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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLIII n. 41 (46.285)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013
.
Moltissime persone in piazza San Pietro per l’Angelus prima dell’inizio degli esercizi spirituali in Vaticano
La via di Dio e la via dell’uomo
Il grazie del Papa per la preghiera dei fedeli in questi giorni difficili
«Grazie per la vostra preghiera in questi giorni per me
difficili». Si rivolge ai suoi connazionali, Papa
Ratzinger, e manifesta riconoscenza per il loro sostegno. Li individua in una piazza straripante di gente, venuta da ogni dove, per esprimergli ammirazione, gratitudine, vicinanza. I fedeli tedeschi si annunciano con
un grande cartello dove è scritto semplicemente Danke.
In quella parola il sentimento prevalente di quanti ieri,
domenica 17 febbraio, hanno voluto cogliere l’occasione
dell’Angelus — il penultimo del pontificato prima di
quello in programma il 24 — per salutare il Pontefice
unendosi a lui nella preghiera.
A loro Benedetto XVI ha affidato una consegna precisa: cercare la via di Dio, che non è la stessa dell’uomo;
e rimettere Cristo, e non l’egoismo o la sete di potere,
al centro della vita. In ogni momento dell’esistenza —
ha ricordato — «siamo di fronte a un bivio: vogliamo
seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero
Bene, ciò che è realmente bene?». Una domanda alla
quale rispondere senza cedere alla tentazione di «stru-
mentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali».
Terminata la preghiera, la piazza si scioglie in un applauso ricco di calore e affetto. Applauso che si ripete
ogni volta che il Pontefice saluta nelle diverse lingue i
gruppi presenti. Per tutti ha una parola di gratitudine.
E agli spagnoli chiede in particolare di pregare «per il
prossimo Papa».
Alla fine, la benedizione e il saluto di Benedetto XVI,
con il suo classico agitare le dita delle mani protese ver-
Sette autobombe esplodono in diversi quartieri di Baghdad provocando ventotto morti e più di cento feriti
Sciiti sotto attacco in Iraq
BAGHDAD, 18. Ancora sanguinose
violenze in Iraq. Ieri sette autobombe sono esplose in zone sciite di Baghdad. Il bilancio è di ventotto morti. Più di cento i feriti. Ne hanno
dato notizia fonti di polizia, aggiungendo che le potenti deflagrazioni
hanno devastato negozi e ristoranti.
Affollate vie commerciali hanno subito danni materiali molto pesanti.
Questa mattina si è appreso che la
principale organizzazione irachena
affiliata ad Al Qaeda, lo Stato islamico d’Iraq, ha rivendicato gli attentati. In un comunicato, citato
dall’agenzia Ansa, i miliziani fanno
espresso riferimento al fatto che
l’obiettivo degli attacchi sono gli
sciiti. Tre autobombe sono esplose
nel quartiere di Sadr City, una quarta ad Al Amin, una quinta ad Al
Husseiniyah, una sesta a Kamaliyah.
Una vettura carica di esplosivo è poi
deflagrata al lato di una strada del
quartiere centrale di Kerrada. «Stavo
acquistando un condizionatore — ha
raccontato un sopravvissuto — quando c’è stata una forte esplosione. Sono stato scaraventato sul pavimento
e solo dopo alcuni minuti ho visto
molte altre persone a terra, alcune
morte, altre ferite che chiedevano
aiuto».
Si è poi appreso che un ufficiale
dell’intelligence, capitano Mohammed Rakan, è stato assassinato a
Mossul, nella provincia settentrionale di Nineveh, davanti alla sua abitazione: tre uomini armati gli hanno
teso un agguato. Dopo l’omicidio,
una pattuglia dell’esercito ha dato la
caccia ai responsabili, che sono stati
uccisi al termine di un lungo scontro
a fuoco.
Si segnala nel frattempo che decine di migliaia di sunniti continuano
a scendere in piazza, in diverse città
del Paese, per protestare contro il
Governo a maggioranza sciita, che
Vendite in diminuzione per la prima volta dagli anni Novanta
L’austerità colpisce
il mercato delle armi
secondo loro, scrivono le agenzie di
stampa internazionali, avrebbe «atteggiamenti discriminatori». A Falluja e a Ramadi, ex roccaforti dei ribelli nell’ovest dell’Iraq, i manifestanti hanno bloccato la strada principale che conduce in Giordania e in
Siria. Altri hanno manifestato nelle
principali piazze delle città di Samarra e Mossul. Proteste si sono registrate anche a Baghdad, dove le
forze di sicurezza hanno bloccato le
strade che portano verso le province
a maggioranza sunnita e hanno cordonato i quartieri sunniti.
È da dicembre, ricorda l’agenzia
Adnkronos, che i sunniti stanno manifestando per chiedere le dimissioni
del primo ministro Nouri Al Maliki,
lo stop dei raid nelle zone a maggioranza sunnita e il rilascio dei detenuti. In più di un’occasione, nell’arco
di questo periodo, Al Maliki ha formulato appelli al dialogo e a un
confronto costruttivo, con l’obiettivo
di favorire un clima disteso nel Paese, che continua a essere segnato
dalle violenze.
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E
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Udienza di Benedetto XVI
al presidente
del Consiglio dei ministri italiano
Mario Monti
La «Verbum Domini» e l’allargamento
della ragione
Novità
dentro le cose solite
SAMUEL FERNÁNDEZ
Per fare il punto sugli aiuti
alla popolazione siriana
A PAGINA
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In un mondo frammentato testimoni
di comunione
Missione
di Cor Unum
in Giordania
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FRATEL
JOHN
A PAGINA
Nella sera di sabato 16 febbraio, alle 18, Benedetto XVI ha ricevuto in
udienza privata il presidente del
Consiglio dei ministri italiano, senatore Mario Monti, per un incontro di commiato particolarmente
cordiale e intenso. Il professor
Monti ha manifestato al Santo Padre ancora una volta la gratitudine
e l’affetto del popolo italiano per il
suo altissimo magistero religioso e
morale e per la sua attenzione partecipe ai problemi e alle speranze
dell’Italia e dell’Europa.
NOSTRE INFORMAZIONI
Per Cristo
e quindi per gli altri
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so la gente. Poi il Pontefice scompare dietro la tenda
della finestra che si chiude lentamente, per lasciare spazio al silenzio nel quale ora si immerge per vivere la settimana degli esercizi spirituali quaresimali. A guidare le
meditazioni, iniziate nello stesso pomeriggio di domenica, è il cardinale Ravasi. Anche per lui il filo conduttore
è quello del confronto tra il volto di Dio e il volto
dell’uomo, vissuto attraverso la preghiera del salterio.
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Il Santo Padre ha ricevuto in udienza nel pomeriggio di sabato 16
Sua Eccellenza il Senatore Mario Monti, Presidente del Consiglio
dei Ministri d’Italia.
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lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013
Vendite in diminuzione per la prima volta dagli anni Novanta
Angela Merkel auspica che tutti i Paesi dell’Ue aderiscano al progetto
L’austerità colpisce
il mercato delle armi
Berlino accelera sulla Tobin tax
WASHINGTON, 18. L’austerità colpisce il mercato delle armi. Per la
prima volta dalla metà degli anni
Novanta la vendita di armamenti
da parte delle prime cento aziende
produttrici del mondo registra un
calo. È quanto si apprende da un
rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) sul mercato delle armi. «Le
politiche di austerità e l’abbassamento possibile o effettivo delle
spese militari così come i rinvii delle richieste di armamenti hanno
avuto effetti sulla vendita di armi
in America del Nord e nell’Europa
dell’Ovest» si legge in un comunicato del Sipri. Da rilevare inoltre la
trasformazione anche strutturale
che la crisi sta imponendo alle
aziende. «Il calo delle spese — si
legge ancora nel comunicato — ha
condotto alcuni gruppi a una specializzazione militare, mentre altri
si sono ristrutturati, diminuendo le
loro dimensioni o diversificando le
attività».
Stando ai dati, le vendite totali
di armi per il 2011 sono state pari a
410 miliardi di dollari, in calo del
cinque per cento rispetto all’anno
precedente al netto dell’inflazione.
Il dato — riporta il Sipri — è paragonabile al prodotto interno lordo
di Paesi come il Venezuela o la
Svezia. I produttori di armi e le società di servizi per il settore della
difesa stanno cercando di allontanare le misure di austerità, utilizzando nuove tecniche. Inoltre, cercano ancora di adeguarsi ai cambiamenti delle minacce terroristiche
percepite dopo gli attacchi dell’undici settembre. In molti casi si affidano anche a controllate in America Latina, Medio Oriente e Asia.
Nel rapporto del Sipri sono le
società
statunitensi
e
quelle
dell’Europa occidentale a dominare
la classifica delle prime cento
aziende con il novanta per cento
delle vendite. In cima alla classifica
c’è la Lockheed Martin, le cui vendite di sistemi d’armi sono state
pari a 36 miliardi di dollari, il 78
per cento delle entrate totali della
società. Segue la Boeing, con 31,8
miliardi. Mentre completa il podio
la britannica Bae System, con poco
più di 29 miliardi, in calo di una
posizione rispetto all’anno precedente. La società europea Eads si
piazza invece in settima posizione
Il gettito previsto da Bruxelles si aggira intorno ai trenta miliardi di euro
con 16,4 miliardi, subito sopra l’italiana Finmeccanica.
In realtà, come sottolineano diversi esperti, il calo delle vendite
va preso con una certa cautela. È
vero infatti che il settore degli armamenti sta subendo un duro colpo a causa della crisi in corso.
Tuttavia, la ricerca del Sipri non
considera le società cinesi per mancanza di dati e informazioni, e
dunque una buona fetta del mercato asiatico non risulta coperto dal
rapporto. Gli esperti, infatti, ricordano che l’esercito cinese è secondo al mondo per le spese in armamenti.
Inoltre, i dati del Sipri devono
essere confrontati con quelli di altri
rapporti pubblicati nei mesi scorsi,
che dimostrano come al contrario il
mercato delle armi — soprattutto di
quelle leggere e non registrate —
sia ancora in ottima salute.
Nel rapporto annuale della
Small Arms Survey, un progetto di
ricerca sul mercato mondiale delle
armi, promosso dal Graduate
Institute of International and
Development Studies di Ginevra e
pubblicato lo scorso settembre, si
sottolinea come nel 2011 i trasferimenti legalmente autorizzati di armi cosiddette leggere, di parti di ricambio e di munizioni abbiano
raggiunto un totale di 8,5 miliardi
di dollari.
Appena cinque anni prima, nel
2006, la cifra ammontava a quattro
miliardi. Eric Bergman, direttore
esecutivo del progetto di ricerca, ha
spiegato che una parte di questo
aumento dipende dal fatto che un
numero sempre maggiore di Governi finalmente fornisce dati anche sulle operazioni di trasferimento di armi leggere.
Un’altra
consistente
parte
dell’incremento della vendita di armi, però, riguarda i conflitti mediorientali, come l’Iraq, e la crescita della vendita di armi negli Stati
Uniti.
Per quanto riguarda i Paesi
esportatori, gli Stati Uniti — ai dati
del 2009, gli ultimi disponibili per
questo settore — sono in cima alla
lista con oltre cento milioni di dollari di esportazione. Seguono a
breve distanza Francia e Giappone,
che hanno anche superato la soglia
dei cento milioni, mentre molto vicini a questa cifra sono anche Germania, Brasile e Italia.
Il cancelliere tedesco al palazzo di Bellevue, sede della Presidenza della Repubblica federale (Afp)
Il vertice del
G20
non spegne i timori di una possibile guerra delle valute
Yen in calo sul dollaro
e la Borsa di Tokyo mette le ali
TOKYO, 18. Il G20 non spegne i timori per una possibile guerra delle
valute. Il vertice di Mosca non ha
criticato apertamente la svalutazione dello yen operata dal Governo
giapponese, e le Borse asiatiche oggi hanno risposto molto positivamente. Il calo dello yen sul dollaro
ha favorito in particolare Tokyo
(più 2,09 per cento), mentre Taiwan
(più 0,47), Seoul (più 0,04), Sidney
(più 0,59) e Mumbai (più 0,35) si
sono mosse con maggiore cautela.
Oggi il premier giapponese,
Shinzo Abe, ha chiesto alla Boj, la
Banca centrale, di raggiungere il
più presto possibile il target di inflazione prefissato del due per cento. «Se non conseguirà i risultati
previsti — ha dichiarato Abe in Parlamento — dovremo rivedere la legge costitutiva della Boj». Il prossimo 19 marzo si dimetterà l’attuale
Governatore della Boj, Masaaki
Shirakawa, tre settimane prima della scadenza naturale. Molti esperti
Un rapporto della Cisco prevede che nel 2017 ci saranno più connessioni che persone
Il mondo e il futuro di internet
Gli utenti su rete mobile saranno 5,2 miliardi contro i 4,3 del 2012
WASHINGTON, 18. Nel 2017 gli abitanti della terra saranno 7,6 miliardi, ma in quello stesso anno sul
pianeta ci saranno più connessioni
internet che persone. Lo rileva una
ricerca della Cisco Visual Networking Index intitolata Global Mobile
Data Traffic Forecast 2012-2017, secondo la quale il traffico dati sulle
reti mobili del mondo crescerà di 13
volte nei prossimi quattro anni e
nel 2017 ammonterà a 11,2 exabyte
al mese (134 exabyte all’anno). Un
incremento così costante è dovuto,
spiega la ricerca, alla continua crescita delle connessioni internet, soprattutto a livello mobile. La Cisco
è una delle aziende leader nella fornitura di apparati internet: è nata
nel 1984 a San José, California, da
un gruppo di ricercatori della Stanford University.
I 134 exabyte di traffico dati su
reti mobili equivalgono a 134 volte
il volume del traffico fisso o mobile
che esisteva nel 2000. In concreto
si tratta — dicono gli esperti — di
circa trenta trilioni di immagini
all’anno, come se ogni persona sulla terra ogni anno inviasse via reti
fisse o mobili dieci immagini al
giorno. A ciò si aggiungeranno tre
trilioni di video dal sito di Youtube, come se ogni persona sulla terra, ogni anno, caricasse un video al
giorno.
Un tale incremento nel traffico
dati globale su reti fisse o mobili
corrisponde a un tasso di crescita
annuale di circa il 66 per cento.
Soltanto fra il 2016 e il 2017 si avrà
un aumento di 3,7 exabyte al mese
di traffico mobile: un volume enorme, pari a quattro volte il traffico
internet mobile che si è registrato
nel 2012 a livello globale. Cisco ritiene inoltre che nel corso del periodo coperto dallo studio il volume di traffico dati su reti mobili a
livello globale sarà tre volte maggiore rispetto al traffico che si registrerà sulla rete fissa.
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Fra i principali elementi che
spiegano queste previsioni, secondo
Cisco, vi sono: la crescita degli
utenti su rete mobile, che entro il
2017 saranno 5,2 miliardi contro i
4,3 miliardi del 2012; l’aumento delle connessioni alla rete mobile, con
oltre dieci miliardi di strumenti in
grado di connettersi; la maggiore
velocità di connessione media delle
reti mobili a livello globale, che
crescerà di sette volte. Infine, un
ruolo non da poco sarà giocato ovviamente dall’incremento dei conte-
nuti video fruiti su reti mobili. Per
il 2017 i contenuti video daranno
conto del 66 per cento del traffico
dati mobile a livello globale contro
il 51 del 2012. Lo studio Cisco prevede infine che entro il 2016 il 71
per cento di tutti gli smartphone e
tablet (1,6 miliardi circa) saranno in
grado di connettersi a una rete mobile e a nuove estensioni di internet. Nell’insieme, il 39 per cento di
tutti i dispositivi mobili del mondo
(oltre quattro miliardi) saranno
molto più potenti di quelli attuali.
considerano come possibile successore Toshiro Muto, un alto esponente del Governo, considerato un
candidato più vicino al premier.
Il Governo preme affinché la Boj
assuma posizioni di politica monetaria più aggressive e dunque vari
nuovi programmi di incentivi
all’economia. Il premier Abe ha più
volte attaccato la Banca centrale,
accusandola di essere troppo “timida” sui cambi, impedendo così
all’economia di avanzare. Secondo
gli analisti, le dimissioni anticipate
di Shirakawa rientrano in questo
quadro e sarebbero una diretta conseguenza delle pressioni esercitate
sulla Boj. Finora il Paese che si è
opposto con più veemenza a questa
strategia politico-economica è stata
la Germania.
Intanto, oggi, Standard&Poor’s
ha confermato il rating del Giappone al livello AA meno, con outlook
negativo. La decisione di Standard&Poor’s è la prima rilasciata da
una agenzia di rating dal lancio
delle linee economiche del premier
Abe. L’agenzia di rating, che ha
riaffermato al Giappone il quarto
livello più alto della scala di misura
del rating, ha detto che «le misure
adottate dal Governo Abe all’inizio
del suo mandato saranno di importanza fondamentale se finalizzate
ad arrestare il declino prolungato
sul credito sovrano del Giappone».
I temi economici al centro della visita
David Cameron in India
Il premier britannico (Afp)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
direttore generale
NEW DELHI, 18. Il primo ministro
britannico, David Cameron, è
giunto oggi a Mumbai per una visita ufficiale di tre giorni in India
in cui i temi economici bilaterali e
internazionali saranno in primo
piano. La giornata odierna nella
capitale industriale indiana permetterà a Cameron — scrive l’agenzia
di stampa Pti — di avere contatti
con imprenditori e uomini d’affari
indiani nella prospettiva di incrementare un interscambio commerciale che nell’anno fiscale 2011-2012
ha superato i 16 miliardi di dollari.
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Domani il premier britannico si
trasferirà a New Delhi dove incontrerà
il
premier
indiano,
Manmohan Singh, e il presidente
della
Repubblica,
Pranab
Mukherjee. Cameron — sempre secondo l’agenzia Pti — dovrebbe ribadire l’intenzione del gruppo
Eurofighter di tornare a offrire alle
autorità di New Delhi l’aereo da
caccia Typhoon di sua produzione
nel caso le trattative economiche e
tecniche con la francese Dassault
per la vendita di 126 Rafale non
dovessero andare in porto.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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BERLINO, 18. Il cancelliere tedesco,
Angela Merkel, torna a ribadire la
necessità di una tassazione delle
transazioni finanziarie. Nel suo discorso video settimanale, ieri, il cancelliere ha evidenziato che la misura
sarà introdotta l’anno prossimo
nell’Ue e che, almeno all’inizio, sarà
efficace in undici Paesi dell’Unione.
«Ma è solo l’inizio e sarebbe meglio
se tutti i Paesi Ue vi aderissero» ha
detto Merkel, aggiungendo che la
Germania sta lavorando intensamente per preparare il terreno all’introduzione della nuova tassa.
Berlino preme affinché la norma
venga introdotta a livello globale, in
modo tale da non creare squilibri.
«Sarebbe importante che la misura
non sia introdotta solo in Europa,
ma anche nelle altre parti del mondo» ha proseguito Merkel.
La Commissione europea vorrebbe introdurre la misura da gennaio
2014 in undici Paesi: Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. Il gettito atteso
si aggira intorno a 30-35 miliardi di
euro all’anno. Il tasso è stata fissato
allo 0,1 per cento per azioni, bond e
intese di riacquisto e allo 0,01 sui
prodotti derivati. Tuttavia, molti dettagli della misura sono ancora allo
studio e oggetto di trattative.
Ma Berlino non guarda solo alle
banche. La Germania, insieme a
Gran Bretagna e Francia, ha annunciato un’iniziativa per una migliore
tassazione delle multinazionali. A
Mosca per la riunione dei ministri
delle Finanze del G20, i rappresentanti dei tre Paesi hanno detto di voler lavorare per mettere a punto un
piano congiunto da sottoporre al
prossimo vertice del G20 in luglio.
«Gli effetti positivi della globalizzazione non devono portare a compagnie multinazionali che trasferiscono
artificialmente i loro profitti ed evitano l’equo pagamento delle tasse»
ha detto il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble. Il ministro dell’Economia britannico, George Osborne, ha sottolineato l’importanza che «le compagnie globali, come tutti, paghino le tasse che gli
spettano; l’economia — ha aggiunto
— è cambiata in modo enorme
nell’ultimo decennio, ma le regole fiscali globali sono rimaste uguali da
almeno un secolo».
Al ballottaggio
per le presidenziali
a Cipro
NICOSIA, 18. Dalle urne cipriote ieri
sera non è uscito il nome del settimo
presidente della Repubblica nonostante gli exit poll, rivelatisi sbagliati, dessero inizialmente per vincente
con un margine di un paio di punti
oltre il 50 per cento il candidato Nikos Anastasiades, leader del partito
Unione Democratica (Disy, centrodestra). Si andrà quindi al ballottaggio domenica prossima. Deluse anche le attese di molti nell’Ue che si
aspettavano l’elezione di Anastasiades per poter subito dare avvio, ai
negoziati per la concessione degli
aiuti economici di cui l’isola ha
estremo bisogno.
Con lo scrutinio di tutte le schede
è risultato che Anastasiades ha ottenuto il 45,46 per cento dei voti,
mentre Stavros Malas — sostenuto
dal partito comunista Akel e che sfiderà Anastasiades al ballottaggio —
il 26,91 per cento. Giorgos Lillikas,
candidato indipendente, ha ottenuto
il 24,93 per cento dei suffragi. L’affluenza alle urne è stata alta, con
l’83,14 per cento degli aventi diritto
al voto che è andato ai seggi contro
il 16,86 per cento di astenuti. Gli osservatori, comunque, prevedono che
Anastasiades vincerà comodamente
al secondo turno facendo confluire
su di sé parte dei voti che ieri sono
andati a Lillikas, mentre Malas non
avrebbe altre risorse elettorali. Il futuro presidente dovrà da subito rimboccarsi le maniche e affrontare la
pesantissima situazione economica
dell’isola.
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Sostegno
dei Paesi del Sahel
alla transizione
in Mali
Per la pace in Siria
Brahimi invita
al dialogo
Governo
e opposizione
DAMASCO, 18. La diplomazia internazionale cerca una soluzione
alla crisi siriana. L’inviato speciale
dell’Onu e della Lega araba,
Lakhdar Brahimi, ha invitato ieri
Governo e opposizione a colloqui
in vista di un cessate il fuoco. Gli
incontri — ha specificato il mediatore — potrebbero inizialmente
svolgersi in una sede delle Nazioni Unite. Intanto, i ministri degli
Esteri dei ventisette Paesi membri
dell’Unione europea si riuniscono
oggi a Bruxelles per trovare una
posizione comune sul dossier siriano.
Brahimi, che ieri ha avuto un
incontro alla sede della Lega araba al Cairo con alcuni rappresentanti siriani, non ha fornito particolari sulla località in cui potrebbero svolgersi i colloqui. Il leader
della Coalizione dell’opposizione,
Moaz Al Khatib, ha proposto la
scorsa settimana un incontro con
il collaboratore del presidente Bashar Al Assad, Farouq Al Shara,
uno dei membri dell’Esecutivo
non coinvolti nelle violenze in
corso. Khatib avrebbe elaborato
anche un piano per la transizione
democratica del Paese. Finora Damasco ha risposto positivamente
all’offerta di dialogo, chiedendo
però che non venga avanzata alcuna condizione preliminare.
Tutto questo ha «aperto una
porta e sfidato il Governo siriano
a mostrare con i fatti quanto proclama, e cioè di essere pronto al
dialogo e a una soluzione pacifica» ha detto Brahimi. «Se si avvia
un dialogo negli uffici dell’O nu,
almeno in un primo momento, tra
l’opposizione e una delegazione
accettabile del Governo di Damasco crediamo che possa essere
l’inizio dell’uscita dal tunnel» ha
inoltre spiegato.
Domani è atteso a Mosca il capo della Lega araba, Nabil El
Araby, per discutere della crisi con
il Governo russo. Entro la fine del
mese dovrebbe recarsi al Cremlino
anche il ministro degli Esteri siriano, Walid Moualem.
Mentre la diplomazia internazionale cerca la strada della mediazione, le violenze proseguono
senza tregua. Almeno sei persone
sono morte ieri nel corso di scontri avvenuti al confine con il Libano. Si tratterebbe di cinque ribelli
siriani e di un guerrigliero appartenente alle milizie sciite libanesi
di Hezbollah. Secondo fonti del
Governo di Damasco, all’origine
dei combattimenti vi sarebbe stato
il tentativo di un gruppo di guerriglieri
libanesi
di
sottrarre
all’esercito siriano il controllo su
un villaggio.
Nel frattempo, fonti locali citate
dalle agenzie di stampa riferiscono
che più di un centinaio di civili,
tra cui numerose donne e bambini, sono stati vittime nelle ultime
72 ore di una catena di sequestri
nella Siria nord-occidentale. L’O sservatorio nazionale per i diritti
umani — piattaforma che raccoglie
diversi gruppi di attivisti — afferma che le vittime dei sequestri sono oltre trecento. Le città più colpite sono quelle di Fawaa e di Kafaraya, località a maggioranza sciita nei pressi di Idlib.
Un agente di polizia piange un proprio caro ucciso nell’attentato a Peshawar (Ap)
Ottantatré morti e più di duecento feriti in un attentato dinamitardo a Quetta
In Pakistan è di nuovo strage
ISLAMABAD, 18. Il territorio pakistano non ha tregua: continua infatti a essere segnato da episodi
di violenza che rendono sempre più arduo il già
difficile processo di ricostruzione. Questa mattina
due attentatori suicidi si sono fatti saltare in aria
a Peshawar, nel nordovest del Paese, provocando
la morte di quattro membri di una milizia tribale.
Sette i feriti. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza pakistana. Ma è stato sabato che il Pakistan
è stato segnato da un’altra strage. A Quetta, capoluogo della provincia del Baluchistan, un attentato compiuto dal gruppo terrorista Lashkar-eJhangvi ha provocato la morte di ottantatré persone. Più di duecento i feriti. E ieri è stato indetto uno sciopero generale come segno di protesta
contro il perdurare di attacchi che stanno causando pesanti perdite fra i civili. Una giornata di
lutto e di solidarietà con le famiglie delle vittime
è stata decretata, oltre che a Quetta, anche a Karachi e in tutta la provincia di Sindh. L’attentato,
riferiscono le agenzie di stampa internazionali, è
stato perpetrato nella zona di Hazara Town, popolata dalla comunità Hazara, gruppo etnico della minoranza sciita. A scoppiare è stata una bomba potentissima nascosta in un camion cisterna:
un edificio di due piani è stato raso al suolo.
Da sottolineare che questi attentati s’inseriscono in un contesto caratterizzato dai rinnovati
sforzi, da parte delle autorità di Islamabad, diretti
a riportare nel territorio sufficiente ordine e stabilità. E sono sforzi che mirano anche a intavolare
una qualche forma di trattativa con i miliziani,
nella speranza che addivengano a più miti consigli. Ma fino a questo momento l’azione diplomatica non è riuscita a dare i frutti sperati.
E lo stesso copione si registra sul fronte afghano, dove le autorità di Kabul da tempo stanno
cercando di far sedere al tavolo dei negoziati i talebani così da sostenere il tanto auspicato processo di riconciliazione.
Ma anche in questo caso l’opera della diplomazia stenta a decollare, mentre l’azione destabilizzante portata avanti dai miliziani, con attacchi e
imboscate, continua. E riguardo all’Afghanistan si
registra un fatto significativo: il presidente Hamid
Karzai ha emanato un decreto che stabilisce che
le truppe afghane non potranno più chiedere rinforzi alla Nato per raid aerei in zone abitate. Tre
giorni dopo l’ultima strage di civili, che aveva
provocato più di dieci morti nella provincia
orientale di Kunar, Karzai, osservano gli analisti,
Terrore stile Hitchcock
in Kentucky
Le Farc rilasciano ostaggi
ma non fermano gli attacchi
BO GOTÁ, 18. Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), il
gruppo guerrigliero di sinistra impegnato da mesi a Cuba in un negoziato di pace con il Governo di
Bogotá, hanno liberato i tre esponenti delle forze dell’ordine catturati il 31 gennaio, i poliziotti Cristian
Camilo Yate e Víctor Alfonso González e il soldato Josué Álvarez Meneses. La cattura dei tre aveva segnato la fine della tregua unilaterale che le Farc avevano dichiarato a
novembre, proprio per favorire i negoziati a Cuba, e alla quale il Governo non aveva aderito. Álvarez
Meneses, l’ultimo a essere rilasciato,
è stato consegnato a rappresentanti
Ennahdha contro
il Governo tecnico
in Tunisia
TUNISI, 18. Il primo ministro tunisino, Hamadi Jebali, riprenderà
oggi i colloqui con i leader dei
partiti politici per formare un Governo tecnico nonostante l’opposizione del suo partito, l’islamico
Ennahdha. Alla vigilia dei colloqui i media tunisini hanno invitato i partiti a raggiungere un accordo per risolvere la crisi che ha infiammato il Paese dopo l’uccisione, il 6 febbraio scorso, del leader
dell’opposizione laica Chokri Belaid. Il presidente di Ennahdha,
Rachid Ghannouchi, ha tuttavia
fortemente ribadito il rifiuto del
suo partito a partecipare all’iniziative del premier Jebali. «Ennahda
non lascerà mai il potere fino a
quando potrà contare sulla fiducia
del popolo e sulla legittimazione
delle urne», ha detto sabato
Ghannouchi a migliaia di sostenitori riuniti a Tunisi.
ha deciso di allontanare da sé «eventuali sospetti
di complicità» con le operazioni della Nato. Intervenendo all’Accademia militare, Karzai ha dichiarato: «Emanerò un decreto in base al quale le
unità militari afghani non potranno richiedere
l’intervento della Nato in operazioni che abbiano
come obiettivo abitazioni o villaggi».
In sostanza il decreto di Karzai è destinato a
impedire per la prima volta la collaborazione tra
l’esercito afghano e le unità dell’Alleanza atlantica: e ciò avviene nel momento in cui le forze afghane si preparano ad assumere il controllo totale
del territorio con l’uscita, entro il 2014, delle truppe dell’Alleanza. Ieri il comandante della Forza
internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf), il
generale statunitense Joseph Dunford, ha detto
che la scelta del presidente afghano non inciderà
sulle operazioni della Nato. «L’Afghanistan è una
Nazione sovrana e il presidente Karzai sta esercitando la sua sovranità» ha dichiarato il comandante dell’Isaf che ha aggiunto: «Possiamo continuare a compiere in modo efficace le nostre operazioni militari e rispettare le direttive del presidente».
della Croce rossa locale e dell’organizzazione non governativa Colombiani e colombiane per la pace.
Il rilascio dei tre ostaggi, comunque, non ha interrotto le azioni armate riprese appunto a fine gennaio. Alle Farc è infatti attribuito
l’attacco sferrato sabato contro una
stazione di polizia a Puerto Asís,
nella regione del Putumayo, nel
quale sono stati feriti due agenti. Il
capo negoziatore di Bogotá, l’ex vice presidente Humberto de la Calle, pur riconoscendo il valore del rilascio dei tre esponenti delle forze
dell’ordine, ha ribadito il no del
suo Governo a una tregua bilaterale
per la durata dei negoziati.
BAMAKO, 18. Il vertice tenuto nel
fine settimana nella capitale ciadiana N’Djamena tra i leader dei
Paesi del Sahara e del Sahel si è
concluso con un appello per il
pieno appoggio alle autorità di
transizione del Mali e per il ritorno della stabilità in quel Paese. Al
tempo stesso è stato proposto di
creare una forza d’intervento rapido interafricana. Nel comunicato
finale della riunione si sollecita
«sostegno per il processo politico,
diplomatico e militare in corso,
così da conseguire la definitiva
stabilità nel Mali». In questo senso è stato annunciato anche un
contributo di 760.000 euro per finanziare la Misma, il contingente
della Comunità economica degli
Stati dell’Africa occidentale destinato ad affiancare le truppe governative di Bamako nel riassumere il
pieno controllo delle regioni settentrionali teatro dell’offensiva
delle forze francesi contro i gruppi
jihadisti che vi si erano insediati
da quasi un anno.
Resta tuttavia incerto che l’organismo africano sia in grado di
gestire il controllo della crisi e a
garantire il rispetto dei tempi
della prevista transizione, compreso lo svolgimento di elezioni a
luglio.
Nonostante il via libera dato
dal Consiglio di sicurezza dell’Onu al dispiegamento della Misma già prima dell’intervento francese, sono ancora in discussione
sia l’effettiva dimensione della
missione internazionale sia il livello di coinvolgimento dell’O nu,
compresa la catena di comando,
oltre che il contributo economico
di Paesi non africani.
In questo senso va letto anche
il nuovo intervento del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), l’organizzazione
tuareg che per prima era insorta
un anno fa nel nord del Mali, appunto chiamato dai tuareg Azawad, contro il Governo di Bamako, salvo poi dover cedere il controllo del territorio ai gruppi jihadisti. L’Mnla ha infatti affermato
di appoggiare il dispiegamento di
caschi blu dell’Onu. Un documento in questo senso è stato reso
pubblico nelle ultime ore e reca la
firma del maggiore esponente
dell’Mnla, Bilal Ag Acherif. Per il
Movimento la presenza della forza
dell’Onu eviterebbe le violenze
delle quali accusa l’esercito maliano. Questo, composto in maggioranza di soldati delle etnie nere
del sud, è accusato di essersi macchiato di crimini di guerra e contro l’umanità, «all’ombra dell’intervento francese», contro la popolazione civile dell’Azawad, segnatamente arabi e tuareg.
Accuse in questo senso sono
state mosse anche dall’Alto commissariato dell’Onu per i Diritti
umani, che ha inviato una propria
missione nel Paese per indagare
sulle denunce di gravi violazioni
umanitarie verificatesi nelle ultime
settimane. Un portavoce dell’O nu
ha precisato che l’indagine riguarderà appunto soprattutto le rappresaglie messe in atto dai militari
maliani, una volta sconfitti gli
jihadisti, contro arabi e tuareg.
Confermato a larga maggioranza per un terzo mandato presidenziale
L’Ecuador sceglie ancora Correa
Volatili a Hopkinsville (Reuters)
WASHINGTON, 18. Milioni di uccelli
hanno fatto la loro comparsa, nelle
ultime settimane, in una cittadina
del Kentucky, non solo imbrattando
il paesaggio, ma terrorizzando anche sia gli abitanti sia gli animali
domestici: una sorta di remake
dell’indimenticabile psicothriller Gli
uccelli di Alfred Hitchcock (1963).
Stormi di merli e altri volatili hanno volteggiato per giorni e giorni
sopra Hopkinsville, oscurandone il
cielo. David Chiles, presidente della
Little River Audubon Society, sostiene che la presenza di milioni di
uccelli sopra i centri abitati e non
altrove sia dovuta ai processi legati
ai cambiamenti climatici. «Il meteo
e il clima giocano un ruolo importante» afferma David Chiles, che
aggiunge: «Di solito possono appollaiarsi sul terreno per trovare insetti per cibarsi, ma quando tutto è
gelato non hanno di che alimentarsi». Gli abitanti di Hopkinsville, per sbarazzarsi dagli intrusi,
hanno fatto ricorso a getti d’acqua
e a petardi per uccelli rumorosi, simili a fuochi d’artificio. Ci si chiede ora se a Hopkinsville andranno
a vedere, o a rivedere, il film di
Hitchcock.
QUITO, 18. Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, è stato riconfermato per un terzo mandato alla guida del Paese, nelle elezioni tenute
ieri. Secondo i dati ufficiali comunicati a scrutinio non ancora ultimato
dal Consiglio nazionale elettorale
(Cne), Correa ha avuto oltre il 57
per cento delle preferenze, contro il
23 per cento del quale è accreditato
il suo principale sfidante, il banchiere Guillermo Lasso. Al terzo posto
c’è l’ex presidente Lucio Gutiérrez,
con il 5,9 per cento, seguito dal miliardario Álvaro Noboa con il 3 per
cento, mentre su percentuali molto
più basse si attestano gli altri quattro candidati alla guida dello Stato.
Il presidente della commissione elettorale, Domingo Paredes, ha già anticipato che i risultati finali potranno variare di uno o due punti percentuali, ma non discostarsi oltre.
A capo dello Stato dal gennaio
2007, Correa è al suo terzo e ultimo
mandato, dopo essere già stato riconfermato alle elezioni anticipate
del 2009.
Appena ricevuti i primi dati, il
presidente si è affacciato dal balcone di palazzo di Carondelet, la sede
del Governo a Quito, per ringraziare le migliaia di suoi sostenitori.
«Nessuno può fermare la rivoluzione, stiamo scrivendo la storia» ha
detto Correa, ribadendo l’impegno
a «essere presenti ovunque riusciremo a essere utili, ovunque potremo
meglio servire i nostri concittadini e
i fratelli latinoamericani. Non è solo
una vittoria dell’Ecuador, è una vittoria per la nostra madre terra latinoamericana». Stretto alleato del
boliviano Evo Morales e del venezuelano Hugo Chávez, Correa è
particolarmente impegnato nel rafforzamento dell’Alleanza bolivariana
(Alba) voluta dallo stesso Chávez.
Secondo gli analisti, sul piano interno, il voto ha premiato Correa
per le politiche intraprese volte a ridurre la povertà (la cosiddetta rivoluzione cittadina), sulla scorta di
analoghe misure già varate in altri
Paesi latinoamericani.
Guillermo Lasso, pur riconoscendo la sconfitta, ha dichiarato dal
canto suo che c’è da celebrare la nascita dell’opposizione in Ecuador.
Sempre ieri si è votato anche per
rinnovare il Parlamento. I risultati
delle legislative sono attesi nelle
prossime ore e su di essi il Cne non
ha ancora anticipato alcun dato. Ciò
nonostante, Correa ha fatto riferimento alla possibile conquista da
parte del Movimento per una patria
orgogliosa e libera, il suo partito, di
una confortevole maggioranza dei
137 seggi in palio. Questo potrebbe
consentire al presidente di fare approvare dall’Assemblea nazionale
una riforma agraria e nuove regole
per lo sfruttamento minerario.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013
Il 19 e il 20 febbraio a Milano il convegno annuale della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Parola degna di fede
Se si perde il legame della Scrittura con la vita anche l’esegesi diventa astratta e sterile
di PIERANGELO SEQUERI
onestà intellettuale e
la passione per la verità — le virtù della
ragione,
insomma,
che la tradizione riassume nella formula della recta ratio
— sono qualità che la fede ha l’ambizione di condividere con l’universale aspirazione dell’uomo a porre la
sua fiducia nella parola degna di fede. La parola della teologia, che
vuole in primo luogo essere degna
L’
della fede cristiana, si fa un punto
d’onore della sua alleanza con la
ratio hominis digna, ossia all’altezza
dell’umano.
La Parola degna di fede, per la
teologia della fede, è radicalmente, e
insostituibilmente, la parola di Dio.
Ormai, abbiamo di nuovo tutti imparato che la parola di Dio non si
lascia rinchiudere nelle parole e nei
significati delle parole dell’uomo. La
comunicazione di Dio è una manifestazione corposa e dinamica, il cui
significante ha l’intero volume della
storia e la palpitante dialettica della
vita. Le parole consentono alla verità
della rivelazione di illuminarsi per la
coscienza, decifrando il pensiero che
meglio vi corrisponde.
Non è affatto strano che ci sia un
primato della parola nell’esercizio
dell’accoglienza e dell’assimilazione
della fede, come anche della regolazione della sua tradizione e del suo
magistero, secondo la verità della rivelazione. In nessun modo deve essere però oscurato — attenuato o,
addirittura, perduto — il legame del-
Non solo sentimento
L’evangelista Marco in una miniatura di un codice con il testo dei quattro Vangeli
di scuola bizantina (IX secolo, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana)
Dal 19 al 20 febbraio a Milano, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, si svolgerà il convegno
«“In gesti e parole...”. La fede che passa all’atto». I lavori saranno introdotti dal saluto del preside, monsignor Pierangelo Sequeri, di cui in questa pagina pubblichiamo ampi stralci insieme a brani dell’intervento
di Giuseppe Angelini, ordinario, nella stessa Facoltà, di
Teologia morale fondamentale. «Lo statuto sociale della fede si è fatto precario — scrive Bruno Seveso, ordinario di Teologia pastorale, introducendo e illustrando
il tema del convegno — la fede non è più presupposto
ovvio del vivere comune entro un tessuto sociale unitario. La sensibilità moderna per la libertà del soggetto e
per l’individualità delle scelte tende a ricondurre la fede all’intimità dell’individuo; diventa la fede “a modo
mio”, misurata sulle attese individuali e risolta nel sentire del momento. Non c’è posto per una sua regola-
mentazione dall’esterno, da parte della Chiesa. O, se
qualche ruolo viene riconosciuto all’istituzione ecclesiastica, la sua percezione non è vincolante. Fede del singolo credente e fede della Chiesa non solo si differenziano e si interrogano in una dialettica feconda ma
sembrano prendere strade diverse. La Chiesa diventa
“Chiesa ufficiale” a fronte della quale i soggetti si riservano il diritto di modellare la fede a modo proprio.
Anche perché la fede è percepita come un sentimento.
Non c’è bisogno pertanto di manifestazioni esteriori.
Riti e altre prestazioni del genere sono catalogate come
esteriorità: forse interessanti ed eventualmente opportune, ma certamente superflue e in ogni caso subordinate
al sentire individuale».
Sempre a Milano, la scorsa settimana, sotto i portici
della Curia è stata posta una lapide in ricordo della visita di Benedetto XVI a Milano dal 1° al 3 giugno 2012.
Per una teologia del rito
di GIUSEPPE ANGELINI
Per essere, la fede cristiana ha bisogno del rito. Da sempre è stata possibile solo grazie ai
sacramenti. Da sempre il rito è stato per la fede anche un rischio; al riguardo è d’obbligo
la citazione dei profeti, e insieme del vangelo,
misericordia voglio e non sacrificio (Matteo, 12, 7;
Osea, 6, 6). Nella stagione moderna poi, oltre
che il rischio di sempre, il rito è diventato oggetto di disprezzo pregiudiziale e sentenzioso.
A proposito del rito, e del suo rapporto con
la forma morale della fede, diventa urgente
un chiarimento teorico.
Esso manca nella grande tradizione teologica. La dottrina sui sacramenti non ha fatto riferimento alla categoria del rito, e neppure la
più recente teologia della liturgia ha rimediato. Le eccezioni sono poche, assai recenti e
molto incerte; attingono a dubbie teorie
dell’antropologia culturale, assai più che alla
coscienza cristiana; mentre soltanto a procedere dall’interrogazione di tale coscienza è
possibile giungere a una teologia del rito. Pur
senza una teoria, infatti, la coscienza cristiana
è stata plasmata dalla pratica rituale.
La distanza attuale dal rito ha origine dalle
trasformazioni antropologiche moderne; esse
propongono questioni complesse, che la teologia stenta a formulare, ancor prima di risolvere. Di esse certo non s’è occupata la riforma
liturgica del Vaticano II, ispirata a criteri soltanto filologici. Non sorprende che l’attuazione della riforma abbia lasciato largo spazio
all’invenzione esoterica, alla didascalia e a ingenue trasgressioni del codice rituale, per sorprendere. Nella sostanza ignorata è rimasta la
questione della distanza tra rito e morale nella cultura moderna.
La distanza pesa anche sulle forme della
predicazione morale. Incoraggia cioè la resa a
quella deriva “idealistica”, che trova trasparente espressione nel lessico inflattivo dei “valori” (magari “non negoziabili”). Il ricorso al
lessico dei valori — i chierici non se ne rendono conto — è figlio della secolarizzazione, che
condanna alla censura non soltanto Dio, ma
anche il profilo morale dell’agire. I valori, come le stelle in cielo, sono fuori dal mondo; le
figure dell’agire sulla terra, mediante le quali
soltanto si mostra ciò che vale, rimangono
fuori del discorso.
La comprensione cristiana dei comandamenti di Dio certo non è idealistica; riferisce
invece i comandamenti alla memoria dei benefici di Dio, e quindi al cammino umano da
essi istituito. Il decalogo ha un prologo storico, «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha
fatto uscire dal Paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Esodo, 20, 2); e il comandamento nuovo di Gesù rimanda alla memoria
della sua passione: «Sapete ciò che vi ho fatto?» dice Gesù ai Dodici (Giovanni, 13, 12.15).
Sussiste un nesso stretto tra rito e memoria;
appunto a quel nesso occorre volgere l’attenzione per comprendere l’altro, che lega la forma cultuale della fede a quella morale. Del rito la teologia poco si è occupata; della forma
morale si è occupata molto, ma in termini razionalistici, che rimuovono il nesso tra comandamenti e memoria. La stessa analisi
dell’atto umano della tradizione scolastica fa
riferimento alla ragione, e ignora invece la fede e la memoria. A fronte del disprezzo moderno per il rito, una troppo disinvolta apologetica cattolica invoca la critica profetica e la
«Il sacrificio di Abele e di Melchisedec» (VI secolo, Ravenna, basilica di San Vitale)
figura del sacrificio spirituale — quasi si dicesse: «Finisce il rito? Meglio così, la fede deve
uscire dal tempio e realizzarsi nella vita!».
Un nesso probabile, ma inesplorato, lega il
tratto razionalistico della dottrina morale con
l’ignoranza teologica del rito. Che tale ignoranza sia precipitosamente giustificata in nome della critica profetica del culto è fonte di
gravi equivoci. L’esito minaccia d’essere quello di un cristianesimo risolto in una velleitaria
ed esangue morale umanistica. Ignorare il legame tra forma morale e forma rituale della
fede vuol dire disporre lo spazio per il fraintendimento dell’una forma e dell’altra; la dislocazione dei due temi, e addirittura la loro
contrapposizione, pregiudica in radice la possibilità di comprenderli nel genuino significato cristiano.
L’obbedienza alla legge perde la sua connotazione, viceversa essenziale, di forma pratica della fede; e così anche la pratica del sacramento.
Per chiarire la correlazione originaria tra
morale e rito, è indispensabile ripensare a
fondo la teoria dell’agire, e prendere anzi tutto atto del suo carattere processuale. L’uomo
diventa capace di volere attraverso una vicenda, e non in forza di una semplice facoltà
“naturale”. Per diventare capace di volere, è
indispensabile un cammino, che procede
dall’esperienza originaria della grazia, del beneficio sorprendente che lo anticipa; appunto
la memoria di quel beneficio dà forma alla
promessa, e quindi al cammino che determina
il contenuto del comandamento.
All’origine dell’attitudine a volere stanno,
più concretamente, le forme originarie della
prossimità, che la cultura pubblica della società secolare ignora, e il rito cristiano invece
celebra. Penso alle relazioni tra uomo e donna, tra genitori e figli, e alle relazioni fraterne.
Appunto l’accadimento della vicinanza grata
e promettente di altri alla nostra persona dà
forma al desiderio che ci costituisce. Nel
quadro del pensiero circa il processo identificante trova la sua collocazione anche la teoria
del rito.
la parola con lo spessore della vita
in cui essa passa all’atto e si fa evento, apre la realtà all’attesa e sigilla
l’avvento di Dio. Separato da questo
contesto, il testo della parola si fa
esangue, astratto. Oscillante e incerto persino, in quanto attratto dal
puntiglio intellettualistico dei sensi
letterali, oppure dissipato nell’estroso arbitrio dell’allegoria che cresce
su se stessa.
Sa quel che dice, dunque, la parola magistrale della Dei Verbum, quando riassume questa imperdibile correlazione con la formula di una rivelazione che deve essere colta in «fatti e parole intrinsecamente connessi». La formula che appare del resto
perfettamente omogenea con il compimento cristologico della rivelazione biblica, che vi iscrive l’indeducibile e insuperabile identità personale
della manifestazione di Dio nella vita e nella storia. Se questo è lo spessore in cui accade — e arriva sino a
noi — la Parola di Dio, appare del
tutto immaginabile che la fede non
possa avere un orizzonte difforme.
Lo spessore della storia e della vita
sono, inevitabilmente, l’orizzonte
della sua effettiva accoglienza e intelligenza: in altri termini, il “significante integrale” della fede che corrisponde alla rivelazione.
La fede dunque «passa all’atto»
proprio in questo modo, incorporando l’atto della fede in una concreta
riconfigurazione della vita e della
storia secondo la Parola di Dio.
Non si tratta però soltanto di
un’analogia, di una corrispondenza
imitativa fra due registri — quello
della rivelazione e quello della fede
— che rimangono per così dire esterni l’uno all’altro. Come se ci fosse
una rivelazione che si compie nella
vita e nella storia come un puro atto
di Dio, alla quale aderisce una fede
che vi corrisponde come atto
dell’uomo che si fa vita e storia corrispondente.
L’orizzonte dell’azione e della manifestazione di Dio si fa avanti nella
storia e nella vita dell’uomo: dunque
passa già all’atto nell’intreccio delle
configurazioni e delle dialettiche
dell’esistenza in cui la libertà
dell’uomo agisce e patisce, viene alla
consapevolezza di sé e si determina
intenzionalmente nell’ordine del senso. La costellazione dell’essere vivente e dell’essere storico non è semplicemente la stoffa materiale in cui si
condensa la Parola di Dio, è il campo interlocutorio in cui si definiscono i significati e il senso delle cose e
degli avvenimenti.
L’evento della rivelazione di Dio,
destinato al riconoscimento e all’accoglienza dell’uomo, va dunque
compreso, nella sua radice, come un
atto intenzionato a rendere possibile
la corrispondenza, nel momento
stesso in cui si offre per essere onorato come rivelazione di Dio. La mediazione della libertà, qui, corrisponde semplicemente alla natura della
relazione di cui l’atto rivelatore di
Dio vuole essere il fondamento. In
questo modo, però, la storia della fede e dell’incredulità dell’uomo vengono a iscriversi, esse stesse, nell’atto
in cui la rivelazione si attesta effettivamente come rivelazione. Questo
atto, per il singolo e per l’intera storia, è l’atto della fede. La loro differenza della fede e dell’incredulità,
nell’orizzonte dell’identica rivelazione di Dio, esplicita il fatto che l’attuazione della sua verità, secondo la
giustizia della sua destinazione, implica la mediazione della libertà.
A una scadente edizione del festival del cinema di Berlino non corrisponde una diminuzione di interesse e partecipazione
Se il pubblico non sa più scegliere
di EMILIO RANZATO
Con la fine di Berlino 2013 si archivia un altro festival del cinema complessivamente
piuttosto scadente, purtroppo una tendenza
sempre più netta da qualche stagione almeno per quanto riguarda le manifestazioni europee. Tuttavia, se la qualità media dei film
in concorso è stata pressoché unanimemente
— e anche in patria — giudicata inadeguata,
non si è registrato però quel calo di spettatori visto di recente in altri festival, come
quello di Roma. Il problema è che non si sa
quanto ciò costituisca davvero un fatto positivo e un bene per il cinema. Una delle conseguenze negative di festival non più all’altezza della loro fama, infatti, è la formazione
di un pubblico medio-alto, ossia meritevole
dell’appellativo di cinefilo, non più in grado
di scegliere.
Una funzione diseducativa che supera i
confini dell’evento, per ripercuotersi lungo
tutta la stagione. Infondendo equivoci su ciò
che è il vero cinema d’autore. E così film come The Master rimangono pochi giorni in
sala, mentre altri come Django, opere d’autore solo sulla carta, diventano addirittura
campioni d’incassi.
Al di là dei confini dell’evento
si registra una tendenza
che si ripercuote lungo tutta la stagione
Infondendo equivoci
su ciò che è il vero cinema d’autore
Le premesse di questo festival di Berlino
d’altronde non erano le migliori. Qualche
inquietudine infatti doveva destarla già il
film d’apertura, The Grandmasters, diretto
dallo stesso presidente della giuria Wong
Kar-wai. Il regista che non molti anni fa
aveva incantato pubblico e critica con i suoi
melò dallo stile unico, dopo una fase di disorientamento in terra statunitense torna in
patria per rintanarsi nel wuxia, il genere di
arti marziali tanto elegante quanto straordinariamente privo di qualsiasi significato, anche soltanto formale. Una deriva simile a quella in cui purtroppo negli
ultimi anni sono caduti anche altri
autori dell’estremo oriente dal ben
più promettente passato, come
Zhang Yimou e John Woo.
L’Orso d’oro per il miglior film
comunque è andato a Child’s Pose
del romeno Calin Peter Netzer. Un
regista di cui si sa ancora poco ma
che nel 2003 con il film Maria aveva già vinto dei premi a Locarno e ad altri festival. Il
gran premio della giuria è andato a An Episode in the Life of an Iron Picker del bosniaco
Danis Tanovic, che il pubblico ricorda soprattutto per No Man’s Land, vincitore
dell’Oscar nel 2002 per il miglior film straniero. Il premio
per la miglior regia è stato vinto per Prince Avalanche dallo
statunitense David Gordon
Green, un nome da tenere d’occhio nonostante alterni pellicole
ispirate — come George Washington, vincitore come miglior
film nel 2000 a Torino — a lavori molto più commerciali.
Migliori attori sono stati giudicati la spagnola Paulina Garcia per Gloria di Sebastian LeIl regista romeno Calin Peter Netzer
lio e il bosniaco Nazif Mujica
vincitore dell’Orso d’oro con il film Child’s Pose
sempre per il film di Tanovic.
Mentre il premio per la miglior
sceneggiatura è andato all’iraniano Jafar Pa- ziya Partovi. Un premio secondario, quello
nahi — sicuramente fra tutti il nome più no- per il miglior contributo tecnico, è andato
to, grazie a film come Il palloncino bianco invece al kazako Emir Baigazin per Harmo(1995) o Il cerchio (2000) — per Closed cur- ny lessons, considerato da molti il miglior
tain, da lui stesso diretto assieme a Kambo- film del festival.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013
La «Verbum Domini» e l’allargamento della ragione secondo Benedetto
pagina 5
XVI
Novità
dentro le cose solite
di SAMUEL FERNÁNDEZ*
n semplice raffronto
tra l’esortazione apostolica Verbum Domini,
l’intervento di Papa
Benedetto XVI nel Sinodo della Parola e la produzione
teologica del professore e poi del
cardinale Ratzinger permettono di
constatare la sua costante preoccupazione di chiarire l’autentica maniera
di vincolare l’esegesi biblica scientifica alla rivelazione storica. Dai suoi
primi lavori, come Il Dio della fede e
U
diversa da ciò che è usuale, e allora
la consuetudine si stabilisce come
norma: laddove la Scrittura presenta
qualcosa che va al di là della nostra
esperienza quotidiana, lo si dovrà ridurre al livello della nostra esperienza quotidiana.
E così non sarebbe possibile un
reale ingresso di Dio nella storia:
«Così, infatti, si impone un’ermeneutica filosofica che nega la possibilità dell’ingresso e della presenza
del Divino nella storia» (n. 36).
Un’esegesi critica che presuppone
dal punto di vista metodologico che
la teología, Messico 1998). Per accettare la rivelazione cristiana è allora
necessario essere aperti a una vera
novità nella storia, ossia è necessario
ammettere che la realtà possa essere
più vasta e più ricca di ciò a cui siamo abituati.
Ebbene, significa forse che per
realizzare una lettura credente della
Scrittura dobbiamo rinunciare alla
ragione? O dobbiamo avvalerci della
ragione solo finché ci può accompagnare, per poi abbandonarla quando
ci imbattiamo nel mistero? Una lettura della Bibbia che rinuncia alla
Canoni eusebiani in due fogli della «Bibbia di Alcuino» (IX secolo, Roma, Biblioteca Vallicelliana)
Il Dio dei filosofi, del 1960, ai suoi ultimi interventi, passando per discorsi
programmatici come quello di Ratisbona, si riconosce una grande continuità nella sua opera intellettuale
al servizio della Chiesa.
L’esegesi storico-critica si è dimostrata un eccellente metodo per interpretare i testi antichi; di fatto, nella programmatica introduzione al
primo volume del libro Gesù di Nazaret, Papa Benedetto XVI afferma
che tale metodo «resta indispensabile» (volume I, p. 12), perché il testo
biblico, in sé, ha una storia. Ma
questo metodo tanto necessario mostra i propri limiti quando lo si intende come autosufficiente, ossia come l’unico cammino e il cammino
completo per la comprensione del
testo biblico. La Scrittura richiede
metodi filologici e storici seri per essere compresa, poiché «il Verbo si
fece carne» (Giovanni, 1, 14), ma
questi non ne esauriscono la lettura.
L’esortazione Verbum Domini contiene il discorso pronunciato durante
il Sinodo della Parola dal Papa, che
ha sottolineato la fecondità dell’esegesi storica e ha insistito sulla necessità di completare l’approccio storico
con un approccio teologico. Sulla
base della Dei Verbum (n. 12), ha ricordato gli elementi fondamentali
della lettura teologica della Bibbia:
si deve interpretare il testo tenendo
presente l’unità di tutta la Scrittura;
si deve tener conto della tradizione
viva dell’intera Chiesa; è necessario
osservare l’analogia della fede (Verbum Domini, n. 34). Questi principi,
che definiscono una interpretazione
come teologica, non si deducono dai
testi, ma sono convinzioni anteriori
alla lettura: sono presupposti di fede
su cui poggia una lettura veramente
teologica della Bibbia. Ma qualcuno
potrebbe chiedersi: una lettura che
parte da convinzioni di fede è meno
scientifica?
A questa domanda cruciale si risponde in modo radicale nel constatare che non è possibile leggere senza convinzioni previe. Perciò, Benedetto XVI nella Verbum Domini avverte: «La mancanza di un’ermeneutica
della fede nei confronti della Scrittura non si configura poi unicamente
nei termini di un’assenza; al suo posto inevitabilmente subentra un’altra
ermeneutica, un’ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il
Divino non appare nella storia umana. Secondo questa ermeneutica,
quando sembra che vi sia un elemento divino, lo si deve spiegare in
altro modo e ridurre tutto all’elemento umano. Di conseguenza, si
propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini» (n. 35). Questo tipo di ermeneutica secolarizzata non è aperta alla
novità: non ammette che la realtà sia
la storia sia strettamente uniforme
sente il bisogno di eliminare ciò che
appare impossibile per queste leggi.
Tale atteggiamento tende a definire
impossibile ciò che va al di là della
nostra esperienza attuale (cfr. Joseph
Ratzinger, Situación actual de la fe y
ragione degenera nel fondamentalismo ed è capace di sostenere ogni
sorta di arbitrarietà, ingiustizia e violenza. L’irrazionale non è degno di
fede. Una lettura che esclude la ragione non è umana e pertanto non è
cristiana. La delicata corrispondenza
tra il nostro lògos umano e il Lògos
divino esige la partecipazione della
ragione nella lettura credente della
Sacra Scrittura. Poi ci chiediamo
nuovamente: per leggere la Scrittura
come credenti dobbiamo rinunciare
alla ragione? Assolutamente no!
Non bisogna più chiedersi se utilizzare o meno la ragione, ma quale ragione utilizzare. La questione fondamentale allora continua a essere il
rapporto tra fede e ragione, precisamente tra i presupposti filosofici della lettura biblica e la rivelazione storica.
Una lettura biblica che
pretende di essere filosoficamente neutrale, senza convinzioni previe, è illusoria, e
su ciò le attuali filosofie del
linguaggio sono concordi.
Se non sono presenti le
convinzioni della fede cristiana, ci saranno altre convinzioni. Detto in altre parole, i lettori sono sempre
“credenti”, la differenza sta
nel fatto che alcuni “credono” in una cosa e altri “credono” in un’altra. Non si
deve pertanto considerare
meno scientifica un’esegesi
che parte dalle convinzioni
della fede cristiana. Ma allora, qual è la razionalità
più appropriata per l’esegesi
teologica?
I presupposti non possono essere previ alla lettura,
semplicemente perché, se
così fosse, la rivelazione non
potrebbe apportare nessuna
reale novità alla nostra visione del mondo, e la sua
lettura potrebbe solo confermare le convinzioni che il
lettore aveva già precedentemente. Un’esegesi teologica
esige un dialogo “di andata
e ritorno” tra le convinzioni del lettore e il contenuto della lettura, ovvero tra la filosofia e la rivelazione.
La rivelazione è letta dalla ragione e,
a sua volta, la rivelazione illumina,
purifica e amplia la ragione. In tal
modo, non è più l’esperienza umana
Particolare dell’«Apocalisse di Valenciennes» (intorno all’anno 800)
a innalzarsi come unico parametro losofia, e non può neppure lasciarsi
dell’interpretazione biblica, ma è la giudicare da una filosofia autonoma,
Scrittura a diventare anch’essa para- chiusa alla novità.
metro delle possibilità della nostra
La soluzione viene da un dialogo
esperienza umana. La rivelazione in cui il pensatore cristiano, illumistorica deve avere un impatto sulle nato dalla rivelazione, riforma la
strutture del pensiero. La ragione propria filosofia e, nello stesso temampliata dalla fede si apre per esten- po, esamina in modo critico la prodere i limiti delle proprie categorie pria fede, alla luce della ragione. In
di pensiero al fine di accogliere — in questo dialogo, si purifica la fede e
modo intellettualmente
responsabile — ciò che si
La fede cristiana
rivela nella Scrittura e
che, a un primo approcnon può rinunciare alla filosofia
cio, sembrava essere in
ma neanche
contrasto con la propria
esperienza.
lasciarsi giudicare da una filosofia
L’esegesi non deve avautonoma e chiusa alla novità
valersi della filosofia solo
finché questa l’accompagna, ma deve cercare un dialogo che si purifica la ragione. Ovvero, que“riformi” la stessa filosofia alla luce sto dialogo permette di avvicinarsi a
della rivelazione. È un’applicazione ciò che appartiene veramente alla fedel fecondo invito di Benedetto XVI de e alle reali esigenze della ragione.
a «un allargamento del nostro conTale programma di “ampliamento
cetto di ragione e dell’uso di essa» della ragione” sarà forse una delle
(Ratisbona, 12 settembre 2006). Il grandi eredità della teologia di Papa
credente, che vuole essere intellet- Benedetto XVI.
tualmente responsabile, guidato dalSi tratta di un’eredità fondamentala convinzione dell’intellegibilità e
le, poiché solo una lettura biblica
dell’unità della realtà, e illuminato
che si avvale di una ragione aperta
dalla rivelazione biblica, è chiamato
a ripensare le proprie convinzioni fi- alla novità del mistero di Dio è delosofiche, per divenire capace di ac- gna dell’uomo e, in definitiva, atta a
cogliere responsabilmente la nuova far sì che, in modo autentico e rerealtà che gli si è resa accessibile per sponsabile, per mezzo della Scrittumezzo della rivelazione. La fede cri- ra, possiamo ascoltare Dio.
stiana, per mantenersi fedele alla sua
identità, non può rinunciare alla fi- *Pontificia Università Cattolica del Cile
Sul settimanale tedesco «Focus» e sul «Corriere della Sera»
Peter Seewald racconta Papa Ratzinger
La scelta dello scorso 11 febbraio commentata sui giornali e in rete
Quello scandalo di non adattarsi al mondo
«La Chiesa non deve adattarsi al mondo, deve trovare la capacità di dare scandalo con le sue proposte al mondo». Così
Massimo Cacciari nel corso dell’intervista rilasciata ad Alberto Guarnieri, pubblicata su «Il Messaggero» di domenica 17
febbraio. «Benedetto XVI con la sua scelta nobile politicamente e spiritualmente — ha proseguito il filosofo italiano —
ha tolto il velo al dramma in cui si consuma la Chiesa», rivelando «l’urgenza di affrontare questioni che si trascinano da
troppo tempo». Tra queste elenca il rapporto tra religione e
biotecnologie, l’etica prevalente che confligge con la dottrina
della Chiesa, la crisi delle vocazioni e il ruolo della donna
nel cattolicesimo. Ma, specifica l’intellettuale, alla Chiesa
non servirà un nuovo concilio: «vanno prese decisioni, fatte
scelte». Benedetto XVI, continua Cacciari, «ha capito la gravità del momento. E di non avere l’energia necessaria per affrontarla». L’accento sull’umiltà di Benedetto XVI è stato posto anche da suor Catherine Wybourne, priora del monastero
benedettino della Santa Trinità nell’Herefordshire e seguitissima blogger, in un tweet successivo alla notizia della scelta
del Pontefice: Such love for the Church and such humility. Da
tutt’altra direzione, sulla newsletter di DeA - Donne e altri,
la femminista laica italiana Letizia Paolozzi ha scritto che
con la sua scelta dell’11 febbraio «Benedetto XVI decide di
nominare la debolezza di un uomo. La sua debolezza. Ma in
questa maniera il gesto di rinuncia — le dimissioni — si trasforma in accettazione di altissima responsabilità».
L’intervista di «Focus» al giornalista e scrittore tedesco Peter Seewald, di cui abbiamo scritto
nell’edizione di domenica, è stata pubblicata in
Italia sul «Corriere della Sera» del 18 febbraio.
L’autore dei tre libri dove sono raccolte due interviste al cardinale Ratzinger e una a Benedetto XVI
sta preparando ora una biografia del Pontefice e
per questo nel 2012 lo ha incontrato in estate e a
dicembre. Rispondendo al settimanale tedesco
Seewald tra l’altro ha ricordato che il Papa «veniva descritto come un persecutore mentre era un
perseguitato, il capro espiatorio da chiamare in
causa per ogni ingiustizia, il “grande inquisitore”
per antonomasia, una definizione azzeccata quanto spacciare un gatto per un orso. Eppure nessuno l’ha mai sentito lamentarsi».
E ancora: «Mi colpivano la sua superiorità, il
pensiero non al passo coi tempi ed ero in qualche
modo sorpreso di udire risposte pertinenti ai problemi del nostro tempo, apparentemente quasi irrisolvibili, tratte dal grande tesoro di rivelazione,
dall’ispirazione dei padri della Chiesa e dalle riflessioni di quel guardiano della fede che mi sedeva di fronte. Un pensatore radicale — questa era la
mia impressione — e un credente radicale che tuttavia nella radicalità della sua fede non afferra la
spada, ma un’altra arma molto più potente: la forza dell’umiltà, della semplicità e dell’amore. Joseph
Ratzinger è l’uomo dei paradossi. Linguaggio
sommesso, voce forte. Mitezza e rigore. Pensa in
grande eppure presta attenzione al dettaglio. Incarna una nuova intelligenza nel riconoscere e rivelare i misteri della fede, è un teologo, ma difende la fede del popolo contro la religione dei professori, fredda come la cenere».
Così, Benedetto XVI è descritto come uomo della tradizione che sa però «distinguere quello che è
davvero eterno da quello che è valido solo per
l’epoca in cui è emerso». E Seewald conclude così
l’intervista: «Non è un caso che il Papa uscente
abbia scelto il Mercoledì delle Ceneri per la sua
ultima grande liturgia. Vedete, vuole dimostrare,
era qui che vi volevo portare fin dall’inizio, questa
è la via. Disintossicatevi, rasserenatevi, liberatevi
dalla zavorra, non fatevi divorare dallo spirito del
tempo, non perdete tempo, desecolarizzatevi! Dimagrire per aumentare di peso è il programma
della Chiesa del futuro. Privarsi del grasso per
guadagnare vitalità, freschezza spirituale, non da
ultimo ispirazione e fascino. E bellezza, attrattiva,
in fondo anche forza, per far fronte a un compito
diventato tanto difficile. “Convertitevi”, così disse
con le parole della Bibbia quando segnò la fronte
di cardinali e abati con la cenere, “e credete al
Vangelo”. “Lei è la fine del vecchio — chiesi al Papa nel nostro ultimo incontro — o l’inizio del nuovo?”. La sua risposta fu: “Entrambi”».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013
A Perth l’incontro annuale dell’associazione Scottish Friends of Ecumenism
In un mondo frammentato testimoni di comunione
L’unità dei cristiani
ha bisogno di azioni concrete
Per Cristo
e quindi per gli altri
di RICCARD O BURIGANA
Il futuro dell’ecumenismo è stato il
tema che ha fatto da sfondo all’incontro annuale della Scottish Friends of Ecumenism (Sfoe), tenutosi a
Perth, capoluogo del distretto di
Perth and Kinross, dal 16 al 17 febbraio. Sfoe è un’associazione interconfessionale sorta allo scopo di ridefinire e rilanciare l’opera di coloro
che in Scozia, sotto varie forme, erano già fortemente impegnati nella
costruzione dell’unità dei cristiani.
Dal 2006 a oggi, la Sfoe ha svolto
un’azione diretta nelle singole comunità, in modo da favorire la riscoperta di quegli elementi in grado
di rendere sempre più fruttuosa la
missione e la testimonianza dei cristiani.
Questa azione si è realizzata anche grazie a una serie di iniziative,
come per esempio gli incontri settimanali in tante comunità, che hanno lentamente posto l’attenzione
sulla necessità di una riflessione teologica e di una pastorale ecumenica
nel senso pieno del termine. Le iniziative hanno permesso il superamento di pregiudizi che avevano
impedito non solo lo sviluppo di un
cammino comune, ma soprattutto
l’approfondimento della centralità
della dimensione ecumenica nella
vita delle comunità locali. Pertanto,
proprio in considerazione del nuovo
clima creatosi, negli ultimi anni si è
aperto un ampio dibattito all’interno della Scottish Friend of Ecumenism «per una rivalutazione degli
scopi e degli obiettivi dell’associazione».
In tale contesto si è giunti alla redazione di un documento, presentato durante l’assemblea dell’organizzazione, il 23 giugno 2012, nel quale
viene sottolineata la necessità «di
affrontare una visione ecumenica
per il futuro e discutere della stessa
struttura della Sfoe, poiché ci si deve interrogare se non sia necessario
procedere alla creazione di un nuovo soggetto per la promozione
dell’ecumenismo in Scozia». Nel
documento emerge soprattutto l’affermazione che «l’ecumenismo impone una trasformazione della Chiesa, dallo stato di frammentazione
nella quale si trova attualmente alla
piena unità per essere uno strumento che sia segno e anticipazione
dell’unità e del rinnovamento
dell’intera umanità».
Con questo documento si chiede
inoltre ai cristiani, non solo a quelli
in Scozia, di rafforzare il cammino
verso la piena unità con la quale
rendere più efficace l’annuncio
dell’evangelo.
Lutti nell’episcopato
Monsignor Anthony Theodore
Lobo, vescovo emerito di Islamabad-Rawalpindi, in Pakistan, è
morto nelle prime ore di lunedì 18
febbraio, dopo lunga malattia.
Il compianto presule era nato a
Karachi il 4 luglio 1937 ed era stato ordinato sacerdote l’8 gennaio
1961. Eletto alla sede titolare di
Esco e nel contempo nominato
ausiliare dell’arcidiocesi di Karachi l’8 giugno 1982, aveva ricevuto
l’ordinazione episcopale il successivo 1° ottobre. Il 28 maggio 1993
era stato trasferito alla sede residenziale di Islamabad-Rawalpindi. Dopo diciassette anni di ministero, il 18 febbraio 2010, aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi per motivi di salute.
Le esequie saranno celebrate
mercoledì 20 febbraio nella cattedrale di Rawalpindi intitolata a
San Giuseppe.
Monsignor Jesús Ramón Martínez de Ezquerecocha Suso, vescovo emerito di Babahoyo, in Ecuador, è morto domenica 17 febbraio
in Spagna.
Il compianto presule era nato in
Junguitu, nella diocesi spagnola
di Vitoria, il 31 agosto 1935 ed era
stato ordinato sacerdote il 6 agosto 1959. Nominato prelato di Los
Ríos, in Ecuador, il 28 giugno
1984, quando dieci anni dopo, il
22 agosto 1994, la prelatura era
stata elevata al rango di diocesi
con il nome di Babahoyo, ne era
stato eletto primo vescovo e aveva
ricevuto l’ordinazione episcopale il
successivo 15 ottobre. Aveva rinunciato al governo pastorale il 27
marzo 2008.
All’incontro svoltosi a Perth si è
discusso di come passare dai principi enunciati nel documento del giugno scorso a un’azione concreta. I
partecipanti hanno così affrontato il
tema del futuro dell’ecumenismo, a
partire dalle proprie esperienze di
dialogo nella Chiesa e nella società.
Nel corso dei lavori è stato messo
in evidenza quanto sia importante,
proprio nella prospettiva del dialogo
ecumenico, che ogni Chiesa e comunità ecclesiale tenga conto delle
altre comunità tutte le volte che decida di prendere una decisione in
grado di mutare la propria vita. Al
tempo stesso si è lamentato il fatto
che spesso non si ha piena conoscenza dei passi del dialogo bilaterale, anche a livello nazionale, e
questo costituisce un grave limite
nella valutazione dello stato dell’ecumenismo.
Si è insistito, inoltre, sul fatto che
si devono moltiplicare le occasioni
di condivisione di progetti e di percorsi formativi, che devono essere
sempre più ecumenici nelle progettazione e nell’insegnamento; così
come è stato chiesto di esplorare
nuove strade, anche alla luce di
quanto già viene fatto in alcune comunità, per la definizione di forme
di preghiera che siano condivise e
aperte a tutti i cristiani. Una riflessione a parte è stata fatta per quanto riguarda la spiritualità ecumenica, anche perché essa chiama in
causa la valorizzazione dei carismi
di ciascuna comunità nella costruzione dell’unità della Chiesa. Infine,
la discussione è stata incentrata sulla questione di come favorire un
dialogo tra la Chiesa e la società.
L’ultima giornata è stata dedicata
all’identificazione delle priorità ecumeniche per la Sfoe, riprendendo
delle proposte che erano emerse nelle tre sessioni tematiche. A tale riguardo si è insistito molto sul fatto
che la Scottish Friends deve proseguire e rafforzare il proprio cammino in sintonia con quanti già operano per il dialogo ecumenico in Scozia, così da mostrare la profonda
sintonia che guida i cristiani nella
ricerca delle forme con cui vivere la
comunione ecclesiale.
Per l’associazione, il futuro
dell’ecumenismo risiede in una sempre maggiore condivisione di quanto si è fatto e già si fa per l’unità
della Chiesa, affidando alla scoperta
dei carismi delle singole comunità la
possibile definizione di nuove strade
per una testimonianza ecumenica
dell’evangelo.
di
FRATEL
JOHN*
Recentemente ho avuto la gioia di
partecipare al seminario del settore
giovani dell’Azione cattolica italiana
(Aci), tenutosi il 9-10 febbraio alla
Domus Mariae a Roma. Il tema
dell’incontro era «Un cuor solo e
un’anima sola. Testimoni di comunione». Mi è stato richiesto di fare
un intervento su «La comunione ecclesiale, dono della fede», seguito
da una lunga e fruttuosa conversazione con tutti i giovani presenti, responsabili dell’Aci nelle varie diocesi d’Italia. L’espressione “un cuor
solo e un’anima sola” proviene dagli
Atti degli apostoli (4, 32), in uno dei
tre sommari della vita dei primi cristiani. Infatti, per san Luca, la resurrezione di Cristo, culmine della
sua missione terrena, è allo stesso
tempo un nuovo inizio. Questa missione prosegue nell’esistenza dei
suoi discepoli, inviati dallo Spirito
Santo per essere i suoi testimoni «fino ai confini della terra» (Atti, 1, 8).
Quando questo Spirito scende sugli
apostoli il giorno della Pentecoste,
trasforma le loro differenze in una
diversità feconda e crea una comunità che prega e che vive una solidarietà spirituale e concreta (Atti, 2,
42-47). In altri termini, la fede nel
Cristo risorto conduce a una duplice condivisione, con Dio e con gli
altri credenti. All’interno di questo
spazio parola e vita, comunità e
missione sono strettamente legate
sulla via della testimonianza: ritroviamo qui tutta la dinamica degli
Atti degli apostoli.
Gli altri autori del Nuovo Testamento non parlano diversamente.
Per san Giovanni, l’entrata nel mondo della Vita in persona conduce a
una vita condivisa, una koinonìa o
comunione, che non è una realtà solo umana ma una partecipazione alla vita interiore della Santa Trinità
(1 Giovanni, 1, 1-4). E i consigli pratici delle lettere di san Paolo sono
molto spesso centrati sull’esortazione di vivere «unanimi e concordi»
(Filippesi, 2, 2), senza divisioni ma
in perfetta unione di pensiero e di
sentire (1 Corinzi, 1, 10). È da notare
che per l’apostolo, la vita comune
dei cristiani è radicata in una trasformazione dell’essere di ognuno a
immagine di Cristo (Filippesi, 2, 5 e
seguenti): il battezzato è qualcuno
che non appartiene più a sé, ma vive per Cristo e quindi per gli altri
(cfr. 2 Corinzi, 5, 15 e Romani, 14, 7 e
seguenti). Tutto questo fa capire che
l’ekklesìa, la comunità dei credenti,
non è soltanto il quadro dentro il
quale si vive la fede, ma è un’espressione del contenuto di questa fede.
Ciò che colpiva i contemporanei dei
primi cristiani era una novità stori-
Messaggio del Patriarca di Mosca per la Giornata mondiale della gioventù ortodossa
Cuori aperti a Dio
MOSCA, 18. «Non è un caso che la celebrazione della
Giornata mondiale della gioventù ortodossa coincida
con la festa della Presentazione del Signore al Tempio.
Il cuore del giovane è particolarmente aperto e sensibile a tutto ciò che accade intorno a lui. Nella sua giovinezza, un uomo è pieno di speranze e aspettative, è come una spugna, che assorbe nuove esperienze e cerca il
suo posto nel mondo. E il mondo offre ai giovani molteplici prospettive di crescita personale e opportunità
di auto-realizzazione». Ne è convinto il Patriarca di
Mosca, Cirillo, che nel messaggio inviato in occasione
della Giornata mondiale della gioventù ortodossa e della festa della Presentazione del Signore (che la Chiesa
ortodossa russa, seguendo il calendario giuliano, celebra tredici giorni dopo la Chiesa cattolica, ovvero il 15
febbraio), esorta i giovani «a rimanere saldi negli ideali
spirituali e morali comandati dal Creatore, mantenendovi in castità e nella purezza della mente e dei sensi,
dando agli altri esempio di fermezza nella fede, nella
carità e nella responsabilità».
L’augurio è «di crescere nell’amore di Dio e del
prossimo, e l’aiuto di Dio nelle buone azioni e nelle
opere, nel lavoro costruttivo per il bene della Patria e
del nostro popolo», si legge nel messaggio, riportato
dal sito Eleousa.net.
La strada, tuttavia, è disseminata di insidie. Il mondo infatti — sottolinea Cirillo — «spesso propone norme di comportamento e valori che sono incoerenti e
anche direttamente in contrasto con la legge morale del
Signore. E dal modo con cui risponderemo a queste
sfide, da come apriremo il cuore durante la giovinezza
(se sarà duro come una roccia, arrabbiato, odioso, arrogante e conformista o se rimarrà fedele alla verità, sarà
amorevole, gentile e compassionevole), dipende la nostra felicità e la capacità di incontrare Dio nella propria
vita». Tornando con la mente agli eventi che hanno
portato all’istituzione della festa della Presentazione del
Signore, «noi, insieme a Simeone il Vecchio, con gioia
andiamo incontro al Salvatore, portato nel tempio di
Gerusalemme. Ma l’evento — ricorda il Patriarca di
Mosca — oltre al suo significato storico ha anche un significato simbolico: compiutamente possiamo vedere il
misterioso incontro del Creatore con la sua creazione,
l’incontro personale con Dio».
La proposta di una Giornata mondiale della gioventù ortodossa risale al giugno 1992, quando, a Mosca,
alla quattordicesima assemblea generale di «Syndesmos» (la rete nata nel 1953 in Francia allo scopo di
collegare i vari gruppi e movimenti), ricevette la benedizione del Patriarca ecumenico, Bartolomeo, e dei responsabili delle altre Chiese ortodosse locali. Da allora
i giovani ortodossi celebrano l’evento attraverso concrete e appropriate iniziative nei singoli Paesi.
ca, l’esistenza di uomini e donne di
diversi Paesi, lingue, religioni e strati sociali che, a causa di Cristo, vivevano insieme come dei membri di
una sola famiglia. «Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli: se
avete amore gli uni per gli altri»
(Giovanni, 13, 35). La loro comunione aveva valore di segno, con tutti i
loro difetti erano visibilmente il
Corpo di Cristo, la continuazione
della sua presenza al cuore del
mondo.
Più tardi, quando il cristianesimo
è diventato religione della società
intera, la dimensione di segno è stata messa un po’ in ombra. È stata
riscoperta e vissuta attraverso i secoli da gruppi all’interno del mondo
cristiano: il movimento monastico, i
primi francescani, alcuni gruppi al
margine della Chiesa ufficiale. Con
l’inizio dei tempi moderni e le divisioni ecclesiali, la caratteristica che
definiva i cristiani non era tanto la
qualità della loro vita comune quanto le dottrine professate, essendo
l’identità battesimale spesso oscurata dall’identità confessionale. Provvidenzialmente, il secolo scorso ha
invertito la rotta, riscoprendo l’importanza della koinonia per la vita
cristiana. Nel mondo protestante,
l’insuccesso della missione in un
contesto di divisioni confessionali
ha portato a una rinnovata comprensione della preghiera di Gesù,
«che tutti siano una cosa sola», ed è
nato così il movimento ecumenico.
Nella Chiesa cattolica, il concilio
Vaticano II, riunendo 2.500 vescovi
da tutto il pianeta, è stato per molti
un’esperienza forte di comunione
ecclesiale a livello mondiale. Questa
esperienza è stata interinata dai documenti conciliari, con la nozione
della Chiesa come sacramento universale di salvezza (Lumen gentium)
e con l’immagine dei “cerchi concentrici” (Lumen gentium, Ecclesiam
suam) per descrivere l’irradiazione
della comunione a partire dall’unico
centro che è Cristo.
La comunità di Taizé ha sempre
voluto dare testimonianza di questa
visione della comunione universale.
Non è un caso che, quando i giovani hanno cominciato ad affluire sulla nostra collina, fratel Roger ha
parlato di un “concilio dei giovani”.
Più recentemente, la veglia di preghiera in piazza San Pietro alla presenza del Santo Padre, il 29 dicembre scorso durante l’incontro europeo a Roma, con 45.000 giovani e
meno giovani da tutte le nazioni e
le Chiese europee, è stata un’anticipazione sconvolgente della Chiesa a
cui aspiriamo, descritta da Benedetto XVI come «un momento di grazia
in cui abbiamo sperimentato la bellezza di formare in Cristo una cosa
sola». Quali sono le conseguenze di
tale visione della comunione ecclesiale? Innanzitutto, un cristianesimo
individualista non è possibile, è una
contraddizione in termini. Nel passato si è potuto far parte del popolo
cristiano quasi istintivamente. Oggi
invece ci vuole una scelta riflettuta
per seguire il Cristo, senza per questo cadere nel puro individualismo,
in una credenza “fai da te”. Dobbiamo avere una fede che è personale
senza essere individuale, radicata nel
più intimo dell’essere ma in profonda solidarietà con tutti i credenti
riuniti attorno ai loro pastori. Una
strada verso questa fede personale
ed ecclesiale passa per un approfondimento dei sacramenti del battesimo e dell’eucaristia. Il battesimo
non viene visto soltanto come momento di salvezza individuale e biglietto d’accesso nella Chiesa a livello sociologico, ma come un morire e
risorgere con Cristo (cfr. Romani, 5)
che fa di noi persone di comunione,
che non appartengono più a se stesse. E l’eucaristia diventa il momento
centrale della comunione ecclesiale,
quando ci riuniamo in tutta la nostra diversità attorno ad una stessa
Tavola, dove il dono della vita di
Cristo diventa la fonte inesauribile
della nostra vita comune. Nella logica della fede, i doni di Dio sono allo stesso tempo delle responsabilità,
delle sfide da mettere in pratica. Se
ricordiamo che la nostra esistenza
cristiana ha valore di segno, faremo
di tutto per essere fermento di riconciliazione nelle nostre comunità,
per lavorare per la comprensione fra
persone di tendenze diverse, per arricchirci mutuamente e approfondire
la verità che non è proprietà di nessuno. Moltiplicheremo i “momenti
di grazia” per celebrare insieme
un’unità vera, anche se non ancora
pienamente compiuta.
E, per concludere, un suggerimento. La realtà dell’amore cristiano, della comunione, non potrebbe
tradursi nel mondo contemporaneo
anche con la parola “amicizia”? Cristo ci chiama «i suoi amici» (Giovanni, 15, 14 e seguenti) e, in lui, noi
siamo amici gli uni degli altri, cominciando con quelli che vivono di
una medesima fede. Ovviamente
questa amicizia non ha nulla
d’esclusivo: è potenzialmente universale, aperta a quelli che non sono
come noi, cominciando con i più
svantaggiati (Matteo, 25, 31 e seguenti). La Chiesa non ha forse la
vocazione di essere una “rete d’amici”, radicata nell’amore di Cristo? E
se il “sacramento” dell’amicizia, ossia ciò che la esprime e la rinforza, è
una conversazione dove ognuno
svela il suo intimo agli altri, non
siamo allora chiamati a intraprendere e a portare avanti un dialogo fiducioso con chi sta davanti a noi?
Così, amici di tutti a causa di Cristo
e del Vangelo, diventiamo, in un
mondo minacciato dalla frammentazione, testimoni di comunione e di
solidarietà.
*Comunità di Taizé
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013
pagina 7
Anche in Tanzania cresce l’odio anticristiano
Gli esercizi spirituali alla presenza del Pontefice
Sacerdote cattolico
ucciso a Zanzibar
Per liberare l’anima dal terriccio
delle cose e della banalità
ZANZIBAR, 18. L’uccisione, ieri a
Zanzibar, di padre Evarist Mushi,
compiuta in modo brutale davanti
alla sua chiesa, conferma drammaticamente come risulti difficile, anche
in Tanzania, la pacifica convivenza
tra musulmani e cristiani. E come
l’Africa (basti pensare ai frequenti
episodi di violenza in Nigeria, in
Kenya o in Repubblica Democratica del Congo) sia da questo punto
di vista un continente “a rischio”,
dove si registra una crescente intolleranza e discriminazione religiosa,
soprattutto contro i cristiani e i loro
luoghi di culto. La brutale esecuzione di padre Mushi è avvenuta in
un Paese fino a oggi ritenuto relativamente tranquillo ma che, nelle ultime settimane, ha visto riaccendersi
la tensione nell’isola di Zanzibar,
dove più del 90 per cento degli abitanti è di fede musulmana.
Secondo la ricostruzione della
polizia, il sacerdote cattolico è stato
assassinato a colpi di pistola mentre
stava parcheggiando l’automobile
di fronte all’ingresso della parrocchia di san Giuseppe, dove si stava
recando per celebrare la messa domenicale. A ucciderlo sarebbero stati alcuni uomini, poi fuggiti a bordo di motociclette. Tre di essi sarebbero già stati fermati. Padre Mushi era stato a lungo impegnato in
un programma di lotta all’Aids frutto di una collaborazione tra la
Chiesa locale e i rappresentanti della comunità musulmana. E quindi
l’omicidio potrebbe inquadrarsi
nell’ambito della sua attività interreligiosa.
Profondo dolore per il grave atto
criminoso è stato espresso sia dai
membri della piccola comunità cristiana dell’isola sia dai musulmani,
come ha dichiarato all’agenzia Mi-
sna il vescovo di Zanzibar, Augustine Shao, il quale ha sottolineato
l’impegno del sacerdote ucciso a favore del dialogo interreligioso. Purtroppo, secondo il presule, negli ultimi tempi nell’isola e nell’arcipelago di Zanzibar il tradizionale clima
di apertura e confronto tra le culture è cambiato: «La maggioranza dei
musulmani vuole la pace e il dialogo — ha detto monsignor Shao —
ma sta crescendo il peso dei gruppi
estremisti che secondo il Governo
riceverebbero finanziamenti dall’estero».
L’agguato a padre Mushi non è
il primo a Zanzibar contro un religioso cattolico; a Natale alcuni sicari avevano sparato a padre Ambrose
Mkenda, rimasto ferito.
Mosè, sulla vetta del colle, prega
con le mani ferme fino al tramonto
del sole, mentre, nella valle sottostante il popolo d’Israele combatte
contro Amalek: è l’icona biblica
scelta dal cardinale Gianfranco Ravasi per rappresentare il futuro della
presenza di Benedetto XVI nella
Chiesa. «Questa immagine — ha
detto nell’introdurre le meditazioni
per gli esercizi spirituali, iniziati nel
pomeriggio di ieri, domenica 17 febbraio, in Vaticano, alla presenza del
Papa — rappresenta la sua funzione
principale per la Chiesa», cioè «l’intercessione, intercedere. Noi rimarremo nella “valle”, quella valle dove
c’è Amalek, dove c’è la polvere, dove ci sono le paure, i terrori anche,
gli incubi, ma anche le speranze,
dove lei è rimasto in questi otto anni con noi. D’ora in avanti, però,
noi sapremo che, sul monte, c’è la
sua intercessione per noi». E «qualche volta — ha aggiunto — forse
qualcuno di noi potrà fare come
Giosuè e Hur, i due che salgono al
monte, e anche reggerle le braccia
per la preghiera». E sempre nello
spirito del racconto biblico, il porporato ha concluso il suo saluto iniziale formulando, «a nome di tutti»,
un augurio: «Mosè — ha detto —
aveva 120 anni quando morì. I suoi
occhi però non gli si erano mai appannati e il vigore della sua mente
non era mai venuto meno. Questo è
certamente un grande augurio che
vogliamo rivolgerle. Anche perché
nella tradizione ebraica, attorno a
questo momento, ha intessuto dei
racconti deliziosi, molto teneri nei
confronti di Mosè e di questo suo
attendere tutto il percorso della sua
esistenza, sino a 120 anni».
Prima di iniziare le meditazioni il
porporato ha voluto offrire una rappresentazione simbolica degli esercizi spirituali come «un liberare l’anima dal terriccio delle cose, dal fango del peccato, dalla sabbia della
banalità, dalle ortiche ed erbacce
delle chiacchiere». Poi ha proposto
quelli che ha definito i punti cardinali che accompagneranno «il pellegrinaggio spirituale» degli esercizi
spirituali. Si tratta dei quattro verbi
della preghiera: respirare, pensare,
lottare, amare.
Questa mattina, lunedì 18 febbraio, invece la riflessione è entrata
nell’argomento posto come sottotitolo al tema generale degli esercizi,
cioè: «Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella
preghiera salmica».
Il pellegrinaggio spirituale alla
scoperta del “Volto di Dio” è iniziato all’interno del salterio, la base
Predicatore islamico
arrestato in Egitto
per insulti ai copti
IL CAIRO, 18. Un predicatore
islamico, Ahmed Mohammed
Abdallah, è stato arrestato in
Egitto con l’accusa di aver insultato durante una trasmissione televisiva la religione copta ortodossa, professata dal 10 per cento dei cittadini. L’uomo, già sotto processo per aver fatto a pezzi
e poi bruciato una bibbia nel
settembre scorso, è stato fermato
dopo la denuncia presentata da
un attivista copto. La legge egiziana proibisce gli insulti contro
qualsiasi religione.
Per fare il punto sugli aiuti alla popolazione siriana
Missione di Cor Unum
in Giordania
Da martedì 19 a giovedì 21 febbraio, il presidente del Pontificio
Consiglio Cor Unum, cardinale
Robert Sarah, con il segretario del
Dicastero, monsignor Giampietro
Dal Toso, si recano in Giordania,
dove sono stati invitati a intervenire
in occasione del forum regionale
delle Caritas del Medio Oriente Nord Africa - Corno d’Africa.
Ne dà notizia un comunicato del
dicastero, nel quale si rende noto
che l’incontro costituisce anche
un’importante occasione per fare il
punto sugli aiuti umanitari portati
dagli organismi caritativi cattolici,
in particolare la Caritas, ai profughi
e alle vittime del violento conflitto
in Siria. Saranno infatti presenti i
rappresentanti di tutte le Caritas
della regione, oltre a rappresentanti
delle Chiese locali.
La situazione a livello umanitario
in quel Paese e in tutta la regione è
ormai insostenibile. Secondo il comunicato, infatti, alcune stime
giungono a parlare di un milione di
rifugiati, oltre due milioni e mezzo
di sfollati, quasi centomila morti direttamente imputabili alle violenze
e innumerevoli altri, il cui numero
non è neppure quantificabile, indirettamente causati dall’impoverimento complessivo della popolazione, indotto principalmente dalla
guerra stessa. Il rigido inverno sta
ulteriormente contribuendo molto a
questo triste bilancio delle sofferenze di un popolo, stremato soprattutto nelle sue fasce sociali più deboli e vulnerabili.
Durante tale viaggio, il cardinale
presidente e il segretario visiteranno
anche località dove sono ospitate
persone, in fuga dai combattimenti
in Siria. La visita ai rifugiati sarà
organizzata con Caritas Giordania e
con altre realtà caritative cattoliche
attive nell’assistenza e negli interventi umanitari.
Inoltre, durante la visita, è previsto un incontro con il Re di Giordania, Abd Allāh II ibn al-Husayn.
della preghiera quotidiana della
Chiesa. Una ricchezza che faceva
esclamare a sant’Agostino in una
delle sue Enarrationes super Psalmos,
quella sul salmo 137: Psalterium
meum, gaudium meum! Il rapporto
tra Agostino e la Bibbia è ancora
più evidente se si pensa che nei suoi
scritti vi sono più di sessantamila citazioni bibliche, delle quali ventimila dell’Antico Testamento e di queste ben undicimilacinquecento dei
salmi. D’altronde i padri della Chiesa, ha detto il cardinale, «non parlavano della Bibbia, ma parlavano la
Bibbia».
La prima tappa parte dai piedi
dell’Hermon, dove le acque del
Giordano scaturiscono dalla roccia.
È un inizio segnato dalla preghiera
e dalla fede, che si nutrono della
grazia divina che si rivela. Qual è la
prima grande teofania, il volto con
cui Dio si presenta? si è chiesto il
Commenti di cardinali sulla rinuncia di Benedetto
XVI
porporato. «La risposta è nella Bibbia — ha detto — la rivelazione è
nella sua parola, la sua grazia si affida alla parola». Nella creazione Dio
disse: «Sia la luce e la luce fu». Per
la Bibbia, «la creazione è una parola, un evento sonoro. Senza la parola non esiste la comunicazione fondamentale, potente, efficace». Questa prima «epifania divina» è quindi
proprio quella della sua parola.
Il Nuovo Testamento, ha aggiunto il cardinale, «idealmente è aperto
dall’inno del prologo di Giovanni».
In principio era la parola, «recuperare la parola è quindi un elemento
fondamentale». L’esperienza del
Dio del Sinai, «dalla cui vetta scendono le dieci parole, che saranno
strutturali per l’esistenza d’Israele e
per la nostra fede, il decalogo », viene riassunta da Mosè con una frase:
«Dio vi parlò in mezzo al fuoco: voce di parole voi ascoltavate, immagi-
al pontificato
Una visione cristiana della storia della Chiesa
Un invito ad avere «una visione soprannaturale» e a vivere «anche
questi momenti con grande spirito
di fede e immenso amore per la
Chiesa di Cristo che da duemila
anni con forme diverse, con stili diversi, con uomini diversi, va avanti» è stato espresso dal cardinale
Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio, in un’intervista a
Franca Giansoldati pubblicata su
«Il Messaggero» del 17 febbraio.
«La Chiesa continua la sua missione guidata dallo Spirito Santo»,
ha detto il porporato, e «noi cristiani rinnoviamo questa percezione
nella preghiera del Credo. Mi spiace che degli ultimi avvenimenti
emerga solo l’aspetto umano, anche
se mi rendo conto che è un discorso difficile da comprendere per chi
non ha fede. Penso che manchi una
visione ultraterrena della storia della Chiesa».
Il cardinale Versaldi delegato pontificio
per il governo della congregazione
dei Figli dell’Immacolata concezione
A seguito della visita apostolica effettuata dall’arcivescovo Filippo Iannone alla Congregazione dei Figli dell’Immacolata concezione, in data 15
febbraio Benedetto XVI ha deciso di affidare il Governo del menzionato
Istituto religioso al cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, nominandolo Delegato Pontificio. Lo rende noto un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede,
che informa inoltre come in tale veste il cardinale Versaldi avrà il compito
di guidare l’Istituto religioso e di indirizzare le strutture sanitarie da esso
gestite verso un possibile risanamento economico, escludendo tuttavia una
partecipazione della Santa Sede in tali opere.
Sulla decisione di Benedetto XVI,
il cardinale Sodano ha chiesto innanzitutto di «riflettere con occhi
cristiani, su una visione cristiana.
Noi siamo tutti credenti — ha detto
nell’intervista — che ci gloriamo di
essere cristiani e ci sforziamo di vivere il Vangelo di Cristo. Purtroppo devo dire che questa visione difetta. Sui mass media, per esempio.
Certo hanno tutto il diritto di dare
i particolari possibili ma forse i
giornalisti cristiani dovrebbero dare
una visione meno superficiale, meno terrena». Diventa così poco importante «divagare sulle cose minime, sull’abito o su altri particolari
marginali», mentre conta di più riflettere «sul fatto che la Chiesa
cammina per opera di Dio».
Interpellato, infine, sulle «lacerazioni sul volto della Chiesa» il cardinale decano ha risposto che «certo divisioni ce ne sono e nessuno lo
nega, esistono persone che hanno
un metodo di lavoro e altre un altro, ma da qui a ricamarci sopra».
E ha concluso con l’invito a lasciarsi «guidare dallo Spirito Santo».
È un invito alla preghiera quello
rivolto alla Chiesa dal cardinale
Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, interpellato — riferisce l’Ansa — al suo
arrivo all’aeroporto di Roma dalla
Guinea, suo Paese natale. «Penso
che ora l’unica cosa che dobbiamo
fare è pregare. Pregare per il Santo
Padre e la Chiesa. E aspettare con
fiducia — ha aggiunto — perché la
Chiesa appartiene al Signore: egli
stesso ha detto che la affida al Pastore Gesù Cristo e alla Madonna.
Aspettiamo con serenità e fiducia,
pregando».
In un’intervista alla vaticanista
Franca Giansoldati su «Il Messag-
gero» del 18 febbraio, il cardinale
Giuseppe Versaldi, presidente della
Prefettura degli Affari Economici
della Santa Sede, ha ricordato che
la decisione del Papa «è nata da un
discernimento fatto in coscienza di
non essere più in grado di poter
svolgere adeguatamente il suo ministero per le diminuite sue forze.
È una grande testimonianza di fede: la Chiesa è guidata da Dio e il
Papa, come Benedetto XVI aveva
detto al momento della elezione, è
solo un umile e semplice lavoratore
nella vigna del Signore nella certezza che il Signore chiamerà un altro
servitore a guidare adeguatamente
la sua Chiesa». Il cardinale ha ribadito anche l’invito del Papa all’unità: «Certo ciò vale specialmente
per i cardinali e ancor più nella loro decisione di eleggere il nuovo
Pontefice. Unità non implica eliminare le differenze, ma queste non
romperanno l’unità se questa ha un
chiaro punto di riferimento, che è
Cristo e il bene della sua Chiesa.
Non dubito che tutti i cardinali siano uniti in questo proposito. La
nostra preparazione deve consistere
nel rendere libero il nostro spirito
ad accogliere al momento giusto
questa luce divina, e ciò esige conversione del cuore e purificazione
delle intenzioni».
A Firenze il cardinale arcivescovo
Giuseppe Betori si è rivolto direttamente ai fedeli durante l’omelia
della messa domenicale in cattedrale. «Non possiamo accettare di
frantumare la verità della fede nei
mille rivoli di opinioni senza fondamento. È stata questa per la
Chiesa dei nostri tempi — ha detto,
secondo quanto riferisce l’Ansa — la
grande e intramontabile impresa di
Benedetto XVI, cui va la nostra gra-
titudine nel momento in cui consegna umilmente la propria persona
al supremo gesto di servizio verso
la missione che gli è stata affidata
dal Signore. Un gesto con cui non
rinuncia alla missione, ma ne proclama la superiorità su tutto, anche
su se stesso, e chiama la Chiesa tutta a consacrarsi al Signore fino al
dono di sé». Secondo il porporato
«il Papa ci ha insegnato che sulla
verità di Gesù si decide la nostra
fede e quindi la nostra vita, tenendo saldo che può esistere una verità
e una sola verità, ed è Gesù». Il
Papa, ha concluso, «ha anche insegnato a tutti, credenti e non credenti, che non si può fare a meno
della verità se non si vuole perdere
la vita nel non senso e quindi nella
insignificanza».
In un messaggio indirizzato ai
fedeli della Romania, infine, il cardinale Lucian Mureşan, arcivescovo
maggiore di Făgăraş e Alba Iulia,
ha invitato a «chinare fronte e cuore, con rispetto e ammirazione, davanti al gesto coraggioso del Santo
Padre». E ha chiesto di accompagnarlo «con la preghiera, la devozione e con il nostro amore». È, infatti, proprio la preghiera, secondo
il cardinale Mureşan, ad avvicinarci
al Signore per aiutarci «a capire la
presa di posizione e l’atteggiamento
del Papa». Nel messaggio il porporato indica la strada della fiducia e
della speranza: «Papa Benedetto,
con un gesto di coraggio e responsabilità, ci dimostra con umiltà la
vera grandezza dell’uomo che conosce i tempi in cui vive la Chiesa;
ci fa capire quello che dovrebbe essere l’atteggiamento di ognuno di
noi davanti al potere; ci dimostra
ancora una volta quanto grande
fosse Gesù sulla croce».
ne alcuna voi non vedeste, era solo
una voce». La parola di Dio, cioè,
«risuona ora nella Scrittura, in particolare nella Torah». Pertanto, dobbiamo «celebrare la grazia divina,
che si rivela con la parola e che questa parola ci preceda e ci ecceda, ci
superi è espresso in maniera sorprendente da san Paolo».
Il cardinale ha poi preso in considerazione due salmi: il 119 e il 23.
Nel primo si sente «vibrare l’amore
per la parola che brilla nella nebbia
o nel buio dell’esistenza». La parola
paragonata a una lampada che illumina i passi. Questo salmo è simile
a una «melopea orientale», è analogo alle «onde di una risacca che sulla spiaggia coprono sempre lo stesso
spazio, ma in forme ininterrottamente mutevoli». Quando ci si lascia
«conquistare da questo canto della
parola di Dio, dal suo ritmo simile a
quello del “moto perpetuo” musicale», veniamo coinvolti e travolti
«dalla sua forza liberante e si diventa ascoltatori obbedienti e praticanti». Così «esplode la professione
d’amore che riassume quasi in un
sospiro l’appassionata dichiarazione
della donna del cantico».
Il salmo 23, quello della fede e
della fiducia, indica due elementi: il
simbolo del pastore-guida e della cena e dell’ospite. Lungo le strade pericolose della vita, il pastore è compagno di viaggio, condivide con noi
la strada. La meta terminale di questo cammino è il tempio, dove ci attende la mensa imbandita del sacrificio, cioè «la comunione, l’intimità,
l’amore, espresso proprio dal simbolo della mensa».
Nella seconda meditazione della
mattinata il cardinale Ravasi ha preso in considerazione la seconda teofania, quella del Creatore «che opera proprio attraverso la sua prima
epifania, la parola». Lo ha fatto partendo dal salmo 19, nel quale «gli
spazi astrali sono personificati come
testimoni entusiasti dell’opera creatrice di Dio, sono “narratori”, cioè
araldi della sua potenza gloriosa». Il
salmista, ha detto il porporato, affida alla notte e al giorno il ruolo di
«messaggeri che trasmettono di postazione in postazione la grande notizia della creazione». Spazio e tempo sono coinvolti, perciò, in «un vero e proprio “kerygma”, in un vangelo di luce e di gioia».
L’uomo, da delegato del Creatore
a «coltivare e custodire la terra», si
è comportato da tiranno e ha fatto
sì che la creazione a lui affidata sia
stata spesso «umiliata e devastata».
Ora non è più «in grado di ascoltare il messaggio segreto celato nelle
creature». E una spiritualità che
«ignora l’orizzonte terrestre, che
non sa goderne la bellezza delle forme e la ricchezza dei frutti, che invita quasi ad astrarsi decollando dal
creato verso intimità disincarnate
non appartiene al vigoroso realismo
biblico e all’incarnazione cristiana».
A questo proposito, il cardinale ha
ricordato un «curioso aforisma rabbinico», il quale ammoniva «che
alla fine della vita saremo giudicati
anche sui piaceri e i godimenti giusti e leciti da noi vissuti in pienezza». Da qui deriva l’importanza di
un’autentica ascesi, che «non è solo
negazione, ma è anche armonia tra
corporeità e interiorità, è rinuncia ed
esercizio per una pienezza genuina».
L’epifania cosmica divina, ha proseguito il cardinale, ripropone il dialogo tra fede e scienza. La prima, ha
detto, «si dedica alla scena dell’essere, al fenomeno, ai dati e ai fatti, al
“come”; la religione, invece, si consacra al fondamento, cioè al senso
ultimo dell’essere, al “perché”». Il
credente, quindi, si trova nella situazione di volare negli spazi «infiniti
dell’essere e dell’esistere», con le ali
della fede e della ragione. Vi è differenza, ma non opposizione, tra la
via della preghiera e della teologia,
che «prima intuisce e incontra il mistero del divino e poi cerca di penetrarlo e decifrarlo», e quella della
scienza, che «esige la verifica e
l’analisi prima di ogni adesione e
sintesi». L’armonia tra queste due
vie viene esaltata nel salmo 19, dove
si trova un inno a un duplice sole. Il
primo è «l’astro che sfolgora nel cielo, descritto come uno sposo», l’altro, che brilla nel cielo dello spirito,
è «la Torah, la parola di Dio», che
irradia il suo splendore «nell’orizzonte delle coscienze, ne scioglie il
gelo, vi effonde luce e speranza».
Dopo il Dio delle grazie e il Dio
creatore, il cardinale Ravasi per la
meditazione di questo pomeriggio
proporrà il Dio della liturgia seguendo i versetti del salmo 87.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 18-19 febbraio 2013
Moltissime persone in piazza San Pietro per l’Angelus prima dell’inizio degli esercizi spirituali in Vaticano
La via di Dio e la via dell’uomo
Il grazie del Papa per la preghiera dei fedeli in questi giorni difficili
Cedere alla tentazione di
strumentalizzare Dio per i propri
interessi significa metterlo ai margini
della vita, con il rischio di vederlo
svanire. E dunque significa mettere in
gioco la nostra fede e Dio stesso. Lo ha
detto il Papa domenica 17 febbraio,
rivolgendosi ai numerosi fedeli che
hanno gremito piazza San Pietro per
la recita dell’Angelus. Queste le sue
parole.
Cari fratelli e sorelle!
mercoledì scorso, con il tradizionale
Rito delle Ceneri, siamo entrati nella
Quaresima, tempo di conversione e
di penitenza in preparazione alla Pasqua. La Chiesa, che è madre e maestra, chiama tutti i suoi membri a
rinnovarsi nello spirito, a ri-orientarsi decisamente verso Dio, rinnegando l’orgoglio e l’egoismo per vivere
nell’amore. In questo Anno della fede
la Quaresima è un tempo favorevole
per riscoprire la fede in Dio come
criterio-base della nostra vita e della
vita della Chiesa. Ciò comporta
sempre una lotta, un combattimento
spirituale, perché lo spirito del male
naturalmente si oppone alla nostra
santificazione e cerca di farci deviare
dalla via di Dio. Per questo, nella
prima domenica di Quaresima, viene
proclamato ogni anno il Vangelo
delle tentazioni di Gesù nel deserto.
Gesù infatti, dopo aver ricevuto
l’“investitura” come Messia — “Unto” di Spirito Santo — al battesimo
nel Giordano, fu condotto dallo
stesso Spirito nel deserto per essere
tentato dal diavolo. Al momento di
iniziare il suo ministero pubblico,
Gesù dovette smascherare e respingere le false immagini di Messia che
il tentatore gli proponeva. Ma queste tentazioni sono anche false immagini dell’uomo, che in ogni tempo insidiano la coscienza, travestendosi da proposte convenienti ed efficaci, addirittura buone. Gli evangelisti Matteo e Luca presentano tre
tentazioni di Gesù, diversificandosi
in parte solo per l’ordine. Il loro nucleo centrale consiste sempre nello
strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali. Il tentatore
è subdolo: non spinge direttamente
l’importante è che
lo facciamo con
Lui, con Cristo, il
Vincitore. E per
stare con Lui rivolgiamoci alla Madre,
in
Maria: invochiamola con fiducia filiale
nell’ora della prova,
e lei ci farà sentire
la potente presenza
del suo Figlio diviverso il male, ma verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà
sono il potere e ciò che soddisfa i
bisogni primari. In questo modo,
Dio diventa secondario, si riduce a
un mezzo, in definitiva diventa irreale, non conta più, svanisce. In ultima analisi, nelle tentazioni è in gioco la fede, perché è in gioco Dio.
Nei momenti decisivi della vita, ma,
a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo
seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che
realmente è bene?
Come ci insegnano i Padri della
Chiesa, le tentazioni fanno parte
della “discesa” di Gesù nella nostra
condizione umana, nell’abisso del
peccato e delle sue conseguenze.
Una “discesa” che Gesù ha percorso
sino alla fine, sino alla morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio. In questo modo, Egli è
la mano che Dio ha teso all’uomo,
alla pecorella smarrita, per riportarla
in salvo. Come insegna sant’Agostino, Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria (cfr. Enarr. in Psalmos, 60, 3: PL
36, 724). Non abbiamo dunque paura di affrontare anche noi il combattimento contro lo spirito del male:
La Quaresima è un tempo
favorevole per riscoprire la fede
Dio come base della nostra vita
e della vita della Chiesa
(@Pontifex_it)
no, per respingere le tentazioni con
la Parola di Cristo, e così rimettere
Dio al centro della nostra vita.
Salutando i diversi gruppi presenti
Benedetto XVI ha poi chiesto di
sostenerlo con la preghiera «in questi
giorni difficili» e di pregare anche per
il prossimo Papa.
Grazie a tutti voi!
Chers pèlerins francophones, le Carême qui vient de commencer est
une invitation à donner davantage
de temps à Dieu, dans la prière, la
lecture de sa Parole et les sacrements. Par le jeûne nous apprendrons à ne pas négliger la véritable
nourriture, spirituelle, pour résister
aux tentations de l’indifférence et du
laisser-aller, de l’égoïsme et de l’orgueil, de l’argent et du pouvoir. Méditons la manière dont Jésus a surmonté les tentations et demandonslui la force de lutter contre le mal.
Que ce Carême soit pour chacun le
chemin d’une authentique conversion à Dieu et un temps de partage
intense de notre foi en Jésus Christ!
Je vous remercie de votre prière et je
vous demande de m’accompagner
spirituellement durant les Exercices
spirituels qui commenceront ce soir.
Je vous bénis tous de grand cœur.
I greet all the English-speaking
visitors and pilgrims present for
today’s Angelus. Today we contemplate Christ in the desert, fasting,
praying, and being tempted. As we
begin our Lenten journey, we join
him and we ask him to give us
strength to fight our weaknesses. Let
me also thank you for the prayers
and support you have shown me in
these days. May God bless all of
you!
Von Herzen heiße ich alle
deutschsprachigen Pilger willkommen. Die Lesungen und das Evangelium des heutigen Sonntags stellen uns vor Augen, daß der Mensch
sich oft unwürdig und bedürftig
empfindet, wenn er Gott gegenübersteht. Und er ist es ja auch. Aber
der Herr kommt dem Sünder entgegen und erneuert ihn. Suchen wir
immer wieder die Begegnung mit
dem Herrn, aus der wir Nahrung
und Orientierung für unsere Aufgaben in der Welt schöpfen können.
Ich danke euch vor allem für die
zahlreichen Beweise eurer Verbundenheit und für euer Gebet in diesen für mich schwierigen Tagen. Ich
bitte euch, mir und der Römischen
Kurie besonders in der heute beginnenden Woche nahe zu sein, während wir unsere alljährlichen Exerzitien halten. Der Heilige Geist begleite uns alle auf unserem geistlichen Weg in der Fastenzeit.
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular al grupo del Colegio sacerdotal
argentino de Roma. En esta Cuaresma pidamos al Señor que la contemplación de los misterios de su pasión, muerte y resurrección nos ayude a seguirlo más de cerca. Al mis-
Sandro Botticelli e bottega, «Tentazione di Cristo» (particolare, Cappella Sistina)
mo tiempo, de corazón agradezco a
todos su oración y afecto en estos
días. Os suplico que continuéis rezando por mí y por el próximo Papa, así como por los Ejercicios espirituales, que empezaré esta tarde
junto a los miembros de la Curia
Romana. Llenos de fe y esperanza,
encomendemos la Iglesia a la maternal protección de María Santísima.
Muchas gracias.
Drodzy Polacy, serdecznie pozdrawiam was wszystkich, którzy uczestniczycie w modlitwie Anioł Pański.
Dziękuję bardzo za modlitewne
wsparcie i duchową bliskość w tych
szczególnych dniach dla Kościoła i
dla mnie. Dzisiejsza Ewangelia ukazuje nam Chrystusa, kuszonego na
pustyni przez szatana. Umocnieni
łaską Bożego Syna umiejmy zwyciężać zło, zerwać z grzechem,
służyć tylko Bogu samemu. Waszym
modlitwom polecam rekolekcje, które dzisiaj rozpoczniemy w Watykanie. Z serca wam błogosławię.
[Cari Polacchi, saluto cordialmente voi tutti che partecipate a questa
preghiera dell’Angelus. Vi ringrazio
tanto per il vostro orante sostegno e
la vicinanza spirituale in questi giorni particolari per la Chiesa e per me.
Il Vangelo di oggi ci fa contemplare
Gesù tentato da satana nel deserto.
Confortati dalla grazia del Figlio di
Dio, cerchiamo di combattere contro
il male, di rompere con il peccato, di
servire Dio soltanto. Raccomando
alle vostre preghiere gli Esercizi spirituali in Vaticano che inizieremo
questa sera. Vi benedico di cuore.]
Un caloroso saluto infine ai pellegrini di lingua italiana. Grazie a voi!
Grazie di essere venuti così numerosi! Grazie! La vostra presenza è un
segno dell’affetto e della vicinanza
spirituale che mi state manifestando
in questi giorni. Vi sono profondamente grato! Saluto in particolare
l’Amministrazione di Roma Capitale, guidata dal Sindaco, e con lui saluto e ringrazio tutti gli abitanti di
questa amata Città di Roma. Saluto
i fedeli della diocesi di Verona, quelli di Nettuno, di Massannunziata e
della parrocchia romana di Santa
Maria Janua Coeli, come pure i ragazzi di Seregno e di Brescia. A tutti
auguro una buona domenica e un
buon cammino di Quaresima. Questa sera inizierò la settimana di Esercizi spirituali: rimaniamo uniti nella
preghiera. Buona settimana a tutti
voi. Grazie!
Turisti, cibernauti e pragmatici, tutte le voci della piazza
di CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
Piazza San Pietro, penultimo Angelus di Benedetto XVI. La folla presente è ancora più eterogenea di
quella che solitamente anima questo
spazio in occasione della preghiera
domenicale. Molti sono qui per dire:
c’ero anch’io quel giorno. Riflesso
condizionato anche dalla quotidiana
esposizione di sé, che ognuno alimenta personalmente attraverso i canali digitali. E mentre su twitter
scorrono le solite banalità sull’annuncio del Papa, per farsi un idea di
cosa pensa veramente la “piazza” occorre venire fisicamente qui, in questa piazza.
Irina è una cuoca russa di 45 anni.
Lavora in un ristorante di via del
Corso, a Roma. È in Italia da 13 anni. Al collo ha una grossa macchina
fotografica. «Mi dispiace molto della
rinuncia di questo Papa. Ma è una
scelta onesta. Non sono una praticante, ma penso che sia comunque
un momento storico. Farò tante foto, le manderò anche alle mie amiche in Russia» dice con un sorriso
carico di entusiasmo. E aggiunge:
«L’ho saputo dalla tivù e mi sono
dispiaciuta molto. Ma è una scelta
coraggiosa: è molto più coraggioso
lasciare, che continuare senza poter
dare il cento per cento».
C’è anche un folto gruppo di turiste irlandesi. Una di loro porta sottobraccio due quotidiani. «Ho comprato questi giornali perché so di vivere un momento storico» dice.
«L’ultima volta che la mia amica era
qui — ricorda indicando una compagna di viaggio seduta alle sue spalle
— è stato quando è morto Giovanni
Paolo II. Stavolta siamo rimaste sorprese ma anche contente, perché sapevamo che saremmo venute a Roma due giorni dopo. È uno di quei
momenti che si ricorderanno per
sempre».
Si viene a San Pietro oggi anche
per nutrire una propria “epica” personale. «Penso che Benedetto XVI —
prosegue — sia stata una persona di
studio, ma non penso che sia un
conservatore, come certi media vorrebbero farlo passare. Il fatto stesso
che si sia dimesso è una prova della
sua volontà di dare veramente una
spinta al cambiamento. Non dimentichiamo, tra l’altro, che nel corso
del pontificato ha creato molti cardinali provenienti dall’America latina,
dall’Africa. E questo è un segno di
grande apertura. Chissà, forse il
prossimo Papa verrà proprio da uno
di questi continenti».
Due anziane sono giunte da Catania in treno. «Siamo rimaste sorprese» confidano. «Certo — aggiungono — è un Pontefice anziano, avrà
sofferto molto questa decisione, ma
una certa tristezza resta». In fondo
il Papa rappresenta anche la nostalgia di ciò che è eterno; e siamo sempre colti da un’insoddisfazione particolare quando qualcosa inevitabilmente finisce.
Un ragazzo della Repubblica Ceca che vive in Germania è qui per
visitare Roma. È un musicista trentacinquenne, e anche lui ha un’enorme macchina fotografica al collo.
«L’ho saputo su internet — racconta
— ma poi ho acceso la tivù. Perché,
sai, di quello che passa in rete non ti
puoi fidare più di tanto: era una notizia talmente grossa. Io non sono
credente ma penso che questo Papa
sa quello che sta facendo. La sua anzianità è un fatto. Non capisco lo
scetticismo e la dietrologia di certe
letture che girano soprattutto sulla
rete. Le sue ragioni sono sincere, mi
pare evidente. Ma alla gente le spiegazioni semplici non piacciono, basta guardare le notizie di cronaca: i
fatti vengono sempre presentati con
una chiave di lettura “giallistica” e
anche in questo caso si è andati alla
ricerca del “movente nascosto”. Ma
non credo ci siano altre motivazioni
oltre quelle che lui stesso ha manifestato. Ce ne dobbiamo fare una ragione: la vecchiaia e il venir meno
delle forze esistono, è la cultura contemporanea che pensa invece di ri-
muovere l’esperienza della debolezza
e della sofferenza, e così resta spiazzata di fronte a un gesto come questo. Anche un Papa invecchia».
Che i giovani comprendano più
facilmente la scelta di Benedetto XVI
di lasciare il papato può sorprendere, ma non più di tanto. Quattro ragazze raccontano le loro impressioni.
Una è di Singapore, due colombiane
e una cinese. Studiano architettura a
Londra. «Abbiamo saputo della decisione del Papa, ma io personalmente sono qui per visitare il Vaticano» dice con un pizzico di pragmatismo la prima. «Gliel’ho detto io
che questo è un momento storico!»
interviene orgogliosa la colombiana
Isabella. «Quando ho saputo la notizia — racconta — ho pensato: ha
fatto bene. Se non riesce ad andare
avanti, e lo ha riconosciuto pubblicamente, il suo è un atto di umiltà
straordinario». La sorella ventunenne Julietta fa cenno di sì con la testa. «Ero contenta anche perché ho
pensato: mi trovo a Roma proprio in
questo momento! È una coincidenza
meravigliosa, potrò raccontarlo ai
miei nipoti» ride.
Angela (è il nome che usa con le
compagne) è cinese, ha anch’essa 21
anni ed è di Canton: «Io — ammette
— non sono religiosa. Non è che sia
atea; solamente non ho una preferenza religiosa particolare. Rispetto
tutti i credenti. E non ho voglia di
andare troppo al fondo delle religioni». Le domando il perché. Risponde: «Io credo che se le religioni esistono, allora significa che ci sono
delle buone ragioni per credere. E
ognuna ha le proprie ragioni. Non
mi sembra il caso di stare a decidere
quale sia la migliore fra le tante. Mi
pare un atto irrispettoso. Secondo
me tutte sono valide». Le chiedo se
conosca qualcosa del cristianesimo.
Fa cenno di no. È questo, in fondo,
il cuore del relativismo: tutto si assomiglia perché lo sguardo superficiale
appiattisce tutto.
Chi ne sa qualcosa in più, invece,
è Giantommaso, di 25 anni, che ha
studiato per tre anni ingegneria a
Roma. Ora ha lasciato. Non c’è lavoro, dice. Fa il commesso in un negozio di articoli sportivi. «Questo
gesto del Papa — sottolinea — è un
segnale di rinascita; non è affatto un
momento triste, come sento dire in
giro. Proprio quando sembra esserci
una crisi, ecco farsi strada la Provvidenza». D’altronde, scriveva Romano Guardini, ogni bene ha inizio
con una “rivelazione”. E questa certamente lo è stata per tutti. Continua Giantommaso: «Conosco le encicliche di Benedetto XVI. Credo sia
un Papa che ha precorso i tempi.
Basta ascoltare i suoi discorsi per capirlo. Il punto è che nessuno li legge. Ritengo che con questi otto anni
abbia preparato la strada al prossimo
Pontefice, il quale dovrà mettere in
pratica quello che Ratzinger ha detto e scritto in questi anni».
Antonia è di Roma. Medico, ha
58 anni. «La rinuncia del Papa — dice — è una novità assoluta per noi.
Il suo gesto deve far riflettere ciascuno sulla propria responsabilità individuale. Ratzinger si è preso la sua
compiendo questo atto. E ora tocca
a noi fare lo stesso, se vogliamo
cambiare le cose. Non si può delegare sempre agli altri. Si tratta di un
messaggio molto importante, soprattutto per i più giovani. La libertà è
responsabilità».
Insieme a lei c’è Maria, psicologa,
60 anni. «Ho letto il libro-intervista
a Peter Seewald in cui Benedetto XVI
accennava alla possibilità di rinunciare al pontificato. Per questo la sua
decisione non mi ha sorpresa più di
tanto. In quell’intervista il Papa ha
lasciato intravedere questo gesto.
Ciò significa che anche le altre cose
che ha detto in questi otto anni sono
intrise di verità profonde. E bisognerebbe ora andare a riprenderle tutte». Le domando cosa ha provato
quando ha saputo della decisione
del Pontefice. «La reazione all’inizio
è stata di paura. Paura rispetto al
cambiamento che questa scelta portava. Ti domandi: e ora cosa succederà? Poi ho pensato: però lui stesso
lo aveva detto! Forse cercavo anche
di razionalizzare i miei timori. Il suo
è certamente un gesto rivoluzionario,
la cosa più importante che sia accaduta nella Chiesa dal concilio Vaticano II».
Maria ha le idee chiare su quello
che può rappresentare anche per le
nuove generazioni. «Questa — afferma — è un’occasione di riflessione
sulla strada che la Chiesa intende intraprendere. È un’epoca in cui siamo
afflitti da tanti problemi, soprattutto
economici e sociali. Questo Pontefice ha compiuto una continua rilettura del Vangelo, una rilettura molto
sottile, alla quale non eravamo abituati. Se riprendiamo le cose che ha
detto, dalla lezione di Ratisbona in
poi, ci rendiamo conto che ha seminato tantissimo. C’è voluto del tempo perché arrivassimo al cuore di
questo messaggio, ma solo perché
culturalmente eravamo ancora molto
indietro. Il Papa ci ha costretti a meditare a fondo. Tutti i giovani ora si
stanno facendo delle domande. È un
bene, è provvidenziale. In questi
giorni si parla di continuo della sua
decisione. E non solo sui media.
Mio figlio, per esempio, ne è rimasto molto colpito e ne ha discusso
con me, affrontando anche questioni
come la chiamata di Dio e la santità
del ministero petrino. Questo è positivo se pensiamo che di solito in famiglia non si parla altro che di banalità quotidiane. Insomma, questo
Papa ci ha fatto risvegliare tutti».