Un posto dove nascere - Premio Eno

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Un posto dove nascere - Premio Eno
“TROVATO”
(il vino dai mille profumi)
di Valter Simonini
Tutto era pronto per l’inizio della manifestazione. La Federazione Italiana dei Sommelier
era ben rappresentata da esperti di fama internazionale. Vi erano vini di ogni parte d’Italia da
saggiare in tutta la loro peculiarità enologica e background ampelografico. Bottiglie erano state
messe in bella mostra come soldatini pronti per la parata. In parallelo vi erano pietanze da abbinare
coi vini relativamente atti a creare il connubio eno-gastronomico perfetto.
Si diede inizio agli assaggi e, fra un calice e l’altro, passò la mattinata.
Ad un certo punto della manifestazione, nel tardo pomeriggio, era rimasto un piatto che ancora non
aveva trovato il vino accompagnatore.
Si trattava di un ‘arrosto di cinta cotto in bagno di brandy e dadolata di prugne’.
All’improvviso, chissà come e perché, comparve una bottiglia vestita elegantemente di un
tovagliolo bianco, proprio nel centro del lungo tavolo. Nessuno conosceva il motivo di quella
comparsa improvvisa, come se una mano misteriosa l’avesse calata di punto in bianco dal soffitto. E
nessuno si azzardò a domandare qualcosa. La bottiglia c’era e andava sottoposta all’assaggio.
Dunque, tolto ritualmente il tappo di sughero, parve subito a tutti che il mistero della bottiglia si
sarebbe reso ancora più arcano con l’assaggio del suo contenuto.
Il vino fu versato nei calici. Gli assaggiatori lo fecero ondeggiare un poco e aspettarono che il
contorno vitreo finisse di piangere. Gli archetti erano quasi ogivali e stretti fra loro come quelli di
un antico chiostro di marmo: una colata affascinante come mai avevano visto, di un vino forte,
robusto e volitivo. Il colore appariva di un rosso intenso, fra l’amaranto caldo e la luce di rubino. I
riflessi, molto discreti e appena accennati, si divertivano ad apparire e scomparire come il luccichio
delle onde del mare: perlacei di melograno e qualche sfumatura dell’indaco al tramonto. Qualcuno
giurò d’averci visto il rosso tra la porpora e lo scarlatto della muleta dei toreri. Si passò poi
all’esame del profumo, dell’aroma. Le narici degli esperti si aprirono fino alle sinapsi in una
elaborazione che tenesse conto di tutta la loro memoria, la loro esperienza e facesse capire loro la
natura dell’individuo, straordinario ed esclusivo, che stavano esaminando. Avvertirono essenze
mirabolanti ed inebrianti, tipiche del vino dalla personalità forte, decisa e originale. Perfino accenni
di sandalo sbriciolato in molecole di liquirizia, aromi di evocazione esotica subordinata però al
dominante sentore tannico del mediterraneo.
Ma il bello venne quando si passò all’assaggio. Il sorso si distribuì nella lingua e in tutti quanti i
suoi percettori. Ne godè pienamente anche il palato. Quel vino aveva una struttura straordinaria e
fascinosamente sconcertante nella sapidità e pienezza. Possedeva in sé la giudiziosa potenza dei
piemontesi, la grazia e soavità dei veneti, la robusta fierezza dei toscani, anche la forza solare delle
uve del sud, la sostenuta eleganza dei francesi e la briosa vivacità dei californiani, ma non si
riusciva a definirlo nella sua vera essenza perché, nell’insieme, possedeva una personalità sui
generis che nessuno era in grado di distinguere, se non che fosse, a parere di tutti, il miglior vino
mai sottoposto al loro giudizio organolettico. E da sposarsi perfettamente con l’arrosto di cinta.
La bottiglia fu scoperta della sua veste. Rimase così nuda sul tavolo. Non aveva etichetta, nome,
numero o segno di riconoscimento alcuno. Nessuno sapeva da dove venisse né che età avesse.
Così il presidente della manifestazione prese un foglietto e vi scrisse semplicemente come etichetta:
‘TROVATO’ - vino senza nome e senza età - il migliore a unanime giudizio.
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