La solitudine dei numeri primi

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La solitudine dei numeri primi
CINEMA
TEATRO
di Giuseppe Distefano
Somewhere
Un attore passa i suoi giorni in un lussuoso
hotel, tra apatia e passatempi fasulli.
Finché arriva la figlia undicenne, dallo
sguardo candido e interrogativo. Ce lo
racconta Sofia Coppola, che ripensa al
rapporto con suo padre e agli alberghi
frequentati con lui. Con uno stile tutto suo:
fotografia dai toni dolci, inquadrature fisse,
riprese lunghe di azioni elementari senza
tagli temporali, uno sguardo esistenziale e
pacato sullo scorrere concreto della vita.
Come in un documentario obiettivo le azioni parlano per quello che sono,
spesso trash. Ma senza pessimismo: una vita che girava a vuoto, come la Ferrari
dell’inizio, si volge verso cammini nuovi.
Regia di Sofia Coppola; con Stephen Dorff, Elle Fanning.
Raffaele Demaria
La solitudine dei numeri primi
È una fortuna che la sceneggiatura di
questo film sia stata scritta a quattro mani
dal regista, Saverio Costanzo, e
dall’autore del romanzo da cui è tratta,
Paolo Giordano. Grazie alle diverse
sensibilità e ai punti vista complementari,
i due sono riusciti a sottrarre (dal
romanzo) e aggiungere (al film) le cose
giuste per non ingessare la storia alla
pagina scritta e riuscire così a portare sul
grande schermo un originalissimo horror
dei sentimenti.
Le storie di Alice e Mattia sono quelle di due vittime della vita i cui drammi
subìti nell’infanzia, svelati poco a poco nel film da un continuo gioco di incastri
temporali, li hanno precipitati nella lacerante solitudine della malattia
(l’anoressia per Alice, l’autolesionismo per Mattia) che li separa dagli altri così
come da sé stessi. Come due numeri primi gemelli, appunto: vicinissimi ma
condannati all’isolamento, prossimi senza incontrarsi mai.
Costanzo è bravo: ha stile, dirige bene gli attori, anche adolescenti, costretti in
personaggi difficili e disagevoli, costruisce un meccanismo narrativo complesso
che riesce quasi sempre a governare appieno, riesce a scandire il ritmo del
racconto anche nei silenzi e nelle pause dei protagonisti. I limiti più evidenti
emergono quando l’estrema lucidità della messa in scena finisce per sconfinare
nella freddezza, raggelando le passioni in un eccessivo rigore stilistico che
toglie forza ed energia alla storia. Un bel film, comunque, e la conferma di un
regista di talento.
Regia di Saverio Costanzo; con Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Isabella Rossellini,
Giorgia Pizzo, Martina Albano, Tommaso Neri, Vittorio Lomartire.
Cristiano Casagni
VALUTAZIONE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE FILM
Somewhere: accettabile, problematico.
La solitudine dei numeri primi: complesso, problematico.
Mattatore di parole
Dopo tanto cinema, Elio Germano
torna alla prima passione, il teatro.
Si rimette in gioco con un testo
apparentemente sconclusionato:
Thom Pain (basato sul niente), di Will
Eno. Un illusionismo verbale di un
antieroe solitario, uno
sputasentenze alle prese con un
resoconto, non lineare, della propria
esistenza; per un bisogno di
comunicare che chiama in causa lo
spettatore «libero di immaginare».
Ascoltiamo la sua voce nel buio
totale dell’inizio. Poi, vocabolario in
mano, Germano cerca il significato
di parole da plasmare, che prendono
corpo e scorrono a ruota libera, alla
ricerca di senso. «Un uomo da solo
cosa può fare?», ci chiede. Tra
banalità e luoghi comuni, ricordi di
bambino e aneddoti adolescenziali,
barzellette e silenzi, entrano in
campo domande esistenziali. Cosa
intendiamo con la parola amore, che
valore daremmo al tempo se
sapessimo che ci rimangono tre
giorni di vita o quarant’anni? Butta
in scena parole come paura, vuoto,
smarrimento, speranza. Cerca
l’osmosi col pubblico, tenta di
sedurre, ci strappa risate. Si dona e
subito si nega. Chiede aiuto e
improvvisa giochi di prestigio per
riempire la distanza. Mescola
finzione e verità. E rivela un talento
camaleontico che però avrebbe
bisogno dello sguardo esterno
di un regista.
A “Settembre al Borgo”e a Roma
per “Le vie dei festival”.