la lingua del tasso tra polemiche e discussioni

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la lingua del tasso tra polemiche e discussioni
FRANCESCO MARTILLOTTO
LA LINGUA DEL TASSO
TRA POLEMICHE E DISCUSSIONI
LETTERARIE
Introduzione di
Andrea Pellegrini
Edizioni
Helicon
La lingua del Tasso
tra polemiche e discussioni letterarie
1.
Caratteri del linguaggio e dello stile del Tasso
Torquato Tasso è certo l’interprete più fedele della crisi
della società italiana nella seconda metà del Cinquecento,
ormai ineluttabilmente soffocata da preoccupazioni politiche e religiose, minata nella sua libertà espressiva dal
regolismo retorico ed accademico e avviata al tramonto:
di questa crisi del Rinascimento, Tasso percorre l’intera parabola, dal momento ancora agonistico e positivo,
quando è ancora possibile concepire illusioni magnanime
e ardenti desideri di gloria, fino alla rassegnazione sbigottita degli ultimi anni. Non di meno il suo individualissimo e personalissimo modo di poetare e creare parole di
poesia, l’unicità del suo stile, la sua «maniera» con la sua
dissolvente e stridente ricerca di una nuova classicità, la
sua pluralità di realizzazioni e continue sperimentazioni
ne fanno lo scrittore che più di tutti rinnova forme e linguaggi rispetto alla tradizione letteraria a lui precedente,
al punto da aprire un’età (il manierismo) caratterizzata da
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profonde inquietudini e dalla crisi dei valori in cui aveva
creduto un’intera civiltà. In tal senso, le più importanti
novità di lingua e di stile che emergono dalle opere tassiane si possono meglio comprendere in relazione ai dibattiti e alle polemiche che accompagnarono quasi tutta la sua
produzione, al di là della fin troppo nota controversia accesasi sulla Liberata. Se alla fine solo il «portento» Aminta,
pervasa dalle evasive atmosfere pastorali ma sorretta da
dirompenti esiti poetici e teatrali, sarà fuori discussione
ed anzi si inserirà in una tradizione letteraria di evidente
concinnitas, il continuo confronto del Tasso con quasi tutti
i generi letterari caratterizzato da esiti (nelle realizzazioni) fortemente innovativi suscitò l’interesse di letterati e
grammatici non sempre in sintonia con le soluzioni teoriche (di poetica) e pratiche (di lingua e stile) proposte
dal poeta.
Dallo studio delle censure linguistiche, a volte rispondenti ad un condivisibile criterio di estrema difesa della
tradizione linguistica fiorentina contro gli attacchi spregiudicati che il Tasso sferrava con veemenza, altre volte
estremamente discutibili e pedantesche, emerge un poeta lucido, consapevole e fermo sulle proprie convinzioni
teorico-pratiche, per nulla intimorito dalle risentite osservazioni dei puristi toscani. Si comprende allora come il
processo di severa autocritica e di filologismo regolistico
che investirà in pieno la Liberata e avrà come esito finale
il poema riformato rientri in una più esatta e veritiera
dimensione, configurandosi come il risultato di una sorta di involuzione del poeta e delle istanze ineliminabili
di compromesso che non come frutto della potente ed
intransigente pressione controriformistica esercitata sul
ceto intellettuale oppure della capitolazione del poeta di
fronte alle feroci osservazioni dei censori, Salviati in primis, e ai non sempre solidali «revisori romani».
La dimensione reale del Tasso sperimentatore di forme
e linguaggi è evidenziata nella sua interezza proprio dai
suoi detrattori e specialmente dalle annotazioni del difensore del più ortodosso fiorentinismo, quel Diomede Borghesi, docente di «lingua toscana», che più di tutti penetra
nelle fitte trame del tessuto linguistico tassiano compilando ex cathedra delle schede sugli «errori» nei quali il
poeta è incorso (dalle Rime al Torrismondo e dai Discorsi alla
Conquistata) e proponendo, contro la «larga inconsiderata
licenza» del Tasso, le «regole» dell’ «eccellente idioma»
toscano, distinguendo inoltre le voci proprie della poesia
e quelle pertinenti la prosa, a volte anche in contrasto con
i precetti dei grammatici cinquecenteschi.1
È il poema maggiore, la Gerusalemme liberata, a riassumere
in sé in maniera emblematica tutte quelle novità che conducevano al superamento del gusto letterario del primo
Cinquecento: ci si avviava alle nuove soluzioni dell’età
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1 Per esempi e dettagli si veda F. MARTILLOTTO, La «larga inconsiderata
licenza». Note su Diomede Borghesi censore del Tasso, in «Studi tassiani», n. 55
(2007), pp. 107-123.
barocca, con la sua densità sintattica, le nuove cadenze
e dissonanze lessicali e il gusto fiorentino o toscano cedeva lentamente il passo ad una sensibilità più «italiana».
Procedendo perciò dal capolavoro tassiano, cercheremo,
brevemente, di evidenziare le maggiori novità stilisticolinguistiche promosse dal poeta per poi spostarci all’interno delle altre opere, seguendo le osservazioni, di volta
in volta, oltre che dei detrattori, anche dei più sinceri sostenitori del poeta.
Il sedicesimo canto della Liberata si apre con la descrizione dell’incantata dimora della maga Armida affidata dal
poeta ad alcune ottave volutamente complicate e lambiccate dalle quali è possibile cogliere tutta la regale e avvolgente sontuosità del luogo, ben conveniente agli amori
che difende e nasconde nel suo giardino segreto, e alla
natura lussureggiante, opera essa stessa di magia.
Già il processo stilistico dell’ottava iniziale, secondo il
Daniele,2 può essere assunto come «tratto di tutto il canto, se non di tutto il poema», ma è dalla ottava strofa che
si coglie maggiormente il connubio fra natura ed arte che
avviluppa il lettore in un’aura di preziosismo aulico, quasi
alessandrino, di realtà e artificiosità, di rara virtuosità linguistica, di effetti cromatici, luminosi e sonori.3 Si legga2 A. DANIELE, Lettura del canto XVI della «Gerusalemme liberata», in
«Studi tassiani», 42 (1994), pp. 109-132: 116 [ora in ID., Nuovi capitoli
tassiani, Padova, Antenore, 1998, pp.145-176: 155].
3 Gran parte delle ottave del canto sedicesimo, come già per il
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no queste tre strofe:
Qual Meandro fra rive oblique e incerte
scherza e con dubbio corso or cala or monta,
queste acque a i fonti e quelle al mar converte,
e mentre ei vien, sé che ritorna affronta,
tali e più inestricabili conserte
son queste vie, ma il libro in sé le impronta
(il libro, don del mago) e d’esse in modo
parla che le risolve, e spiega il nodo.
Poi che lasciàr gli aviluppati calli,
in lieto aspetto il ben giardin s’aperse:
acque stagnanti, mobili cristalli,
fiori vari e varie piante, erbe diverse,
apriche collinette, ombrose valli,
selve e spelonche in vista offerse;
e quel che ’l bello e ’l caro accresce a l’opre,
l’arte, che tutto fa, nulla si scopre.
Stimi (sì misto il culto è co ’l negletto)
sol naturali e gli ornamenti e i siti.
dodicesimo, per la loro densità armonica e timbrica, saranno messe in
musica nel corso dell’ultimo ventennio del Cinquecento e nella prima
metà del Seicento. Si veda l’elenco fornito da A. VASSALLI, Il Tasso in
musica e la trasmissione dei testi, in Tasso, la musica, i musicisti, a cura di M.
A. Balsano e T. Walzer, Firenze, Olschki, 1988, pp. 45-90: 63-65.
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Di natura arte par, che per diletto
L’imitatrice sua scherzando imiti.
L’aura, non ch’altro, è de la maga effetto,
l’aura che rende gli alberi fioriti:
co’ fiori eterni eterno il frutto dura,
e mentre spunta l’un , l’altro matura.
(ott. 8-10)
Con versi intricati quasi a rendere l’intrico, con l’andamento ritmico inceppato, con la bella similitudine del fiume della Frigia, dal corso tortuosissimo,4 ci addentriamo
fra i caratteri della stilizzazione tassiana che si paleserà
sempre più estesa e completa nell’aspetto fonetico, morfologico, sintattico, lessicale e retorico allorquando il poeta sarà impegnato nel rendere il giardino reale in quanto
mimesi illusionistica, miracolosamente perfetta, della realtà e introdurrà tematiche ben care alle rime d’amore (in
primis la raffinata e artificiosa complicazione dei punti di
vista con Armida e Rinaldo tratteggiati in atteggiamento
di reciprocità illusoria, di specularità non simmetrica).5
4 «Ed è così tortuoso che in certi punti pare che le sue acque ritornino
indietro, e quasi vogliano rientrare nel letto già trascorso, cozzandovisi,
esse che risalgono a monte, con quelle che discendono al mare»: così
Arnaldo DELLA TORRE nella sue note alla edizione della Liberata
(prefazione di G. Mazzoni, Torino, Paravia “Biblioteca dei classici
italiani”, 1920).
Il poeta riesce molto bene attraverso la similitudine a rendere il cammino tortuoso che seguono Carlo e Ubaldo
con un esempio prezioso di compenetrazione di visività
e concettualità; poi, dall’ottava successiva l’immagine del
giardino che si costruisce come labirinto («fallace ravvolgimento» in enjambement nel distico finale della prima
strofa e ancora alla 35 troviamo «ed affrettò (Rinaldo) il
partire, e de la torta / confusione uscì del labirinto»)6 e
soprattutto come intrico («tali e più inestricabili conserte
/ son queste vie») lascia il posto ad un’ampia prospettiva
sull’incantevole scena che il poeta s’avvia a descrivere. Si
noti come la descrizione si avvalga di frequenti versi bimembri, spesso internamente conformati a chiasmo (è
il caso di 3, v. 3 «se l’inferno espugnò, resse le stelle») o in
parallelismo sintattico, quasi a rappresentare nella sintassi
il senso di seduzione avvolgente, di artefatta ed immobile
circolarità che caratterizza questa natura:
queste acque a i fonti e quelle al mar converte (XVI, 8, v. 3)
vezzosi augelli infra le verdi foglie (XVI, 12, v. 1).
Alcuni distici, poi, sono costruiti a spirale, con ampio uso
di chiasmi a catena:
acque stagnanti, mobili cristalli,
5 Cfr. B. RIMA, La metafora dello specchio dal Tasso al Marino, in «Lingua e
stile», XVIII (1983), pp. 75-92.
6 Cfr. l’analisi condotta da R. SCRIVANO, La metafora del labirinto tra
Ariosto e Tasso, in ID., Il modello e l’esecuzione, Napoli, Liguori, 1993, pp.
137-152.
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fiori vari e varie piante, erbe diverse (XVI, 9, vv. 3-4)
co’ fiori eterni eterno il frutto dura,
e mentre spunta l’un , l’altro matura (XVI, 10, vv. 7-8)
dove, ancora, è visibile l’antitesi aggettivale nella prima
determinazione (stagnanti - mobili). Segue ancora un’ antitesi, anzi una doppia antitesi
apriche collinette, ombrose valli (XVI, 9, v. 5)
nella quale non troviamo contrapposizione o imitazione
per inversione ma un rispondere termine a termine. Seguono ancora quattro versi, contenenti il celebre distico
sulla natura e sull’arte, rifatti dal poeta più d’una volta
senza guadagno alcuno per la chiarezza e che al Flora
parvero rappresentativi di tutta l’arte tassiana.7 Al di là
del senso interpretativo e del discutibile concetto estetico
7 «Due versi del poeta medesimo potrebbero addirsi alla sua arte, così
spontanea e così ricca dei richiami dell’arte precedente: quelli in cui del
giardino di Armida egli disse: Di natura arte par che per diletto / l’imitatrice
sua scherzando imiti, ove la natura imita a sua volta l’arte che è sua
imitatrice. Mentre qui è già posto quel paradosso che fu caro a qualche
scrittore dell’estremo ottocento, della natura imitatrice dell’arte, è
anche indicato uno stimolo che aiuterà a intendere l’arte del Tasso: la
sintesi che egli attuò di una severa disciplina nelle arti del dire e di una
spontaneità tutta ispirata e naturale, ove assai spesso la spontaneità
imita l’arte e l’arte imita la spontaneità» (F. FLORA, Introduzione a T.
TASSO, Poesie, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964, p. XXII). Sulle varie
forme di adattamento del testo da parte del poeta, cfr. A. DANIELE,
Lettura del canto XVI della «Gerusalemme liberata», art. cit., p. 125.
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secondo il quale l’arte sarebbe imitazione della natura, è
importante osservare come l’ingegnosa oscurità di questi
versi abbia la funzione di preparare un’atmosfera magica,
uno splendido gioco d’illusione nel quale lo stesso poeta
e il lettore rimangono avviluppati in quanto più dilettoso
della stessa realtà naturale. E l’ampio ventaglio di soluzioni retorico-stilistiche testimonia la grande attenzione
del Tasso per quegli elementi volti alla creazione di quel
“grande stile”, di quel livello nobile ed armonico cui era
diretta la gran parte del lavoro stilistico intenzionale del
poeta, come d’altronde emerge dalle pagine dei Discorsi
dedicate all’elocutio.8 Bastano pochi esempi e tutti nelle ottave undici e dodici: si va dal chiasmo («Nel tronco istesso
e tra l’istessa foglia», 11, v. 1, e «la tòrta vite ov’è più l’orto
aprico», 11, v. 6) alle insistite allitterazioni («lussureggiante serpe», 11, v. 5 in cui l’asperità delle sibilanti contribuisce a rappresentare il sinuoso procedere ; « la tòrta vite
ov’è più l’orto aprico», 11, v. 6 in cui il gioco delle liquide
congiunte alle dentali rappresentano lo sviluppo dei tronchi contorti; «infra le verdi fronde», 12, v. 1 in cui il gioco
delle liquide (r) congiunte alle fricative (f) contribuiscono
all’esempio di armonia imitativa), attraverso il prolifera8 In una lettera a Scipione Gonzaga del 22 maggio 1576 il poeta ammette
però di «essere stato troppo frequente ne’ contrapposti, ne gli scherzi
de le parole, ne le allusioni, ed in altre figure di parole» (T. TASSO,
Le lettere disposte per ordine di tempo ed illustrate da Cesare Guasti,
Firenze, Le Monnier, 1852-55, 5 voll., I, p. 180, n. 75).
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