Lettere Pastorali - Nono incontro - Benvenuto nel sito di Santa Rita

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Lettere Pastorali - Nono incontro - Benvenuto nel sito di Santa Rita
Gruppi della Parola di Dio!
27 febbraio 2014
preghiera iniziale
INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO
O Dio dell'anima mia, io dico che ti amo;
ma poi che faccio per amor tuo? Niente.
Dunque è segno che non ti amo o ti amo troppo poco. Mandami dunque, o Gesù mio, lo
Spirito Santo,
che venga a darmi forza di patire per tuo amore,
e di far qualche cosa per te prima che mi giunga la morte.
Deh non farmi morire, amato mio Redentore,
così freddo ed ingrato come ti sono stato finora. Dammi vigore ad amare il patire,
dopo tanti peccati che mi hanno meritato l'Inferno.
O mio Dio tutto bontà e tutto amore,
tu desideri di abitare nell'anima mia da cui tante volte ti ho discacciato; vieni, abita, possiedila e renditela tutta tua.
lo ti amo, o Signor mio,
e se ti amo tu già stai con me, come assicura S. Giovanni:
Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui (1 Gv 4,16). Poiché dunque tu stai con
me,
accresci le fiamme, accresci le catene,
acciocché io non brami, non cerchi, non ami altri che te,
e così legato non abbia mai a separarmi dal tuo amore.
lo voglio essere tuo, o Gesù mio, e tutto tuo.
O regina ed avvocata mia Maria, ottienimi amore e perseveranza.
(Sant’Alfonso Maria de’ Liguori)
lectio
LA PAROLA
11
È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini 12e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, 13nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del
nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. 14Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci
da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le
opere buone.
15
Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità. Nessuno ti disprezzi!
(Tt 2,11-15)
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MEDITAZIONE
San Paolo non tarda, come sempre, a ricondurci al suo centro esistenziale: la Grazia! La
Grazia è l’«amoroso chinarsi di Dio sulla creatura bisognosa» (cfr. Orsatti). L’Apostolo
appare ancora una volta incantato di fronte ad un Dio che si china: il credente vive nello
stupore di un cielo che non sta in alto ma tocca la terra. È il grande miracolo che viviamo sempre e di nuovo nella Sacra Liturgia, spazio santo di armonia tra Chiesa celeste
e terrestre: è la Grazia che ci permette di cantare il Gloria, il Sanctus e di rispondere al nostro Signore che si fa presente.
Questa Grazia, secondo San Paolo, ha una capacità: insegna. Le Lettere Pastorali sono
intessute intorno all’invito ad insegnare. L’Apostolo e i suoi successori insegnano, perché
prima di tutto sono discepoli, cioè sono posti alla scuola di Cristo. Siamo chiamati ad essere annunciatori, nella misura in cui siamo coscienti di essere “allievi di Dio”. Senza questa umiltà di base, ogni cammino non potrebbe che fermarsi e ogni discorso sarebbe atto di superbia.
I versetti che osserviamo sono un vero e proprio trattato sintetico di Soteriologia, ovvero ci
parlano della Salvezza. Dio ci ha salvati con un’azione di Grazia in tre tempi:
- il Mistero dell’Incarnazione
- il Mistero Pasquale
- il Mistero dell’Escatologia
Questi tre tempi disegnano un movimento ben preciso: Dio si abbassa per rialzarci. Si
abbassa continuamente da quel giorno a Betlemme, fino alla Croce. Anzi: il punto più basso è quel Sabato Santo, momento di grande annullamento di Dio. Dio, che si mostra da
principio come Creatore che nella Parola dà luce al mondo (cfr. Gen), si costringe al
buio silenzio del sepolcro. E di lì comincia a rialzarci nella sua Resurrezione e Ascensione e poi con il grande dono della Pentecoste.
Il cristiano non può che vivere nella coerenza all’Incarnazione. Non può esistere credente autentico che non decida di abbassarsi per abitare il suo oggi. Troppo spesso è proprio
fra noi credenti che si consuma il lamentarsi e l’allontanarsi dalle responsabilità quotidiane:
“non si può essere credenti nel mio ufficio”, “nel mio lavoro ci sono ben altri lavori”, “la mia
famiglia è un disastro, cosa devo raccontargli”... Il cristiano ama Betlemme, ama le stalle, i buoi, le povertà umane e le vive a pieno, senza snobbarle!
Questo è il grande annuncio di Salvezza, una Salvezza integrale, che non scarta alcun
istante di vita della creatura umana, amata totalmente dal suo Dio.
DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE
La vita nella Grazia dell’Incarnazione.
È la mia vita capace dell’ascolto attento e umile del discepolo? È la mia vita capace di abitare nella Betlemme che mi è data oggi? Provo ancora lo stupore di fronte alla Grazia di
Dio, che mi è data particolarmente nei Sacramenti?
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LA PAROLA
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Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; 2di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini.
3
Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di
passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda.
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Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini,
5
egli ci ha salvati,
non per opere giuste da noi compiute,
ma per la sua misericordia,
con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,
6
che Dio ha effuso su di noi in abbondanza
per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
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affinché, giustificati per la sua grazia,
diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.
(Tt 3,1-7)
MEDITAZIONE
Troviamo in nuce una teoria che poi San Giovanni Bosco esprimerà in questo modo:
«Buoni cristiani e onesti cittadini». Il credente è comunque un cittadino, con diritti e doveri anche sociali e questi vanno rispettati: la Fede non è mai alibi nei confronti della giustizia! Tra le innumerevoli forme di carità di cui possiamo essere capaci, non dobbiamo
dimenticare la nostra carità verso lo Stato, quel servire il bene comune che ci rende edificatori di città terrene, che guardano verso il Cielo. Il cristiano si china anche a raccogliere
le cartacce ai giardini pubblici e lo fa sempre intravedendo in quell’istante la compiacenza
del suo Dio.
Comincia poi un bell’inno dal sapore liturgico (vv. 4-7).
Il cristiano è uomo libero. Questa affermazione, molto cara a ciascuno di noi, è sempre
esposta ad un equivoco. Il cristiano è libero in quanto liberato, non in quanto libertino. Colui che è libertino è uno che la libertà crede di averla conquistata o di averla per diritto, dunque la utilizza senza alcuna regola, se non le proprie voglie e i propri bisogni. Chi
è liberato, invece, si riconosce portatore di un dono, di qualcosa che di per sé non gli sarebbe spettata. Per il libertino la regola è il capriccio, per il liberato la regola è la responsabilità.
«apparve il suo amore per gli uomini».
Dio è il grande Filantropo della storia! L’Umanesimo ci ha ricordato la singolarità e importanza della creatura umana, ma Dio questo lo sa da sempre e sempre se ne ricorda. Il
Suo amore verso ogni uomo è quasi la regola generale del Suo agire, è la forza con cui
Egli continuamente dà vita all’universo: Dio salva con il rigore del Suo amore. È il Suo
stile, quello che scopriamo nella Confessione ed è quello che siamo chiamati ad imparare
e ad imitare.
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DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE
Quale senso di appartenenza e quale responsabilità riesco a vivere nei confronti del mio
Paese? Quale gestione della mia libertà? È preda del mio capriccio o è gestita dalla mia
responsabilità? Io salvo ogni uomo, avvicinandomi con amore e con un amore rigoroso,
intransigente (“amare ogni uomo ad ogni costo”)?
LA PAROLA
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Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono a Dio si sforzino di distinguersi nel fare il bene. Queste cose sono buone e
utili agli uomini. 9Evita invece le questioni sciocche, le genealogie, le risse e le polemiche
intorno alla Legge, perché sono inutili e vane. 10Dopo un primo e un secondo ammonimento sta’ lontano da chi è fazioso, 11ben sapendo che persone come queste sono fuorviate e
continuano a peccare, condannandosi da sé.
12
Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, cerca di venire subito da me a Nicòpoli, perché là ho deciso di passare l’inverno. 13Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di
Apollo, perché non manchi loro nulla. 14Imparino così anche i nostri a distinguersi nel fare il
bene per le necessità urgenti, in modo da non essere gente inutile.
15
Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede. La grazia
sia con tutti voi!
(Tt 3,8-15)
MEDITAZIONE
San Paolo ci ricorda sempre la necessità di fermezza nella Fede. Certo è fermezza dottrinale, certezza in quel che si professa, ma questo non basta. Una Fede che sia solo teorica, benché corretta, non è ferma. Diventa una teoria, condita di buoni principî, ma nulla di
più. Nel momento in cui ci toccasse vivere quel principio professato, ci troveremmo impreparati e vacilleremmo. Allora dove sta la fermezza della Fede?
Le opere buone sono la fermezza della Fede. Vivere nel continuo allenamento nella
bontà delle opere ci assicura una buona “coltivazione” della nostra Fede. Se la nostra Fede si fa promotrice della vita, dal suo sorgere al suo terminare, allora abbiamo necessità,
ad esempio, di promuovere una bellezza anche nella vita dei nostri anziani. Il nostro star
loro accanto, sopportando e supportando, ci terrà sempre sulla breccia della nostra preparazione di Fede: solo in quella “noiosa e monotona vicinanza” potremo capire quanto davvero la vita sia sacra!
«persone come queste sono fuorviate e continuano a peccare, condannandosi da sé».
Quando guardiamo questi ammonimenti contro gli eretici, abbiamo sempre la sana illusione che siano persone lontane, da compatire. Invece no: l’eresia è il grande virus che insidia ciascuno di noi. Eresia significa scelta di una parte, a scapito di un tutto. Significa
potare una pianta che è in salute solo qualora sia integra. La nostra Fede è questa pianta:
potarne dei rami scomodi significa farla morire. Ed è come una valanga, perché rinunciare
ad un “pezzo” del nostro credere non fa altro che aprire a successive perdite.
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«Imparino così anche i nostri a distinguersi nel fare il bene per le necessità urgenti, in
modo da non essere gente inutile».
Le comunità cristiane e il cristiano preso singolarmente, sono chiamati ad essere scattanti
nella pastorale. Le lettere pastorali hanno dei “sistemi” ridotti al minimo, a vantaggio della
capacità di risposta all’uomo concreto: a noi interessa l’uomo concreto, non delle stupende organizzazioni parrocchiali! Il cristiano, volendo tirare ancor più le somme, non
lotta per principî, ma per l’uomo!
«Saluta quelli che ci amano nella Fede».
È la vera immagine della Chiesa.
Quella lontana dal scegliersi per affinità e simpatie.
Quella lontana dal prediligere il fare.
Insomma: quella che sa di essere scelta, chiamata, dunque preoccupata solo di essere famiglia!
DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE
Come procede il mio coordinamento tra parole ed opere? Quanto è ancora integra la mia
Fede e quanto è già “potata”? Sono attento e pronto a farmi prossimo? Quale immagine di
Chiesa io vivo?
PENSIERO CONCLUSIVO
La trasmissione della fede, che brilla per tutti gli uomini di tutti i luoghi, passa anche attraverso
l’asse del tempo, di generazione in generazione. Poiché la fede nasce da un incontro che accade
nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo, essa si deve trasmettere lungo i secoli. È attraverso una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il volto di Gesù. Come è possibile
questo? Come essere sicuri di attingere al "vero Gesù", attraverso i secoli? Se l’uomo fosse un
individuo isolato, se volessimo partire soltanto dall’"io" individuale, che vuole trovare in sé la sicurezza della sua conoscenza, questa certezza sarebbe impossibile. Non posso vedere da me stesso quello che è accaduto in un’epoca così distante da me. Non è questo, tuttavia, l’unico modo in
cui l’uomo conosce. La persona vive sempre in relazione. Viene da altri, appartiene ad altri, la sua
vita si fa più grande nell’incontro con altri. E anche la propria conoscenza, la stessa coscienza di
sé, è di tipo relazionale, ed è legata ad altri che ci hanno preceduto: in primo luogo i nostri genitori,
che ci hanno dato la vita e il nome. Il linguaggio stesso, le parole con cui interpretiamo la nostra
vita e la nostra realtà, ci arriva attraverso altri, preservato nella memoria viva di altri. La conoscenza di noi stessi è possibile solo quando partecipiamo a una memoria più grande. Avviene così anche nella fede, che porta a pienezza il modo umano di comprendere. Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di altri, dei
testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa. La Chiesa è una
Madre che ci insegna a parlare il linguaggio della fede. San Giovanni ha insistito su quest’aspetto
nel suo Vangelo, unendo assieme fede e memoria, e associando ambedue all’azione dello Spirito
Santo che, come dice Gesù, « vi ricorderà tutto » (Gv 14,26). L’Amore che è lo Spirito, e che dimora nella Chiesa, mantiene uniti tra di loro tutti i tempi e ci rende contemporanei di Gesù, diventando
così la guida del nostro camminare nella fede.
(Papa Francesco, Lumen fidei 38)
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