quella bottiglia di vino e il kugel.
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quella bottiglia di vino e il kugel.
QUELLA BOTTIGLIA DI VINO E IL KUGEL. Sin da bambino il mio nonno materno, Sebastiano, mi aveva promesso una bottiglia di vino che riposava, da qualche tempo, nella cantina della nostra casa. Il vino era il mevushal, un piccolo dono da parte di una famiglia ebraica che, mio nonno, aveva conosciuto e aiutato a fuggire dalle persecuzioni naziste durante la seconda guerra mondiale. Mio nonno narrava anche di una deliziosa pietanza, il kugel, una specie di sformato di patate che aveva mangiato insieme alla famiglia ebraica. Il kugel e il mevushal si sposavano perfettamente. Una sera d’agosto, avevo compiuto da poco vent’anni, mio nonno Sebastiano spirò l’ultimo anelito di vita. Prima mi aveva guardato dritto negli occhi sentenziando: “Un giorno troverai quella bottiglia di vino. La potrai aprire solo in un’occasione speciale. E ricordati di mangiare prima del kugel.” Io dissi di si con un cenno della testa. Trascorsero dei mesi. Un giorno decisi di scendere in cantina. La puzza di umido salì lentamente nelle mie narici. Mi guardai un po’ in giro: una normalissima cantina. Il mio sguardo fu distolto da una grande ragnatela, non l’unica presente nella cantina, che copriva uno scaffale di ferro. Pareva che la ragnatela difendesse quest’ultimo. Con le mani aprii un varco nella fitta ragnatela e vidi quella bottiglia di vino: la stessa che mi aveva promesso mio nonno Sebastiano. Delicatamente la presi cercando di eliminare dell’altra ragnatela e l’immancabile polvere. Comparve una semplice bottiglia di vino. Ciò che m’incuriosì era la sua etichetta: indecifrabile poiché composta interamente da strane lettere squadrate e da una piccola e scolorita immagine. Riposi la bottiglia di vino e ritornai in casa. Mi ricordai dello sformato di patate, il kugel. La sua ricetta era in rete e domandai a mia madre di cucinarla. Con il piatto di kugel ridiscesi in cantina. Una malconcia e consumata sedia di paglia fu il poggio di quella bottiglia di vino, del piatto e di un bicchiere, mentre mi sedetti sul gelido e madido pavimento della cantina. Cercai di leggere le lettere dell’etichetta ma fu del tutto inutile. All’improvviso germogliò un desiderio irrefrenabile di aprire quella bottiglia di vino ma ricordai le parole di mio nonno: in un’occasione speciale. Lessi la data sul quadrante del mio orologio, il ventisette gennaio: il giorno del ricordo della Shoah cioè lo sterminio del popolo ebreo, ma rappresentava anche il 27 gennaio 1945 quando furono liberarati i prigionieri del campo più grande di concentramento: Auschwitz. Allora decisi di stappare quella bottiglia di vino. Prima di bere mangiai un pezzo di kugel: non aveva sapore allo stesso modo del primo sorso di vino. “Che strano”, pensai, “il nonno aveva affermato che questo cibo si sposava perfettamente con il vino.” Mangiai dell’altro kugel e bevvi del vino. Poi chiusi gli occhi e vidi una famiglia: sui loro malconci cappotti era stata cucita una stella di David. Con gli occhi ancora serrati bevvi un altro sorso di vino e osservai la figura nitida di mio nonno che aiutava quella famiglia a salire su di un vecchio camion che partiva verso la salvezza. Con avidità bevvi tutto il vino del bicchiere. Molteplici immagini si soprapposero: corpi emaciati che erano gettati nel fuoco e cumuli di cadaveri che venivano abbandonati nella neve senza una degna sepoltura. L’ultima immagine fu l’abbattimento di un grande e pesante cancello di ferro. Decisi di aprire gli occhi. Fissai, a lungo, quella bottiglia di vino e ciò che era rimasto nel piatto. Mangiai l’ultimo pezzo di kugel e bevvi dell’altro vino. Come per magia quest’ultimo, come lo stesso kugel, aveva un magnifico profumo e un ottimo sapore. Era il profumo e il sapore di un mondo migliore, dove non ci fosse mai più un qualsiasi tipo di Olocausto.