UNGARETTI e le poesie di guerra
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UNGARETTI e le poesie di guerra
UNGARETTI e le poesie di guerra di Elena Molettieri, classe III D Fratelli. Fratelli è una parola che spesso usiamo per indicare una persona vicina a noi, una persona cara e conosciuta, alla quale siamo molto affezionati; ma ci è mai capitato di chiamare "fratelli" anche i nostri più rivali nemici, coloro che ci risultano antipatici e per i quali non proviamo nessuna forma di affetto? È proprio il caso del poeta Giuseppe Ungaretti. Egli nacque nel 1888 ad Alessandria d'Egitto, da genitori lucchesi. Dopo essersi trasferito in Francia, nel 1915 si arruolò volontariamente nell'esercito e combatté nella trincea del Carso e sul fronte della Champagne in Francia. È proprio qui, in campo di battaglia, che Ungaretti iniziò a scrivere le sue prime poesie, legate alla dura vita durante il Primo Conflitto Mondiale. Tra tutti i suoi componimenti, ce n'è uno particolarmente speciale: Fratelli. Infatti, in questi versi il poeta chiede con voce tremante e nella notte: -Di che reggimento siete fratelli?- Per mezzo di questa frase egli trova la forza di accomunare tutti gli uomini, compagni di guerra e avversari, in un unico insieme, come se tutti i soldati appartenessero a uno stesso esercito: quello umano. Inoltre, Ungaretti paragona la parola "fratelli" a una foglia appena nata, fragile e solitaria, nata in un'aria lacerata, ancora più labile, l'aria della guerra. Questo sostantivo viene pronunciato in modo involontario da un uomo consapevole della sua fragilità e della precarietà della sua esistenza. È questa la guerra, un avvenimento, una tragedia, un'insensata voglia di vivere. Coloro che l'hanno combattuta avrebbero dovuto inventare dei nuovi vocaboli, poiché la paura, la fatica, la fame, durante un conflitto, assumono altri significati, più intensi, più colmi: indescrivibili. In guerra bisogna essere disposti a Ungaretti al fronte tutto, anche a sdraiarsi accanto a un compagno morto, in attesa del suo impossibile risveglio, vivendo in uno stato di dolore e di ansia, di paura di essere colpiti dal fuoco nemico. Ebbene sì, è proprio quello che Ungaretti ha dovuto affrontare durante una lunga, interminabile notte di guerra. Ha dovuto vegliare, come dice il titolo della poesia Veglia, un suo compagno, la cui bocca digrignata (avvolta da una smorfia) e le mani livide e gonfie rimasero particolarmente impresse nel suo pensiero. In questo istante il poeta contrappone alla morte la vita della scrittura, in quanto, mentre l'uomo muore, le poesie rimangono e viaggiano nel tempo, indistruttibili. Questa è anche la teoria di Ugo Foscolo, che, consapevole di morire in terra straniera, dedica alla sua patria alcuni versi, tra cui: "Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra...". Tornando a Ungaretti, egli, vedendo la morte nel volto del compagno, si aggrappa saldamente alla vita, ipotizzando che quel corpo deforme dinanzi a lui avrebbe potuto essere il suo. La guerra assume quindi un carattere vivo, diventa una personificazione, in quanto essa uccide, deprime e prosciuga le anime dei soldati che la combattono. Essa può essere paragonata anche all'Inferno dantesco: coloro che vi entrano devono lasciare ogni speranza. Tutti questi concetti sono racchiusi nella poesia di Ungaretti, la quale, tuttavia, si presenta breve, essenziale e priva di nessi logici. Infatti, questo poeta è il principale esponente dell'Ermetismo. Quest'ultimo, più che un movimento letterario, è un modo di pensare di alcuni scrittori del Novecento. Il termine "Ermetismo" venne coniato dal critico letterario Francesco Flora per descrivere la difficoltà di comprensione di queste poesie; infatti, per gli ermetici, esse diventano un momento di folgorazione, di grazia, di intuizione improvvisa della realtà. Di conseguenza, le parole poetiche diminuiscono, assumendo ciascuna un forte ... egli trova la forza di accomunare tutti gli uomini, compagni di guerra e avversari, in un unico insieme, come se tutti i soldati appartenessero a uno stesso esercito: quello umano … Giuseppe Ungaretti valore simbolico. La poesia di Ungaretti mi ha colpita particolarmente, poiché riflette perfettamente la tragica essenzialità della guerra, il dolore dei soldati e la nostalgia di casa. Ma perché arruolarsi in guerra? O meglio, perché far scoppiare una guerra? Certo i motivi dell'inizio del Primo Conflitto Mondiale furono diversi, ma la loro conseguenza fu una sola. A mio parere, prima di far nascere una guerra bisognerebbe riflettere sulle cause e tentare di risolvere il problema in maniera differente, evitando così una vera e propria carneficina.