La Notte, L`eterna Illusione - Atlante digitale del `900 letterario
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La Notte, L`eterna Illusione - Atlante digitale del `900 letterario
Atlante digitale del '900 letterario www.anovecento.net LA NOTTE L'Eterna Illusione In quell’oscuro colle mani gelate distinguo il mio viso Giuseppe Ungaretti allo scoppiare della Prima guerra mondiale, all’età di ventisette anni, partecipò come volontario prima sul Carso e poi sul fronte francese. L’esperienza della guerra ha segnato profondamente la sua esistenza, cambiando in maniera radicale il suo modo di vedere il mondo. Se infatti dapprima vedeva la guerra come forza rigeneratrice e rivoluzionaria, con il passare del tempo cominciò ad associarla a una forza distruttrice. Vivendo in prima persona l’esperienza della guerra, Ungaretti iniziò a sentire il bisogno di allontanarsi dalla disperazione che essa gli causava, ritrovando nella notte un’oasi di pace. Il tema della notte si trova espresso in numerose poesie, sia dell’Allegria sia di Sentimento del Tempo. Prendiamo in esame, per esempio, il testo Stasera, scritto da Ungaretti il 22 maggio 1916: «Balaustrata di brezza / per appoggiare stasera / la mia malinconia». Questa lirica è costituita da tre soli versi, privi di punteggiatura. Sono presenti due enjambement, ai vv. 1-2 «brezza / per appoggiare» e ai vv. 2-3 «stasera / la mia malinconia», i quali creano una sorta di sospensione che richiama il significato stesso di questa poesia: sembra, infatti, che, nel momento in cui il poeta si appoggia alla balaustra, vi appoggi anche la propria malinconia. Questo affacciarsi del poeta alla «balaustrata», in incipit dell’intero testo, rappresenta per lui un momento di pausa e di quiete dalla vita di trincea. Questi pochi versi richiamano, infatti, la situazione emotiva del soldato, qui è presentato in solitudine, colto da un senso di malinconia, sentimento che colpisce il poeta di sera, momento di tregua dagli orrori del fronte. Un altro testo con ambientazione notturna è La Notte Bella, composto il 24 agosto 1916: «Quale canto s'è levato stanotte / che intesse / di cristallina eco del cuore / le stelle / Quale festa sorgiva / di cuore a nozze /Sono stato /uno stagno di buio / Ora mordo / come un bambino la mammella / lo spazio / Ora sono ubriaco / d'universo». Anche in questa poesia troviamo i caratteristici tratti ungarettiani, come l’assenza totale di punteggiatura per dare maggior risalto alle parole; sono inoltre presenti i cosiddetti “versicoli”, versi brevissimi, formati perlopiù da una sola parola, che corrisponde alla parola-chiave dell’intero componimento, intensificandone il significato. Ungaretti raffigura la bellezza, infinita, dell’universo fino a quasi immergervisi dentro. Fondamentale è la sinestesia «stagno di buio», che trasmette un senso d’infelicità e di solitudine, riscattata allo stesso tempo dal canto della notte verso le stelle: ecco dunque come lo spazio diventa una «madre», come si può notare ai versi 9-10-11 in cui il poeta dice «ora mordo / come un bambino la mammella / lo spazio». Possiamo inoltre notare come questo buio diventi ora appagante e inebriante, tanto che Ungaretti si definisce «ubriaco di universo» e quindi in completa armonia con esso. Anche in www.anovecento.net Nostalgia «Quando / la notte è a svanire / poco prima di primavera / e di rado / qualcuno passa / Su Parigi s'addensa / un oscuro colore / di pianto / In un canto / di ponte / contemplo / l'illimitato silenzio / di una ragazza / tenue / Le nostre / malattie / si fondono / E come portati via/si rimane», scritta il 28 settembre 1916, la notte viene vista dall’autore come un tranquillo rifugio dalle avversità della Prima guerra mondiale. Il poeta in quel momento si trovava in trincea sul Carso e, per distrarsi, volge la propria mente al ricordo di una notte parigina durante la quale aveva scorto sul ponte una ragazza «silenziosa e tenue»; nel malessere di questa ragazza, Marthe, riconosce il proprio malessere e per questo scrive «le nostre malattie si fondono». Il poeta, inoltre, afferma che, proprio «quando / la notte è a svanire», ossia al sorgere del sole, lui si estranea da quella sensazione di tranquillità provocata dalla notte, ritrovando l’inquietudine e la sofferenza di tutti i giorni; ciò è deducibile dalla descrizione ungarettiana di Parigi, caratterizzata da colori scuri e tetri che rimandano al campo semantico della morte. Possiamo ricollegare al tema del notturno anche Dolina Notturna, scritta da Ungaretti il 26 dicembre 1916: «Il volto / di stanotte / è secco / come una pergamena / Questo nomade / adunco / morbido di neve / si lascia /come una foglia / accartocciata / L'interminabile / tempo / mi adopera / come un / fruscio». Questo testo è un doloroso richiamo all’esperienza di guerra: la dolina, infatti, è una conca tipica della zona del Carso, dove il poeta, essendosi arruolato di sua sponte, fu inviato durante il primo conflitto mondiale. I primi versi, «Il volto / di stanotte / è secco / come una / pergamena», forniscono un’originale personificazione della notte, che viene rappresentata come un arido e asciutto volto, messo a paragone con un foglio di pergamena. In questa atmosfera tetra e buia spicca la figura di un nomade, che viene paragonata ad una foglia «accartocciata» in modo tale da sottolineare in maniera più evidente le peripezie e le sofferenze di un uomo colpito dalla guerra. Un’ulteriore personificazione è quella del tempo, che qui sembra quasi dominare e sopraffare il soldato; l’aggettivo «interminabile», inoltre, ha la funzione di evidenziare ulteriormente questo aspetto del tempo. Nel primo verso della poesia Un’Altra Notte, scritta il 20 aprile 1917, Ungaretti mette a fuoco la situazione in cui si trova utilizzando il deittico «questa»: «In quest’oscuro /colle mani / gelate / distinguo / il mio viso / Mi vedo / abbandonato nell’infinito». Qui il poeta esprime in maniera autobiografica le sensazioni e le emozioni legate all’esperienza di una notte di veglia passata al fronte, come l’oscurità visiva o il gelo. In questa prima parte della poesia prevalgono elementi negativi che si ricollegano al tema della morte. Il poeta, inoltre, riesce a ritrovare se stesso, in questa dimensione da lui stesso definita come «infinita», riuscendo ad identificarsi con un punto preciso nell’immensità seppur circondato da un’atmosfera oscura. Le poesie citate appartengono tutte al primo periodo letterario di Giuseppe Ungaretti, durante il quale compose una raccolta che decise di intitolare L’Allegria. Come si evince, dai testi presi in esame, Ungaretti vive gli anni della guerra in una costante devastazione interiore e affida i propri pensieri e le proprie paure alla notte; essa è per lui fonte di un’estrema tranquillità, totalmente opposta ai dolori che è costretto a sopportare ogni giorno sul fronte. L’esperienza della guerra, dunque, segnò il poeta nel profondo; ciò fece sì che Ungaretti continuasse a ritrovare nella notte un momento di tregua e di stabilità interiore www.anovecento.net anche dopo la fine del conflitto mondiale. Anche la sua seconda raccolta, intitolata Sentimento del Tempo - pubblicata per la prima volta nel 1933, comprende poesie scritte tra il 1919 e il 1935 - contiene alcune poesie in cui è possibile ritrovare il tema del notturno. Ungaretti disse: «Quando mi posi al lavoro del Sentimento del Tempo, due poeti erano i miei favoriti: ancora il Leopardi e Petrarca» (Vita di un uomo- Tutte le poesie, pag. 593). Da questa sua citazione si evince la sostanziale differenza tra L’Allegria e Sentimento del Tempo, sia dal punto di vista tematico sia da quello lessicale e stilistico. Nella seconda raccolta, infatti, il poeta affronta temi che differiscono tra loro, andando dal mito alla Roma barocca e alla calura estiva, a differenza de L’Allegria, incentrata sulle sue esperienze di guerra. Per quanto riguarda l’ambito stilistico torna l’uso della punteggiatura e viene reintrodotto l’uso dell’endecasillabo e del settenario, mentre ne L’Allegria incontriamo perlopiù versicoli privi di punteggiatura e, ogni tanto, di lettere maiuscole. Un punto in comune tra Giacomo Leopardi e Giuseppe Ungaretti è il frequente ricorso ad un’ambientazione notturna nei loro componimenti. Ma se per Ungaretti la notte rappresentava un’oasi di pace lontana dagli orrori della Prima Guerra Mondiale, Leopardi riflette nel paesaggio lunare la consapevolezza che tutta la sua esistenza, caratterizzata da continui dolori e angosce. Il poeta recanatese nello Zibaldone di pensieri afferma che «il poetico in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago…le parole notte, notturno […] le descrizioni della notte […] sono poeticissime, poiché la notte confondendo gli oggetti, l’animo non ne concepisce che un’immagine vaga, indistinta, incompleta, sia di essa che di quanto ella contiene. Così oscurità profondo...». (Zibaldone di pensieri, Milano, Garzanti, 1991, 4426). Possiamo trovare tra Leopardi e Ungaretti un altro punto in comune, ovvero il tema, dello scorrere del tempo e della caducità della vita umana. Ungaretti, ad esempio, approfondisce questo tema nella poesia O Notte, da lui scritta nel 1933: «Dall'ampia ansia dell'alba / Svelata alberatura. / Dolorosi risvegli. / Foglie, sorelle foglie, / Vi ascolto nel / lamento / Autunni, / Moribonde dolcezze. / O gioventù, / Passata è appena l'ora del distacco. / Cieli / alti della gioventù, / Libero slancio. /E già sono deserto. / Preso in questa curva /malinconia. / Ma la notte sperde le lontananze. / Oceanici silenzi, / Astrali nidi d'illusione, / O notte». Questa poesia, oltre ad essere pervasa da un grande senso di malinconia, è quella che più si avvicina alla visione leopardiana del mondo e della sua sofferenza; come Leopardi, in questa poesia Ungaretti, ridestandosi dal sonno, si rende conto che l’angoscia e il dolore non lo potranno mai abbandonare. Inoltre Ungaretti capisce che la dimensione della sofferenza non è una prerogativa esclusiva degli esseri umani, ma, al contrario, coinvolge e domina sia il mondo animato sia quello inanimato: ciò è deducibile da come il poeta si rivolge alle foglie, che lui stesso definisce «sorelle» e che personifica, affermando di riuscire ad avvertire il loro straziante lamento. Questa concezione dell’infelicità umana ci rimanda al pessimismo di Leopardi, che, in un passo dello Zibaldone, dice: «Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto, ma tutti gli esseri a loro modo. Non gli individui ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi». (Zibaldone di pensieri, Milano, Garzanti, 1991, 4175-7) www.anovecento.net Ungaretti si rende conto di questa triste verità nel momento in cui si sveglia, abbandonando la dimensione più intima e illusoria della notte e del sogno per ritornare a una realtà cruda e portatrice di sofferenze. Bibliografia • • Contributo Claudia Gioacchini, Alessia Dadi, Giulia Mistretta e Alessia Ferraro, V B (L. C. Dante, Roma) • G. Ungaretti, L’Allegria, da Vita di un uomo-Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1969 G. Ungaretti, Sentimento del Tempo, da Vita di un uomo-Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1969 G. Leopardi, Zibaldone di Pensieri, Milano, Garzanti, 1991 www.anovecento.net