Menzione d`onore a

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Menzione d`onore a
XV edizione dei Colloqui Fiorentini
Giuseppe Ungaretti: “Quel nulla di inesauribile segreto”
Ente promotore Diesse Firenze e Toscana
In collaborazione con il
Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della Ricerca
SEZIONE TESINE BIENNIO
Presidente di Giuria: Prof. Edoardo Rialti, Comitato Didattico Colloqui fiorentini
Menzione d’onore
Motivazione: Un viaggio originale nei colori delle parole del poeta, che non sono affatto secondari
e svelano, invece, le sfumature delle sue domande e delle sue scoperte. Una bella prova di come si
possa, a partire da un accenno che colpisce, introdursi alla vastità di una voce umana.
Autrici:
Alessia Bascone
Giorgia D’Alessandro
Vanessa Rossi
Alice Wisniewski
Classe 2B linguistico
Docente referente: Daniela Riti
IL CALEIDOSCOPIO DEI
SENTIMENTI
L‟amore come tanti altri sentimenti racchiude un mondo. L‟intera vita di una persona è racchiusa in
questa parola. Nasciamo per amore, viviamo mossi dall‟amore, grazie all‟amore e per l‟amore.
L‟amore per le persone che ci sono vicine, per le cose che facciamo, per la vita, che ci consente di
andare avanti giorno dopo giorno affrontando ogni tipo di difficoltà. Chi riuscirebbe mai a vivere
senza tutto questo? Ovviamente come qualunque altra cosa porta anche cose negative, ma questo
avviene se ci abbandona ed è per questo che molti rinunciano a vivere questo sentimento per paura
1
della sua perdita. Ma a parer nostro va vissuto con tutta l‟anima, perché solo così si potrà dire di
aver vissuto veramente.
L‟amore si può esprimere in un miliardo di modi differenti. C‟è chi lo esprime a parole e chi invece
non ci riesce e usa la musica, i libri, la poesia. Ecco quindi che abbiamo percorso le pagine di
Ungaretti come in un viaggio immaginario e abbiamo colto tra le sue parole temi e sensazioni che
abbiamo sentito vicine, anche se così lontane nel tempo.
Il poeta è come se con le sue parole descrivesse le emozioni che trasmettono i colori, è come se
dipingesse i sentimenti e li analizzasse dal punto di vista delle loro sfumature.
L‟amore si può definire il sentimento che azzera tutti gli altri: ad esempio il bianco viene definito
colore neutro, il risultato di tutte le tonalità dei colori.
In tante sue poesie c‟è amore, che può essere amore per una donna, amore per i famigliari e amore
per la vita.
Bellissime le poesie di Variazioni sul tema della rosa.
A noi sembra che la rosa rappresenti proprio l‟amore, come essere bellissimo, perfetto e
impeccabile, ma che con le sue spine può provocare dolore alle persone che provano a toccarlo. Le
spine sono visibili, il poeta è consapevole della loro esistenza, ma sente dentro di sé che il dolore da
loro arrecato sia superabile e anzi sia insignificante di fronte all‟immensità della gioia.
Infatti Ungaretti ci fa vedere un amore paziente, che aspetta e c‟è sempre: sta a noi accettarlo o
meno, inseguirlo, superando i primi dolori causati dalle “spine di questa rosa”.
Mi aspettavi paziente
Predestinato amore,
T’inseguivo sperduta
Dal primo mio dolore.1
Noi pensiamo che sia davvero difficile essere pazienti: forse è più facile scrivere ma chi di noi
vuole davvero aspettare o inseguire l‟amore?
Nell’incorrere l’immagine sognata
Mille cadute.2
Ecco allora che il poeta fa capire che non è facile, come ogni altra cosa.
Bisogna rincorrere l‟immagine sognata, bisogna saper cadere e poi reagire e sapersi rialzare, perché
solo così il traguardo sarà gratificante. Per ottenere qualcosa di “sognato” c‟è sempre un percorso da
fare e la bravura non sta nel non avere difficoltà, ma nell‟accettarle, superarle e farne tesoro. Questi
2
versi possono quindi essere riferiti all‟amore nei confronti di una persona ma possono anche essere
attualizzati con la passione per qualcosa, con un obiettivo di vita.
Mi vestiva le membra solo il sangue,
Si spegnevano gli occhi,
Le mani consumate
Si chiudevano invano,
Periva il cuore.
La tenace tua carezza
Allontanò le tenebre,
Le lacrime frenate a lungo
Sgorgano felici.
3
Mentre prima senza l‟amore il poeta era distrutto, aveva le mani consumate, il suo cuore moriva,
ora con l‟arrivo dell‟amore, della “carezza”, tutta la sofferenza si allontana e le lacrime di
disperazione si trasformano in lacrime di gioia. Questo dimostra che vale la pena di soffrire e
Ungaretti ci mostra il contrasto fra prima dell‟arrivo dell‟amore e dopo il suo arrivo: è proprio da
questo contrasto che scaturisce la felicità. Quindi sulle spine del dolore germoglia un fiore rosso che
è l‟amore, che il poeta affida completamente alla persona amata. Infatti spesso quando si ama o
comunque quando si tiene a una persona si tende ad affidarsi all‟altro, si tende a sbilanciarsi
completamente e quindi se questa persona va via, allora noi, la nostra felicità, la nostra anima,
vanno via con lei e rimaniamo nuovamente soli. Però, non per questo dobbiamo rinunciare ad
amare.
A noi sembra che i sentimenti vengano espressi dal poeta anche attraverso la scelta dei colori, che
suggeriscono sensazioni diverse.
Nella vita quotidiana ognuno di noi predilige un colore o un altro anche a seconda dello stato
d‟animo. Questo si ritrova nelle poesie di Ungaretti, come ad esempio nella poesia Rosso e Azzurro,
in cui si associano i due colori all‟ insieme delle emozioni che trasmette l‟amore.
Ho atteso che vi alzaste,
Colori dell’amore,
E ora svelato un’infanzia di cielo.
Porge la rosa più bella sognata. 4
3
Anche in questa poesia compare la figura dell‟amore e della rosa.
In questa composizione l‟amore sembra realizzarsi nella sintesi degli opposti, con la
contrapposizione della sensualità e dell‟armonia.
Il rosso viene inteso come amore e freschezza, mentre l‟azzurro come la spiritualità, l‟infinito e il
mare.
L‟espressione “un‟infanzia di cielo” potrebbe essere interpretata in due maniere differenti: da un
lato la fanciullezza del bambino può essere associata al cielo come ricordo delle giornate passate nei
parchi a giocare; dall‟ altro lato il timore dei bambini può essere associato all‟ oscurità del cielo.
A nostro parere l‟infanzia incide molto nell‟ animo del poeta. Molto spesso nei suoi brani si ha a
che fare con delle sfumature che riportano ai giorni infantili del poeta. Possono essere stati felici o
tormentati, ma comunque hanno segnato il resto della sua vita.
Inoltre il cielo può influenzare le nostre emozioni in maniera differente a seconda di chi lo guarda;
ad esempio alcuni di noi nel guardare la pioggia si rattristano, mentre altri riescono a trovare la
quiete in essa.
Tappeto
Ogni colore si espande e si adagia
negli altri colori
Per essere più solo se lo guardi. 5
Il colore si allarga e si allunga se viene miscelato con altri, perché è vero che se lo guardiamo si
sente più solo ma secondo noi si sente solo perché non vuole essere osservato. Ha paura dei
pregiudizi altrui, di quello che gli altri possono pensare o dire. Per noi il colore è il simbolo di un
persona, che va apprezzata com‟è e non perché deve essere elogiata con mille pregi e pochi difetti.
Ungaretti nei colori esprime se stesso, infatti se leggiamo queste sue poesie emerge l‟animo triste,
di un uomo che ha perso delle persone a lui care, ma che non ha potuto far niente per salvarle. I
colori in questo l‟hanno aiutato a dare voce e immagine ai suoi sentimenti, sicuramente i colori
scuri che esprimono l‟interiorità. Abbiamo provato a soffermarci su come i colori vengono percepiti
dall‟essere umano.
I colori sono l‟espressione dell‟anima: si può esprimere quello che si pensa e a volte i colori grazie
ai cinque sensi riescono a comunicare emozioni. Con il gusto li assaporiamo, con la vista li
osserviamo, con il tatto li tocchiamo sulle tele di grandi pittori, con l‟udito li sentiamo gridare la
libertà di popoli sulle proprie bandiere, con l‟olfatto li odoriamo e ci ricordano proprio i vari tipi di
frutta.
Il colore non è altro che la percezione avvertita dagli occhi della luce riflessa da un oggetto. Da
4
Ungaretti viene ripreso più volte nelle sue poesie quando al fronte descrive il paesaggio e quello da
cui è circondato.
Egli nelle sue poesie fa uso di colori freddi perché per lui la poesia in sé è come uno strumento di
conoscenza della realtà. Essa contiene la storia del viaggio del poeta: dall‟angoscia esistenziale, che
deriva dal senso di dolore, alla fede in Dio; il percorso che prende avvio dalla condizione di
sofferenza e che trova poi approdo nella fede.
A lungo ricercò un‟espressione linguistica che esternasse il suo sentire e che poi individuò nella
parola essenziale dell‟Ermetismo.
In questa forma espressiva i colori sono espressioni di emozioni. Proviamo a pensare al nostro
coinvolgimento davanti a un quadro. Il pittore, come il poeta, esprime le sue paure, ansie e momenti
felici attraverso i colori. Se una persona ama il blu è perché esso è espressione di pace, calma,
comprensione, tolleranza, energia mentale e profondità di sentimenti.
Osservando i colori freddi inoltre ci si sente come persi, sperduti in un mondo immaginario dove
solo noi sappiamo rimanere perché lo sentiamo nostro, ma poi improvvisamente capiamo che rapiti
dalla sua bellezza stavamo osservando, ad esempio, il quadro Vecchio Chitarrista di Picasso, nel
suo “periodo blu”.
Il mare e il cielo ne sono un esempio. Le onde ci calmano e ci fanno pensare al futuro. Per noi è
come se nel mare riuscissimo a trovare una combinazione tra due mondi: quello terreno e quello
marino, a noi quasi sconosciuto.
Nel cielo riusciamo a vedere la felicità delle rondini che in primavera ritornano da un lungo viaggio.
Ecco che Ungaretti ci presenta un‟immagine quotidiana, quella di una casa dai contorni indefiniti,
resi solo attraverso le diverse tonalità
Con colori che vanno da certi
tetti rossi al giallo camoscio,
a certi rosa annacquati, a tutta
la gamma dei grigi, ai verdi delle
persiane, si sfrena un vero
carnevale di pittura.
6
I colori freddi vengono messi in contrasto con i caldi. Questi colori emanano verso di noi sensazioni
felici che vanno in contrasto con quelle tristi. Ci sono i tetti rossi che magari vengono addobbati per
Natale dalle famiglie che abitano quelle case. Poi col passar del tempo la felicità e la spensieratezza,
che viene durante i giorni festivi, svanisce d‟un tratto quando si arriva al rosa che ricorda quel rosa
5
acceso dei costumi da bagno che vengono portati dalle ragazze al mare, al verde di cui sono fatti i
prati dove si studia gli ultimi giorni di scuola a maggio e infine si ritorna ad un altro periodo
invernale con la gamma dei grigi che riporta tristezza per l‟inverno alle porte.
Tramonto
Il carnato del cielo
sveglia oasi
al nomade d'amore. 7
Qui secondo noi il colore va osservato da vicino con la persona che si ama perché ci si perde nei
suoi occhi e nei colori idilliaci di quel fenomeno ottico. Per i due innamorati il tramonto rappresenta
un‟àncora a cui aggrapparsi nei momenti del bisogno e che va osservato con attenzione e vanno
scattate delle foto con la memoria per immortalare quei momenti. E‟ proprio questo che i colori
vogliono dirci: se li osserviamo attentamente vediamo che sulle tele non vengono messi
casualmente ma seguono delle rigide regole che allo stesso tempo potrebbero non essere rispettate.
Il tramonto con i suoi colori fa scaturire nell‟innamorato delle forti emozioni, così come un nomade
che in mezzo al deserto trova un‟oasi, cioè un luogo meraviglioso e di salvezza.
Abbiamo in mente anche un altro poeta che utilizza i colori nelle sue poesie è G. D‟Annunzio,
anche se il Vate predilige i colori caldi. Gabriele D'Annunzio diceva: il colore è lo sforzo della
materia per diventare luce. Nelle sue opere è assente il colore marrone, sostituito dal termine
“bruno”, non è presente neanche il rosa, anche se il poeta usa termini derivati (rosato, roseo). In
alcuni casi è strettamente connesso al fiore omonimo e come gradazione di rosso.
D‟Annunzio aveva inventato anche i nomi di alcuni colori: il violato, il verde malachite, l‟azzurro
soave e l‟azzurro araldico.
Invece Ungaretti nelle poesie della Prima Guerra Mondiale presenta spesso il colore del fango.
Uomini costretti a farsi fango, a rompere la terra, a ridurre la propria umanità per non vedere la
morte che riempie gli occhi, soldati che non alzano mai la testa, tenendo lo sguardo ben dentro
all‟impasto senza forma che li ha generati.
E‟ proprio questo a volte: l‟uomo non riesce ad accettare la morte, è come un vento che arriva e
all‟improvviso soffia su di te. Tu chiudi gli occhi e in un attimo vedi tutto nero: non sai dove sei ma
sai che veglierai sempre sulle persone che ti vogliono bene. Il nero è un colore neutro: esprime
negazione ma anche mistero, nonché lutto e morte. Eppure Ungaretti non ha mai smesso di
marciare, di ricominciare tutto da capo. E‟ stata la poesia a consentirgli di attraversare momenti bui
soprattutto quando le persone amate lo hanno lasciato per sempre.
6
Il colore nero a primo impatto dà una connotazione negativa. Il nero è l‟insieme di tutti i pigmenti,
ma è anche la mancanza di colori che formano la luce. Noi, ad esempio, pensando al colore nero
pensiamo a qualcosa di scuro, in un momento in cui la luce manca, come ad esempio la notte.
Quest‟ultima è qualcosa di magico, in contrapposizione però, con la paura. Nessuno girerebbe per
strada a notte fonda, perché comunque non si ha un senso di sicurezza a girare al buio, ma al
contrario fare viaggi lunghi di notte ti può dare un senso di libertà. Viaggiare di notte può essere
qualcosa di grandioso: nel momento in cui guardi fuori dal finestrino della macchina, dell‟aereo…
la mente è lasciata alla libera immaginazione. Il silenzio regna intorno a te, il mondo sembra essersi
fermato.
Ungaretti molto spesso fa riferimento alla notte nelle sue composizioni. Probabilmente per lui
quello poteva essere il momento in cui riusciva a pensare meglio, oppure faceva riferimento alla
notte proprio perché era una paura che si portava dentro da sempre. Quando si è bambini si ha
costantemente paura del buio, ma col tempo si tende ad apprezzarlo e quella paura rimane soltanto
un ricordo sbiadito dell‟infanzia. Una poesia molto toccante per noi è stata Un’altra notte, di per sé
breve e semplice, ma con all‟interno una molteplicità di significati. Del resto ogni poesia ha al suo
interno più significati, molto spesso nascosti, che a primo impatto possono sembrare comprensibili
esclusivamente al poeta.
In quest’oscuro
colle mani
gelate
distinguo
il mio viso
Mi vedo
abbandonato nell’infinito. 8
Ungaretti scrive la poesia Un’altra notte nel periodo in cui si trovava in guerra, nel Carso. Ci piace
pensare che abbia scritto questa poesia a notte inoltrata, in una sera nella quale non riuscendo a
dormire si mise a contemplare il buio. Non riuscendo a mettere a fuoco nessun soggetto, gli sembra
quasi di sentire la paura di scomparire, la paura di essersi perso in quel buio immenso. Così per
avere qualche certezza in quell‟immensità, decide di toccarsi il viso, sentendo le mani gelide per il
troppo freddo invernale. E così decide di lasciarsi andare in quel buio, in quell‟immensità, in
quell‟infinito di oscurità.
Ecco quindi il concetto di infinito in cui Ungaretti trova il racconto del finito, la contrapposizione
tra l‟attimo e l‟infinito stesso.
Questo senso di universo sconfinato è presente anche nella poesia Il porto sepolto.
7
Vi arriva il poeta
E poi torna alla luce con i suoi canti
E li disperde
Di questa poesia
Mi resta
Quel nulla
Di inesauribile segreto. 9
Ungaretti parlando del “porto” parla del nostro animo, descrive il poeta stesso che si osserva dentro
di sé portando al di fuori della sua anima le emozioni e i segreti più nascosti sotto forma di poesia.
Purtroppo però ci sono parti di noi stessi che ci restano estranee: ci sarà sempre qualcosa che per
quanto puoi andare a fondo non riuscirai mai a vedere con chiarezza.
“Quel nulla …”: basti soffermarsi sulla parola nulla: “La categoria mentale del non essere,
dell'assenza di qualunque cosa o concetto. Nella logica matematica, la classe cui non appartiene
alcun elemento, detta anche classe vuota, insieme nullo, ecc.” 10
Se si pensa all‟infinito si può dare più o meno la stessa definizione: un qualcosa di non ben definito,
qualcosa di difficile da spiegare, molto spesso lasciato a sé.
Che colore ha l‟infinito? Che colore ha il nulla?
Un insieme che, per quanto sia infinito, viene pensato come vuoto, nullo.
Questo senso di vuoto può dare le vertigini…può far sentire un senso assoluto di libertà, può farti
sentire padrone di tutto e di tutti, ma può anche dare un senso di sgomento e smarrimento. Ecco
quindi che di nuovo le parole di Ungaretti ci coinvolgono e ritroviamo in esse qualcosa di
vagamente familiare.
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio
11
Sentiamo anche noi la notte violentata da tutti questi rumori, questi continui brusii fastidiosi e ci
accorgiamo che non sono i fischi delle mine della trincea ma sono i nostri pensieri, i nostri continui
8
problemi, i nostri continui dubbi, e non riusciamo mai a trovare una soluzione al problema.
Immaginiamo di trovarci in uno spazio immenso senza nulla attorno a noi, solo i nostri pensieri.
Immaginiamo allora di ritrovarci davvero in un campo di battaglia, precisamente in una trincea, con
degli alleati e degli avversari: quindi dei vincitori e dei vinti. Immaginiamo di essere
improvvisamente dei soldati semplici, che vogliono proteggersi dalla società del momento, che
vogliono combattere contro i propri problemi e quindi immaginiamo di essere Ungaretti per un
semplice momento, anche per un attimo.
Ciò che abbiamo dinanzi a noi sono la paura, la voglia di vincere e di riuscire ad abbattere i nemici
per sempre. Così Ungaretti ci parla di questa situazione, di questo contesto paragonabile ad una
guerra interiore che fa riaffiorare anche dei soli pensieri, dei semplici conflitti interiori.
Così Ungaretti con questa poesia ci descrive l‟ambiente a noi circostante … che sia per lui
l‟ambiente notturno in trincea disturbato per infiniti attimi da continui rumori e fastidi martellanti
… che sia per noi l‟ambiente notturno del dormiveglia in cui ci vengono per quell‟attimo o anche
per un minuto, un‟ora, interminabili pensieri. Non vediamo colori: tutto è buio intorno a noi. Ed è
quindi così che il poeta, in trincea, durante una notte violentata, vede i soldati contratti, in posizione
difensiva estrema, accovacciati e pure vigili, come a volte succede per le lumache che tirano fuori la
loro testa se tutto intorno è tranquillo, ma non appena avvertono un pericolo, si ritraggono nel loro
guscio e non escono se non dopo un po‟ di tempo. Dunque, durante l‟assalto notturno, il poeta
ascolta il susseguirsi serrato di colpi di fucile dai quali nasce nella sua mente un‟immagine lontana
della guerra e della sua atrocità: il rumore degli scalpellini al lavoro sulle strade della sua città, non
visto ma ascoltato in dormiveglia.
Ma questo “dormiveglia” è solo una finzione, un‟ illusione che il poeta conosce bene ma non sa
evitare.
Mi pare
che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia
12
9
E continuando ad immaginarci nella stessa situazione di Ungaretti, pensiamo alle conseguenze della
guerra … Cosa comporta la guerra? L‟unica risposta è racchiusa all‟interno di una semplice parola
ma piena di significati, pensieri, cause e conseguenze: Morte.
Per Morte intendiamo la morte fisica; la definiamo anche una morte definitiva … noi non esistiamo
più … il nostro corpo non reagisce più a nessuno stimolo … il nostro cuore smette di battere … è la
fine di tutto: l‟anima si separa dal corpo. Ed è proprio quando sta per accadere, quando ormai il
nostro corpo è in fin di vita o quando vediamo un nostro amico, un compagno ucciso dalle bombe
della guerra, quando ci viene a mancare un familiare … è proprio in quegli attimi che ci accorgiamo
di ciò che abbiamo dinanzi a noi. Ungaretti prova proprio questo in trincea: si accorge di provare un
infinito amore, in quel momento, per quello che ha ancora da vivere e per quello che ha vissuto.
Perciò scrive lettere piene d‟amore.
…con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
13
Parlando di anima di certo oltre ad una morte fisica possiamo accostarle una morte morale … ma
cosa intendiamo per morte morale? Per morte morale intendiamo la morte dell‟anima, la morte della
felicità , dell‟amore , delle sensazioni , dei sentimenti … la morte di tutto ciò che riguarda la sfera
personale. In quel momento è come se ci fosse crollato il mondo addosso: una delusione dopo
l‟altra, un rischio dopo un altro, tristezza e infine apatia. Cadiamo in un grande baratro, un buco
nero dal quale per un tempo interminabile non riusciamo ad uscire: un tunnel oscuro, buio, dove a
noi sembrava di arrivare alla fine. Abbiamo pianto, urlato, perso gli occhi e il fiato pur di non finire
sempre più giù, ma la verità è che non possiamo mai andare sempre giù, perché il giù è finito.
Mentre possiamo andare sempre più su, perché il su è infinito. Ma in qualsiasi tunnel siamo
capitati, meritiamo tutti di uscirne.
Spesso però, dopo aver perso la conoscenza di noi stessi all‟ interno di questo tunnel buio, dopo non
sapere più chi siamo … non riusciamo più a fissare il nostro obbiettivo, non ne andiamo più alla
ricerca e ci sentiamo completamente inutili in tutto e per tutto. Allora ci sfiora la mente l‟idea della
morte e del suicidio.
Ungaretti ci riporta alcune di queste sensazioni nella poesia In Memoria dove ci ricorda del suo
amico Moammed Sceab , che si imbattè nella perdita di sé stesso e del suo obbiettivo … Moammed
10
nella ricerca di nuove culture e nell‟adattamento alla vita parigina, piuttosto che ritrovarsi , si perde.
Non riesce ad esprimere la sua tristezza e la sua solitudine in nessun modo: non aveva né un‟ àncora
di salvezza né una fonte di sfogo. Così si ritrova a sentirsi inutile e perso … completamente perso.
…E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono 14
Ognuno di noi prova due sensazioni opposte l‟una dall‟altra: l‟attaccamento alla vita e la precarietà
della vita
Cosa significa per noi la precarietà della vita?
La paragoniamo più o meno ad una perdita di equilibrio: non sappiamo esattamente se cadremo o se
riusciremo a superare l‟ostacolo e rimetterci in piedi. Non sappiamo se riusciremo a trovare la
stabilità che avevamo al principio, un po‟ come delle foglie in autunno … con la vaga sensazione
che se non riesci a riprendere la stabilità potrai mettere fine, di lì ad un istante, alla tua vita .
Sicuramente Ungaretti si è trovato a provare questa sensazione ma non ci fa lunghi discorsi; ci
propone pochi brevi versi che scendono dentro di noi con infiniti significati e sentimenti racchiusi
…
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie 15
Nello stesso tempo però Ungaretti ci dimostra anche il suo grande attaccamento alla vita: con
attaccamento intendiamo amore, desiderio , ricerca e scoperta della vita.
La vera e propria volontà di vivere in tutto e per tutto.
Questo si manifesta soprattutto quando noi, all‟ interno del nostro tunnel infinito vediamo uno
spiraglio di luce … vediamo speranza.
Tutto ciò grazie all‟ espressione, alla disperazione e alla scoperta della nostra àncora di salvezza.
Come àncora di salvezza vediamo un amico, un qualcuno o qualcosa con il quale sfogarsi e al quale
dire tutto ciò che abbiamo all‟interno di noi stessi. Possiamo parlandogli della nostra guerra
interiore, dei nostri continui dubbi, evitando di creare dentro di noi una grande bolla di conflitti che
prima o poi, anche con una sola soffiata di vento, scoppierà perdendo la sua forma, la sua
trasparenza. Alcune persone si rifugiano in chiesa; altre nella poesia, altre nei propri amici, altre in
11
tutto ciò nello stesso momento. Un amico è sincerità, fiducia, felicità. L‟amico è colui che ti aiuta a
rialzarti quando gli altri non sapevano neanche che tu fossi caduto. Un amico è colui che ci accetta
per quello che noi siamo e ci aiuta ad essere ciò che dovremmo.
Ungaretti ne aveva uno in particolare: lo conobbe a Parigi, poeta anche lui. Tra di loro c‟ era una
grande intesa e un legame profondo. Ungaretti lo andava a trovare in qualsiasi momento libero.
Parlavano di tutto e condividevano anche la stessa amata Lou . In occasione della sua morte
Ungaretti gli dedica una poesia che esprime la sua tristezza. Egli, che si era recato a casa del suo
amico Apollinaire per comunicargli la grande notizia del termine della guerra, lo ritrova morto a
causa della febbre spagnola. Questa fu una morte che, tuttavia, non riuscirà mai a cancellare il
grande affetto che il poeta Ungaretti continuerà a sentire per il suo grande amico e maestro. In
conclusione: l‟amicizia è una sola anima che abita in due corpi, un cuore che batte in due anime.
POUR GUILLAUME APOLLINAIRE
en souvenir de la mort que nous avons accompagnée
en nous elle bondit hurle
et retombe
en souvenir des fleurs enterrées 16
Ungaretti muore nella notte del primo giugno del 1970 a Milano. Il viaggio del vecchio lupo di
mare azzurro finisce qui, in questa notte di primavera dai colori tenui, nella città dove aveva
scoperto per la prima volta, lui uomo del deserto giallo e delle oasi verdi, la nebbia grigia nella città
in cui aveva scritto le sue prime poesie.
“Tra un fiore colto e l’altro donato/l’inesprimibile nulla.” 17
La verità è che non dobbiamo lasciarci inghiottire da quel nulla che è dentro di noi, fuori di noi e
tutto intorno a noi.
La verità è che una guerra per quanto possa essere facile o difficile da affrontare riporta sempre alla
ricerca della salvezza o alla morte … una guerra interiore ti riporterà sempre a cadere in un tunnel
buio, difficile o facile che sia , da affrontare … ma comunque tutto contornato sempre dal colore
verde della speranza e non sempre dal colore nero della notte .
12
Note:
1)
Giuseppe Ungaretti, Variazioni sul tema della rosa, da Dialogo. G. Ungaretti, Vita d’un
uomo, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
2)
ibidem
3)
ibidem
4)
Giuseppe Ungaretti, Rosso e azzurro, da Sentimento del tempo. G. Ungaretti, Vita d’un
uomo, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
5)
Giuseppe Ungaretti, Tappeto, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
6)
Giuseppe Ungaretti, I colori delle case. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie,
Oscar Mondadori, Milano, 2015
7)
Giuseppe Ungaretti, Tramonto, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
8)
Giuseppe Ungaretti, Un’altra notte, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
9)
Giuseppe Ungaretti, Il porto sepolto, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte
le poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
10)
Dizionario delle scienze fisiche_ Treccani
11)
Giuseppe Ungaretti, In dormiveglia, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte
le poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
12)
Ibidem
13)
Giuseppe Ungaretti, Veglia, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie,
Oscar Mondadori, Milano, 2015
14)
Giuseppe Ungaretti, In memoria, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
15)
Giuseppe Ungaretti, Soldati, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
16)
Giuseppe Ungaretti, Pour Guillaume Apollinaire, da Derniers Jours. G. Ungaretti, Vita
d’un uomo, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
17)
Giuseppe Ungaretti, Eterno, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
13
BIBLIOGRAFIA
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
Corrado Bologna, Paola Rocchi, Rosa fresca aulentissima, vol.4,6 Loescher editore, Torino, 2010
IL SOLE 24 ORE – GRANDI POETI
www.wikipedia.it
www.isoladellepoesie.com
www.rai.it
www.repetita.it
www.girlpower.it
www.studenti.it
www.skuola.net
www.treccani.it
www.parafrasando.it
www.orlandofurioso.com
www.flaneri.com
www.dormirajamais.org
14
XV edizione dei Colloqui Fiorentini
Giuseppe Ungaretti: “Quel nulla di inesauribile segreto”
Ente promotore Diesse Firenze e Toscana
In collaborazione con il
Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della Ricerca
SEZIONE NARRATIVA
Presidente di Giuria: Gino Tellini, Università di Firenze
Menzione d’onore
Autrice:
Anna Delfino
Classe 4 G linguistico
Docente referente: Daniela Riti
Occhi da soldato
Il freddo era arrivato e la guerra continuava ininterrotta a incitare giovani ragazzi ad uccidere.
Uccidere a vista, senza pensarci, come in un gioco di ruolo. Giovani volontari che, pur di prendere
parte a questo ignobile circolo vizioso, in cui hai paura e uccidi e di nuovo hai paura, non avevano
nemmeno fatto l‟esame di stato. All‟ epoca, nella sua classe, alcuni compagni si erano già arruolati
e giravano per la città con questa divisa verde che attirava gli occhi ammirati dei ragazzi e i sorrisi
ammiccanti delle piccole donne. L‟Italia aveva finalmente preso parte alla Grande Guerra e cercava
l‟onore attraverso le armi. Tutto adesso parlava di vittoria, medaglie e disertori.
Nonostante fosse solo poco più di un anno che la guerra era iniziata, l‟aria che si respirava aveva
l‟odore dell‟esaltazione e proprio in questo contesto partirono i ragazzi del ‟99. Avevano diciassette
anni ed erano visti dall‟esercito come rinforzi al fronte, come le ricariche delle armi che ti
permettono di uccidere il nemico.
Emilio era tra loro: diciotto anni compiuti, magrolino e quasi poetico, tanto da amare la guerra
prima ancora di averla vissuta. Amava la fotografia, amava la vita e non voleva cadere nell‟oblio;
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quell‟oblio che l‟umanità produce per evitare i sensi di colpa a coloro che restano sulla Terra ancora
per un po‟.
<< Perché sì mamma, devo partire! L‟Italia ha bisogno di me, tornerò a casa vivo e questo paese
avrà vinto. Dipende anche da me, mamma!>>
<<Emilio, smettila! Tu non capisci che stai andando a morire. Non credere a loro, non credere ai
giornali.>>
<<Mamma io sto andando, vado volontario. Vedrai, sarai fiera di me. La mia vita avrà un senso,
dopo che avremo sconfitto gli austriaci. Ti scriverò. Minuccia, la sorella di Frollo, ti informerà e ti
porterà le lettere. Vado, mamma, e vedrai che rimarremo nella storia.>>
Così passò a casa di Frollo e insieme andarono in caserma. Erano contenti e spavaldi, non
consapevoli del fatto che da lì a poco si sarebbero trovati nel pieno delirio della pazzia: l‟orrore più
profondo prodotto dall‟ingegno umano.
Vennero accolti insieme ad altre migliaia di giovani volontari, ascoltarono discorsi patriottici e
profondamente carismatici che alimentavano la forte voglia di vittoria. Erano convinti di poter
cambiare le sorti italiane, di poter ridere in faccia alle armi austriache, di poter uccidere senza
rimorsi, senza paura, con mano ferma e mente concentrata. Ci credevano davvero e con questa
convinzione molti morirono nei primi mesi.
L‟inverno avanzava incessante e portava il freddo, la neve, il gelo. Alla natura non interessa
dell‟uomo: fa il suo dovere, congela tre mesi dell‟anno e poi lascia spazio alla primavera e non è un
problema se intanto moltissimi uomini vivono per terra, quasi abbracciati fra loro per mantenere il
calore corporeo. L‟inverno quindi avanzava di pari passo con le morti e con le trincee che si
muovevano verso il nemico.
Emilio e Frollo erano stati separati non appena i generali si erano tolti le maschere e si erano rivelati
per quello che erano: burattinai che decidono per i soldati semplici, ma a loro volta comandati da
chi, seduto nella propria poltrona, si sente parte del combattimento decidendo cosa far pubblicare
dai giornali e cosa, invece, omettere. Le belle parole non si sentivano più da molto tempo.
Frollo era stato mandato al fronte occidentale insieme ad altri centocinquanta ragazzi con la
responsabilità di mantenere il nemico lontano. Poche ore prima era stata uccisa la maggior parte dei
soldati proprio lì e loro erano stati inviati come rinforzi. Quando arrivarono la vista fu terrificante:
decine di corpi stesi a terra, freddi, un po‟ per la neve che li circondava e un po‟ per l‟assenza di
vita che regnava in loro. Questa fu la prima volta che si resero conto dell‟assurdità e della falsità di
tutto ciò che veniva raccontato nelle azioni propagandistiche che avvenivano in città al fine di
reclutare nuove giovani vittime sacrificate all‟effimera idea di onore nazionale. Il cuore di quei
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ragazzi era partito giovane e speranzoso ma velocemente stava invecchiando e raggrinzendo
costringendoli a dimenticare la scuola, gli scherzi e le risate per accogliere paura, morti e freddo.
Anche Emilio si trovava in prima linea, non troppo lontano dall‟amico del quale aveva notizie
tramite lettere o per sentito dire da altri soldati. Era stato assegnato al terzo battaglione e portava
sempre la sua macchina fotografica quando, per qualche momento, poteva lasciare le armi. Ma ciò
non accadeva molto spesso. I mesi passavano e la vittoria tanto sperata non si vedeva nemmeno
lontanamente e così tutto ciò che credevano sarebbe durato al massimo un anno, si prolungò
diventando quasi abitudine.
Emilio mantenne la promessa che aveva fatto alla madre e spesso le mandò sue notizie. Una lettera
in particolare la fece emozionare. Emilio aveva compiuto da poco diciannove anni, era settembre e
scriveva così: “Certo il fischio delle pallottole non è troppo piacevole la prima volta e credo
neanche dopo, ma ci si fa quell‟abitudine necessaria per rimanere impassibili. Ora per esempio
qualche d‟una si sente e tra le altre una è venuta ad infrangersi contro il muro della mia “baracca”. E
si sente la mitraglia che si diverte a fare: tatata pumpumpum tatata pumpumpum. E‟ di notte. Stai
bene, scrivimi se hai tempo e non preoccuparti troppo…Tuo Emilio”.
Era il perfetto ritratto di ciò che stava accadendo.
Era il 1917.
I giornali invece parlavano d‟altro, evitavano di raccontare che i generali più valorosi avevano crisi
di pianto e che i loro patriottici soldati combattevano senza onore, per paura di essere fucilati dai
superiori. Riportavano titoli come: L’Italia vincitrice o Onore all’Italia ma la realtà era ben diversa.
Era il 10 maggio e la maggior parte dei soldati ancora in vita erano stati spostati nella Valle
dell‟Isonzo, dove si preparavano alla decima battaglia. Gli unici uomini esaltati erano i soldati
semplici appena arruolati; per il resto il clima di disperazione era diffuso in ogni mente ragionevole.
Eppure, per una volta, si sperava per il meglio: l‟Italia poteva contare su una quantità di battaglioni
e di armi che gli austro-ungarici non avevano. Chiunque quindi, si preparava alla vittoria. L‟attacco
era stato preparato dal generale con minuziosa cattiveria e di lì a due giorni tutto sarebbe iniziato. I
soldati bevevano e cantavano, scrivevano alle proprie donne e alle proprie madri.
Emilio e Frollo si erano ritrovati. Lui faceva foto, l‟altro scriveva in continuazione a Minuccia.
L‟aria che si respirava era quasi di festa e tendendo l‟orecchio era facile sentire un coro di stonate
voci maschili che si impegnavano a cantare: <<Se domani si va all‟assalto/ Soldatino non farti
ammazzar../ Quando sei dietro quel muretto/ Soldatino non puoi più parlà..>> e canzoni simili.
Calò la sera e forse, per la prima volta, i muscoli dei soldati si distesero leggermente preparandosi
all‟indomani con la dovuta determinazione, ma essi avevano meno terrore del solito. Tutti, tranne
Giuseppe, che era in guerra da due anni e veniva chiamato “Peppino il napoletano”. Aveva
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ventun‟anni e odiava le armi: quando venne chiamato dall‟esercito si trovava a casa e, non appena
vide la lettera, tentò di ribellarsi, di trovare un modo per farsi esonerare, ma in cambio ricevette
calci e sputi dal padre che si sentì disonorato dal primogenito codardo.
Peppino la guerra la odiava proprio, la trovava inutile ma soprattutto lo teneva lontano dal suo
amato Bruno che venne riformato a causa di un‟amputazione subita da bambino. Il napoletano era
bello, alto e moro, non molto muscoloso ma forte, tutti lo conoscevano. Emilio e Frollo avevano
spesso sentito parlare di lui e della sua pazzia. Peppino infatti aveva perso la testa solo sei mesi
dopo il suo arruolamento ed era riuscito a rimanere in vita grazie ai suoi commilitoni che lo
avevano salvato in più occasioni e grazie anche ad una buona dose di fortuna.
Quella notte però si trovava in trincea accanto a Emilio, che lo riconobbe dall‟accento e da un tic
che aveva all‟occhio mentre parlava. Voleva scattargli una foto perché sapeva che probabilmente
non sarebbe mai tornato a casa, se lo sentiva dentro: quindi scattò.
Peppino si girò verso di lui e iniziarono a parlare. Emilio sapeva che fosse strano, ma quella sera
c‟era qualcosa di diverso: era particolarmente tranquillo, si muoveva con estrema lentezza e rideva
per ogni parola pronunciata da lui o dagli altri soldati. La sua pazzia sembrava attenuata, come se
avesse lasciato il posto alla stanchezza e alla tranquillità, sembrava si trovasse in un mondo
ovattato. Nulla quindi lasciava intendere ciò che sarebbe successo pochi minuti dopo.
Stava parlando di Bruno e in un attimo l‟equilibrio si ruppe e nella trincea calò il silenzio, poi il
panico, poi di nuovo silenzio.
Qualcosa aveva avuto un guizzo nel suo cervello ovattato, perciò si era alzato in piedi, e già di per
sé questo gesto era assurdo, ma in più aveva deciso di urlare per essere sicuro di attirare
l‟attenzione.
Un urlo forte, che aveva mosso l‟aria, fermato il caldo, che aveva chiamato a sé uno sparo.
Tutto successe in pochi minuti e in altrettanto tempo tutto tornò come prima: né avanzarono gli
italiani, né lo fecero gli austriaci.
Ora Peppino non esisteva più.
Il suo corpo era caduto verso l‟interno della trincea e tutti potevano vederlo attraverso il buio: gli
occhi spenti, la bocca immobile, la terra rossa.
Mentre tutti sopravvivevano con la speranza di tornare a casa, Peppino aveva deciso di darla vinta
alla guerra.
Emilio si sentiva morire con lui. Scattò un‟altra foto, questa volta al volto sbigottito di Frollo, poi si
rese conto che non c‟erano più canti né voci e infine decise di accucciarsi e provare a pregare.
La notte passò veloce e la mattina iniziò la battaglia.
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Nelle menti dei soldati non c‟era spazio per pensare a nulla se non alla guerra perciò presto il
ricordo del napoletano venne relegato in un angolo e da molti dimenticato a lungo. L‟esercito
italiano era, in termini di numeri, migliore: più fornito e con una maggiore quantità di uomini
rispetto agli austriaci. Finalmente era arrivato il momento del riscatto, bastava vincere per poter
tornare a casa. Tutti già pregustavano gli abbracci con le famiglie, senza mai distogliere l‟attenzione
dal nemico.
Emilio era stato chiamato nella trincea accanto a quella dove aveva dormito e da lì poteva vedere
Frollo, Luigi, il corpo di Peppino e gli altri soldati. Nei pochi secondi di respiro lanciava sempre
un‟occhiata per vedere se fosse tutto a posto; nemmeno in quelle occasioni riusciva ad essere
egoista. La battaglia continuava e l‟esito appariva diverso ad ogni momento, sembrava una gara in
cui fino all‟ultimo non si può dire chi sia il più forte.
Nonostante l‟Italia fosse favorita dalle armi, gli austriaci le tenevano testa, uccidevano e facevano
sempre più prigionieri. Il rumore era assordante, il caldo aumentava, gli italiani avanzavano ma
perdevano soldati, si continuava a sperare.
Emilio diede un‟altra occhiata e vide Frollo a terra, colpito.
Per pochi secondi respirò affannosamente e poi smise.
Emilio non riusciva a smettere di guardare il sangue del suo amico mischiarsi con quello di tutti gli
altri.
Tutto durò pochi attimi, ma a lui sembrarono ore interminabili in cui non c‟erano più spari né
guerra, solo Frollo immobile.
Poi un fischio, infine il vuoto.
Era tutto nero, silenzioso, strano.
Ma era vivo.
Per Peppino e Frollo la guerra era finita. Ora anche lui era libero.
Era stato colpito alla spalla, una ferita che l‟avrebbe ucciso se non fosse stato soccorso subito. Cosi
poté lasciare il campo di guerra e non metterci piede per almeno venticinque anni. Venne portato in
un ospedale nel nord Italia, in seguito tornò a casa.
Era vivo, ma non c‟era spazio per la gioia. Nel suo paese le famiglie erano ridotte alla miseria e non
c‟era traccia dei sorrisi allegri che era solito incontrare mentre andava a scuola.
Era passato un anno dal suo rientro e finalmente aveva sviluppato il suo ultimo rullino di guerra.
Prima non ne aveva avuto il coraggio.
Il viso di Frollo era proprio come lo ricordava, la sua mente non ne aveva modificato nemmeno un
tratto: la fronte corrucciata, le labbra secche per il caldo, i capelli cortissimi. Gli occhi però non
erano i suoi, quelli erano gli occhi della guerra. Frollo li aveva dolci, chiari e sorridenti; quelli nella
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foto invece erano „occhi da soldato‟, terrorizzati ma non cattivi. Quelli erano gli occhi che avrebbe
sempre ricordato e che lui stesso avrebbe sempre avuto. Gli occhi che ebbero tutti i corpi stesi in
quella valle e che accomunarono i soldati austriaci a quelli italiani.
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