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Didone parla a Enea
[En., IV, 296-330]
Dopo essere stato ammonito da Mercurio, il messaggero di Giove, Enea prepara la partenza cercando di
non far sapere nulla a Didone. La regina però, con l’intuito di una donna profondamente innamorata,
percepisce il pericolo e dalla Fama riceve poi la conferma dell’imminente partenza di Enea. Affronta
pertanto l’eroe troiano con un discorso che rivela la straordinaria ricchezza del personaggio.
Didone, infatti, sa essere aggressiva come un’amante tradita ma nel tempo stesso protettiva come una
moglie ansiosa: assale con parole di fuoco il perfidus che sta cercando di andar via furtivamente da
Cartagine, ma poco dopo ricorda i pericoli del mare in burrasca e della navigazione in pieno inverno. Si
rivolge come una supplice a Enea, perdendo o almeno incrinando la sua dignità di regina, poi però parla
con l’autorità di un capo di uno stato minacciato da tanti nemici; e cerca di far nascere sensi di colpa in
Enea, ricordandogli che proprio l’unione con lui ha dato forza a molti dei suoi nemici. Cerca infine di
piegare le resistenze di Enea, facendo apparire come probabile e quasi imminente la propria morte ed
esprime il rammarico di non aver avuto un figlio dall’eroe.
Un discorso, come si vede, che rivela la complessità dell’eroina, che si serve di tutti i mezzi a sua disposizione, pur di far recedere Enea dai suoi propositi: l’astuzia, le blandizie e la tenerezza, il richiamo degli
istinti e la voce della ragione, il lamento di una supplice e l’autorevolezza di una regina.
At regina dolos (quis fallere possit amantem?)
praesensit motusque excepit prima futuros
omnia tuta timens. Eadem impia Fama furenti
detulit, armari classem cursumque parari.
300 Saevit inops animi totamque incensa per urbem
bacchatur, qualis commotis excita sacris
Thyias, ubi audito stimulant trieterica Baccho
orgia nocturnusque vocat clamore Cithaeron.
Didone intuisce le intenzioni di Enea e poi ne ha conferma. S’aggira
smaniosa e furente per tutta la città e infine decide di parlare con Enea.
296-303:
[296-298] At regina… timens: «Ma la regina presentì le trame (chi potrebbe trarre in inganno una donna che
ama?) e intuì per prima le mosse future, lei che aveva timori perché tutto appariva sicuro».
± At regina: le stesse parole con le quali comincia il quarto libro; anche qui la congiunzione dà inizio a
un nuovo segmento narrativo, contrapponendo l’intuito di Didone, che ha subodorato il tradimento, al
tentativo di Enea di partire di nascosto.
± dolos: il plurale dà maggiore intensità al termine.
± possit: congiuntivo potenziale.
± excepit: «colse».
± motus... futuros: il sostantivo è usato in senso figurato e indica le future iniziative di Enea; nota
l’iperbato.
± prima: ha valore predicativo.
± omnia tuta timens: la frase è di dubbia interpretazione perché non è chiaro il valore morfologico e
sintattico di tuta: per alcuni è nominativo femminile singolare riferito a Didone (letteralmente: «temendo
tutto sebbene (fosse) sicura»), per altri è accusativo neutro plurale concordato con omnia (letteralmente: «temendo tutte le cose sebbene sicure»); l’aggettivo, inoltre, può avere anche valore causale o temporale. Nota in tuta timens l’allitterazione e l’ossimoro (Didone teme perfino le cose sicure).
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[298-299] Eadem: un’altra parola sintatticamente ambigua: o è attributo del soggetto Fama («la stessa empia
Fama») oppure – ed è preferibile intendere così – eadem è accusativo neutro plurale oggetto di detulit
(«l’empia Fama riportò le stesse cose»); in tal caso le due infinitive che seguono vanno considerate epesegetiche del pronome.
± Fama: la fama, qui personificata, alla quale sono dedicati i versi 173-197, è giudicata empia, perché,
senza rispettare la riservatezza della vita privata di una persona, diffonde notizie a volte vere, a volte
perfino false.
± furenti: il participio, che allittera con Fama, può essere sostantivato («alla donna furibonda»), o riferito a un sottinteso ei («a lei in preda al furore»); altri gli danno un valore prolettico («la Fama riferì le stesse cose a lei rendendola furiosa»), ipotesi poco probabile perché Didone è già descritta furens nei versi 65,
69, 283.
± armari classem cursumque parari: «che si armava la flotta e si preparava la partenza»; le due infinitive sono disposte in forma chiastica con i due infiniti, legati dall’omoteleuto, che incorniciano i due
sostantivi allitteranti.
[300-303] Saevit inops… Cithaeron: «Infuria smarrita di mente e infiammata vaga per l’intera città, come una
Tiade esaltata al muoversi dei sacri oggetti, quando, all’invocazione di Bacco, le orge triennali la eccitano e di notte la chiama con clamore il Citerone».
± animi: il genitivo è variamente inteso: può avere un valore locativo o – meglio – può essere genitivo di relazione retto da inops (ad esempio inops amicorum, Cicerone, Laelius de amicitia 53, «privo
d’amici»).
± totamque... per urbem: complemento di moto per luogo con l’iperbato che dà rilievo all’aggettivo
e l’anastrofe della preposizione.
± bacchatur: con questo verbo, all’inizio del verso per l’enjambement, Virgilio si riferisce ai riti che si
celebravano ogni tre anni sul monte Citerone, nelle vicinanze di Tebe in Beozia, in onore di Bacco. Le
Baccanti, chiamate pure Tiadi o Menadi, correvano invasate dal dio, agitavano il tirso e gridavano Io,
Bacche!.
± qualis: introduce una similitudine.
± commotis… sacris: ablativo di causa: «per gli oggetti sacri agitati»; con sacris sono indicati i simboli
del culto di Bacco, il tirso e la cista.
± Thyias: appellativo della baccante.
± ubi: è congiunzione subordinante temporale.
± audito... trieterica Baccho orgia: doppio iperbato intrecciato in enjambement; audito... Baccho è
un ablativo assoluto e allude al grido di invocazione; trieterica è attributo di orgia, termine che indica i riti
sacri notturni in onore di Bacco.
± clamore: ablativo strumentale; allittera con Cithaeron.
Tandem his Aenean compellat vocibus ultro:
305 «Dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum
posse nefas tacitusque mea decedere terra?
nec te noster amor nec te data dextera quondam
nec moritura tenet crudeli funere Dido?
quin etiam hiberno moliris sidere classem
310 et mediis properas Aquilonibus ire per altum,
crudelis? quid? si non arva aliena domosque
ignotas peteres, sed Troia antiqua maneret,
Troia per undosum peteretur classibus aequor?
mene fugis? per ego has lacrimas dextramque tuam te
315 (quando aliud mihi iam miserae nihil ipsa reliqui),
per conubia nostra, per inceptos hymenaeos,
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si bene quid de te merui, fuit aut tibi quicquam
dulce meum, miserere domus labentis et istam,
oro, si quis adhuc precibus locus, exue mentem.
320 Te propter Libycae gentes Nomadumque tyranni
odere, infensi Tyrii; te propter eundem
extinctus pudor et, qua sola sidera adibam,
fama prior. Cui me moribundam deseris, hospes
(hoc solum nomen quoniam de coniuge restat)?
325 quid moror? an mea Pygmalion dum moenia frater
destruat aut captam ducat Gaetulus Iarbas?
saltem si qua mihi de te suscepta fuisset
ante fugam suboles, si quis mihi parvulus aula
luderet Aeneas, qui te tamen ore referret,
330 non equidem omnino capta ac deserta viderer».
Didone si rivolge duramente a Enea, accusandolo di aver violato il
patto d’amore che li aveva uniti. Dopo aver ricordato il pericolo di navigare in
pieno inverno sul mare burrascoso, Didone, temendo che la vera causa della
partenza sia il desiderio di fuggire da lei, chiede con preghiere a Enea di
rinunciare ai suoi propositi. Inoltre, fa presente che l’amore le ha comportato
il rancore di tante persone e la perdita del pudore e della fama di prima. Infine, la regina esprime il rammarico di non aver un piccolo Enea simile al
padre: con lui potrebbe sopportare meglio la solitudine e l’abbandono.
305-330:
[304-306] Tandem… ultro: «Finalmente di propria iniziativa affronta Enea con queste parole».
± Tandem: dopo un lungo errare per la città, Didone arriva alla conclusione di dover affrontare Enea e
parlargli apertamente.
± his... vocibus: iperbato.
± Aenean: accusativo con desinenza greca.
± compellat: compellare è intensivo di compellere, indica un rivolgersi a qualcuno in modo energico e
risoluto.
± Dissimulare… tantum posse nefas: infinitiva retta da sperasti, forma sincopata per speravisti; è
sottinteso il soggetto te: «Hai sperato perfino di poter nascondere un tale misfatto, o perfido?». Il motivo
principale dell’ira di Didone viene opportunamente messo all’inizio di verso: Enea non solo sta preparando la fuga, ma arriva al punto di trincerarsi nel silenzio e nella falsità.
± perfide: per il prefisso per- che ha valore privativo l’aggettivo indica il contrario di fidus: per i Romani essere apostrofati con quest’aggettivo era un’infamia, tenuto conto del valore che aveva nelle loro
relazioni umane la fides, ossia la fedeltà, la lealtà. Catullo per primo ha esteso questo termine ai rapporti sentimentali, come si nota all’inizio del monologo di Arianna abbandonata da Teseo (64, 132-133): Sicine me patriis avectam, perfide, ab aris, / perfide, deserto liquisti in litore, Theseu? («Così dunque mi hai
portata via, perfido, dagli altari della mia patria e mi hai lasciata, perfido, su una spiaggia deserta, o
Teseo?»).
± tantum… nefas: all’accusa di slealtà s’aggiunge quella di empietà, ossia di comportamento censurabile da un punto di vista morale e religioso. Lo stesso sintagma tantum nefas è usato da Enea quando si
rivolge al padre Anchise che non vuole abbandonare Troia: Mene ecferre pedem, genitor, te posse relicto /
sperasti tantumque nefas patrio excidit ore?, «Hai creduto, padre, che potessi andar via lasciandoti, e una
simile empietà è venuta dalle tue labbra?».
± tacitus... decedere: l’infinitiva dipende da sperasti; il nominativo e l’infinito, invece che te tacitum, è
costrutto sintattico di derivazione greca; tacitus è predicativo del soggetto ed è usato in luogo dell’avverbio tacite (enallage).
± mea... terra: ablativo di moto da luogo.
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[307-308] Nec… Dido?: «Non ti trattiene il nostro amore, né la mano destra che un giorno mi porgesti, né Didone che perirà di morte crudele?».
± nec te… nec te… nec: l’anafora dà rilievo ai tre argomenti che dovrebbero dissuadere Enea: l’amore, il patto di fedeltà, la morte di Didone. Il Paratore giustamente rileva una climax.
± noster amor: Didone parla in nome non dell’amore che lei ha per Enea, ma del sentimento reciproco che unisce i due.
± data dextera: la stretta di mano convalidava qualsiasi impegno tra due persone; qui però si allude alla
promessa di fedeltà che due sposi si scambiavano nel giorno del matrimonio.
± quondam: nell’avverbio c’è tanto rimpianto di un momento felice vissuto in passato; l’allusione è al
conubium avvenuto nella grotta durante la caccia.
± moritura: il participio futuro è ambiguo: esprime una necessità o un’intenzione di Didone? L’iperbato separa il participio e il soggetto Dido, che racchiudono l’ablativo di mezzo crudeli funere.
[309-311] Quin etiam: «E anzi».
± hiberno... sidere: «nella stagione invernale», ablativo di tempo determinato; letteralmente «sotto le
costellazioni invernali», sidere è singolare collettivo.
± moliris… classem: «prepari la flotta».
± mediis… Aquilonibus: letteralmente «in mezzo agli Aquiloni», ablativo con valore locativo con l’aggettivo separato per l’iperbato dal sostantivo. Aquilo, o Boreas, un vento di nord-est tipico della stagione
invernale e apportatore di piogge e tempesta, era molto pericoloso per chi d’inverno navigava dall’Africa
verso l’Italia.
± properas… ire per altum: «ti prepari a prendere il largo»; altum è propriamente un aggettivo sostantivato e designa il mare profondo.
± crudelis: lo stesso aggettivo già usato nel verso 308, qui è sostantivato e in posizione forte a inizio di
verso per l’enjambement; è un termine spesso usato nella poesia erotica per designare l’amante che non
rispetta la fides.
[311-313] Quid?: formula di passaggio a un nuovo argomento.
± si non… peteres: protasi di un periodo ipotetico dell’irrealtà; «se tu non cercassi terre straniere e
dimore sconosciute»; nota l’allitterazione e l’enjambement. Sull’impiego di si non al posto di nisi preziose
informazioni alla voce Si dell’Enciclopedia virgiliana: la poesia esametrica in genere preferisce si non a nisi
e Virgilio «non rispetta la regola per cui nisi nega in toto l’ipotesi, mentre si non nega soltanto un elemento di essa»; vedi si non pertaesum thalami taedaeque fuisset, in En. IV, 18, a pag. 111.
± sed Troia antiqua maneret: proposizione condizionale coordinata alla precedente, un’altra protasi
del periodo ipotetico dell’irrealtà.
± Troia... aequor: «te ne andresti a Troia con le navi per il mare burrascoso?», letteralmente «Troia
sarebbe cercata» (sottinteso «da te»): è l’apodosi del periodo ipotetico espressa con un’interrogativa retorica con la particella num sottintesa. Nota le ripetizioni in chiasmo peteres… Troia… Troia… peteretur.
± undosum: Virgilio ha usato per primo quest’aggettivo; le occorrenze nell’Eneide sono due.
± classibus: ablativo strumentale che sta per navibus.
[314-319] mene fugis?: «Fuggi me dunque?»: la particella enclitica -ne, che si usa quando la risposta alla domanda
non è nota a chi la pone, fa capire che Didone nutre ancora qualche speranza e non vuole dare per scontata la verità che ha intuito.
± Per ego… mentem: il periodo lungo e sintatticamente confuso è una spia evidente del forte disagio
interiore di Didone, del suo stupore.
± Per ego: anastrofe; la preposizione per viene usata nelle preghiere e nei giuramenti con lo stesso valore della locuzione italiana «in nome di».
± ego... te: sono rispettivamente soggetto e complemento oggetto di oro del verso 319.
± has lacrimas dexteramque tuam: chiasmo.
± tuam te: allitterazione.
± quando… reliqui: «poiché nient’altro ormai ho lasciato a me infelice»; quando ha valore causale e
corrisponde a quandoquidem.
± per conubia... hymenaeos: «in nome del nostro connubio, del matrimonio appena iniziato»; i due
termini sono sinonimi e compaiono in un passo di un carme di Catullo, quasi certamente tenuto presen-
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te da Virgilio: sed conubia laeta, sed optatos hymenaeos (64, 141). Sia in Catullo sia in Virgilio si notano
l’anafora e il chiasmo.
± si bene quid de te merui: la congiunzione si è usata spesso nelle preghiere per ricordare i propri
meriti alla divinità; qui ha valore condizionale e introduce la protasi di un periodo ipotetico della realtà:
«se bene di te ho meritato».
± fuit… meum: «se qualcosa di me ti fu dolce», proposizione condizionale coordinata alla precedente;
il soggetto è quicquam meum, dulce e il sottinteso fuit formano il predicato nominale. Didone, con squisitezza di modi e tenera dolcezza, ricorda a Enea i momenti d’amore, sottolineati dall’aggettivo dulce, a
inizio del verso per effetto dell’enjambement.
± fuit aut: anastrofe.
± miserere domus labentis: «abbi pietà della casa che sta crollando», è l’apodosi del periodo ipotetico;
domus è genitivo ed è retto dall’imperativo miserere.
± et istam… exue mentem: «e abbandona codesto proposito», apodosi dell’altro periodo ipotetico
della realtà: nota l’iperbato istam… mentem.
± oro: le parole di Didone perdono man mano l’asprezza iniziale, l’aggressività così evidente nel vocativo perfide, e assumono il tono dell’implorazione, della preghiera accorata.
± si quis adhuc precibus locus: un’altra proposizione condizionale, protasi di un periodo ipotetico
della realtà; è sottinteso est.
[320-323] Te propter: complemento di causa con l’anastrofe della preposizione che pone in rilievo il pronome;
l’espressione ricorre identica con un’anafora nel verso successivo, che rimarca le responsabilità di Enea.
± Nomadumque tyranni: nonostante il plurale, qui si allude a Iarba, ferito nell’orgoglio per essere stato rifiutato da Didone; nei versi 198-218 Iarba si rivolge a suo padre Giove perché punisca la
regina.
± odere: forma arcaica per oderunt, terza persona plurale dell’indicativo perfetto di odi, verbo difettivo.
± infensi Tyrii: è sottinteso sunt (o facti sunt); la prospettiva di vedere un troiano come Enea a capo
dello loro comunità creava avversione e risentimento nei Cartaginesi.
± te propter extinctus pudor (est): «sempre a causa tua si è estinto il pudore». Nel momento in cui si
sta rendendo conto dell’amara realtà, Didone soffre soprattutto per non essere stata fedele a Sicheo.
± qua sola… adibam: «per la quale soltanto toccavo le stelle», il nesso qua sola è ablativo strumentale
o di causa collegato a fama; l’espressione è iperbolica. Nota l’allitterazione della s.
[323-324] Cui… hospes?: «A chi abbandoni me morente?».
± moribundam: predicativo dell’oggetto me, con cui produce allitterazione; richiama il participio moritura del v. 308. La disperazione di Didone è tale, che si ritiene ormai prossima alla morte.
± deseris: mentre relinquo indica un abbandonare inteso come semplice separazione da qualcuno o da
qualcosa, desero invece implica un abbandono ingiusto contrario ai propri doveri; pensa al significato che
ha assunto il termine desertor, ossia il disertore.
± Hoc… restat: «Questo solo nome, infatti, resta dello sposo»; quoniam, posposto per anastrofe,
propriamente è congiunzione con valore causale.
± de coniuge: ablativo di allontanamento, brachilogia per de nomine coniugis.
[325-326] Quid moror: «Perché indugio?»; Didone probabilmente esprime un proposito di morte, una soluzione
preferibile alla prospettiva di essere attaccata e sconfitta da potenti nemici.
± an mea... Iarbas: «forse finché mio fratello Pigmalione abbatta le mie mura o il getulo Iarba mi
conduca prigioniera?»; dopo an è sottinteso moror. Didone crede di poter convincere Enea facendo leva
sull’istinto che spinge un uomo a difendere la propria donna.
± mea Pygmalion... moenia frater: doppio iperbato intrecciato.
± Pygmalion... destruat... ducat Gaetulus Iarbas: il chiasmo crea un legame tra i due verbi, uniti
pure dall’omoteleuto e dall’allitterazione.
± captam: è predicativo dell’oggetto sottinteso me.
[327-330] Saltem... suboles: «Se almeno avessi avuto un figlio generato da te, prima della tua fuga», proposizione condizionale, protasi di un periodo ipotetico dell’irrealtà.
± mihi: dativo di possesso.
± de te: complemento di origine.
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± suscepta: il participio può avere il significato di «generato» o può alludere a un’usanza romana, secondo la quale il padre riconosceva come suo il bambino appena nato sollevandolo da terra.
± suboles: termine solenne specifico della lingua poetica, per «prole»; deriva da alo e indica la persona
o la cosa che cresce.
± si quis mihi parvulus aula luderet Aeneas: «se per me nella reggia giocasse un piccolo Enea»,
un’altra protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà.
± aula: complemento di stato in luogo senza in.
± te tamen: allitterazione.
± qui te tamen ore referret: «che almeno nel volto ti ricordasse», proposizione relativa con valore
consecutivo.
± ore: ablativo di limitazione.
± non equidem... viderer: «sicuramente non mi sentirei completamente tradita e abbandonata»,
apodosi del periodo ipotetico strutturato in due protasi; capta e deserta sono predicativi del soggetto.
QUESTIONARIO
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Individua, nei versi 296-304, le parole che esprimono le ansie inquiete di Didone.
possit (v. 296): che tipo di congiuntivo è?
Eadem (v. 298): in che modo può essere inteso il termine?
bacchatur (v. 301): qual è il significato del verbo?
compellat (v. 304): che rapporto c’è tra i verbi compellere e compellare?
tacitus (v. 306): l’aggettivo è usato al posto dell’avverbio tacite: quale figura retorica è qui adoperata?
quando (v. 315): che valore ha la congiunzione?
domus (v. 318): in quale caso è usato il sostantivo?
qui te tamen ore referret (v. 329): che valore ha la proposizione relativa?
ore (v. 329): che complemento è?
Si non… peteres… sed maneret… peteretur (vv. 311-313): i congiuntivi imperfetti fanno capire che
si tratta di un periodo ipotetico della irrealtà. Ricordi quali modi e quali tempi sono previsti per i tre tipi
di periodi ipotetici indipendenti?
qui te tamen ore referret (v. 329): è una proposizione relativa impropria e ha valore consecutivo.
Ricordi quali altri valori può avere una relativa impropria?
Enea cerca di giustificarsi
Dixerat. Ille Iovis monitis immota tenebat
lumina et obnixus curam sub corde premebat.
Tandem pauca refert: «Ego te, quae plurima fando
enumerare vales, numquam, regina, negabo
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[331-361]
Così parlò Didone. Lui teneva gli occhi immobili per i moniti
di Giove e sforzandosi soffocava l’affanno nel cuore.
Poi risponde con poche parole: «Io mai negherò, o regina,
che hai moltissimi meriti, che parlando puoi enumerare a uno
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335 promeritam nec me meminisse pigebit Elissae,
dum memor ipse mei, dum spiritus hos regit artus.
Pro re pauca loquar. Neque ego hanc abscondere
furto
speravi (ne finge) fugam nec coniugis umquam
340 praetendi taedas, aut haec in foedera veni.
Me si fata meis paterentur ducere vitam
auspiciis et sponte mea componere curas,
urbem Troianam primum dulcisque meorum
reliquias colerem, Priami tecta alta manerent
345 et recidiva manu posuissem Pergama victis.
Sed nunc Italiam magnam Gryneus Apollo,
Italiam Lyciae iussere capessere sortes;
hic amor, haec patria est. Si te Karthaginis arces
Phoenissam Libycaeque aspectus detinet urbis,
350 quae tandem Ausonia Teucros considere terra
invidia est? Et nos fas extera quaerere regna.
Me patris Anchisae quotiens umentibus umbris
nox operit terras, quotiens astra ignea surgunt,
admonet in somnis et turbida terret imago;
355 me puer Ascanius capitisque iniuria cari,
quem regno Hesperiae fraudo et fatalibus arvis.
Nunc etiam interpres divom Iove missus ab ipso
(testor utrumque caput) celeris mandata per
auras detulit; ipse deum manifesto in lumine vidi
360 intrantem muros vocemque his auribus hausi.
Desine meque tuis incendere teque querelis:
Italiam non sponte sequor».
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a uno, né a me dispiacerà di ricordarmi di Elissa,finché avrò
memoria di me stesso e lo spirito guiderà le mie membra.
Parlerò poco in mia difesa. Io non sperai di occultare furtivamente questa fuga, non crederlo, né mai ho portato le fiaccole nuziali né venni per questi patti.
Se i fati mi concedessero di vivere secondo i miei auspici
e di sistemare secondo la mia volontà le questioni che mi
rattristano, anzitutto vivrei nella città di Troia onorando le
dolci reliquie dei miei, gli alti tetti di Priamo starebbero in
piedi e con le mie mani avrei rifatto per i vinti una nuova
Pergamo.
Ma ora Apollo grineo mi ordina la grande Italia, in Italia mi
ordinano di recarmi gli oracoli di Licia; questo il mio amore, questa è la mia patria. Se la rocca di Cartagine e la vista della città libica invogliano te, Fenicia, perché vuoi impedire che i Troiani si stanzino una buona volta nella terra
ausonia? Anche a noi è lecito cercare regni stranieri. Quante volte la notte copre le terre con le umide ombre, quante
volte spuntano gli astri luccicanti, l’immagine del padre Anchise mi rimprovera in sogno e, turbata, mi atterrisce; e mi
rimprovera il piccolo Ascanio, il torto fatto a una persona
cara, che io privo del regno d’Esperia, dei campi fatali.
Ora pure il nunzio degli dei, mandato dallo stesso Giove (lo
giuro sulle nostre teste) rapido mi ha portato gli ordini per
l’aria; io stesso ho visto il dio in una luce intensa varcare le
mura e con queste orecchie ho sentito le sue parole. Smettila di tormentare me e te con i tuoi lamenti, non cerco l’Italia
per mia volontà».