Charles-Albert, visconte d`Arnoux, conte di Li

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Charles-Albert, visconte d`Arnoux, conte di Li
NOTA EDITORIALE
Charles-Albert, visconte d’Arnoux, conte di Limoges-Saint-Saëns pensò bene di seguire il consiglio
di Honoré de Balzac e semplificare quel plotone di
appellativi assumendo uno pseudonimo: divenne così
Bertall, piccola variante dell’anagramma di Albert.
Il geniale illustratore francese era nato a Parigi nel
1820. Studiò disegno con il pittore neoclassico Michel Martin Drolling, ma ben presto iniziò a lavorare
come illustratore e caricaturista, anche in questo caso, pare, seguendo i suggerimenti di Balzac. La prima
opera che gli venne pubblicata fu “Les Omnibus, pérégrinations burlesques à travers tous chemins” nel
1843, per la quale aveva realizzato sia i testi sia le incisioni su legno. Due anni più tardi illustrò il romanzo di Balzac “Le piccole miserie della vita coniugale”, e fino al 1855 collaborò con lo scrittore per illustrare l’edizione delle sue opere complete in 20 volumi. Successivamente disegnò le tavole che accompagnavano i lavori di molti altri scrittori, tra cui James
Fenimore Cooper e Paul de Cock, arrivando a realizzarne un numero approssimativo di 3600. Allo stesso
modo collaborò con varie riviste e si prestò spesso a illustrare storie per bambini.
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NOTA EDITORIALE
Nel 1855 incontrò Hyppolite Bayard, uno dei pionieri della nascente arte fotografica, il quale aveva
ideato un procedimento originale che utilizzava un
negativo su carta sensibilizzata con ioduro d’argento,
dal quale si otteneva successivamente una copia positiva. Bertall si innamorò subito della fotografia e insieme a Bayard aprì a Parigi uno studio specializzato
in ritratti e riproduzioni di quadri. I due interruppero
la loro collaborazione nel 1866 ma Bertall proseguì
l’attività dedicandosi a ritrarre artisti e intellettuali del
suo tempo.
Già da qualche anno aveva iniziato a scrivere romanzi illustrandoli da sé.
Nel 1871, dopo un’esperienza con la rivista Le Soir,
fondò, in piena Comune, il giornale satirico Le Grelot che attaccava i comunardi. L’opera illustrata “Types de la Commune”, data alle stampe nel 1871, riassumeva la sua posizione reazionaria.
“L’arte di bere bene”, in originale “La vigne”, è un
poderoso esempio delle qualità di caricaturista di Bertall. Il libro, di cui qui si presenta soltanto la prima
parte, costituisce un vero e proprio manuale per conoscere il vino, la sua storia, i suoi effetti, i riti legati al
suo uso e abuso. La mano dell’Autore è però sempre
lieve, e sa catturare, grazie anche alle numerosissime
illustrazioni che l’accompagnano, la parte ludica di
questa vecchia abitudine, o vizio, dell’uomo: bere.
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LA VIGNA
La si è piantata e cantata da
sempre.
Ascoltando la Genesi, la prima
preoccupazione di Noé, scampato
al diluvio, durante il quale fu riversata tanta acqua, fu di piantare la
vigna come una sorta di benevolo risarcimento.
Gli Egiziani attribuirono questo onore a Osiride, e
i Greci a Bacco.
Bacco, giovane bello e radioso, coronato di pampini, stava in piedi su un carro trainato da pantere col
manto maculato d’oro e di porpora, ed era circondato dalle Baccanti che danzavano e cantavano inni al
dio trionfante, personificazione di questo succo divino, derivato dalla vigna e celebrato da tutti i poeti, da
Anacreonte e Orazio fino ai giorni nostri.
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BERTALL
Il radioso Bacco partì dalla Grecia, dove venne
ispirato dalle Muse a conquistare non solo le Indie,
ma anche l’Asia Minore, le terre del Mediterraneo, la
Sicilia, Roma, l’Italia intera, la Spagna e la Gallia.
Sembra che ovunque innalzasse il suo splendente
Thyrse, che era lo scettro divino, ne fuoriuscissero
pampini illuminati dal sole, come fanali luminosi decisi a illuminare come un focolare di arte, eloquenza
e spirito i popoli a cui faceva visita.
Il dio Bacco pose la vigna sulle colline e sulle alture di Atene, Roma, Firenze e Parigi.
Ed è lì che fruttificava visibilmente, elargendo
quei doni magnifici che sono tutt’oggi la gloria dell’umanità.
Brillat-Savarin, nel suo interessante libro “La psicologia del gusto”, ha formulato questo aforisma:
Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei.
Ma sarebbe ancor più giusto dire:
Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei.
Ciò che si beve ha evidentemente più effetto sul
cervello, e sul corpo in generale, rispetto a ciò che si
mangia.
Il fenomeno dell’ebbrezza rappresenta l’apice di
tale azione, il cui eccesso, a forza di sovraeccitare il
cervello, obnubila le facoltà.
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L’ARTE DI BERE BENE
Da un atteggiamento cordiale e caloroso, prima di
arrivare all’ebbrezza, esiste una gamma ascendente e
cromatica, ogni nota e ogni mezzo tono della quale
ha un valore preciso.
Una bevanda assunta abitualmente e con moderazione produce nella costituzione e nell’equilibrio generale delle facoltà un indiscutibile effetto che accentua e modifica le caratteristiche essenziali di una razza e di un popolo.
È facile vedere che i popoli che bevono birra, porto, idromele, gin, whisky, ecc... presentano sensibili
differenze rispetto a chi beve vino e i suoi derivati.
Lo scienziato che riteneva che la genialità fosse un
tipo di nevrosi poteva a maggior ragione dire che le
qualità dello spirito di un popolo possono essere legate a un influsso costante della sostanza sul midollo e
sul cervello.
E non a caso la meravigliosa e arguta lingua francese ha dato il nome di spirito alla sostanza di base
che fornisce la concentrazione delle caratteristiche
essenziali del vino, così come ha dato il nome di acqua di vita (traduzione dal latino di aqua vitae) a quel
caloroso e vivificante liquore che ne deriva.
Il vino è celebrato in tutti i tempi come una bevanda di prim’ordine.
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BERTALL
I poeti, da Orazio in poi, lo definirono il liquore
degli dei e ne cantavano la gloria, ornando le loro coppe di versi e di fiori.
Ma che ne è stato di quei colli celebri cantati dagli
antichi? Che cosa è diventato il Cecubo? Dov’è il Falerno? Chi ci darà notizia del Samos e del Chio? Tutte
queste collinette, un tempo illustri, dove il grappolo
ancora maturava, non offrono più nel presente prodotti degni di ammirazione come fu nel passato.
La loro storia si perde tristemente nel nulla, e noi
conosciamo appena il loro carattere, il loro colore, e
su quali luoghi precisi ponevano le viti generose che
affilavano lo spirito e la poesia di Orazio.
Il vino è come un sangue fecondo e generoso che
circola nelle membra e le ravviva, le stimola, infonde
loro allegria, nell’arte, nello spirito e nell’armonia.
Se anche un’ebbrezza passeggera offusca le facoltà,
chi non perdonerebbe qualche follia in considerazione di tanta laboriosa saggezza?
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