per indagare sulle denunce di gravi violazioni umanitarie verificatesi nelle ultime settimane. Un portavoce dell’O nu ha precisato che l’indagine riguarderà appunto soprattutto le rappresaglie messe in atto dai militari maliani, una volta sconfitti gli jihadisti, contro arabi e tuareg. Confermato a larga maggioranza per un terzo mandato presidenziale L’Ecuador sceglie ancora Correa Volatili a Hopkinsville (Reuters) WASHINGTON, 18. Milioni di uccelli hanno fatto la loro comparsa, nelle ultime settimane, in una cittadina del Kentucky, non solo imbrattando il paesaggio, ma terrorizzando anche sia gli abitanti sia gli animali domestici: una sorta di remake dell’indimenticabile psicothriller Gli uccelli di Alfred Hitchcock (1963). Stormi di merli e altri volatili hanno volteggiato per giorni e giorni sopra Hopkinsville, oscurandone il cielo. David Chiles, presidente della Little River Audubon Society, sostiene che la presenza di milioni di uccelli sopra i centri abitati e non altrove sia dovuta ai processi legati ai cambiamenti climatici. «Il meteo e il clima giocano un ruolo importante» afferma David Chiles, che aggiunge: «Di solito possono appollaiarsi sul terreno per trovare insetti per cibarsi, ma quando tutto è gelato non hanno di che alimentarsi». Gli abitanti di Hopkinsville, per sbarazzarsi dagli intrusi, hanno fatto ricorso a getti d’acqua e a petardi per uccelli rumorosi, simili a fuochi d’artificio. Ci si chiede ora se a Hopkinsville andranno a vedere, o a rivedere, il film di Hitchcock. QUITO, 18. Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, è stato riconfermato per un terzo mandato alla guida del Paese, nelle elezioni tenute ieri. Secondo i dati ufficiali comunicati a scrutinio non ancora ultimato dal Consiglio nazionale elettorale (Cne), Correa ha avuto oltre il 57 per cento delle preferenze, contro il 23 per cento del quale è accreditato il suo principale sfidante, il banchiere Guillermo Lasso. Al terzo posto c’è l’ex presidente Lucio Gutiérrez, con il 5,9 per cento, seguito dal miliardario Álvaro Noboa con il 3 per cento, mentre su percentuali molto più basse si attestano gli altri quattro candidati alla guida dello Stato. Il presidente della commissione elettorale, Domingo Paredes, ha già anticipato che i risultati finali potranno variare di uno o due punti percentuali, ma non discostarsi oltre. A capo dello Stato dal gennaio 2007, Correa è al suo terzo e ultimo mandato, dopo essere già stato riconfermato alle elezioni anticipate del 2009. Appena ricevuti i primi dati, il presidente si è affacciato dal balcone di palazzo di Carondelet, la sede del Governo a Quito, per ringraziare le migliaia di suoi sostenitori. «Nessuno può fermare la rivoluzione, stiamo scrivendo la storia» ha detto Correa, ribadendo l’impegno a «essere presenti ovunque riusciremo a essere utili, ovunque potremo meglio servire i nostri concittadini e i fratelli latinoamericani. Non è solo una vittoria dell’Ecuador, è una vittoria per la nostra madre terra latinoamericana». Stretto alleato del boliviano Evo Morales e del venezuelano Hugo Chávez, Correa è particolarmente impegnato nel rafforzamento dell’Alleanza bolivariana (Alba) voluta dallo stesso Chávez. Secondo gli analisti, sul piano interno, il voto ha premiato Correa per le politiche intraprese volte a ridurre la povertà (la cosiddetta rivoluzione cittadina), sulla scorta di analoghe misure già varate in altri Paesi latinoamericani. Guillermo Lasso, pur riconoscendo la sconfitta, ha dichiarato dal canto suo che c’è da celebrare la nascita dell’opposizione in Ecuador. Sempre ieri si è votato anche per rinnovare il Parlamento. I risultati delle legislative sono attesi nelle prossime ore e su di essi il Cne non ha ancora anticipato alcun dato. Ciò nonostante, Correa ha fatto riferimento alla possibile conquista da parte del Movimento per una patria orgogliosa e libera, il suo partito, di una confortevole maggioranza dei 137 seggi in palio. Questo potrebbe consentire al presidente di fare approvare dall’Assemblea nazionale una riforma agraria e nuove regole per lo sfruttamento minerario. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 Il 19 e il 20 febbraio a Milano il convegno annuale della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale Parola degna di fede Se si perde il legame della Scrittura con la vita anche l’esegesi diventa astratta e sterile di PIERANGELO SEQUERI onestà intellettuale e la passione per la verità — le virtù della ragione, insomma, che la tradizione riassume nella formula della recta ratio — sono qualità che la fede ha l’ambizione di condividere con l’universale aspirazione dell’uomo a porre la sua fiducia nella parola degna di fede. La parola della teologia, che vuole in primo luogo essere degna L’ della fede cristiana, si fa un punto d’onore della sua alleanza con la ratio hominis digna, ossia all’altezza dell’umano. La Parola degna di fede, per la teologia della fede, è radicalmente, e insostituibilmente, la parola di Dio. Ormai, abbiamo di nuovo tutti imparato che la parola di Dio non si lascia rinchiudere nelle parole e nei significati delle parole dell’uomo. La comunicazione di Dio è una manifestazione corposa e dinamica, il cui significante ha l’intero volume della storia e la palpitante dialettica della vita. Le parole consentono alla verità della rivelazione di illuminarsi per la coscienza, decifrando il pensiero che meglio vi corrisponde. Non è affatto strano che ci sia un primato della parola nell’esercizio dell’accoglienza e dell’assimilazione della fede, come anche della regolazione della sua tradizione e del suo magistero, secondo la verità della rivelazione. In nessun modo deve essere però oscurato — attenuato o, addirittura, perduto — il legame del- Non solo sentimento L’evangelista Marco in una miniatura di un codice con il testo dei quattro Vangeli di scuola bizantina (IX secolo, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana) Dal 19 al 20 febbraio a Milano, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, si svolgerà il convegno «“In gesti e parole...”. La fede che passa all’atto». I lavori saranno introdotti dal saluto del preside, monsignor Pierangelo Sequeri, di cui in questa pagina pubblichiamo ampi stralci insieme a brani dell’intervento di Giuseppe Angelini, ordinario, nella stessa Facoltà, di Teologia morale fondamentale. «Lo statuto sociale della fede si è fatto precario — scrive Bruno Seveso, ordinario di Teologia pastorale, introducendo e illustrando il tema del convegno — la fede non è più presupposto ovvio del vivere comune entro un tessuto sociale unitario. La sensibilità moderna per la libertà del soggetto e per l’individualità delle scelte tende a ricondurre la fede all’intimità dell’individuo; diventa la fede “a modo mio”, misurata sulle attese individuali e risolta nel sentire del momento. Non c’è posto per una sua regola- mentazione dall’esterno, da parte della Chiesa. O, se qualche ruolo viene riconosciuto all’istituzione ecclesiastica, la sua percezione non è vincolante. Fede del singolo credente e fede della Chiesa non solo si differenziano e si interrogano in una dialettica feconda ma sembrano prendere strade diverse. La Chiesa diventa “Chiesa ufficiale” a fronte della quale i soggetti si riservano il diritto di modellare la fede a modo proprio. Anche perché la fede è percepita come un sentimento. Non c’è bisogno pertanto di manifestazioni esteriori. Riti e altre prestazioni del genere sono catalogate come esteriorità: forse interessanti ed eventualmente opportune, ma certamente superflue e in ogni caso subordinate al sentire individuale». Sempre a Milano, la scorsa settimana, sotto i portici della Curia è stata posta una lapide in ricordo della visita di Benedetto XVI a Milano dal 1° al 3 giugno 2012. Per una teologia del rito di GIUSEPPE ANGELINI Per essere, la fede cristiana ha bisogno del rito. Da sempre è stata possibile solo grazie ai sacramenti. Da sempre il rito è stato per la fede anche un rischio; al riguardo è d’obbligo la citazione dei profeti, e insieme del vangelo, misericordia voglio e non sacrificio (Matteo, 12, 7; Osea, 6, 6). Nella stagione moderna poi, oltre che il rischio di sempre, il rito è diventato oggetto di disprezzo pregiudiziale e sentenzioso. A proposito del rito, e del suo rapporto con la forma morale della fede, diventa urgente un chiarimento teorico. Esso manca nella grande tradizione teologica. La dottrina sui sacramenti non ha fatto riferimento alla categoria del rito, e neppure la più recente teologia della liturgia ha rimediato. Le eccezioni sono poche, assai recenti e molto incerte; attingono a dubbie teorie dell’antropologia culturale, assai più che alla coscienza cristiana; mentre soltanto a procedere dall’interrogazione di tale coscienza è possibile giungere a una teologia del rito. Pur senza una teoria, infatti, la coscienza cristiana è stata plasmata dalla pratica rituale. La distanza attuale dal rito ha origine dalle trasformazioni antropologiche moderne; esse propongono questioni complesse, che la teologia stenta a formulare, ancor prima di risolvere. Di esse certo non s’è occupata la riforma liturgica del Vaticano II, ispirata a criteri soltanto filologici. Non sorprende che l’attuazione della riforma abbia lasciato largo spazio all’invenzione esoterica, alla didascalia e a ingenue trasgressioni del codice rituale, per sorprendere. Nella sostanza ignorata è rimasta la questione della distanza tra rito e morale nella cultura moderna. La distanza pesa anche sulle forme della predicazione morale. Incoraggia cioè la resa a quella deriva “idealistica”, che trova trasparente espressione nel lessico inflattivo dei “valori” (magari “non negoziabili”). Il ricorso al lessico dei valori — i chierici non se ne rendono conto — è figlio della secolarizzazione, che condanna alla censura non soltanto Dio, ma anche il profilo morale dell’agire. I valori, come le stelle in cielo, sono fuori dal mondo; le figure dell’agire sulla terra, mediante le quali soltanto si mostra ciò che vale, rimangono fuori del discorso. La comprensione cristiana dei comandamenti di Dio certo non è idealistica; riferisce invece i comandamenti alla memoria dei benefici di Dio, e quindi al cammino umano da essi istituito. Il decalogo ha un prologo storico, «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal Paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Esodo, 20, 2); e il comandamento nuovo di Gesù rimanda alla memoria della sua passione: «Sapete ciò che vi ho fatto?» dice Gesù ai Dodici (Giovanni, 13, 12.15). Sussiste un nesso stretto tra rito e memoria; appunto a quel nesso occorre volgere l’attenzione per comprendere l’altro, che lega la forma cultuale della fede a quella morale. Del rito la teologia poco si è occupata; della forma morale si è occupata molto, ma in termini razionalistici, che rimuovono il nesso tra comandamenti e memoria. La stessa analisi dell’atto umano della tradizione scolastica fa riferimento alla ragione, e ignora invece la fede e la memoria. A fronte del disprezzo moderno per il rito, una troppo disinvolta apologetica cattolica invoca la critica profetica e la «Il sacrificio di Abele e di Melchisedec» (VI secolo, Ravenna, basilica di San Vitale) figura del sacrificio spirituale — quasi si dicesse: «Finisce il rito? Meglio così, la fede deve uscire dal tempio e realizzarsi nella vita!». Un nesso probabile, ma inesplorato, lega il tratto razionalistico della dottrina morale con l’ignoranza teologica del rito. Che tale ignoranza sia precipitosamente giustificata in nome della critica profetica del culto è fonte di gravi equivoci. L’esito minaccia d’essere quello di un cristianesimo risolto in una velleitaria ed esangue morale umanistica. Ignorare il legame tra forma morale e forma rituale della fede vuol dire disporre lo spazio per il fraintendimento dell’una forma e dell’altra; la dislocazione dei due temi, e addirittura la loro contrapposizione, pregiudica in radice la possibilità di comprenderli nel genuino significato cristiano. L’obbedienza alla legge perde la sua connotazione, viceversa essenziale, di forma pratica della fede; e così anche la pratica del sacramento. Per chiarire la correlazione originaria tra morale e rito, è indispensabile ripensare a fondo la teoria dell’agire, e prendere anzi tutto atto del suo carattere processuale. L’uomo diventa capace di volere attraverso una vicenda, e non in forza di una semplice facoltà “naturale”. Per diventare capace di volere, è indispensabile un cammino, che procede dall’esperienza originaria della grazia, del beneficio sorprendente che lo anticipa; appunto la memoria di quel beneficio dà forma alla promessa, e quindi al cammino che determina il contenuto del comandamento. All’origine dell’attitudine a volere stanno, più concretamente, le forme originarie della prossimità, che la cultura pubblica della società secolare ignora, e il rito cristiano invece celebra. Penso alle relazioni tra uomo e donna, tra genitori e figli, e alle relazioni fraterne. Appunto l’accadimento della vicinanza grata e promettente di altri alla nostra persona dà forma al desiderio che ci costituisce. Nel quadro del pensiero circa il processo identificante trova la sua collocazione anche la teoria del rito. la parola con lo spessore della vita in cui essa passa all’atto e si fa evento, apre la realtà all’attesa e sigilla l’avvento di Dio. Separato da questo contesto, il testo della parola si fa esangue, astratto. Oscillante e incerto persino, in quanto attratto dal puntiglio intellettualistico dei sensi letterali, oppure dissipato nell’estroso arbitrio dell’allegoria che cresce su se stessa. Sa quel che dice, dunque, la parola magistrale della Dei Verbum, quando riassume questa imperdibile correlazione con la formula di una rivelazione che deve essere colta in «fatti e parole intrinsecamente connessi». La formula che appare del resto perfettamente omogenea con il compimento cristologico della rivelazione biblica, che vi iscrive l’indeducibile e insuperabile identità personale della manifestazione di Dio nella vita e nella storia. Se questo è lo spessore in cui accade — e arriva sino a noi — la Parola di Dio, appare del tutto immaginabile che la fede non possa avere un orizzonte difforme. Lo spessore della storia e della vita sono, inevitabilmente, l’orizzonte della sua effettiva accoglienza e intelligenza: in altri termini, il “significante integrale” della fede che corrisponde alla rivelazione. La fede dunque «passa all’atto» proprio in questo modo, incorporando l’atto della fede in una concreta riconfigurazione della vita e della storia secondo la Parola di Dio. Non si tratta però soltanto di un’analogia, di una corrispondenza imitativa fra due registri — quello della rivelazione e quello della fede — che rimangono per così dire esterni l’uno all’altro. Come se ci fosse una rivelazione che si compie nella vita e nella storia come un puro atto di Dio, alla quale aderisce una fede che vi corrisponde come atto dell’uomo che si fa vita e storia corrispondente. L’orizzonte dell’azione e della manifestazione di Dio si fa avanti nella storia e nella vita dell’uomo: dunque passa già all’atto nell’intreccio delle configurazioni e delle dialettiche dell’esistenza in cui la libertà dell’uomo agisce e patisce, viene alla consapevolezza di sé e si determina intenzionalmente nell’ordine del senso. La costellazione dell’essere vivente e dell’essere storico non è semplicemente la stoffa materiale in cui si condensa la Parola di Dio, è il campo interlocutorio in cui si definiscono i significati e il senso delle cose e degli avvenimenti. L’evento della rivelazione di Dio, destinato al riconoscimento e all’accoglienza dell’uomo, va dunque compreso, nella sua radice, come un atto intenzionato a rendere possibile la corrispondenza, nel momento stesso in cui si offre per essere onorato come rivelazione di Dio. La mediazione della libertà, qui, corrisponde semplicemente alla natura della relazione di cui l’atto rivelatore di Dio vuole essere il fondamento. In questo modo, però, la storia della fede e dell’incredulità dell’uomo vengono a iscriversi, esse stesse, nell’atto in cui la rivelazione si attesta effettivamente come rivelazione. Questo atto, per il singolo e per l’intera storia, è l’atto della fede. La loro differenza della fede e dell’incredulità, nell’orizzonte dell’identica rivelazione di Dio, esplicita il fatto che l’attuazione della sua verità, secondo la giustizia della sua destinazione, implica la mediazione della libertà. A una scadente edizione del festival del cinema di Berlino non corrisponde una diminuzione di interesse e partecipazione Se il pubblico non sa più scegliere di EMILIO RANZATO Con la fine di Berlino 2013 si archivia un altro festival del cinema complessivamente piuttosto scadente, purtroppo una tendenza sempre più netta da qualche stagione almeno per quanto riguarda le manifestazioni europee. Tuttavia, se la qualità media dei film in concorso è stata pressoché unanimemente — e anche in patria — giudicata inadeguata, non si è registrato però quel calo di spettatori visto di recente in altri festival, come quello di Roma. Il problema è che non si sa quanto ciò costituisca davvero un fatto positivo e un bene per il cinema. Una delle conseguenze negative di festival non più all’altezza della loro fama, infatti, è la formazione di un pubblico medio-alto, ossia meritevole dell’appellativo di cinefilo, non più in grado di scegliere. Una funzione diseducativa che supera i confini dell’evento, per ripercuotersi lungo tutta la stagione. Infondendo equivoci su ciò che è il vero cinema d’autore. E così film come The Master rimangono pochi giorni in sala, mentre altri come Django, opere d’autore solo sulla carta, diventano addirittura campioni d’incassi. Al di là dei confini dell’evento si registra una tendenza che si ripercuote lungo tutta la stagione Infondendo equivoci su ciò che è il vero cinema d’autore Le premesse di questo festival di Berlino d’altronde non erano le migliori. Qualche inquietudine infatti doveva destarla già il film d’apertura, The Grandmasters, diretto dallo stesso presidente della giuria Wong Kar-wai. Il regista che non molti anni fa aveva incantato pubblico e critica con i suoi melò dallo stile unico, dopo una fase di disorientamento in terra statunitense torna in patria per rintanarsi nel wuxia, il genere di arti marziali tanto elegante quanto straordinariamente privo di qualsiasi significato, anche soltanto formale. Una deriva simile a quella in cui purtroppo negli ultimi anni sono caduti anche altri autori dell’estremo oriente dal ben più promettente passato, come Zhang Yimou e John Woo. L’Orso d’oro per il miglior film comunque è andato a Child’s Pose del romeno Calin Peter Netzer. Un regista di cui si sa ancora poco ma che nel 2003 con il film Maria aveva già vinto dei premi a Locarno e ad altri festival. Il gran premio della giuria è andato a An Episode in the Life of an Iron Picker del bosniaco Danis Tanovic, che il pubblico ricorda soprattutto per No Man’s Land, vincitore dell’Oscar nel 2002 per il miglior film straniero. Il premio per la miglior regia è stato vinto per Prince Avalanche dallo statunitense David Gordon Green, un nome da tenere d’occhio nonostante alterni pellicole ispirate — come George Washington, vincitore come miglior film nel 2000 a Torino — a lavori molto più commerciali. Migliori attori sono stati giudicati la spagnola Paulina Garcia per Gloria di Sebastian LeIl regista romeno Calin Peter Netzer lio e il bosniaco Nazif Mujica vincitore dell’Orso d’oro con il film Child’s Pose sempre per il film di Tanovic. Mentre il premio per la miglior sceneggiatura è andato all’iraniano Jafar Pa- ziya Partovi. Un premio secondario, quello nahi — sicuramente fra tutti il nome più no- per il miglior contributo tecnico, è andato to, grazie a film come Il palloncino bianco invece al kazako Emir Baigazin per Harmo(1995) o Il cerchio (2000) — per Closed cur- ny lessons, considerato da molti il miglior tain, da lui stesso diretto assieme a Kambo- film del festival. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 La «Verbum Domini» e l’allargamento della ragione secondo Benedetto pagina 5 XVI Novità dentro le cose solite di SAMUEL FERNÁNDEZ* n semplice raffronto tra l’esortazione apostolica Verbum Domini, l’intervento di Papa Benedetto XVI nel Sinodo della Parola e la produzione teologica del professore e poi del cardinale Ratzinger permettono di constatare la sua costante preoccupazione di chiarire l’autentica maniera di vincolare l’esegesi biblica scientifica alla rivelazione storica. Dai suoi primi lavori, come Il Dio della fede e U diversa da ciò che è usuale, e allora la consuetudine si stabilisce come norma: laddove la Scrittura presenta qualcosa che va al di là della nostra esperienza quotidiana, lo si dovrà ridurre al livello della nostra esperienza quotidiana. E così non sarebbe possibile un reale ingresso di Dio nella storia: «Così, infatti, si impone un’ermeneutica filosofica che nega la possibilità dell’ingresso e della presenza del Divino nella storia» (n. 36). Un’esegesi critica che presuppone dal punto di vista metodologico che la teología, Messico 1998). Per accettare la rivelazione cristiana è allora necessario essere aperti a una vera novità nella storia, ossia è necessario ammettere che la realtà possa essere più vasta e più ricca di ciò a cui siamo abituati. Ebbene, significa forse che per realizzare una lettura credente della Scrittura dobbiamo rinunciare alla ragione? O dobbiamo avvalerci della ragione solo finché ci può accompagnare, per poi abbandonarla quando ci imbattiamo nel mistero? Una lettura della Bibbia che rinuncia alla Canoni eusebiani in due fogli della «Bibbia di Alcuino» (IX secolo, Roma, Biblioteca Vallicelliana) Il Dio dei filosofi, del 1960, ai suoi ultimi interventi, passando per discorsi programmatici come quello di Ratisbona, si riconosce una grande continuità nella sua opera intellettuale al servizio della Chiesa. L’esegesi storico-critica si è dimostrata un eccellente metodo per interpretare i testi antichi; di fatto, nella programmatica introduzione al primo volume del libro Gesù di Nazaret, Papa Benedetto XVI afferma che tale metodo «resta indispensabile» (volume I, p. 12), perché il testo biblico, in sé, ha una storia. Ma questo metodo tanto necessario mostra i propri limiti quando lo si intende come autosufficiente, ossia come l’unico cammino e il cammino completo per la comprensione del testo biblico. La Scrittura richiede metodi filologici e storici seri per essere compresa, poiché «il Verbo si fece carne» (Giovanni, 1, 14), ma questi non ne esauriscono la lettura. L’esortazione Verbum Domini contiene il discorso pronunciato durante il Sinodo della Parola dal Papa, che ha sottolineato la fecondità dell’esegesi storica e ha insistito sulla necessità di completare l’approccio storico con un approccio teologico. Sulla base della Dei Verbum (n. 12), ha ricordato gli elementi fondamentali della lettura teologica della Bibbia: si deve interpretare il testo tenendo presente l’unità di tutta la Scrittura; si deve tener conto della tradizione viva dell’intera Chiesa; è necessario osservare l’analogia della fede (Verbum Domini, n. 34). Questi principi, che definiscono una interpretazione come teologica, non si deducono dai testi, ma sono convinzioni anteriori alla lettura: sono presupposti di fede su cui poggia una lettura veramente teologica della Bibbia. Ma qualcuno potrebbe chiedersi: una lettura che parte da convinzioni di fede è meno scientifica? A questa domanda cruciale si risponde in modo radicale nel constatare che non è possibile leggere senza convinzioni previe. Perciò, Benedetto XVI nella Verbum Domini avverte: «La mancanza di un’ermeneutica della fede nei confronti della Scrittura non si configura poi unicamente nei termini di un’assenza; al suo posto inevitabilmente subentra un’altra ermeneutica, un’ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana. Secondo questa ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, lo si deve spiegare in altro modo e ridurre tutto all’elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini» (n. 35). Questo tipo di ermeneutica secolarizzata non è aperta alla novità: non ammette che la realtà sia la storia sia strettamente uniforme sente il bisogno di eliminare ciò che appare impossibile per queste leggi. Tale atteggiamento tende a definire impossibile ciò che va al di là della nostra esperienza attuale (cfr. Joseph Ratzinger, Situación actual de la fe y ragione degenera nel fondamentalismo ed è capace di sostenere ogni sorta di arbitrarietà, ingiustizia e violenza. L’irrazionale non è degno di fede. Una lettura che esclude la ragione non è umana e pertanto non è cristiana. La delicata corrispondenza tra il nostro lògos umano e il Lògos divino esige la partecipazione della ragione nella lettura credente della Sacra Scrittura. Poi ci chiediamo nuovamente: per leggere la Scrittura come credenti dobbiamo rinunciare alla ragione? Assolutamente no! Non bisogna più chiedersi se utilizzare o meno la ragione, ma quale ragione utilizzare. La questione fondamentale allora continua a essere il rapporto tra fede e ragione, precisamente tra i presupposti filosofici della lettura biblica e la rivelazione storica. Una lettura biblica che pretende di essere filosoficamente neutrale, senza convinzioni previe, è illusoria, e su ciò le attuali filosofie del linguaggio sono concordi. Se non sono presenti le convinzioni della fede cristiana, ci saranno altre convinzioni. Detto in altre parole, i lettori sono sempre “credenti”, la differenza sta nel fatto che alcuni “credono” in una cosa e altri “credono” in un’altra. Non si deve pertanto considerare meno scientifica un’esegesi che parte dalle convinzioni della fede cristiana. Ma allora, qual è la razionalità più appropriata per l’esegesi teologica? I presupposti non possono essere previ alla lettura, semplicemente perché, se così fosse, la rivelazione non potrebbe apportare nessuna reale novità alla nostra visione del mondo, e la sua lettura potrebbe solo confermare le convinzioni che il lettore aveva già precedentemente. Un’esegesi teologica esige un dialogo “di andata e ritorno” tra le convinzioni del lettore e il contenuto della lettura, ovvero tra la filosofia e la rivelazione. La rivelazione è letta dalla ragione e, a sua volta, la rivelazione illumina, purifica e amplia la ragione. In tal modo, non è più l’esperienza umana Particolare dell’«Apocalisse di Valenciennes» (intorno all’anno 800) a innalzarsi come unico parametro losofia, e non può neppure lasciarsi dell’interpretazione biblica, ma è la giudicare da una filosofia autonoma, Scrittura a diventare anch’essa para- chiusa alla novità. metro delle possibilità della nostra La soluzione viene da un dialogo esperienza umana. La rivelazione in cui il pensatore cristiano, illumistorica deve avere un impatto sulle nato dalla rivelazione, riforma la strutture del pensiero. La ragione propria filosofia e, nello stesso temampliata dalla fede si apre per esten- po, esamina in modo critico la prodere i limiti delle proprie categorie pria fede, alla luce della ragione. In di pensiero al fine di accogliere — in questo dialogo, si purifica la fede e modo intellettualmente responsabile — ciò che si La fede cristiana rivela nella Scrittura e che, a un primo approcnon può rinunciare alla filosofia cio, sembrava essere in ma neanche contrasto con la propria esperienza. lasciarsi giudicare da una filosofia L’esegesi non deve avautonoma e chiusa alla novità valersi della filosofia solo finché questa l’accompagna, ma deve cercare un dialogo che si purifica la ragione. Ovvero, que“riformi” la stessa filosofia alla luce sto dialogo permette di avvicinarsi a della rivelazione. È un’applicazione ciò che appartiene veramente alla fedel fecondo invito di Benedetto XVI de e alle reali esigenze della ragione. a «un allargamento del nostro conTale programma di “ampliamento cetto di ragione e dell’uso di essa» della ragione” sarà forse una delle (Ratisbona, 12 settembre 2006). Il grandi eredità della teologia di Papa credente, che vuole essere intellet- Benedetto XVI. tualmente responsabile, guidato dalSi tratta di un’eredità fondamentala convinzione dell’intellegibilità e le, poiché solo una lettura biblica dell’unità della realtà, e illuminato che si avvale di una ragione aperta dalla rivelazione biblica, è chiamato a ripensare le proprie convinzioni fi- alla novità del mistero di Dio è delosofiche, per divenire capace di ac- gna dell’uomo e, in definitiva, atta a cogliere responsabilmente la nuova far sì che, in modo autentico e rerealtà che gli si è resa accessibile per sponsabile, per mezzo della Scrittumezzo della rivelazione. La fede cri- ra, possiamo ascoltare Dio. stiana, per mantenersi fedele alla sua identità, non può rinunciare alla fi- *Pontificia Università Cattolica del Cile Sul settimanale tedesco «Focus» e sul «Corriere della Sera» Peter Seewald racconta Papa Ratzinger La scelta dello scorso 11 febbraio commentata sui giornali e in rete Quello scandalo di non adattarsi al mondo «La Chiesa non deve adattarsi al mondo, deve trovare la capacità di dare scandalo con le sue proposte al mondo». Così Massimo Cacciari nel corso dell’intervista rilasciata ad Alberto Guarnieri, pubblicata su «Il Messaggero» di domenica 17 febbraio. «Benedetto XVI con la sua scelta nobile politicamente e spiritualmente — ha proseguito il filosofo italiano — ha tolto il velo al dramma in cui si consuma la Chiesa», rivelando «l’urgenza di affrontare questioni che si trascinano da troppo tempo». Tra queste elenca il rapporto tra religione e biotecnologie, l’etica prevalente che confligge con la dottrina della Chiesa, la crisi delle vocazioni e il ruolo della donna nel cattolicesimo. Ma, specifica l’intellettuale, alla Chiesa non servirà un nuovo concilio: «vanno prese decisioni, fatte scelte». Benedetto XVI, continua Cacciari, «ha capito la gravità del momento. E di non avere l’energia necessaria per affrontarla». L’accento sull’umiltà di Benedetto XVI è stato posto anche da suor Catherine Wybourne, priora del monastero benedettino della Santa Trinità nell’Herefordshire e seguitissima blogger, in un tweet successivo alla notizia della scelta del Pontefice: Such love for the Church and such humility. Da tutt’altra direzione, sulla newsletter di DeA - Donne e altri, la femminista laica italiana Letizia Paolozzi ha scritto che con la sua scelta dell’11 febbraio «Benedetto XVI decide di nominare la debolezza di un uomo. La sua debolezza. Ma in questa maniera il gesto di rinuncia — le dimissioni — si trasforma in accettazione di altissima responsabilità». L’intervista di «Focus» al giornalista e scrittore tedesco Peter Seewald, di cui abbiamo scritto nell’edizione di domenica, è stata pubblicata in Italia sul «Corriere della Sera» del 18 febbraio. L’autore dei tre libri dove sono raccolte due interviste al cardinale Ratzinger e una a Benedetto XVI sta preparando ora una biografia del Pontefice e per questo nel 2012 lo ha incontrato in estate e a dicembre. Rispondendo al settimanale tedesco Seewald tra l’altro ha ricordato che il Papa «veniva descritto come un persecutore mentre era un perseguitato, il capro espiatorio da chiamare in causa per ogni ingiustizia, il “grande inquisitore” per antonomasia, una definizione azzeccata quanto spacciare un gatto per un orso. Eppure nessuno l’ha mai sentito lamentarsi». E ancora: «Mi colpivano la sua superiorità, il pensiero non al passo coi tempi ed ero in qualche modo sorpreso di udire risposte pertinenti ai problemi del nostro tempo, apparentemente quasi irrisolvibili, tratte dal grande tesoro di rivelazione, dall’ispirazione dei padri della Chiesa e dalle riflessioni di quel guardiano della fede che mi sedeva di fronte. Un pensatore radicale — questa era la mia impressione — e un credente radicale che tuttavia nella radicalità della sua fede non afferra la spada, ma un’altra arma molto più potente: la forza dell’umiltà, della semplicità e dell’amore. Joseph Ratzinger è l’uomo dei paradossi. Linguaggio sommesso, voce forte. Mitezza e rigore. Pensa in grande eppure presta attenzione al dettaglio. Incarna una nuova intelligenza nel riconoscere e rivelare i misteri della fede, è un teologo, ma difende la fede del popolo contro la religione dei professori, fredda come la cenere». Così, Benedetto XVI è descritto come uomo della tradizione che sa però «distinguere quello che è davvero eterno da quello che è valido solo per l’epoca in cui è emerso». E Seewald conclude così l’intervista: «Non è un caso che il Papa uscente abbia scelto il Mercoledì delle Ceneri per la sua ultima grande liturgia. Vedete, vuole dimostrare, era qui che vi volevo portare fin dall’inizio, questa è la via. Disintossicatevi, rasserenatevi, liberatevi dalla zavorra, non fatevi divorare dallo spirito del tempo, non perdete tempo, desecolarizzatevi! Dimagrire per aumentare di peso è il programma della Chiesa del futuro. Privarsi del grasso per guadagnare vitalità, freschezza spirituale, non da ultimo ispirazione e fascino. E bellezza, attrattiva, in fondo anche forza, per far fronte a un compito diventato tanto difficile. “Convertitevi”, così disse con le parole della Bibbia quando segnò la fronte di cardinali e abati con la cenere, “e credete al Vangelo”. “Lei è la fine del vecchio — chiesi al Papa nel nostro ultimo incontro — o l’inizio del nuovo?”. La sua risposta fu: “Entrambi”». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 A Perth l’incontro annuale dell’associazione Scottish Friends of Ecumenism In un mondo frammentato testimoni di comunione L’unità dei cristiani ha bisogno di azioni concrete Per Cristo e quindi per gli altri di RICCARD O BURIGANA Il futuro dell’ecumenismo è stato il tema che ha fatto da sfondo all’incontro annuale della Scottish Friends of Ecumenism (Sfoe), tenutosi a Perth, capoluogo del distretto di Perth and Kinross, dal 16 al 17 febbraio. Sfoe è un’associazione interconfessionale sorta allo scopo di ridefinire e rilanciare l’opera di coloro che in Scozia, sotto varie forme, erano già fortemente impegnati nella costruzione dell’unità dei cristiani. Dal 2006 a oggi, la Sfoe ha svolto un’azione diretta nelle singole comunità, in modo da favorire la riscoperta di quegli elementi in grado di rendere sempre più fruttuosa la missione e la testimonianza dei cristiani. Questa azione si è realizzata anche grazie a una serie di iniziative, come per esempio gli incontri settimanali in tante comunità, che hanno lentamente posto l’attenzione sulla necessità di una riflessione teologica e di una pastorale ecumenica nel senso pieno del termine. Le iniziative hanno permesso il superamento di pregiudizi che avevano impedito non solo lo sviluppo di un cammino comune, ma soprattutto l’approfondimento della centralità della dimensione ecumenica nella vita delle comunità locali. Pertanto, proprio in considerazione del nuovo clima creatosi, negli ultimi anni si è aperto un ampio dibattito all’interno della Scottish Friend of Ecumenism «per una rivalutazione degli scopi e degli obiettivi dell’associazione». In tale contesto si è giunti alla redazione di un documento, presentato durante l’assemblea dell’organizzazione, il 23 giugno 2012, nel quale viene sottolineata la necessità «di affrontare una visione ecumenica per il futuro e discutere della stessa struttura della Sfoe, poiché ci si deve interrogare se non sia necessario procedere alla creazione di un nuovo soggetto per la promozione dell’ecumenismo in Scozia». Nel documento emerge soprattutto l’affermazione che «l’ecumenismo impone una trasformazione della Chiesa, dallo stato di frammentazione nella quale si trova attualmente alla piena unità per essere uno strumento che sia segno e anticipazione dell’unità e del rinnovamento dell’intera umanità». Con questo documento si chiede inoltre ai cristiani, non solo a quelli in Scozia, di rafforzare il cammino verso la piena unità con la quale rendere più efficace l’annuncio dell’evangelo. Lutti nell’episcopato Monsignor Anthony Theodore Lobo, vescovo emerito di Islamabad-Rawalpindi, in Pakistan, è morto nelle prime ore di lunedì 18 febbraio, dopo lunga malattia. Il compianto presule era nato a Karachi il 4 luglio 1937 ed era stato ordinato sacerdote l’8 gennaio 1961. Eletto alla sede titolare di Esco e nel contempo nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Karachi l’8 giugno 1982, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 1° ottobre. Il 28 maggio 1993 era stato trasferito alla sede residenziale di Islamabad-Rawalpindi. Dopo diciassette anni di ministero, il 18 febbraio 2010, aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi per motivi di salute. Le esequie saranno celebrate mercoledì 20 febbraio nella cattedrale di Rawalpindi intitolata a San Giuseppe. Monsignor Jesús Ramón Martínez de Ezquerecocha Suso, vescovo emerito di Babahoyo, in Ecuador, è morto domenica 17 febbraio in Spagna. Il compianto presule era nato in Junguitu, nella diocesi spagnola di Vitoria, il 31 agosto 1935 ed era stato ordinato sacerdote il 6 agosto 1959. Nominato prelato di Los Ríos, in Ecuador, il 28 giugno 1984, quando dieci anni dopo, il 22 agosto 1994, la prelatura era stata elevata al rango di diocesi con il nome di Babahoyo, ne era stato eletto primo vescovo e aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 15 ottobre. Aveva rinunciato al governo pastorale il 27 marzo 2008. All’incontro svoltosi a Perth si è discusso di come passare dai principi enunciati nel documento del giugno scorso a un’azione concreta. I partecipanti hanno così affrontato il tema del futuro dell’ecumenismo, a partire dalle proprie esperienze di dialogo nella Chiesa e nella società. Nel corso dei lavori è stato messo in evidenza quanto sia importante, proprio nella prospettiva del dialogo ecumenico, che ogni Chiesa e comunità ecclesiale tenga conto delle altre comunità tutte le volte che decida di prendere una decisione in grado di mutare la propria vita. Al tempo stesso si è lamentato il fatto che spesso non si ha piena conoscenza dei passi del dialogo bilaterale, anche a livello nazionale, e questo costituisce un grave limite nella valutazione dello stato dell’ecumenismo. Si è insistito, inoltre, sul fatto che si devono moltiplicare le occasioni di condivisione di progetti e di percorsi formativi, che devono essere sempre più ecumenici nelle progettazione e nell’insegnamento; così come è stato chiesto di esplorare nuove strade, anche alla luce di quanto già viene fatto in alcune comunità, per la definizione di forme di preghiera che siano condivise e aperte a tutti i cristiani. Una riflessione a parte è stata fatta per quanto riguarda la spiritualità ecumenica, anche perché essa chiama in causa la valorizzazione dei carismi di ciascuna comunità nella costruzione dell’unità della Chiesa. Infine, la discussione è stata incentrata sulla questione di come favorire un dialogo tra la Chiesa e la società. L’ultima giornata è stata dedicata all’identificazione delle priorità ecumeniche per la Sfoe, riprendendo delle proposte che erano emerse nelle tre sessioni tematiche. A tale riguardo si è insistito molto sul fatto che la Scottish Friends deve proseguire e rafforzare il proprio cammino in sintonia con quanti già operano per il dialogo ecumenico in Scozia, così da mostrare la profonda sintonia che guida i cristiani nella ricerca delle forme con cui vivere la comunione ecclesiale. Per l’associazione, il futuro dell’ecumenismo risiede in una sempre maggiore condivisione di quanto si è fatto e già si fa per l’unità della Chiesa, affidando alla scoperta dei carismi delle singole comunità la possibile definizione di nuove strade per una testimonianza ecumenica dell’evangelo. di FRATEL JOHN* Recentemente ho avuto la gioia di partecipare al seminario del settore giovani dell’Azione cattolica italiana (Aci), tenutosi il 9-10 febbraio alla Domus Mariae a Roma. Il tema dell’incontro era «Un cuor solo e un’anima sola. Testimoni di comunione». Mi è stato richiesto di fare un intervento su «La comunione ecclesiale, dono della fede», seguito da una lunga e fruttuosa conversazione con tutti i giovani presenti, responsabili dell’Aci nelle varie diocesi d’Italia. L’espressione “un cuor solo e un’anima sola” proviene dagli Atti degli apostoli (4, 32), in uno dei tre sommari della vita dei primi cristiani. Infatti, per san Luca, la resurrezione di Cristo, culmine della sua missione terrena, è allo stesso tempo un nuovo inizio. Questa missione prosegue nell’esistenza dei suoi discepoli, inviati dallo Spirito Santo per essere i suoi testimoni «fino ai confini della terra» (Atti, 1, 8). Quando questo Spirito scende sugli apostoli il giorno della Pentecoste, trasforma le loro differenze in una diversità feconda e crea una comunità che prega e che vive una solidarietà spirituale e concreta (Atti, 2, 42-47). In altri termini, la fede nel Cristo risorto conduce a una duplice condivisione, con Dio e con gli altri credenti. All’interno di questo spazio parola e vita, comunità e missione sono strettamente legate sulla via della testimonianza: ritroviamo qui tutta la dinamica degli Atti degli apostoli. Gli altri autori del Nuovo Testamento non parlano diversamente. Per san Giovanni, l’entrata nel mondo della Vita in persona conduce a una vita condivisa, una koinonìa o comunione, che non è una realtà solo umana ma una partecipazione alla vita interiore della Santa Trinità (1 Giovanni, 1, 1-4). E i consigli pratici delle lettere di san Paolo sono molto spesso centrati sull’esortazione di vivere «unanimi e concordi» (Filippesi, 2, 2), senza divisioni ma in perfetta unione di pensiero e di sentire (1 Corinzi, 1, 10). È da notare che per l’apostolo, la vita comune dei cristiani è radicata in una trasformazione dell’essere di ognuno a immagine di Cristo (Filippesi, 2, 5 e seguenti): il battezzato è qualcuno che non appartiene più a sé, ma vive per Cristo e quindi per gli altri (cfr. 2 Corinzi, 5, 15 e Romani, 14, 7 e seguenti). Tutto questo fa capire che l’ekklesìa, la comunità dei credenti, non è soltanto il quadro dentro il quale si vive la fede, ma è un’espressione del contenuto di questa fede. Ciò che colpiva i contemporanei dei primi cristiani era una novità stori- Messaggio del Patriarca di Mosca per la Giornata mondiale della gioventù ortodossa Cuori aperti a Dio MOSCA, 18. «Non è un caso che la celebrazione della Giornata mondiale della gioventù ortodossa coincida con la festa della Presentazione del Signore al Tempio. Il cuore del giovane è particolarmente aperto e sensibile a tutto ciò che accade intorno a lui. Nella sua giovinezza, un uomo è pieno di speranze e aspettative, è come una spugna, che assorbe nuove esperienze e cerca il suo posto nel mondo. E il mondo offre ai giovani molteplici prospettive di crescita personale e opportunità di auto-realizzazione». Ne è convinto il Patriarca di Mosca, Cirillo, che nel messaggio inviato in occasione della Giornata mondiale della gioventù ortodossa e della festa della Presentazione del Signore (che la Chiesa ortodossa russa, seguendo il calendario giuliano, celebra tredici giorni dopo la Chiesa cattolica, ovvero il 15 febbraio), esorta i giovani «a rimanere saldi negli ideali spirituali e morali comandati dal Creatore, mantenendovi in castità e nella purezza della mente e dei sensi, dando agli altri esempio di fermezza nella fede, nella carità e nella responsabilità». L’augurio è «di crescere nell’amore di Dio e del prossimo, e l’aiuto di Dio nelle buone azioni e nelle opere, nel lavoro costruttivo per il bene della Patria e del nostro popolo», si legge nel messaggio, riportato dal sito Eleousa.net. La strada, tuttavia, è disseminata di insidie. Il mondo infatti — sottolinea Cirillo — «spesso propone norme di comportamento e valori che sono incoerenti e anche direttamente in contrasto con la legge morale del Signore. E dal modo con cui risponderemo a queste sfide, da come apriremo il cuore durante la giovinezza (se sarà duro come una roccia, arrabbiato, odioso, arrogante e conformista o se rimarrà fedele alla verità, sarà amorevole, gentile e compassionevole), dipende la nostra felicità e la capacità di incontrare Dio nella propria vita». Tornando con la mente agli eventi che hanno portato all’istituzione della festa della Presentazione del Signore, «noi, insieme a Simeone il Vecchio, con gioia andiamo incontro al Salvatore, portato nel tempio di Gerusalemme. Ma l’evento — ricorda il Patriarca di Mosca — oltre al suo significato storico ha anche un significato simbolico: compiutamente possiamo vedere il misterioso incontro del Creatore con la sua creazione, l’incontro personale con Dio». La proposta di una Giornata mondiale della gioventù ortodossa risale al giugno 1992, quando, a Mosca, alla quattordicesima assemblea generale di «Syndesmos» (la rete nata nel 1953 in Francia allo scopo di collegare i vari gruppi e movimenti), ricevette la benedizione del Patriarca ecumenico, Bartolomeo, e dei responsabili delle altre Chiese ortodosse locali. Da allora i giovani ortodossi celebrano l’evento attraverso concrete e appropriate iniziative nei singoli Paesi. ca, l’esistenza di uomini e donne di diversi Paesi, lingue, religioni e strati sociali che, a causa di Cristo, vivevano insieme come dei membri di una sola famiglia. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Giovanni, 13, 35). La loro comunione aveva valore di segno, con tutti i loro difetti erano visibilmente il Corpo di Cristo, la continuazione della sua presenza al cuore del mondo. Più tardi, quando il cristianesimo è diventato religione della società intera, la dimensione di segno è stata messa un po’ in ombra. È stata riscoperta e vissuta attraverso i secoli da gruppi all’interno del mondo cristiano: il movimento monastico, i primi francescani, alcuni gruppi al margine della Chiesa ufficiale. Con l’inizio dei tempi moderni e le divisioni ecclesiali, la caratteristica che definiva i cristiani non era tanto la qualità della loro vita comune quanto le dottrine professate, essendo l’identità battesimale spesso oscurata dall’identità confessionale. Provvidenzialmente, il secolo scorso ha invertito la rotta, riscoprendo l’importanza della koinonia per la vita cristiana. Nel mondo protestante, l’insuccesso della missione in un contesto di divisioni confessionali ha portato a una rinnovata comprensione della preghiera di Gesù, «che tutti siano una cosa sola», ed è nato così il movimento ecumenico. Nella Chiesa cattolica, il concilio Vaticano II, riunendo 2.500 vescovi da tutto il pianeta, è stato per molti un’esperienza forte di comunione ecclesiale a livello mondiale. Questa esperienza è stata interinata dai documenti conciliari, con la nozione della Chiesa come sacramento universale di salvezza (Lumen gentium) e con l’immagine dei “cerchi concentrici” (Lumen gentium, Ecclesiam suam) per descrivere l’irradiazione della comunione a partire dall’unico centro che è Cristo. La comunità di Taizé ha sempre voluto dare testimonianza di questa visione della comunione universale. Non è un caso che, quando i giovani hanno cominciato ad affluire sulla nostra collina, fratel Roger ha parlato di un “concilio dei giovani”. Più recentemente, la veglia di preghiera in piazza San Pietro alla presenza del Santo Padre, il 29 dicembre scorso durante l’incontro europeo a Roma, con 45.000 giovani e meno giovani da tutte le nazioni e le Chiese europee, è stata un’anticipazione sconvolgente della Chiesa a cui aspiriamo, descritta da Benedetto XVI come «un momento di grazia in cui abbiamo sperimentato la bellezza di formare in Cristo una cosa sola». Quali sono le conseguenze di tale visione della comunione ecclesiale? Innanzitutto, un cristianesimo individualista non è possibile, è una contraddizione in termini. Nel passato si è potuto far parte del popolo cristiano quasi istintivamente. Oggi invece ci vuole una scelta riflettuta per seguire il Cristo, senza per questo cadere nel puro individualismo, in una credenza “fai da te”. Dobbiamo avere una fede che è personale senza essere individuale, radicata nel più intimo dell’essere ma in profonda solidarietà con tutti i credenti riuniti attorno ai loro pastori. Una strada verso questa fede personale ed ecclesiale passa per un approfondimento dei sacramenti del battesimo e dell’eucaristia. Il battesimo non viene visto soltanto come momento di salvezza individuale e biglietto d’accesso nella Chiesa a livello sociologico, ma come un morire e risorgere con Cristo (cfr. Romani, 5) che fa di noi persone di comunione, che non appartengono più a se stesse. E l’eucaristia diventa il momento centrale della comunione ecclesiale, quando ci riuniamo in tutta la nostra diversità attorno ad una stessa Tavola, dove il dono della vita di Cristo diventa la fonte inesauribile della nostra vita comune. Nella logica della fede, i doni di Dio sono allo stesso tempo delle responsabilità, delle sfide da mettere in pratica. Se ricordiamo che la nostra esistenza cristiana ha valore di segno, faremo di tutto per essere fermento di riconciliazione nelle nostre comunità, per lavorare per la comprensione fra persone di tendenze diverse, per arricchirci mutuamente e approfondire la verità che non è proprietà di nessuno. Moltiplicheremo i “momenti di grazia” per celebrare insieme un’unità vera, anche se non ancora pienamente compiuta. E, per concludere, un suggerimento. La realtà dell’amore cristiano, della comunione, non potrebbe tradursi nel mondo contemporaneo anche con la parola “amicizia”? Cristo ci chiama «i suoi amici» (Giovanni, 15, 14 e seguenti) e, in lui, noi siamo amici gli uni degli altri, cominciando con quelli che vivono di una medesima fede. Ovviamente questa amicizia non ha nulla d’esclusivo: è potenzialmente universale, aperta a quelli che non sono come noi, cominciando con i più svantaggiati (Matteo, 25, 31 e seguenti). La Chiesa non ha forse la vocazione di essere una “rete d’amici”, radicata nell’amore di Cristo? E se il “sacramento” dell’amicizia, ossia ciò che la esprime e la rinforza, è una conversazione dove ognuno svela il suo intimo agli altri, non siamo allora chiamati a intraprendere e a portare avanti un dialogo fiducioso con chi sta davanti a noi? Così, amici di tutti a causa di Cristo e del Vangelo, diventiamo, in un mondo minacciato dalla frammentazione, testimoni di comunione e di solidarietà. *Comunità di Taizé L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 pagina 7 Anche in Tanzania cresce l’odio anticristiano Gli esercizi spirituali alla presenza del Pontefice Sacerdote cattolico ucciso a Zanzibar Per liberare l’anima dal terriccio delle cose e della banalità ZANZIBAR, 18. L’uccisione, ieri a Zanzibar, di padre Evarist Mushi, compiuta in modo brutale davanti alla sua chiesa, conferma drammaticamente come risulti difficile, anche in Tanzania, la pacifica convivenza tra musulmani e cristiani. E come l’Africa (basti pensare ai frequenti episodi di violenza in Nigeria, in Kenya o in Repubblica Democratica del Congo) sia da questo punto di vista un continente “a rischio”, dove si registra una crescente intolleranza e discriminazione religiosa, soprattutto contro i cristiani e i loro luoghi di culto. La brutale esecuzione di padre Mushi è avvenuta in un Paese fino a oggi ritenuto relativamente tranquillo ma che, nelle ultime settimane, ha visto riaccendersi la tensione nell’isola di Zanzibar, dove più del 90 per cento degli abitanti è di fede musulmana. Secondo la ricostruzione della polizia, il sacerdote cattolico è stato assassinato a colpi di pistola mentre stava parcheggiando l’automobile di fronte all’ingresso della parrocchia di san Giuseppe, dove si stava recando per celebrare la messa domenicale. A ucciderlo sarebbero stati alcuni uomini, poi fuggiti a bordo di motociclette. Tre di essi sarebbero già stati fermati. Padre Mushi era stato a lungo impegnato in un programma di lotta all’Aids frutto di una collaborazione tra la Chiesa locale e i rappresentanti della comunità musulmana. E quindi l’omicidio potrebbe inquadrarsi nell’ambito della sua attività interreligiosa. Profondo dolore per il grave atto criminoso è stato espresso sia dai membri della piccola comunità cristiana dell’isola sia dai musulmani, come ha dichiarato all’agenzia Mi- sna il vescovo di Zanzibar, Augustine Shao, il quale ha sottolineato l’impegno del sacerdote ucciso a favore del dialogo interreligioso. Purtroppo, secondo il presule, negli ultimi tempi nell’isola e nell’arcipelago di Zanzibar il tradizionale clima di apertura e confronto tra le culture è cambiato: «La maggioranza dei musulmani vuole la pace e il dialogo — ha detto monsignor Shao — ma sta crescendo il peso dei gruppi estremisti che secondo il Governo riceverebbero finanziamenti dall’estero». L’agguato a padre Mushi non è il primo a Zanzibar contro un religioso cattolico; a Natale alcuni sicari avevano sparato a padre Ambrose Mkenda, rimasto ferito. Mosè, sulla vetta del colle, prega con le mani ferme fino al tramonto del sole, mentre, nella valle sottostante il popolo d’Israele combatte contro Amalek: è l’icona biblica scelta dal cardinale Gianfranco Ravasi per rappresentare il futuro della presenza di Benedetto XVI nella Chiesa. «Questa immagine — ha detto nell’introdurre le meditazioni per gli esercizi spirituali, iniziati nel pomeriggio di ieri, domenica 17 febbraio, in Vaticano, alla presenza del Papa — rappresenta la sua funzione principale per la Chiesa», cioè «l’intercessione, intercedere. Noi rimarremo nella “valle”, quella valle dove c’è Amalek, dove c’è la polvere, dove ci sono le paure, i terrori anche, gli incubi, ma anche le speranze, dove lei è rimasto in questi otto anni con noi. D’ora in avanti, però, noi sapremo che, sul monte, c’è la sua intercessione per noi». E «qualche volta — ha aggiunto — forse qualcuno di noi potrà fare come Giosuè e Hur, i due che salgono al monte, e anche reggerle le braccia per la preghiera». E sempre nello spirito del racconto biblico, il porporato ha concluso il suo saluto iniziale formulando, «a nome di tutti», un augurio: «Mosè — ha detto — aveva 120 anni quando morì. I suoi occhi però non gli si erano mai appannati e il vigore della sua mente non era mai venuto meno. Questo è certamente un grande augurio che vogliamo rivolgerle. Anche perché nella tradizione ebraica, attorno a questo momento, ha intessuto dei racconti deliziosi, molto teneri nei confronti di Mosè e di questo suo attendere tutto il percorso della sua esistenza, sino a 120 anni». Prima di iniziare le meditazioni il porporato ha voluto offrire una rappresentazione simbolica degli esercizi spirituali come «un liberare l’anima dal terriccio delle cose, dal fango del peccato, dalla sabbia della banalità, dalle ortiche ed erbacce delle chiacchiere». Poi ha proposto quelli che ha definito i punti cardinali che accompagneranno «il pellegrinaggio spirituale» degli esercizi spirituali. Si tratta dei quattro verbi della preghiera: respirare, pensare, lottare, amare. Questa mattina, lunedì 18 febbraio, invece la riflessione è entrata nell’argomento posto come sottotitolo al tema generale degli esercizi, cioè: «Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica». Il pellegrinaggio spirituale alla scoperta del “Volto di Dio” è iniziato all’interno del salterio, la base Predicatore islamico arrestato in Egitto per insulti ai copti IL CAIRO, 18. Un predicatore islamico, Ahmed Mohammed Abdallah, è stato arrestato in Egitto con l’accusa di aver insultato durante una trasmissione televisiva la religione copta ortodossa, professata dal 10 per cento dei cittadini. L’uomo, già sotto processo per aver fatto a pezzi e poi bruciato una bibbia nel settembre scorso, è stato fermato dopo la denuncia presentata da un attivista copto. La legge egiziana proibisce gli insulti contro qualsiasi religione. Per fare il punto sugli aiuti alla popolazione siriana Missione di Cor Unum in Giordania Da martedì 19 a giovedì 21 febbraio, il presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, cardinale Robert Sarah, con il segretario del Dicastero, monsignor Giampietro Dal Toso, si recano in Giordania, dove sono stati invitati a intervenire in occasione del forum regionale delle Caritas del Medio Oriente Nord Africa - Corno d’Africa. Ne dà notizia un comunicato del dicastero, nel quale si rende noto che l’incontro costituisce anche un’importante occasione per fare il punto sugli aiuti umanitari portati dagli organismi caritativi cattolici, in particolare la Caritas, ai profughi e alle vittime del violento conflitto in Siria. Saranno infatti presenti i rappresentanti di tutte le Caritas della regione, oltre a rappresentanti delle Chiese locali. La situazione a livello umanitario in quel Paese e in tutta la regione è ormai insostenibile. Secondo il comunicato, infatti, alcune stime giungono a parlare di un milione di rifugiati, oltre due milioni e mezzo di sfollati, quasi centomila morti direttamente imputabili alle violenze e innumerevoli altri, il cui numero non è neppure quantificabile, indirettamente causati dall’impoverimento complessivo della popolazione, indotto principalmente dalla guerra stessa. Il rigido inverno sta ulteriormente contribuendo molto a questo triste bilancio delle sofferenze di un popolo, stremato soprattutto nelle sue fasce sociali più deboli e vulnerabili. Durante tale viaggio, il cardinale presidente e il segretario visiteranno anche località dove sono ospitate persone, in fuga dai combattimenti in Siria. La visita ai rifugiati sarà organizzata con Caritas Giordania e con altre realtà caritative cattoliche attive nell’assistenza e negli interventi umanitari. Inoltre, durante la visita, è previsto un incontro con il Re di Giordania, Abd Allāh II ibn al-Husayn. della preghiera quotidiana della Chiesa. Una ricchezza che faceva esclamare a sant’Agostino in una delle sue Enarrationes super Psalmos, quella sul salmo 137: Psalterium meum, gaudium meum! Il rapporto tra Agostino e la Bibbia è ancora più evidente se si pensa che nei suoi scritti vi sono più di sessantamila citazioni bibliche, delle quali ventimila dell’Antico Testamento e di queste ben undicimilacinquecento dei salmi. D’altronde i padri della Chiesa, ha detto il cardinale, «non parlavano della Bibbia, ma parlavano la Bibbia». La prima tappa parte dai piedi dell’Hermon, dove le acque del Giordano scaturiscono dalla roccia. È un inizio segnato dalla preghiera e dalla fede, che si nutrono della grazia divina che si rivela. Qual è la prima grande teofania, il volto con cui Dio si presenta? si è chiesto il Commenti di cardinali sulla rinuncia di Benedetto XVI porporato. «La risposta è nella Bibbia — ha detto — la rivelazione è nella sua parola, la sua grazia si affida alla parola». Nella creazione Dio disse: «Sia la luce e la luce fu». Per la Bibbia, «la creazione è una parola, un evento sonoro. Senza la parola non esiste la comunicazione fondamentale, potente, efficace». Questa prima «epifania divina» è quindi proprio quella della sua parola. Il Nuovo Testamento, ha aggiunto il cardinale, «idealmente è aperto dall’inno del prologo di Giovanni». In principio era la parola, «recuperare la parola è quindi un elemento fondamentale». L’esperienza del Dio del Sinai, «dalla cui vetta scendono le dieci parole, che saranno strutturali per l’esistenza d’Israele e per la nostra fede, il decalogo », viene riassunta da Mosè con una frase: «Dio vi parlò in mezzo al fuoco: voce di parole voi ascoltavate, immagi- al pontificato Una visione cristiana della storia della Chiesa Un invito ad avere «una visione soprannaturale» e a vivere «anche questi momenti con grande spirito di fede e immenso amore per la Chiesa di Cristo che da duemila anni con forme diverse, con stili diversi, con uomini diversi, va avanti» è stato espresso dal cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio, in un’intervista a Franca Giansoldati pubblicata su «Il Messaggero» del 17 febbraio. «La Chiesa continua la sua missione guidata dallo Spirito Santo», ha detto il porporato, e «noi cristiani rinnoviamo questa percezione nella preghiera del Credo. Mi spiace che degli ultimi avvenimenti emerga solo l’aspetto umano, anche se mi rendo conto che è un discorso difficile da comprendere per chi non ha fede. Penso che manchi una visione ultraterrena della storia della Chiesa». Il cardinale Versaldi delegato pontificio per il governo della congregazione dei Figli dell’Immacolata concezione A seguito della visita apostolica effettuata dall’arcivescovo Filippo Iannone alla Congregazione dei Figli dell’Immacolata concezione, in data 15 febbraio Benedetto XVI ha deciso di affidare il Governo del menzionato Istituto religioso al cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, nominandolo Delegato Pontificio. Lo rende noto un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, che informa inoltre come in tale veste il cardinale Versaldi avrà il compito di guidare l’Istituto religioso e di indirizzare le strutture sanitarie da esso gestite verso un possibile risanamento economico, escludendo tuttavia una partecipazione della Santa Sede in tali opere. Sulla decisione di Benedetto XVI, il cardinale Sodano ha chiesto innanzitutto di «riflettere con occhi cristiani, su una visione cristiana. Noi siamo tutti credenti — ha detto nell’intervista — che ci gloriamo di essere cristiani e ci sforziamo di vivere il Vangelo di Cristo. Purtroppo devo dire che questa visione difetta. Sui mass media, per esempio. Certo hanno tutto il diritto di dare i particolari possibili ma forse i giornalisti cristiani dovrebbero dare una visione meno superficiale, meno terrena». Diventa così poco importante «divagare sulle cose minime, sull’abito o su altri particolari marginali», mentre conta di più riflettere «sul fatto che la Chiesa cammina per opera di Dio». Interpellato, infine, sulle «lacerazioni sul volto della Chiesa» il cardinale decano ha risposto che «certo divisioni ce ne sono e nessuno lo nega, esistono persone che hanno un metodo di lavoro e altre un altro, ma da qui a ricamarci sopra». E ha concluso con l’invito a lasciarsi «guidare dallo Spirito Santo». È un invito alla preghiera quello rivolto alla Chiesa dal cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, interpellato — riferisce l’Ansa — al suo arrivo all’aeroporto di Roma dalla Guinea, suo Paese natale. «Penso che ora l’unica cosa che dobbiamo fare è pregare. Pregare per il Santo Padre e la Chiesa. E aspettare con fiducia — ha aggiunto — perché la Chiesa appartiene al Signore: egli stesso ha detto che la affida al Pastore Gesù Cristo e alla Madonna. Aspettiamo con serenità e fiducia, pregando». In un’intervista alla vaticanista Franca Giansoldati su «Il Messag- gero» del 18 febbraio, il cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, ha ricordato che la decisione del Papa «è nata da un discernimento fatto in coscienza di non essere più in grado di poter svolgere adeguatamente il suo ministero per le diminuite sue forze. È una grande testimonianza di fede: la Chiesa è guidata da Dio e il Papa, come Benedetto XVI aveva detto al momento della elezione, è solo un umile e semplice lavoratore nella vigna del Signore nella certezza che il Signore chiamerà un altro servitore a guidare adeguatamente la sua Chiesa». Il cardinale ha ribadito anche l’invito del Papa all’unità: «Certo ciò vale specialmente per i cardinali e ancor più nella loro decisione di eleggere il nuovo Pontefice. Unità non implica eliminare le differenze, ma queste non romperanno l’unità se questa ha un chiaro punto di riferimento, che è Cristo e il bene della sua Chiesa. Non dubito che tutti i cardinali siano uniti in questo proposito. La nostra preparazione deve consistere nel rendere libero il nostro spirito ad accogliere al momento giusto questa luce divina, e ciò esige conversione del cuore e purificazione delle intenzioni». A Firenze il cardinale arcivescovo Giuseppe Betori si è rivolto direttamente ai fedeli durante l’omelia della messa domenicale in cattedrale. «Non possiamo accettare di frantumare la verità della fede nei mille rivoli di opinioni senza fondamento. È stata questa per la Chiesa dei nostri tempi — ha detto, secondo quanto riferisce l’Ansa — la grande e intramontabile impresa di Benedetto XVI, cui va la nostra gra- titudine nel momento in cui consegna umilmente la propria persona al supremo gesto di servizio verso la missione che gli è stata affidata dal Signore. Un gesto con cui non rinuncia alla missione, ma ne proclama la superiorità su tutto, anche su se stesso, e chiama la Chiesa tutta a consacrarsi al Signore fino al dono di sé». Secondo il porporato «il Papa ci ha insegnato che sulla verità di Gesù si decide la nostra fede e quindi la nostra vita, tenendo saldo che può esistere una verità e una sola verità, ed è Gesù». Il Papa, ha concluso, «ha anche insegnato a tutti, credenti e non credenti, che non si può fare a meno della verità se non si vuole perdere la vita nel non senso e quindi nella insignificanza». In un messaggio indirizzato ai fedeli della Romania, infine, il cardinale Lucian Mureşan, arcivescovo maggiore di Făgăraş e Alba Iulia, ha invitato a «chinare fronte e cuore, con rispetto e ammirazione, davanti al gesto coraggioso del Santo Padre». E ha chiesto di accompagnarlo «con la preghiera, la devozione e con il nostro amore». È, infatti, proprio la preghiera, secondo il cardinale Mureşan, ad avvicinarci al Signore per aiutarci «a capire la presa di posizione e l’atteggiamento del Papa». Nel messaggio il porporato indica la strada della fiducia e della speranza: «Papa Benedetto, con un gesto di coraggio e responsabilità, ci dimostra con umiltà la vera grandezza dell’uomo che conosce i tempi in cui vive la Chiesa; ci fa capire quello che dovrebbe essere l’atteggiamento di ognuno di noi davanti al potere; ci dimostra ancora una volta quanto grande fosse Gesù sulla croce». ne alcuna voi non vedeste, era solo una voce». La parola di Dio, cioè, «risuona ora nella Scrittura, in particolare nella Torah». Pertanto, dobbiamo «celebrare la grazia divina, che si rivela con la parola e che questa parola ci preceda e ci ecceda, ci superi è espresso in maniera sorprendente da san Paolo». Il cardinale ha poi preso in considerazione due salmi: il 119 e il 23. Nel primo si sente «vibrare l’amore per la parola che brilla nella nebbia o nel buio dell’esistenza». La parola paragonata a una lampada che illumina i passi. Questo salmo è simile a una «melopea orientale», è analogo alle «onde di una risacca che sulla spiaggia coprono sempre lo stesso spazio, ma in forme ininterrottamente mutevoli». Quando ci si lascia «conquistare da questo canto della parola di Dio, dal suo ritmo simile a quello del “moto perpetuo” musicale», veniamo coinvolti e travolti «dalla sua forza liberante e si diventa ascoltatori obbedienti e praticanti». Così «esplode la professione d’amore che riassume quasi in un sospiro l’appassionata dichiarazione della donna del cantico». Il salmo 23, quello della fede e della fiducia, indica due elementi: il simbolo del pastore-guida e della cena e dell’ospite. Lungo le strade pericolose della vita, il pastore è compagno di viaggio, condivide con noi la strada. La meta terminale di questo cammino è il tempio, dove ci attende la mensa imbandita del sacrificio, cioè «la comunione, l’intimità, l’amore, espresso proprio dal simbolo della mensa». Nella seconda meditazione della mattinata il cardinale Ravasi ha preso in considerazione la seconda teofania, quella del Creatore «che opera proprio attraverso la sua prima epifania, la parola». Lo ha fatto partendo dal salmo 19, nel quale «gli spazi astrali sono personificati come testimoni entusiasti dell’opera creatrice di Dio, sono “narratori”, cioè araldi della sua potenza gloriosa». Il salmista, ha detto il porporato, affida alla notte e al giorno il ruolo di «messaggeri che trasmettono di postazione in postazione la grande notizia della creazione». Spazio e tempo sono coinvolti, perciò, in «un vero e proprio “kerygma”, in un vangelo di luce e di gioia». L’uomo, da delegato del Creatore a «coltivare e custodire la terra», si è comportato da tiranno e ha fatto sì che la creazione a lui affidata sia stata spesso «umiliata e devastata». Ora non è più «in grado di ascoltare il messaggio segreto celato nelle creature». E una spiritualità che «ignora l’orizzonte terrestre, che non sa goderne la bellezza delle forme e la ricchezza dei frutti, che invita quasi ad astrarsi decollando dal creato verso intimità disincarnate non appartiene al vigoroso realismo biblico e all’incarnazione cristiana». A questo proposito, il cardinale ha ricordato un «curioso aforisma rabbinico», il quale ammoniva «che alla fine della vita saremo giudicati anche sui piaceri e i godimenti giusti e leciti da noi vissuti in pienezza». Da qui deriva l’importanza di un’autentica ascesi, che «non è solo negazione, ma è anche armonia tra corporeità e interiorità, è rinuncia ed esercizio per una pienezza genuina». L’epifania cosmica divina, ha proseguito il cardinale, ripropone il dialogo tra fede e scienza. La prima, ha detto, «si dedica alla scena dell’essere, al fenomeno, ai dati e ai fatti, al “come”; la religione, invece, si consacra al fondamento, cioè al senso ultimo dell’essere, al “perché”». Il credente, quindi, si trova nella situazione di volare negli spazi «infiniti dell’essere e dell’esistere», con le ali della fede e della ragione. Vi è differenza, ma non opposizione, tra la via della preghiera e della teologia, che «prima intuisce e incontra il mistero del divino e poi cerca di penetrarlo e decifrarlo», e quella della scienza, che «esige la verifica e l’analisi prima di ogni adesione e sintesi». L’armonia tra queste due vie viene esaltata nel salmo 19, dove si trova un inno a un duplice sole. Il primo è «l’astro che sfolgora nel cielo, descritto come uno sposo», l’altro, che brilla nel cielo dello spirito, è «la Torah, la parola di Dio», che irradia il suo splendore «nell’orizzonte delle coscienze, ne scioglie il gelo, vi effonde luce e speranza». Dopo il Dio delle grazie e il Dio creatore, il cardinale Ravasi per la meditazione di questo pomeriggio proporrà il Dio della liturgia seguendo i versetti del salmo 87. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013 Moltissime persone in piazza San Pietro per l’Angelus prima dell’inizio degli esercizi spirituali in Vaticano La via di Dio e la via dell’uomo Il grazie del Papa per la preghiera dei fedeli in questi giorni difficili Cedere alla tentazione di strumentalizzare Dio per i propri interessi significa metterlo ai margini della vita, con il rischio di vederlo svanire. E dunque significa mettere in gioco la nostra fede e Dio stesso. Lo ha detto il Papa domenica 17 febbraio, rivolgendosi ai numerosi fedeli che hanno gremito piazza San Pietro per la recita dell’Angelus. Queste le sue parole. Cari fratelli e sorelle! mercoledì scorso, con il tradizionale Rito delle Ceneri, siamo entrati nella Quaresima, tempo di conversione e di penitenza in preparazione alla Pasqua. La Chiesa, che è madre e maestra, chiama tutti i suoi membri a rinnovarsi nello spirito, a ri-orientarsi decisamente verso Dio, rinnegando l’orgoglio e l’egoismo per vivere nell’amore. In questo Anno della fede la Quaresima è un tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criterio-base della nostra vita e della vita della Chiesa. Ciò comporta sempre una lotta, un combattimento spirituale, perché lo spirito del male naturalmente si oppone alla nostra santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Dio. Per questo, nella prima domenica di Quaresima, viene proclamato ogni anno il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto. Gesù infatti, dopo aver ricevuto l’“investitura” come Messia — “Unto” di Spirito Santo — al battesimo nel Giordano, fu condotto dallo stesso Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Al momento di iniziare il suo ministero pubblico, Gesù dovette smascherare e respingere le false immagini di Messia che il tentatore gli proponeva. Ma queste tentazioni sono anche false immagini dell’uomo, che in ogni tempo insidiano la coscienza, travestendosi da proposte convenienti ed efficaci, addirittura buone. Gli evangelisti Matteo e Luca presentano tre tentazioni di Gesù, diversificandosi in parte solo per l’ordine. Il loro nucleo centrale consiste sempre nello strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali. Il tentatore è subdolo: non spinge direttamente l’importante è che lo facciamo con Lui, con Cristo, il Vincitore. E per stare con Lui rivolgiamoci alla Madre, in Maria: invochiamola con fiducia filiale nell’ora della prova, e lei ci farà sentire la potente presenza del suo Figlio diviverso il male, ma verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. In questo modo, Dio diventa secondario, si riduce a un mezzo, in definitiva diventa irreale, non conta più, svanisce. In ultima analisi, nelle tentazioni è in gioco la fede, perché è in gioco Dio. Nei momenti decisivi della vita, ma, a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che realmente è bene? Come ci insegnano i Padri della Chiesa, le tentazioni fanno parte della “discesa” di Gesù nella nostra condizione umana, nell’abisso del peccato e delle sue conseguenze. Una “discesa” che Gesù ha percorso sino alla fine, sino alla morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio. In questo modo, Egli è la mano che Dio ha teso all’uomo, alla pecorella smarrita, per riportarla in salvo. Come insegna sant’Agostino, Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria (cfr. Enarr. in Psalmos, 60, 3: PL 36, 724). Non abbiamo dunque paura di affrontare anche noi il combattimento contro lo spirito del male: La Quaresima è un tempo favorevole per riscoprire la fede Dio come base della nostra vita e della vita della Chiesa (@Pontifex_it) no, per respingere le tentazioni con la Parola di Cristo, e così rimettere Dio al centro della nostra vita. Salutando i diversi gruppi presenti Benedetto XVI ha poi chiesto di sostenerlo con la preghiera «in questi giorni difficili» e di pregare anche per il prossimo Papa. Grazie a tutti voi! Chers pèlerins francophones, le Carême qui vient de commencer est une invitation à donner davantage de temps à Dieu, dans la prière, la lecture de sa Parole et les sacrements. Par le jeûne nous apprendrons à ne pas négliger la véritable nourriture, spirituelle, pour résister aux tentations de l’indifférence et du laisser-aller, de l’égoïsme et de l’orgueil, de l’argent et du pouvoir. Méditons la manière dont Jésus a surmonté les tentations et demandonslui la force de lutter contre le mal. Que ce Carême soit pour chacun le chemin d’une authentique conversion à Dieu et un temps de partage intense de notre foi en Jésus Christ! Je vous remercie de votre prière et je vous demande de m’accompagner spirituellement durant les Exercices spirituels qui commenceront ce soir. Je vous bénis tous de grand cœur. I greet all the English-speaking visitors and pilgrims present for today’s Angelus. Today we contemplate Christ in the desert, fasting, praying, and being tempted. As we begin our Lenten journey, we join him and we ask him to give us strength to fight our weaknesses. Let me also thank you for the prayers and support you have shown me in these days. May God bless all of you! Von Herzen heiße ich alle deutschsprachigen Pilger willkommen. Die Lesungen und das Evangelium des heutigen Sonntags stellen uns vor Augen, daß der Mensch sich oft unwürdig und bedürftig empfindet, wenn er Gott gegenübersteht. Und er ist es ja auch. Aber der Herr kommt dem Sünder entgegen und erneuert ihn. Suchen wir immer wieder die Begegnung mit dem Herrn, aus der wir Nahrung und Orientierung für unsere Aufgaben in der Welt schöpfen können. Ich danke euch vor allem für die zahlreichen Beweise eurer Verbundenheit und für euer Gebet in diesen für mich schwierigen Tagen. Ich bitte euch, mir und der Römischen Kurie besonders in der heute beginnenden Woche nahe zu sein, während wir unsere alljährlichen Exerzitien halten. Der Heilige Geist begleite uns alle auf unserem geistlichen Weg in der Fastenzeit. Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular al grupo del Colegio sacerdotal argentino de Roma. En esta Cuaresma pidamos al Señor que la contemplación de los misterios de su pasión, muerte y resurrección nos ayude a seguirlo más de cerca. Al mis- Sandro Botticelli e bottega, «Tentazione di Cristo» (particolare, Cappella Sistina) mo tiempo, de corazón agradezco a todos su oración y afecto en estos días. Os suplico que continuéis rezando por mí y por el próximo Papa, así como por los Ejercicios espirituales, que empezaré esta tarde junto a los miembros de la Curia Romana. Llenos de fe y esperanza, encomendemos la Iglesia a la maternal protección de María Santísima. Muchas gracias. Drodzy Polacy, serdecznie pozdrawiam was wszystkich, którzy uczestniczycie w modlitwie Anioł Pański. Dziękuję bardzo za modlitewne wsparcie i duchową bliskość w tych szczególnych dniach dla Kościoła i dla mnie. Dzisiejsza Ewangelia ukazuje nam Chrystusa, kuszonego na pustyni przez szatana. Umocnieni łaską Bożego Syna umiejmy zwyciężać zło, zerwać z grzechem, służyć tylko Bogu samemu. Waszym modlitwom polecam rekolekcje, które dzisiaj rozpoczniemy w Watykanie. Z serca wam błogosławię. [Cari Polacchi, saluto cordialmente voi tutti che partecipate a questa preghiera dell’Angelus. Vi ringrazio tanto per il vostro orante sostegno e la vicinanza spirituale in questi giorni particolari per la Chiesa e per me. Il Vangelo di oggi ci fa contemplare Gesù tentato da satana nel deserto. Confortati dalla grazia del Figlio di Dio, cerchiamo di combattere contro il male, di rompere con il peccato, di servire Dio soltanto. Raccomando alle vostre preghiere gli Esercizi spirituali in Vaticano che inizieremo questa sera. Vi benedico di cuore.] Un caloroso saluto infine ai pellegrini di lingua italiana. Grazie a voi! Grazie di essere venuti così numerosi! Grazie! La vostra presenza è un segno dell’affetto e della vicinanza spirituale che mi state manifestando in questi giorni. Vi sono profondamente grato! Saluto in particolare l’Amministrazione di Roma Capitale, guidata dal Sindaco, e con lui saluto e ringrazio tutti gli abitanti di questa amata Città di Roma. Saluto i fedeli della diocesi di Verona, quelli di Nettuno, di Massannunziata e della parrocchia romana di Santa Maria Janua Coeli, come pure i ragazzi di Seregno e di Brescia. A tutti auguro una buona domenica e un buon cammino di Quaresima. Questa sera inizierò la settimana di Esercizi spirituali: rimaniamo uniti nella preghiera. Buona settimana a tutti voi. Grazie! Turisti, cibernauti e pragmatici, tutte le voci della piazza di CRISTIAN MARTINI GRIMALDI Piazza San Pietro, penultimo Angelus di Benedetto XVI. La folla presente è ancora più eterogenea di quella che solitamente anima questo spazio in occasione della preghiera domenicale. Molti sono qui per dire: c’ero anch’io quel giorno. Riflesso condizionato anche dalla quotidiana esposizione di sé, che ognuno alimenta personalmente attraverso i canali digitali. E mentre su twitter scorrono le solite banalità sull’annuncio del Papa, per farsi un idea di cosa pensa veramente la “piazza” occorre venire fisicamente qui, in questa piazza. Irina è una cuoca russa di 45 anni. Lavora in un ristorante di via del Corso, a Roma. È in Italia da 13 anni. Al collo ha una grossa macchina fotografica. «Mi dispiace molto della rinuncia di questo Papa. Ma è una scelta onesta. Non sono una praticante, ma penso che sia comunque un momento storico. Farò tante foto, le manderò anche alle mie amiche in Russia» dice con un sorriso carico di entusiasmo. E aggiunge: «L’ho saputo dalla tivù e mi sono dispiaciuta molto. Ma è una scelta coraggiosa: è molto più coraggioso lasciare, che continuare senza poter dare il cento per cento». C’è anche un folto gruppo di turiste irlandesi. Una di loro porta sottobraccio due quotidiani. «Ho comprato questi giornali perché so di vivere un momento storico» dice. «L’ultima volta che la mia amica era qui — ricorda indicando una compagna di viaggio seduta alle sue spalle — è stato quando è morto Giovanni Paolo II. Stavolta siamo rimaste sorprese ma anche contente, perché sapevamo che saremmo venute a Roma due giorni dopo. È uno di quei momenti che si ricorderanno per sempre». Si viene a San Pietro oggi anche per nutrire una propria “epica” personale. «Penso che Benedetto XVI — prosegue — sia stata una persona di studio, ma non penso che sia un conservatore, come certi media vorrebbero farlo passare. Il fatto stesso che si sia dimesso è una prova della sua volontà di dare veramente una spinta al cambiamento. Non dimentichiamo, tra l’altro, che nel corso del pontificato ha creato molti cardinali provenienti dall’America latina, dall’Africa. E questo è un segno di grande apertura. Chissà, forse il prossimo Papa verrà proprio da uno di questi continenti». Due anziane sono giunte da Catania in treno. «Siamo rimaste sorprese» confidano. «Certo — aggiungono — è un Pontefice anziano, avrà sofferto molto questa decisione, ma una certa tristezza resta». In fondo il Papa rappresenta anche la nostalgia di ciò che è eterno; e siamo sempre colti da un’insoddisfazione particolare quando qualcosa inevitabilmente finisce. Un ragazzo della Repubblica Ceca che vive in Germania è qui per visitare Roma. È un musicista trentacinquenne, e anche lui ha un’enorme macchina fotografica al collo. «L’ho saputo su internet — racconta — ma poi ho acceso la tivù. Perché, sai, di quello che passa in rete non ti puoi fidare più di tanto: era una notizia talmente grossa. Io non sono credente ma penso che questo Papa sa quello che sta facendo. La sua anzianità è un fatto. Non capisco lo scetticismo e la dietrologia di certe letture che girano soprattutto sulla rete. Le sue ragioni sono sincere, mi pare evidente. Ma alla gente le spiegazioni semplici non piacciono, basta guardare le notizie di cronaca: i fatti vengono sempre presentati con una chiave di lettura “giallistica” e anche in questo caso si è andati alla ricerca del “movente nascosto”. Ma non credo ci siano altre motivazioni oltre quelle che lui stesso ha manifestato. Ce ne dobbiamo fare una ragione: la vecchiaia e il venir meno delle forze esistono, è la cultura contemporanea che pensa invece di ri- muovere l’esperienza della debolezza e della sofferenza, e così resta spiazzata di fronte a un gesto come questo. Anche un Papa invecchia». Che i giovani comprendano più facilmente la scelta di Benedetto XVI di lasciare il papato può sorprendere, ma non più di tanto. Quattro ragazze raccontano le loro impressioni. Una è di Singapore, due colombiane e una cinese. Studiano architettura a Londra. «Abbiamo saputo della decisione del Papa, ma io personalmente sono qui per visitare il Vaticano» dice con un pizzico di pragmatismo la prima. «Gliel’ho detto io che questo è un momento storico!» interviene orgogliosa la colombiana Isabella. «Quando ho saputo la notizia — racconta — ho pensato: ha fatto bene. Se non riesce ad andare avanti, e lo ha riconosciuto pubblicamente, il suo è un atto di umiltà straordinario». La sorella ventunenne Julietta fa cenno di sì con la testa. «Ero contenta anche perché ho pensato: mi trovo a Roma proprio in questo momento! È una coincidenza meravigliosa, potrò raccontarlo ai miei nipoti» ride. Angela (è il nome che usa con le compagne) è cinese, ha anch’essa 21 anni ed è di Canton: «Io — ammette — non sono religiosa. Non è che sia atea; solamente non ho una preferenza religiosa particolare. Rispetto tutti i credenti. E non ho voglia di andare troppo al fondo delle religioni». Le domando il perché. Risponde: «Io credo che se le religioni esistono, allora significa che ci sono delle buone ragioni per credere. E ognuna ha le proprie ragioni. Non mi sembra il caso di stare a decidere quale sia la migliore fra le tante. Mi pare un atto irrispettoso. Secondo me tutte sono valide». Le chiedo se conosca qualcosa del cristianesimo. Fa cenno di no. È questo, in fondo, il cuore del relativismo: tutto si assomiglia perché lo sguardo superficiale appiattisce tutto. Chi ne sa qualcosa in più, invece, è Giantommaso, di 25 anni, che ha studiato per tre anni ingegneria a Roma. Ora ha lasciato. Non c’è lavoro, dice. Fa il commesso in un negozio di articoli sportivi. «Questo gesto del Papa — sottolinea — è un segnale di rinascita; non è affatto un momento triste, come sento dire in giro. Proprio quando sembra esserci una crisi, ecco farsi strada la Provvidenza». D’altronde, scriveva Romano Guardini, ogni bene ha inizio con una “rivelazione”. E questa certamente lo è stata per tutti. Continua Giantommaso: «Conosco le encicliche di Benedetto XVI. Credo sia un Papa che ha precorso i tempi. Basta ascoltare i suoi discorsi per capirlo. Il punto è che nessuno li legge. Ritengo che con questi otto anni abbia preparato la strada al prossimo Pontefice, il quale dovrà mettere in pratica quello che Ratzinger ha detto e scritto in questi anni». Antonia è di Roma. Medico, ha 58 anni. «La rinuncia del Papa — dice — è una novità assoluta per noi. Il suo gesto deve far riflettere ciascuno sulla propria responsabilità individuale. Ratzinger si è preso la sua compiendo questo atto. E ora tocca a noi fare lo stesso, se vogliamo cambiare le cose. Non si può delegare sempre agli altri. Si tratta di un messaggio molto importante, soprattutto per i più giovani. La libertà è responsabilità». Insieme a lei c’è Maria, psicologa, 60 anni. «Ho letto il libro-intervista a Peter Seewald in cui Benedetto XVI accennava alla possibilità di rinunciare al pontificato. Per questo la sua decisione non mi ha sorpresa più di tanto. In quell’intervista il Papa ha lasciato intravedere questo gesto. Ciò significa che anche le altre cose che ha detto in questi otto anni sono intrise di verità profonde. E bisognerebbe ora andare a riprenderle tutte». Le domando cosa ha provato quando ha saputo della decisione del Pontefice. «La reazione all’inizio è stata di paura. Paura rispetto al cambiamento che questa scelta portava. Ti domandi: e ora cosa succederà? Poi ho pensato: però lui stesso lo aveva detto! Forse cercavo anche di razionalizzare i miei timori. Il suo è certamente un gesto rivoluzionario, la cosa più importante che sia accaduta nella Chiesa dal concilio Vaticano II». Maria ha le idee chiare su quello che può rappresentare anche per le nuove generazioni. «Questa — afferma — è un’occasione di riflessione sulla strada che la Chiesa intende intraprendere. È un’epoca in cui siamo afflitti da tanti problemi, soprattutto economici e sociali. Questo Pontefice ha compiuto una continua rilettura del Vangelo, una rilettura molto sottile, alla quale non eravamo abituati. Se riprendiamo le cose che ha detto, dalla lezione di Ratisbona in poi, ci rendiamo conto che ha seminato tantissimo. C’è voluto del tempo perché arrivassimo al cuore di questo messaggio, ma solo perché culturalmente eravamo ancora molto indietro. Il Papa ci ha costretti a meditare a fondo. Tutti i giovani ora si stanno facendo delle domande. È un bene, è provvidenziale. In questi giorni si parla di continuo della sua decisione. E non solo sui media. Mio figlio, per esempio, ne è rimasto molto colpito e ne ha discusso con me, affrontando anche questioni come la chiamata di Dio e la santità del ministero petrino. Questo è positivo se pensiamo che di solito in famiglia non si parla altro che di banalità quotidiane. Insomma, questo Papa ci ha fatto risvegliare tutti».