Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
scheda tecnica
durata:
118 MINUTI
nazionalità:
ITALIA, FRANCIA, GERMANIA
anno:
2010
regia:
SAVERIO COSTANZO
sceneggiatura:
PAOLO GIORDANO, SAVERIO COSTANZO (dal best seller di Paolo Giordano)
fotografia:
FABIO CIANCHETTI
scenografia:
MARINA PINZUTI ANSOLINI, RINALDO GELENG
costumi:
ANTONELLA CANNAROZZI
montaggio:
FRANCESCA CALVELLI
musica:
MIKE PATTON
produzione:
MARIO GIANANI, PHILIPP KREUZER, ANNE-DOMINIQUE TOUSSAINT
distribuzione:
MEDUSA
attori: ALBA ROHRWACHER (ALICE), LUCA MARINELLI (MATTIA), MARTINA ALBANO (ALICE
BAMBINA), ARIANNA NASTRO (ALICE ADOLESCENTE), TOMMASO
NERI
(MATTIA
ADOLESCENTE),
BAMBINO),
AURORA
VITTORIO
RUFFINO
LOMARTIRE
(VIOLA),
GIORGIA
(MATTIA
PIZZO
(MICHELA BAMBINA), ISABELLA ROSSELLINI (ADELE), MAURIZIO
DONADONI (UMBERTO), ROBERTO SBARATTO (PIETRO), GIORGIA
SENESI (ELENA), FILIPPO TIMI (IL CLOWN)
la parola ai protagonisti
Silvia Marinucci intervista il cast
Come nasce l’incontro tra Costanzo e Giordano?
SAVERIO COSTANZO: L’incontro nasce da Gianani che dopo aver letto il libro mi ha proposto di leggerlo. In
quel momento una storia d’amore non era quello che cercavo, devo essere sincero non mi interessava. Poi
nel frattempo cresceva il successo economico di questo libro e il cinema è fatto di segni: mi ha spinto questa
penetrazione così forte. All’inizio mi ero proposto come sceneggiatore – anche se non sono così bravo – poi
ci siamo rivisti con Paolo e ho deciso di poterlo anche fare questo film.
PAOLO GIORDANO: Quando bisogna vendere i diritti ci si basa più sulla produzione che sul regista. In
realtà tra tutte le proposte scelsi Gianani ed è stato proprio l’incontro personale con lui - e poi con Costanzo -
a convincermi. C’era congruenza di idee. Quando ho incontrato Costanzo non conoscevo ancora i suoi film,
li ho visti dopo. All’inizio si pensava ad un esordiente per la regia, poi il libro è diventato troppo pesante per
caricarlo sulle spalle di un esordiente. Io covavo l’idea che Saverio potesse fare il film e alla fine ha deciso di
farlo.
Cosa l’ha colpita del romanzo di Giordano?
SAVERIO COSTANZO: La cosa che più mi attraeva erano le prime due immagini. Paolo è riuscito
miracolosamente a dare un immagine concreta: con forma, colore e luogo ha dato vita all’archetipo del
dolore personale. Tutti abbiamo dolori originari dai quali cerchiamo di staccarci. Tutti lavorano su un’epica
del corpo. Questa è la storia dei corpi e della loro epica. Poi l’idea di poter lavorare su una storia d’amore,
non essendone consapevole, mi incuriosiva. Non l’avrei mai fatto da solo. L’idea che questo romanzo mi
avrebbe portato a farlo mi incuriosiva.
Usa molto la musica, con quale potere?
SAVERIO COSTANZO: L’idea di partenza è quella della distrazione. Inoltre il film è datato, le date non sono
casuali. La musica consentiva di storicizzare questo ventennio e creare la distrazione. Era una generazione
che era distratta dal rumore della televisione prima, della tecno dopo, dalla distrazione di se stessi, dal
compiacimento. Poi per consentirmi i 20 minuti di silenzio della parte finale – che è la parte che preferisco –
dovevo fare molto rumore prima. Nella lavorazione cinematografica del best-seller dovevo diventare rumore,
per consentire che quel silenzio diventasse rumoroso.
Come è stato per lei vedere l’adattamento cinematografico del suo romanzo?
PAOLO GIORDANO: Avevo scritto con lui la sceneggiatura. Ero cosciente del tipo di film che Saverio stava
cercando. Mi sono reso conto di quanto il film fosse pieno di immagini, e quanto fosse più compiuto nella sua
testa. Da subito, da quando ho deciso di cedete i diritti per l’adattamento ho iniziato un percorso di
separazione. Ho deciso che il film diventava l’opera di qualcun altro. Non avevo alcuna ansia di possesso. In
quel momento accetti la mano di un autore. Nonostante tutto però il lavoro cinematografico mi ha portato più
vicino alla storia. Vedendolo ho ritrovato il senso, è la prima volta che mi sono commosso per qualcosa che
doveva commuovermi prima.
Come siete entrati nella parte? Quanto è stato difficile lavorare sui vostri corpi?
ALBA ROHRWACHER: E’ stata una grande opportunità. E’ la prima volta che sono arrivata al personaggio,
partendo da un lavoro drastico sul corpo. Arrivando a quel corpo è stato più facile capire chi fossero quei
personaggi dentro. La preparazione ci ha portato ad un legame vero tra me e Luca, proprio come quello tra
Alice e Mattia.
LUCA MARINELLI: Io dovevo ingrassare e avevo una certa paura. Tra me e Alba ha creato anche un po’ di
distanza, mentre io ingrassavo lei dimagriva e dopo il contrario. La parte più forte e difficile è stata all’inizio:
ha colpito il mio animo prima e poi anche il mio personaggio.
C’è stato qualche punto di scontro con Saverio nel corso dell’adattamento?
PAOLO GIORDANO: Una delle frasi che mi è stata detta più spesso è che il mio romanzo era molto
cinematografico, ma io non ero affatto cosciente. La scelta dei generi cinematografici nel film ci ha aiutati a
disinnescare il problema di quella delicatezza che il film non si poteva permettere, dovevo collassare in uno
stato vero. Io non sono andato lì per difendere il libro, il mio è stato un ruolo di accompagnamento. Saverio
trainava e io lo seguivo con fiducia.
Nel film c’è un lato horror, dato ad esempio dalle musiche…
SAVERIO COSTANZO: Nel romanzo c’è tanto dolore, talmente tanto che non poteva essere rappresentato.
L’ironia dell’horror invece ce lo permetteva, secondo me è una storia dell’orrore. Il vero horror è molto
ironico: per esempio abbiamo girato con quella musica, nelle cuffie dell’operatore di macchina c’era quella
musica. Le musiche di Morricone per esempio per me non sono solo d’horror, ma straziatamente
romantiche, dipende dal contesto. Con la rappresentazione del dolore si rischiava di essere ricattatori. La
musica mi dava la possibilità di sdrammatizzare e rendere più accessibile il dolore.
Saverio Costanzo
Saverio Costanzo nasce a Roma il 28 settembre 1975. Figlio del giornalista e conduttore televisivo Maurizio
Costanzo e della sceneggiatrice Flaminia Morandi, fratello della regista e sceneggiatrice Camilla Costanzo,
si laurea in Sociologia della Comunicazione presso l'Università della Sapienza di Roma. Dopo aver lavorato
come conduttore radiofonico, sceneggiatore, attore (è apparso nel film tv di Marcello Cesena Amiche
davvero!! del 1998 con Stefania Rocca, Simona Cavallari, Gabriella Pession, Victor Cavallo, Enrico
Silvestrin e Carlo Croccolo) e regista di spot pubblicitari, alla fine degli Anni Novanta, si trasferisce a New
York, per dedicarsi alla professione di operatore e aiuto-regista. Nel 2002, realizza la docu-fiction Sala rossa,
rossa
seguita poi nel 2007 da Auschwitz 2006.
2006 Per quanto riguarda i lungometraggi a soggetto, dirige il film duro e
pro-palestinese Private (2004) con Mohammed Bakri. La sua opera prima è uno sguardo che supera i
problemi della striscia di Gaza e impone la sua lente d'ingrandimento sul quotidiano di una famiglia, dove la
durezza, la violenza fisica, il bisogno di libertà e umanità, esplodono nella privacy di alcune stanze. Per
queste ragioni, vince il David di Donatello e il Nastro d'Argento come Miglior Regista Esordiente, seguito dal
Leopardo d'Oro e dal Premio Ecumenico della Giuria al Festival di Locarno. Con queste carte vincenti, il film
viene mandato all'Academy per rappresentare l'Italia alla notte degli Oscar. Ma la pellicola viene rifiutata
perché la lingua parlata nel film non è italiano. A quel punto si ispira al romanzo "Lacrime impure" di Furio
Monicelli per dirigere In memoria di Me (2007) che gli farà guadagnare un'altra candidatura al Nastro
d'Argento come miglior regista e, sempre sulla scia della letteratura, traspone sul grande schermo il romanzo
di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi (2010), confermando la sorprendente e affascinante,
nonché tostissima, scelta dei soggetti.
Filmografia
(1998) Amiche davvero!! (attore)
(2007) In memoria di me
(2002) Sala rossa (docu-fiction)
(2007) Auschwitz 2006 (docu-fiction)
(2004) Private
(2010) La solitudine dei numeri primi
Alba Rohrwacher
Di padre tedesco, come era facilmente intuibile dal cognome, nasce (il 27 febbraio 1979) e cresce a Firenze,
città che ha dato i natali a sua madre. Formatasi a teatro con i corsi dell'Accademia dei Piccoli di Firenze, nel
2003 si diploma poi al Centro Sperimentale di Cinematografia, lavorando successivamente in spettacoli
teatrali come Noccioline – Peanuts di Fausto Paravidino, per la regia di Valerio Binasco e appare persino in
un videoclip dei Tiromancino. Cinematograficamente, inizia a recitare per il grande schermo a partire dal
2004, data di uscita del film sentimentale di Carlo Mazzacurati L'amore ritrovato con Stefano Accorsi, Maya
Sansa e Marco Messeri, poi passa nel ruolo di un'assistente al film di Marco Bellocchio Il regista di
matrimoni (2006) e ha un altro ruolo minore in Caos calmo (2007) con Nanni Moretti. Ritenuta un volto molto
interessante da Silvio Soldini, viene scelta dal maestro per due film: Giorni e Nuvole (2007) con Margherita
Buy, Antonio Albanese, Giuseppe Battiston e Carla Signoris (ottenendo fra l'altro il suo primo David di
Donatello come miglior attrice non protagonista) e Cosa voglio di più (2010), dove è invece la moglie
traditrice e l'amante segretissima di un altro uomo. Ma la sua più grande interpretazione rimane quella di
Giovanna in Il papà di Giovanna (2008) di Pupi Avati, grazie al quale viene nominata a un Nastro d'Argento
come miglior attrice (e lo stesso anno sarà candidata anche per il ruolo di miglior attrice non protagonista
per Due partite del 2009) e vince il David di Donatello come miglior interprete femminile protagonista.
Membro della giuria del Film Festival di Locarno del 2009, recita raramente per il piccolo schermo (Il
Il vizio
dell'amore del 2006 e Maria Montessori – Una vita per i bambini del 2007).
Filmografia
(2003) Tre bugie
(2007) Maria Montessori – Una vita per i bambini
(2004) Cuore contro cuore (serie televisiva)
(film tv)
(2004) L’amore ritrovato
(2007) Caos calmo
(2005) Fare bene mikles (cortometraggio)
(2007) Piano, solo
(2005) Kiss Me Lorena
(2007) Giorni e nuvole
(2005) Melissa P.
(2007) Voce del verbo amore
(2006) Il vizio dell’amore (serie televisiva)
(2007) Mio fratello è figlio unico
(2006) 4-4-2
(2007) Il pirata: Marco Pantani (film tv)
(2007) Nelle tue mani
(2009) Il tuo disprezzo
(2008) Riprendimi
(2009) Io sono l’amore
(2008) Due partite
(2009) La seconda famiglia (cortometraggio)
(2008) Il papà di Giovanna
(2009) L’uomo che verrà
(2008) Non c’è più niente da fare
(2010) La solitudine dei numeri primi
(2008) In carne e ossa
(2010) Cosa voglio di più
(2008) Vado bene o no? (documentario)
(2010) Diarchia (cortometraggio)
(2008) Mio figlio (cortometraggio)
(2010) Sorelle mai
Luca Marinelli
Il venticinquenne Luca Marinelli cresce con la convinzione di voler diventare un attore. Nel 2003, ancora
prima di compiere 18 anni, segue un corso di sceneggiatura e recitazione con Guillermo Glanc. L'anno
successivo si diploma presso il liceo classico "Cornelio Tacito succursale" di Roma e può così dedicarsi a
tempo pieno alla sua passione. Riesce ad entrare all'Accademia Nazionale D'Arte Drammatica "Silvio
D'Amico" – una delle più prestigiose in Italia – nella qualche si diploma nel 2009. La sua carriera da artista
comincia fin da piccolo con il doppiaggio, insieme al cugino, dei nipoti di Topolino Tip e Tap. È a partire dal
2006, tuttavia, che per Marinelli inizia la carriera di attore. Da quel momento conquista parti – spesso da
protagonista – in varie rappresentazioni teatrali. Nel 2006 recita in Amen di Mario Alessandro Paolelli,
mentre l'anno successivo lo troviamo in Fedra's Love,
Love diretto da Valentina Rosati. Nel 2008 per l'interprete
romano arrivano ben sette partecipazioni, spesso per la direzione dalla stessa Rosati (Tempo
Tempo scaduto,
scaduto I
blues,
blues I mostri di Fedra e Arianna a Nasso).
Nasso Seguono poi Waterproof di Valentino Villa, i Monologhi di Anna
Marchesini e I sette a Tebe di Paolo Giuranna. Negli ultimi due anni collabora con Michele Monetta in
Fantasia arlecchina (2009) e con Carlo Cecchi in Sogno di una notte di mezz'estate (2009/2010). Gli
impegni davanti la macchina da presa si concentrano prevalentemente nell'ultimo anno. Nel 2009, infatti, lo
troviamo sia in veste di doppiatore in Closer (voce di Buzz) sia nel cast di Butta la luna 2,
2 serie TV di
successo diretta da Vittorio Sindoni e ispirata all'omonimo best seller di Maria Venturi. La grande occasione
arriva per lui quando Saverio Costanzo lo chiama per interpretare la parte di Mattia, protagonista de La
solitudine dei numeri primi (2010). Il lungometraggio – tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Giordano e
presentato in concorso alla 67. Mostra del Cinema di Venezia – gli offre la possibilità di crescere
personalmente e professionalmente, costringendolo però ad un importante lavoro sul corpo (Marinelli
dichiarerà di essere ingrassato fino a raggiungere i 99 kili).
Filmografia
(2009) Butta la luna 2 (serie televisiva)
(2010) La solitudine dei numeri primi
Recensioni
Valerio Caprara - Il Mattino
Si capisce perché «La solitudine dei numeri primi» stia raccogliendo un buon successo di botteghino: da un
romanzo fortunatissimo, sceneggiato dall'autore insieme al regista, è consuetudine attendersi una sorta di
replica audiovisiva rafforzata. Nonostante le buone credenziali di Saverio Costanzo, però, la trasposizione si
rivela inadeguata o magari, paradossalmente, rivelatrice delle debolezze del best-seller di Giordano.
Abbastanza efficace nel descrivere gli orrori nascosti dell'infanzia e nell'incarnarli in visi & movenze
d'inquietanti attori in erba, il film ha bisogno di accentuare a ogni passaggio il quoziente «artistico» delle
disavventure parallele dei protagonisti Alice e Mattia. Segnati dal dolore e asfissiati dai complessi di colpa
dei genitori, da adolescenti e da adulti si ritroveranno entrambi corpi estranei di una comunità che non li
gradisce o addirittura li segrega: un viavai drammaturgico appesantito da musiche, espressioni, movimenti di
ripresa che cercano l'atmosfera e catturano l'effetto. Sino a un gran finale del tutto velleitario, affidato com'è
ai silenzi di Luca Marinelli e Alba Rohrwacher, convinti di potere esprimere le proprie ulcerate sensibilità in
una pantomima catatonica palesemente programmatica.
Alessia Mazzenga -Terra
Uscito da meno di una settimana in sala, La solitudine dei numeri primi, il film di Saverio Costanzo, tratto dal
best seller di Paolo Giordano, che non ha convinto la critica veneziana, viene ora premiato dal pubblico,
salendo al terzo posto nella classifica degli incassi dello scorso weekend. Sicuramente i fan di un libro che
nel 2008 vinse sia il Premio Strega che il Campiello sono accorsi in massa incuriositi dalla sua trasposizione
cinematografica, basterà attendere il prossimo fine settimana per capire se il film al pubblico è piaciuto
veramente oppure no. La storia raccontata nel film che Costanzo ha scritto con Paolo Giordano è la stessa
del libro, cambia il modo di raccontarla, il regista non segue la linearità diegetica dei fatti ma procede per
accumulo tra le azioni del presente e i ricordi del passato e lo stile sceglie le atmosfere piene di suspense
del
thriller
psicologico
per
indagare
gli
stati
affettivi
più
profondi
dei
due
protagonisti.
Alice (una strepitosa Alba Rohrwacher) e Mattia (un intenso Luca Marinelli, al suo esordio cinematografico)
crescono di fatto insieme, si incontrano per la prima volta al liceo e rimangono legati negli anni da un
sentimento profondo che però non riescono a trasformare in amore. Seguiamo la loro vita dall’infanzia,
segnata da traumi profondi, provocati da adulti colpevolmente distratti, che isolano i protagonisti in un mondo
interiore immobile e violento. Sarà il riconoscersi nel reciproco disagio a farli avvicinare ma anche quello che
li terrà separati per tutta la vita. Costanzo avverte la necessità d’impregnare la materia del film del dolore che
segna l’esistenza dei protagonisti. Tutto ruota intorno all’esigenza di dare corpo a questo dolore. Ma gli
elementi che utilizza, colonna sonora potente e suggestiva, immagini cupe e atmosfere rarefatte, seppur con
maestria, non bastano a far partecipare fino in fondo chi guarda del dramma “orrorifico” dei protagonisti. Solo
alla fine del film quando Alice appare smagrita e piagata dall’anoressia e la cinepresa indugia sulla sua
schiena scheletrica il regista riesce a trasmettere un disagio partecipe di quel dolore muto e profondo.
Peccato che la macchina da presa si ritragga troppo presto e Costanzo non rischi quella profondità che sia in
Private che In Memoria di me gli ha consentito di fondere alla maestria formale la potenza dei contenuti.
Massimo Bertarelli - Il Giornale
Angoscioso dramma sull’infelicità che Saverio Costanzo ha tratto con passione e qualche libertà dal
bestseller di Paolo Giordano. A Torino s’incontrano al liceo i timidi e sfigati Alice e Mattia, vittime di
insopportabili tormenti. L’una per colpa di un padre autoritario, l’altro per un’imprudenza da bimbo.
Riusciranno ad amarsi? Il film li insegue fra troppi flashback dagli anni ’80 a oggi, affidando ciascuno a tre
diversi attori. Peccato che, a differenza di Luca Marinelli, Alba Rohrwacher (perché mostrarcela nuda?) non
somigli per niente all’interprete dell’adolescenza. Mentre la vezzosa Viola è impersonata a tutte le età da
Aurora Ruffino. Quisquilie? Mica tanto.
Maurizio Porro - ViviMilano
A me piace perché... Diamo per concluso il dibattito su cinema e libro, e salutiamo con piacere il coraggio di
Costanzo che, nonostante il successo di Paolo Giordano, l' ha interpretato a suo modo, stravolgendone la
struttura e spostando nevrotiche sorprese a metà. Vede l' infelicità dei ragazzi numeri primi, esseri speciali
destinati a non incontrarsi come una storia horror (Timi, clown che fa paura) contro convenienze borghesi. Il
regista regala la forza di un flusso di coscienza che allarga il significato, oltre l' età teen ager evitando
localizzazioni di spazio-tempo. Giusto Martinelli, la Rohrwacher sempre in stato di grazia. MAURIZIO
PORRO A me NON piace perché... Aver abbandonato il racconto tradizionale chiede all' autore di pagare il
prezzo di una immedesimazione non facile da parte del pubblico che, se non ha letto il bestseller Mondadori,
fatica ad orizzontarsi nei meandri di due coscienze turbate. Reticente sui personaggi secondari, spesso mal
serviti dal cast (a parte una bravissima Isabella Rossellini), il film si concentra non sull' assenza dei due
individui in solitudine cosmica ma sulla loro presenza. E ne allarga la casistica mostrandoli in varie età (il
discorso sul corpo), per una platea già intima del libro. Musica abbondante: è di un Morricone «alla
Argento».
Lietta Tronabuoni – La Stampa
Il nulla affettivo, l’impossibilità di comunicare, le ferite inferte da traumi dell’infanzia sono i temi de La
solitudine dei numeri primi, romanzo di Paolo Giordano e adesso film in concorso di Saverio Costanzo. Il
romanziere è cosceneggiatore: è piena la fedeltà al suo libro, racconto di vent’anni, dalla puerilità durante cui
un bambino viene colpito dalla scomparsa della sorella gemella e una bambina diventa claudicante per un
incidente, fino a una singolare amicizia tra loro che con il tempo diventa amore. I numeri primi del titolo sono,
significativamente, «quelli divisibili solo per uno e per se stessi, numeri solitari e incomprensibili agli altri».
Costanzo affronta la storia come un horror sentimentale intepretato bene da Alba Rohrwacher e Luca
Marinelli, con uno stile lambiccato e violento di colori forti e musica invadente, efficace ma senza semplicità.
Valerio Cappelli - Corriere della Sera
Siete fuori strada se andate a cercare quel che resta del libro. La grande attesa per La solitudine dei numeri
primi, il film di Saverio Costanzo dal romanzo d' esordio di Paolo Giordano, via via si trasforma in un pò di
sconcerto. «Ne sono felice - ti spiazza Saverio - lo spaesamento è cinema». Giordano aveva 26 anni quando
lo pubblicò nel 2008, due milioni di lettori in Italia, tradotto in 40 lingue e di prossima uscita in Cina e nei
Paesi Arabi, ché l' archetipo della ferita originaria dell' infanzia è un tema universale. Applauso timido con
due dissensi di numero alla prima proiezione, alla seconda gli accreditati si dividono, ma alla terza, quella di
ieri sera, il pubblico ha premiato il film con 6 minuti di applausi. «L' attesa è terribile - dice il regista in
concorso che al Lido è al suo esordio - uno va al cinema e si aspetta chissà che, si aspetta il Gattopardo e
invece è un film normale, la "colpa" è di Paolo che ha scritto un best seller. Vorrei sdrammatizzare, in fondo
parliamo di una macchina da presa e di corpi. Questo è un horror sentimentale, con una certa ironia perché
c' è molta sofferenza e non volevo creare ricatti sul dolore, il cinema non dev' essere mai consolatorio». Al
centro del prisma restano le vite di Alice e Mattia, qui rappresentati da una delle giovani attrici di maggior
talento, Alba Rohrwacher e il debuttante Luca Marinelli, 26enne romano che viene dal teatro. Due numeri
solitari, incomprensibili agli altri, due «primi» perseguitati entrambi da drammi nell' infanzia. L' abbandono
fatale di Paolo bambino che va a una festa lasciando al parco la sorellina gemella ritardata per un attimo di
spensieratezza, i genitori lo caricano di responsabilità troppo grandi per lui. L' incidente sugli sci per Alice
che rimane zoppa, ma il suo vero trauma è per la madre assente, per il padre dominatore che non le dà
respiro. Mattia e Alice si separano per molti anni, ma Borges diceva che ogni incontro mancato è un
appuntamento, e si ritroveranno da adulti ridando corpo a emozioni mai confessate, cercando la luce negli
occhi chiusi, finalmente liberi di cercare la felicità nell' impossibile. C' è un pò di tensione in casa Medusa,
che lo fa uscire oggi in ben 380 copie; il film è diverso da un romanzo molto amato, e lo spettatore in genere
tende a essere «conservatore», a ritrovarsi nelle immagini in qualcosa che già sa. Il primo che ha affondato il
coltello è il padre sul proprio figlio, un Edipo alla rovescia; è lo stesso autore, Paolo Giordano, che col regista
ha il ruolo di sceneggiatore: «Non volevo rivivere una storia che mi ha ossessionato anche dopo la sua
pubblicazione, ho cominciato subito un lavoro di separazione, ho deciso che fosse l' opera di qualcun altro,
non ho nessun tipo di ansia da possesso. Mi dicevano che il libro è cinematografico, io non l' ho mai
pensato. Mancano personaggi, amo il dialogo in auto, che nel libro non c' è, quando Alice e Mattia ritrovano
la densità e la rarefazione del loro rapporto. Spero che i lettori si affacceranno al film in libertà, esattamente
come ho fatto io che sono l' autore». E Saverio: «Tento di non far dire questo c' è, questo non c' è. La
matematica non mi interessa, è una "fissa" di Giordano che per me era difficile da tradurre e infatti il film la
nega». Però le luci stroboscopiche della discoteca, dove Mattia va per dimostrare a sua madre che ha amici
e non è vero che l' unica cosa che sa fare sia studiare, disegnano come delle formule algebriche sui volti, è
la bellezza delle immagini che nessun aggettivo può riprodurre. «Mattia - dice Saverio - nel film non è un
genio dei numeri ma un uomo intelligente. E i numeri primi, a differenza del libro, alla fine si incontrano». Lì
si consuma la resa dei conti, lì, nel parco, ha pensato a L' avventura di Antonioni, mentre per i dialoghi tra i
genitori il riferimento è a Scene da un matrimonio di Bergman. Le due immagini topiche che avviano il
romanzo, la caduta dagli sci e l' abbandono della sorellina, sono destrutturate, si sposta l' angolazione non
su cosa accade ma perché accade, perché si crea quella ferita, innescando un unico momento emotivo. C' è
un contrasto forte tra il silenzio assordante dell' incomunicabilità, che passa attraverso i corpi dei due
protagonisti e le loro trasformazioni, con l' assordante presenza di una musica invasiva, a tratti un carillon
come caricato al contrario. «Sì, la musica storicizza una trama che va dal 1984 al 2007. Poi negli ultimi venti
minuti c' è il silenzio che riempie la vita dei due protagonisti». La musica e le parole lasciano il campo al
linguaggio dei loro corpi diventati diversi. Saverio ha lavorato su una piccola epica del corpo, il malessere
interiore che s' incarna nel linguaggio del fisico: «E' la storia dei corpi di Alice e Mattia e del loro
stravolgimento negli anni». Alba nel finale perde dieci chili, diventa un mucchietto di ossa rinsecchite, un'
anoressica, mentre lui è appesantito, ecco le cicatrici dai tagli che si è procurato, divorato dai sensi di colpa
per la morte della sorellina: la parola chiave, sensi di colpa, ieri stranamente non è stata mai menzionata.
«C' è stato un lavoro drastico sull' aspetto fisico, facciamo capire chi siamo dentro attraverso il corpo», dice
Alba. E Luca: «Ingrassare ha creato distanza, mi faceva paura». Ma non bisogna aver paura delle nostre
ombre.
Natalia Aspesi - la Repubblica
Lui e lei, da anni senza più notizie uno dell' altra, separati da vite lontane, diverse ed ugualmente tormentate,
rassegnate e solitarie, sentono improvvisamente, misteriosamente, il bisogno di rincontrarsi. I loro corpi di
trentenni che trascinano dall'infanzia ferite dell'anima, si sono lasciati andare, lei non mangia più, si è
inscheletrita, lui mangia troppo, si è gonfiato. Gli ultimi 20 minuti di La solitudine dei numeri primi, quarto e
ultimo film italiano in concorso, sono affannosi, ansiogeni, in silenzio, dopo 100 di rumore musicale, muti
dopo tante parole oblique e stentate, sospesi in un' attesa impaurita d' amore: Alice e Mattia dopo tanto
tempo adesso sono uno di fronte all' altra, ma non sanno guardarsi, non sanno parlarsi, è per loro la fine
definitiva? Lo è nel romanzo di gran successo (un milione e mezzo di copie vendute) di Paolo Giordano, in
cui Mattia se ne va, non lo è nel film di Saverio Costanzo: «Lei lo raggiunge alle spalle e con timidezza gli
accarezza i capelli, come ne L'avventura di Antonioni: ma non è un happy-end, è solo la fine di una fuga da
se stessi e l'inizio della avventura della coppia, una cosa che per esempio a me terrorizza. Ne ho paura nella
vita, non l'ho mai messa al centro dei miei film. Qui ho ceduto alla storia, ho provato a sbarazzarmi di questo
limite professionale e personale». Saverio Costanzo è autore di film molto apprezzati e premiati, Private, su
un fatto vero accaduto in Palestina e In memoria di me da un romanzo di Furio Monicelli: La solitudine dei
numeri primi è molto sostenuto dai produttori e da oggi è distribuito in Italia in 350 copie: 'Mi terrorizza
questa attesa, questa trepidazione, gente che non mi ha mai salutato mi rincorre come fossi un divo, io che
conduco una misera vita. Non aspettatevi per favore ' Il gattopardo' , questo non è un capolavoro, è solo un
film.' Dice il regista. E' un film affascinante e sgradevole, straziato e ironico, sentimentale e spietato: i fan del
romanzo non ritroveranno tutti i suoi personaggi, chi il romanzo non l'ha letto forse si perderà nell'intrecciarsi
non cronologico degli eventi, con attori diversi secondo l'età: 1983-84, Alice e Mattia bambini (Martina
Albano e Tommaso Neri) 1991, Mattia e Alice adolescenti (Vittorio Lomartire e Arianna Nastro), 2001-2007,
Alice e Mattia giovani adulti e adulti, Alba Rohwacher e Luca Marinelli, costretti alla fine a deformarsi, lei
perdendo 10 chili, lui acquistandone 15. Alba è tutt'ora magrissima, Luca è tornato cupamente carino).
Lavorando insieme alla sceneggiatura, Giordano, 27 anni, e Costanzo, 34, hanno spostato gli incidenti
drammatici che aprono il libro verso la fine del film, creando il mistero del trauma infantile che ha chiuso i
due protagonisti in una loro solitaria prigione di sofferenza, incomunicabilità, sensi di colpa, autolesionismo.
'Credo di aver costruito un horror romantico sui sentimenti, sulla impossibile emancipazione della coppia ma
soprattutto sulla famiglia. Si perdonano i genitori quando ci accorgiamo che siamo come loro. Anch'io
qualche problemino ce l'ho, già come padre: ho due figli di 3 e 1 anno che fanno fatica ad addormentarsi
perché hanno paura dei lupi. Ma anch'io ce l'ho, è un circolo infernale.' Per chi non ha paura dei lupi, le due
famiglie, di Mattia, di Alice, che Costanzo definisce horror, paiono come tante, i cui figli se la sono cavata
benissimo: il padre di Alice, causa dell'incidente di sci che l'ha resa claudicante, è un noioso autoritario a cui
la stessa Alice disubbidisce, la mamma di Mattia, che è la bravissima, invecchiata Isabella Rossellini, non
può dimenticare che per una leggerezza del figlio bambino la gemellina ritardata si è per sempre perduta. E
del resto, se secondo Saverio Costanzo i genitori verso i figli sono horror, e lui avrà le sue buone ragioni per
pensarlo, bisogna dire che anche i figli lo sono talvolta per i genitori: per lo meno questi qui dei numeri primi,
molto punitivi e rancorosi, uno sempre a tagliuzzarsi, l'altra a non mangiare, una parola o un sorriso, da parte
loro, mai. Impressionante il corpo scavato e ossuto della brava Alba Rohrwacher, dagli strazianti sguardi
affamati d'amore, molto interessante il viso chiuso dell' esordiente Arianna Nastro, Alice adolescente. Tutti gli
altri così così. Nei deliri di Alice anoressica, Costanzo ne inventa uno di alta furbizia, quando lei immagina di
attraversare una siepe di foglie verdi tra un muro e l' altro, richiamando l'ormai celebre copertina del romanzo
Mondadori.
Alessio Guzzano
Torino, le nervose note dei Goblin con angosciante cantilena infantile, una giostra tra tetre panchine, una
morbosa recita scolastica, un pagliaccio inquietante (Filippo Timi, memorabile). Ma non è Dario Argento.
Maledetto nevischio e cupi corridoi d’albergo di montagna. Ma non è “Shining”. E’ Saverio Costanzo che
traduce in tono horror, con l’aiuto dell’autore, il best seller di Paolo Giordano. Doloroso viaggio nel profondo
rosso di infanzie sanguinose. Feriti nella psiche da genitori troppo esigenti, troppo possessivi, troppo fragili, o
comunque troppo, Alice e Mattia scontano l’esclusione sfogandosi su se stessi (<Noi non abbiamo un corpo,
noi siamo un corpo> dice Pasolini). Lei zoppica a causa di una maledetta sciata imposta. Poi, l’anoressia.
Lui si taglia per punirsi di aver abbandonato, a otto anni, la gemella malata. Poi ingrasserà. Alba Rohrwacher
è immensa anche pelle/ossa (idem Arianna Nastro, Alice adolescente). Ha densi occhi chiari, come
l’esordiente Luca Marinelli e Bette Davis in colonna sonora. Pozzi di traumi che forse si seccheranno
guardandosi. Costanzo si specchia nell’incubo – il suo è una brutta morte in Lady Oscar – e l’incubo se lo
inghiotte in un magma necessario eppure troppo incandescente da maneggiare: salta nel tempo, ci scotta, si
avvita, ci espelle.
Alberto Crespi – l’Unità
Partiamo da un dato che normalmente le recensioni sottovalutano: "La solitudine dei numeri primi" di Saverio
Costanzo è un film tecnicamente straordinario. Il livello della fotografia (Fabio Cianchetti) e del montaggio
(Francesca Calvelli) è di grande respiro internazionale. L’uso in colonna sonora di brani musicali preesistenti
(Goblin, Morricone, la famosa canzone "Bette Davis Eyes" di Kim Carnes) avrebbe fatto sbavare, fosse stato
un film di Tarantino, gli stessi cinefili integralisti che l’hanno fischiato. Il lavoro di casting curato da Jorgelina
De Petris, che ha bloccato per un mese il Cineporto di Torino dove il film è stato girato, ha portato a risultati
notevoli: e si sa quanto la scelta degli attori è cruciale in una storia il cui arco temporale va dal 1984 al 2007
(Alice e Mattia, i protagonisti, sono interpretati da 3 attori ciascuno). Poi c’è il romanzo di Paolo Giordano.
Che Costanzo ha letteralmente sventrato.
La struttura lineare del best-seller è divenuta un labirinto narrativo che potrebbe esser piaciuto assai al
giurato Guillermo Arriaga (il messicano di "21 grammi" e di "Babel"). Il tutto con la complicità dell’autore, che
firma il copione e dichiara: «Tutti pensano che uno scrittore debba sceneggiare il suo libro per difenderlo.
Non è così. Rivedendo il film da spettatore mi sono commosso per la prima volta di fronte cose che
avrebbero dovuto commuovermi prima». Anziché partire dai due traumi infantili che hanno trasformato Alice
e Mattia in «numeri primi» – cioè in personalità assolute, solitarie e lievemente monomaniache – il film ci
arriva lentamente solo nel finale, incrociando continuamente le tre età dei personaggi (da bambini, da
adolescenti, da adulti). Il risultato è un film che Costanzo ha definito «una storia dei corpi e del loro
stravolgimento nel corso del tempo», il che è verissimo, visto che la fisicità di Alice e Mattia è sottolineata
dalla zoppia di lei e dall’autolesionismo di lui; ma che ci è sembrato anche un film sulla permeabilità delle
anime. È come se i due «numeri primi» vivessero in osmosi, come se gli eventi che segnano uno
influenzassero – grazie al virtuosistico montaggio di cui sopra – la vita dell’altro. In altre parole, Alice e Mattia
sono un’unica coscienza, un unico disagio: nel finale lei può legittimamente sognare gli incubi di lui.
E qui si arriva alla definizione di genere della Solitudine: la trama è quella di un melodramma, che però
Costanzo ha magistralmente trasformato in un horror dei sentimenti. La prima sequenza è puro Dario
Argento, le visioni di Alice nel finale citano – crediamo consapevolmente – "Shining". «Nel romanzo di Paolo
Giordano – ha detto il regista – c'è molto dolore, credo sia una vera e propria storia dell'orrore; così ho scelto
di sposare il genere horror per rendere più accessibile questo dolore al pubblico». Scelta sapiente, perché
da sempre i generi sono ottimi mezzi di trasporto per arrivare al cuore degli spettatori. Bravi tutti gli attori,
con tre citazioni d’obbligo: un grandioso Maurizio Donadoni, una commovente Isabella Rossellini e un’eroica
Alba Rohrwacher (almeno dieci chili in meno rispetto a "Cosa voglio di più" di Soldini, ma le stesse tonnellate
di talento).