- Ceis Genova

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N.ro 25 - Mese di Maggio 2014
LE FOGLIE DI
TRASTA
MENSILE VOCE DELLA COMUNITÀ DI TRASTA CSG
EDITORIALE
In questo numero vorremmo raccontarvi alcune storie che hanno caratterizzato la nostra esistenza. Vita da strada, carcere, infanzie rubate sono argomenti
complicati, difficili da rendere pubblici ma che possono servire sia a voi che a
noi per evidenziare i problemi che ci hanno portato qui, per capire i perché e
i per come, per avere un confronto e, per quanto possibile, provare ad evitare
che questi riaccadano.
Gli articoli che leggerete vi provocheranno sentimenti contrastanti: in voi subentrerà pena, rabbia, fastidio ma in noi trasparirà la voglia di mettersi in gioco,
il coraggio di rendere pubblici i nostri peccati e la voglia di cambiare destini che
sembrano già segnati.
Idealizzazione e realizzazione:
i ragazzi della Comunità di Trasta e Doppia Diagnosi
Direttori: Mara e Laura
Coordinatore: Dimitri
Critico e correttore di bozze: Dimitri
Fotografie: i ragazzi della Comunità
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La Scalata e La Discesa
Mi ricordo quando uscii dal carcere dove ero entrato per sbaglio scontando diciassette giorni
prima che il giudice si accorgesse dell’errore. Ero talmente spaventato dalla privazione della
libertà che mi misi subito a correre per ricostruire la mia posizione economica. Cominciai
vendendo un videoregistratore a un mio fratello che mi diede in cambio delle tovaglie da
vendere. Come banchetto usai la brandina di mio figlio. Andai al mercato di Moncalvo di
Giovedì, ricordo che urlai talmente forte che venne un mucchio di gente,vendetti tutte le
tovaglie con un ottimo guadagno così cominciai la mia ascesa economica. Tempo tre mesi
mi ritrovai ad avere tre macchine ,due furgoni, due banchi con posti fissi in mercati tipo
Asti, Alessandria. Uno era affidato a mia moglie con l’aiuto di un operaio, l’altro lo conducevo io con una commessa. Riuscivo ad incassare più di quindici milioni in una giornata, la
folla mi acclamava, ero felicissimo, mi sentivo un dio, i miei colleghi non montavano più
intorno a me .Poi il successo mi diede alla testa, ebbi tre - quattro relazioni sentimentali
contemporaneamente e il V. vivo e positivo fece posto al V. cocainomane.
V.
Lettera dalla LUNA
Come la fiamma della candela che si fa piccolissima
prima di virare al celeste e spegnersi
lasciando a chi sta guardando una sinuosa bava di fumo
io la vedo che se ne va, sento che se ne sta andando
lo chiamo amore, lo sto perdendo
quell’essere famelico a presenziare
in mezzo alle altre vite che accadono.
Scorrono, comunque, intorno, o al cospetto del più bel paesaggio, quell’insensata gioia che
soffoca all’improvviso.
Posso chiamarla lucidità la sto perdendo.
Davanti ai birilli della vita ,che sia slalom che sia bowling
davanti alle cose da fare, coscienti, volute, indotte, imposte.
La chiamo ingenuità, l’ho perduta.
Qual presupporre il meglio in fin dei conti, per il tempo che rimane.
La chiamo calma, io la vedo che se ne va, era il vapore
all’imbrunire sul lago, le nuvole basse,
o ancora meglio pazienza, quella per i puzzle e i modellini, giornate intere di applicazione,
incondizionata, passionale, creativa, genuina
l’ho perduta!
Amore,lucidità,ingenuità,calma,pazienza.
Alla fine si chiama semplicemente forza,
quella che serve per REAGIRE
Gi.
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Un ragazzo in una realtà fuori dal comprensibile
Entrare in carcere, per me, è stata una nuova esperienza. Ne avevo sentito parlare, molto
spesso, dalle persone che ci erano state e, quando sentivo quelle storie, cercavo di immaginare, immaginare cosa avessero provato, ma non capivo. Fino a che, una sera come tante, mi trovavo nel mio letto, con a fianco Ansia. Quando pensavo che se ne stesse andando,
cominciò a squillare il telefono….risposi. Cercavano lei, la ragazza dagli occhi bianchi,
di corsa presi il motorino e mi diressi verso il centro…..non avevo paura, mi era capitato
spesso di uscire di casa nel cuore della notte per accompagnarla a qualche appuntamento.
Quella sera era diverso, eravamo solo io, lei e l’asfalto, i marciapiedi erano deserti…troppo
silenzio. L’accompagnai e presi un suo occhio e lo scambiai per denaro, l’altro senza pensarci due volte, lo presi e me lo infiali su per la narice, fino a toccare il cervello…era una
sensazione eccitante. Non contento cominciai a vagare per la notte, fino a quando non mi
cedettero le gambe….dall’oscurità uscirono quattro figure vestite di giallo, si avvicinarono e, di forza, mi cominciarono a legare i polsi. Cercai di liberarmi, senza risultati. Quei
quattro uomini, vestiti di giallo sporco, mi avevano legato talmente stretto che, a mala
pena, riuscivo a muovere i polsi. Dentro la macchina cominciai a dare di matto. Dopo
qualche minuto mi rassegnai al mio destino.
Dentro, tutto quello che hai fatto nella vita, non conta più, è come ripartire da zero…..
capisci che sei rimasto da solo e l’unica cosa che ti rimane da fare è affrontare la realtà…
come vada, vada.
A.
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Ciao ANDREA
Non è facile scrivere un articolo sulla morte di Don Gallo Andrea, è di certo uno di quegli articoli che non si vorrebbe mai scrivere.
Il “Gallo”..... una persona fuori dagli schemi,controverso e coerente. Lui,sempre schierato
dalla parte degli ultimi:personaggi scomodi,senzatetto,tossici,prostitute,omosessuali ecc,
ecc. Lui, sempre in prima fila a difendere l’indifendibile, con il cappellaccio e il toscano in
bocca.
Scomodo per la chiesa alla quale non credeva, anzi, per la precisione il suo pensiero era che
quest’ultima si fosse smarrita, che avesse perso la sua vera identità cristiana; scomodo per
le istituzioni delle quali,senza alcun riguardo,metteva a nudo le ipocrisie e le mancanze.
Sono stato al suo funerale e, tra i mille volti conosciuti, ne ho visti tanti incravattati con
le loro facce di bronzo a spendere parole vuote e false. Il Don avrebbe bastonato queste
persone a dovere con la dialettica, la logica e la coerenza di sempre.
Io sono uno dei tanti passati per la comunità San Benedetto e mi ritengo un uomo fortunato per aver
avuto modo di conoscerlo bene. Persone così ne nascono poche e quando mancano lasciano
sempre un senso di vuoto.
Quando lo conobbi ricordo che rimasi un po’ perplesso ….erano giorni di fuoco, erano i
giorni del G8. La sua fama e ciò che sapevo di lui erano in contrasto con l’uomo anziano e
minuto che avevo di fronte, ma l’occhio era vispo attento e con il passo deciso e fiero. Ma
la vera sorpresa fu il suo modo di parlare, i suoi racconti erano sempre supportati da mille
esempi cosi chi ascoltava non poteva perdere il filo del discorso; era come se ti prendesse
per mano e ti guidasse in un tortuoso labirinto del quale solo lui conosceva l’uscita.
Adesso che è “altrove”gli ultimi hanno perso una guida e la città una risorsa. Fino all’ultimo la città vecchia, i vicoli erano il suo cuore e il suo campo di “battaglia”.
Io, che sono degli ultimi mi unisco al cordoglio dei molti a cui il Gallo ha fatto del bene
cercando di cambiare la mentalità bigotta della società e della chiesa, cercando di aprire (a
volte con il piede di porco) verso una mentalità più tollerante e di mutuo soccorso.
Sperando che” l’aldilà” ti lasci fumare il tuo toscano; addio Andrea e, se puoi non guardare giù, perché è uno schifo.
G.
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Una Gelida Serata d’Inverno
Accadde tutto in una gelida serata d’inverno. Andai a Firenze con l’intento di cambiare
vita, di lavorare onestamente. Genova, la mia città natale, era ormai diventata deleteria
per me, le mie giornate passavano tra un “buco” di eroina o cocaina, piccolo spaccio di
hascish e furti nei negozi, quando questi erano ormai chiusi. Il mio amico abitava nel
capoluogo toscano, ormai da qualche anno, così decisi di raggiungerlo. Trovai subito un
lavoro. Prima in una gelateria, poi in un ristorante e, infine, in un bar. Nella mia testa,
dopo pochi mesi, ricominciarono i brutti pensieri. La noia “riempiva” le mie giornate e,
dopo poco tempo, la droga ricomparve. Iniziai a “caricare” hascish, proprio come facevo a
Genova, ma, questa volta, lo spaccio avveniva per strada, durante la vita mondana fiorentina. I miei “clienti”, spesso universitari o impiegati, mi guardavano con un misto di ammirazione e paura, o così almeno credevo. Fino a quella maledetta sera. Un ragazzo, mio
cliente, mi chiese 10 g di cocaina. Io, non trattando quel tipo di sostanza, mi misi subito
in moto per reperirla. Era troppo allettante il guadagno di 2/300 euro per un massimo
di mezz’ora di sbattimento. Appena feci il “passaggio”, sentii un urlo da dietro. Mi intimavano di fermarmi, mi girai e vidi un uomo, con barba incolta e capelli lunghi, che mi
puntava una pistola gridando: polizia!. Venni arrestato e portato in una caserma, vicino
a Ponte vecchio e, dopo mezz’ora di percosse e domande, a cui non rispondevo, il Maresciallo disse la frase che sapevo già sarebbe arrivata: “Ti portiamo a Sollicciano”. Il viaggio
in macchina durò, all’incirca, 15 minuti. Arrivati a destinazione, mi trovai davanti ad
un’imponente costruzione, che poco centrava con l’ambiente circostante. Entrato in matricola, mi vennero prese le generalità e iniziò un’accuratissima perquisizione. Poco dopo
mi trovai in una cella di isolamento, in compagnia di un uomo di origine marocchina che,
apparentemente, poteva avere l’età di mio padre. Costui, pochi minuti dopo, tirò fuori
circa un grammo di cocaina e la usammo entrambi. Il giorno dopo arrivò la guardia che ci
disse di prepararci, perché saremmo stati trasferiti in sezione. Nella mia testa iniziarono
a susseguirsi pensieri e paure: come sarà la cella?, quali compagni troverò?, le guardie saranno persone umane? Le risposte arrivarono dopo poco tempo, entrai in una cella grossa,
all’incirca, come la mia camera da letto, gli inquilini erano cinque, tutti di nazionalità
araba. Stavano mangiando, si fermarono e aggiunsero un posto a tavola e riempirono il
mio piatto. La sezione dove ero finito era occupata, quasi esclusivamente, da straneri, mi
sentivo un estraneo, fino a quando, durante le ore di socialità, incontrai un ragazzo fiorentino che mi invitò a trasferirmi nella sua cella, dove rimasi per quattro mesi, fino al giorno della mia scarcerazione. D.
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La serenità che non ho mai avuto
Era il 13 maggio del 2013 ed ero presso la caserma dei carabinieri in Briaglia “Piemonte”
dove mi informavano che dopo una lite nella comunità di Cascina Mmartello a Mondovì
il magistrato di sorveglianza aveva disposto per me la custodia cautelare con l’ ordine di
scortarmi nel carcere più vicino (il carcere di Cuneo). Fu quel giorno che iniziò la carcerazione più dura che io abbia mai fatto, nonostante fosse la mia terza.
Erano le 18.00 e mi trovavo presso la matricola, che a differenza degli altri carceri aveva una
stanza di 2 metri per 2 adibita esclusivamente per la schedatura, aveva una finestrella che
aperta dava all’interno della stanza dove dalla parte opposta vi era una guardia che chiedeva
i miei dati e mi prendeva le impronte digitali. Appena finita quella che si può definire la
prassi, vengo scortato nelle celle dei nuovi giunti dove all’interno vi erano 7 letti a castello
in una stanza di 9 metri quadrati e le mura, che per colpa dell’umidità, erano tutte sgretolate. All’interno delle celle non vi era ne il bagno ne la doccia perché erano comuni.
Fu li che capi che non sarebbe stato per niente facile, che quel posto avrebbe reso la mia
carcerazione più dura di tutte le altre e non mi sbagliavo non potete immaginare che vita.
Il primo giorno sono uscito all’aria e mi sono guardato in torno e per un attimo non potevo credere a ciò che i miei occhi vedevano sopra la mia testa c’era una recinzione che non
permetteva di guardare il sole se non a quadretti. La cosa più assurda è che era l’aria più
piccola che avessi mai visto, per contare i metri feci dieci passi in orizzontale e dieci in verticale, a quel punto mi senti più in gabbia di quanto già non fossi. Mi resi conto che non
era niente in confronto a ciò che doveva ancora accadere . Un giorno esattamente dopo un
mese che mi trovavo li ricevetti la mia prima visita quando mi avvisarono di prepararmi
per andare a colloquio io mi vesti e scesi le scale, li trovai altri detenuti che come me andavano a colloquio. Allora non sapendo come funzionasse mi incamminai verso la sala quando
ad un tratto una guardia mi blocco e mi chiese dove stavo andando e io senza sapere niente
gli dissi che ero stato chiamato a colloquio, lui mi rispose che non ero a casa mia e che
dovevo aspettare il suo collega che ci avrebbe scortati fino alla sala, fu l’ attesa più lunga
della mia vita abbiamo aspettato la bellezza di quaranta minuti prima di poter incontrare
le nostre rispettive famiglie tutto perché la guardia era in pausa pranzo. Una volta giunti
nella sala ci hanno fatto spogliare per perquisirci prima di entrare a colloquio. Raccontai
a mia madre come era la vita all’interno di quel carcere e persino lei rimase sbalordita non
capiva come fosse possibile che ogni mio diritto venisse calpestato in quel modo, come se
io non fossi nessuno e la mia vita valesse meno di niente. In quel momento mia madre mi
disse di tenere duro e di pensare che ho passato momenti peggiori di quello per esempio
quando vivevo a Cuba, vi racconterò come e la vita nel mio paese d’origine.
All’età di sei anni vivevo con mio nonno che avendo problemi d’alcol non era molto presente e quindi era come se fossi da solo, ricordo che stavo in giro tutto il giorno e vedevo cose
che i miei coetanei non vedevano nemmeno in un film horror. Il ricordo che ho di Cuba
non è per niente bello, rammento che non c’era da mangiare e che passavo giorni senza
toccare cibo e rimanevo sdraiato a letto per le fitte che derivavano dallo scarso nutrimento.
La violenza era all’ordine del giorno, nelle strade si toglieva la vita per niente. Ricordo,
all’età di soli sette anni, di aver assistito a una scena che, tutt’ora, ho impressa nella mente,
un ragazzo seduto su degli scalini di fronte a me venne freddato con un colpo di pistola alla
testa e, trovandomi dietro a distanza di soli sei metri, mi raggiunsero frammenti del suo
cervello che in pochi secondi mi coprirono del suo sangue.
Oggi ho vent’anni e quelle scene hanno rivoluzionato la mia vita rendendomi privo di autocontrollo e schiavo del mio passato. Per questo mi trovo qui a cercare di combattere i miei
demoni cercando di frenare i miei istinti e sperando di trovare finalmente quella serenità
che non ho mai avuto.
M.
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Io ....... rapinatore innocente
Tutto iniziò nel gennaio 2001. Ero in sella al mio scooter insieme a Luca, era un freddo pomeriggio d’inverno, tutti e due raggomitolati su noi stessi per evitare il freddo pungente. Ad un tratto
si affianca a noi una Yundai, l’uomo al volante mi chiese un’informazione, io vedendo scendere il
passeggero, fiutai il pericolo e dissi al mio amico “SCAPPA C’E’ MADAMA”(eravamo in due sul
50). Riuscimmo a scappare trascinandoci l’uomo giù per la discesa, ma quest’ultimo, riusci a prendere la targa. Venni convocato in questura insieme a Luca poche ore dopo, convinti si trattasse di
una semplice contravvenzione con tirata di orecchie. Non fu così, infatti il maresciallo mi presentò
il conto: mandato di arresto di tre rapine, di cui non avevo niente a che fare.
Entrai nel carcere di Marassi a soli 18 anni da innocente. Per la modalità delle rapine svolte sapevo
come la pensavano i detenuti, ero convinto che non avrebbero creduto alla mia innocenza e che mi
avrebbero trattato come un “INFAME”. Fortunatamente, amici già da tempo in carcere, in particolare Tino, credevano fermamente nella mia innocenza e avvertirono i miei compagni di cella che,
se mi fosse stato torto un capello avrebbero fatto una brutta fine.
Come potete immaginare all’interno di una cella lunga sei metri e larga cinque i momenti di
intimità sono molto rari, anzi non esistono, per sopportare queste terribili condizioni di vita ci
sono vari modi, io scelsi il più pericoloso: aggredire prima di essere aggredito; questo mi portò in
poco tempo a crearmi un rispetto che dovevo mantenere giorno dopo giorno se no venivo mangiato. Una delle tante cose che non ho mai sopportato dell’ambiente carcerario è la prepotenza nei
confronti del più debole di turno. Io andavo per difenderlo e questo mi creava varie discussioni.
A causa del mio comportamento sopra citato venni trasferito in poco tempo al carcere di massima sicurezza di Cuneo, così pur non essendo imputato per associazione mafiosa ero costretto a
sottostare alle leggi previste dal 41 bis. Nonostante ciò il mio modo di affrontare la detenzione
non mutò, anzi,mi rese più forte, la sofferenza c’era sempre, però se in carcere abbassi la guardia
rischi, perché per cadere in depressione ci vuole niente. Ma io penso che queste esperienze da un
lato, sembrerà strano, mi hanno reso più uomo, dall’altro mi hanno fatto perdere la mia gioventù,
la crescita di mio figlio e il calore di mia moglie. Aimè però non rimpiango quello che ho fatto.
F.
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Il Mio IO
Se sol tu mi vedessi
tu forse capiresti
della mia persona esistere
ormai quei pochi resti
in quella cella oscura
dove solo il pensiero vola
l’occhio e la paura
fan di me, strumento di tortura
posso distruggere tutto
ma mai quel mio ideale
esempio di potenza
che son sicuro un giorno
sarà mia resistenza
alzare gli occhi al cielo
accarezzare il sole
ma tu vile vigliacco amico
non spaccherai il mio cuore
G.
Il poeta contadino
E’ l’attesa che mi spinge giorno dopo giorno alla speranza
al sentirmi parte importante di ciò che ho seminato
E’ l’attesa che mi responsabilizza come padre di un qualcosa che deve nascere
e che un giorno mi farà felice
Seguo con trepidazione gli sviluppi della natura
e aspetto,con tanta pazienza aspetto
trepidante, impaziente chiedo alla madre terra
di darmi un segno
quel segno che premierà il mio sudore
la mia voglia di dare
parlo con esso
un minuscolo germoglio che impaziente cerca di venire al mondo
si, è lui, una delle mie grandi soddisfazioni
lo curo come curassi me stesso
e aspetto che esso cresca
è meraviglioso ciò che la natura può darti
è meraviglioso amare, seminare, sognare.
Il germoglio ormai adulto non ha bisogno di me, ma mi guarda,
come volesse dirmi grazie per avermi curato
grazie, per avermi cresciuto.
9
Gio.
La Mia Vita in Macchina
Tutto inizio nell’estate del 2012. Durante un ricoverò per un incidente stradale all’ospedale
S.Martino, per il quale rimasi in coma un mese, ricevetti da mia sorella la notizia che mio
padre non mi voleva più in casa. Il mondo mi crollo addosso, cosa fare ora?,dove andare?.
Immediatamente mi rivolsi ad un assistente sociale presente in ospedale che m’indirizzò
presso la parrocchia di via del commercio a Nervi da Don Vincenzo. L’atteggiamento del
prete nei nostri confronti era tutt’altro che amichevole, infatti erano frequenti le offese , lo
sfruttamento sul lavoro. Mi accorsi presto che quel luogo mi stava portando alla depressione e decisi di andarmene.
Girovagando per le strade in preda alla disperazione e sotto il costante effetto di qualunque
sostanza riuscissi a trovare, incontrai una mia vecchia conoscenza che mi invitò a dormire
in una macchina abbandonata insieme a lui. Si trattava di una vecchia FIAT Punto di color
grigio metallizzato con una grossa venatura sul vetro anteriore e la batteria a terra. In poco
tempo quell’automobile divenne casa mia.
La mia giornata iniziava molto presto (provate voi a dormire in macchina fino a mezzogiorno) mi dirigevo subito al Sert di S. Martino per prendere il Metadone; subito dopo mi
dirigevo da mia sorella per le sigarette e qualcosa da mangiare, quando non la trovavo mi
mettevo a “scollettare”in strada oppure andavo dalle suore a mendicare un piatto di pasta
Arrivò l’inverno e tutto se possibile si complicò. Lavarsi era il primo problema, mentre d’estate andavo nelle spiagge, d’inverno non potevo farlo. Solo dopo un mese scoprii un centro
dove non potevo dormire ma mi diedero dei buoni doccia. Le giornate fredde e piovose le
passavo in macchina a leggere e a fare le parole crociate, l’alcool divento il mio unico amico
bevevo giorno e notte, i pochi proventi delle elemosine li spendevo tutti nel bere, il mangiare era diventato superfluo.
Ogni tanto provavo a bussare alla porta di mio padre supplicandolo di tornare ma ricevevo sempre risposte negative, sia i parenti che gli amici si dileguarono al punto che rimari
completamente da solo e continuai a bere sempre di più.
Dopo due anni di questa agonia decisi che l’unico modo per uscirne era entrare in comunità. Iniziai i primi colloqui a S. Benedetto ma la lista di attesa era troppo lunga, allora il
dottore del Sert mi propose un colloquio con la responsabile del CEIS, il giorno stesso mi
accolsero alla comunità di Trasta..Non avete idea cosa voglia dire dormire, dopo due anni
in una maledetta macchina, in un letto pulito e in luogo caldo e accogliente. Ringrazio le
persone che mi hanno accolto dai responsabili agli utenti fino ad arrivare a tutti i volontari GRAZIE
M.
.
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Carcere Meridionale
Il più brutto periodo che ho trascorso in carcere è stato quando sono stato trasferito a
1200 km dalla mia città, per l’esattezza sono finito a Castrovillari in provincia di Cosenza.
Oltre che la lontananza c’era anche il modo di “vivere” diverso dalle carceri del nord Italia, perché in Calabria e in tutto il meridione, hanno uno stile di vita basato sul rispetto e
hanno una gerarchia ben definita, formata dal capo carcere, capo sezione e capi cella.
Ti svegliavi la mattina presto, dovevi farti il letto perfettamente, dovevi obbligatoriamente cambiarti in bagno sia la mattina che la sera; difatti in dodici mesi non ho mai visto
una persona a petto nudo o in mutande. Bisognava salutare tutti con il buongiorno e buonanotte, con tanto di stretta di mano; a tavola bisognava aspettare che il capotavola desse
il buon appetito per il mangiare e buona digestione per alzarsi.
L’area, cioè le ore di passeggio giù in cortile, duravano due ore al mattino e due ore il
pomeriggio,avevi il tuo spazio perché i “capi”avevano il loro spazio dove tu comune mortale non potevi passeggiare.
Oltre a tutto questo non esisteva il metadone o terapie varie così i tossici facevano bene a
riprendersi subito perché il carrello degli psicofarmaci doveva passare dritto.
Se non salutavi qualcuno venivi fermato con tanto di domande del tipo...”ma avete qualcosa con quel tizio?”,”perché non avete dato il buongiorno?”, é molto importante dare
sempre del voi a qualsiasi persona anche giovanissima.
In poche parole tutto un mondo a parte. Al nord c’è il rispetto, come deve essere, forse
un po’ accentuato perché “dentro” sei portato a determinati atteggiamenti per non farti
mettere i piedi in testa; in Calabria, invece, hanno un modo tutto particolare di vivere la
galera. Da questa esperienza ho preso i lati positivi, come il rispetto per il prossimo e ho
imparato a cambiare atteggiamento a seconda della persona che ho davanti.
Ah dimenticavo di presentarmi: sono F. nato a Genova e da otto giorni sono qui al CEIS
di Trasta e devo dire che mi sono ambientato bene. Spero di risolvere gran parte dei miei
problemi, per riuscire a vivere dignitosamente una volta fuori di qui.
F.
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LE FOGLIE DI
TRASTA