Eneide IV 296-361 Commentata - Liceo Statale G. Carducci

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Eneide IV 296-361 Commentata - Liceo Statale G. Carducci
Il testo commentato. Eneide IV 296-361
L’antologia degli autori. Commenti di Eneide IV a confronto
Allo studio della letteratura secondo il tradizionale impianto fondato sullo schema diacronico
è essenziale affiancare la lettura degli autori per un contatto “diretto e vivo”1 . Questo contatto
risulta fondamentale nella prassi didattica; scopo dell’insegnamento del latino, infatti, non è,
come in passato, la competenza attiva, ma la lettura finalizzata alla conoscenza della civiltà
che ha usato quella lingua.
Nel triennio superiore al centro della prassi didattica c’è quindi lo studio della letteratura
accompagnato dalla lettura dei testi per un “approccio globale” alla civiltà antica. 2
Per la scuola lo strumento principe è l’antologia, che si qualifica in rapporto ai contenuti, alle
finalità ed al pubblico a cui si rivolge.
Le antologie latine sono sostanzialmente di tre tipi: antologie della letteratura, antologie dei
classici previsti dai programmi ministeriali e antologie di passi per la traduzione. 3
Per i classici l’editoria scolastica propone al docente diverse possibilità: il commento integrale
di un’opera (o parte di essa) con antologia degli altri testi dell’autore, il commento integrale
ad un’opera (o parte di essa), la letteratura latina con storia, antologia e autori in un’unica
soluzione, l’antologia modulare.
Una prospettiva didattica coerente con gli obiettivi dell’insegnamento attuale del latino deve
tener conto di quattro elementi: traduzione, comprensione, trasmissione e permanenza. 4
È interessante quindi compiere un confronto tra commenti e apparati. È un’operazione che
certo non pretende di essere esaustiva, ma che offre un esempio per ognuna delle tipologie
elencate, per cercare di capire quali sono gli strumenti che i docenti e soprattutto gli studenti
hanno a disposizione.
Dall’analisi nei testi pensati in modo specifico per studenti liceali emergono due costanti: la
presenza massiccia o integrale della traduzione (con relativa costruzione sintattica) e
l’abbondanza di note morfologiche.
1
A. LA PENNA, Lo studio degli antichi nella scuola moderna in Aspetti del pensiero storico latino, con due
scritti sulla scuola classica, Torino 1978, p. 254.
2
N. FLOCCHINI, Le antologie degli autori in una moderna didattica del latino, Aufidus 7, 1989, pp. 136-137.
Flocchini cita a tale proposito i programmi del D.P.R. 31/09/1980 n. 316 Modifica dei programmi nel triennio
liceale.
3
N. FLOCCHINI (1989), pp. 127-129.
4
N. FLOCCHINI, Insegnare latino, Firenze 1999, pp. 215-216.
1
In Virgilio – L’utopia e la storia. Il libro XII e antologia delle opere, a cura di A. Traina
(Torino 1997), il nucleo centrale dell’antologia è costituito dal commento integrale del libro
XII dell’Eneide; ad esso sono stati aggiunti passi delle altre opere “selezionate secondo un
criterio non puramente estetico, ma funzionale all’ideologia virgiliana e al suo drammatico
sbocco nel finale dell’Eneide”.5
Il passo del IV libro, antologizzato con il titolo “L’impossibile dialogo”, è costituito dai versi
296-361. Didone affronta Enea che ha ricevuto da Giove l’ordine di mettersi in viaggio (v.
237 naviget) e di nascosto ha fatto i preparativi per la partenza. Emerge la contraddizione
latente tra la passione della regina e il desiderio di un approdo stabile di Enea, sentimenti che,
secondo Traina, rendono il dialogo impossibile e costituiscono una forma peculiare del
binomio utopia e storia che rappresenta l’orizzonte ideologico dell’intera opera virgiliana.
La scelta del passo risulta quindi funzionale a quanto espresso dal curatore nella prefazione:
“La storia è fatta soprattutto di guerra e di morte. E a morire, in guerra, sono i giovani. Il loro
sangue è il prezzo della pace futura. Ma, a pagare questo prezzo, sono anche donne e vecchi,
Didone e Amata col loro suicidio, Evandro e la madre di Eurialo, Anna e Diuturna col loro
dolore; e lo stesso Enea è un vincitore che si dissocia dalla sua vittoria, un predestinato che
non ama il suo destino”. 6 La morte di Didone rientra, in questa ottica, in una più ampia
prospettiva teleologica di legittimazione e per così dire di investitura poetica del potere del
princeps. A riprova di questo bisogna notare che l’antologia precede il commento continuo al
XII libro e non viceversa.
Per quanto riguarda il commento al testo le scelte operate fanno pensare che il curatore si
rivolga a universitari. Il commento è scientifico e presuppone le diverse possibilità esegetiche
dei lavori citati nella bibliografia ragionata, in particolare il volume oxoniense curato da R. G.
Austin (Oxford 1955) e l’ampio commento di E. Paratore (Roma 1947) rifluito nel volume
secondo del commento all’Eneide (Fondazione Valla 1978-1983 con traduzione di L. Canali).
5
A cura di A. TRAINA, Virgilio – L’utopia e la storia. Il libro XII e antologia delle opere, Torino 1997, p. 2.
Traina rispetto alla definizione di Heinze di Enea, come eroe plasmato dagli ideali stoici, sembra condividere
l’opinione di La Penna che afferma di accettare solo in parte la visione di Enea come eroe stoico; gli ideali stoici,
infatti, ai quali Enea sembrerebbe attenersi non sono quelli rigidi dello stoicismo antico, ma quelli più moderati
della media Stoà e di Panezio. In secondo luogo Enea appare in preda a dubbi e angosce: non cede alle passioni,
ma avverte il peso di una missione che richiede il sacrificio degli affetti. Cfr. R. HEINZE, La tecnica epica di
Virgilio, Bologna 1996 (19153).
Per quanto riguarda il IV libro la critica ha segnalato che la pena di Didone abbandonata è poco presente nelle
preoccupazioni di Enea. L’eroe non ignora il furor della donna (v. 283), ma il problema è soprattutto di
diplomazia. Ma come ha osservato La Penna Enea comprende pienamente il senso della passione della donna e
il prezzo terribile, che il fato richiede per compiersi solo nell’oltretomba, quando ciò che è compiuto è
irreversibile. Cfr. A. LA. PENNA, Virgilio e la crisi del mondo antico, in Virgilio, Tutte le opere, a cura di E.
CETRANGOLO, Firenze 1966, pp. LVII ss.
6
A cura di A. TRAINA (1997), p. 3.
2
Spesso viene ricostruita la struttura sintattica e sono presenti numerose note grammaticali.
Esaminiamo la nota al verso 305:
305. Dissimulare: come se Didone avesse sentito le parole di Enea ai compagni (v. 291): dissimulent. Vd. oltre,
E 6, 791 e 12, 360. – sperasti: “speravi”, passato generico (vd. sopra, E. 1, 12). La forma sincopata (unica in V.)
della lingua parlata evita il quadrisillabo dispondiaco spērāvīstī. – perfide: che viola la fides (vd. v. 307, e cf. v.
597: en dextra fidesque): “traditore” ripetuto al v. 366 (e 421). Così Arianna abbandonata aveva ripetutamente
chiamato Teseo (Catull. 64, 132 s.).
La traduzione non è completa e copre solo alcuni termini o versi isolati (es. vv. 317-318). Il
testo viene spiegato nel contenuto con rimandi interni all’Eneide o alle altre opere virgiliane.
Vengono ben evidenziati, oltre all’aspetto sintattico e stilistico, i collegamenti extratestuali e
intertestuali, come quelli con il passo che narra l’incontro di Enea e Didone nell’oltretomba
nel VI libro.
L’episodio del VI, infatti, costituisce l’epilogo della vicenda e numerosi sono gli echi fra i due
libri. 7 Come ha notato il Norden la situazione però è del tutto rovesciata: nel VI è Enea a
effondere la sua pena “con un groviglio di sentimenti nel quale è una immensa pietà”. 8 Quem
fugis? chiede alla donna richiamando alla memoria del lettore il mene fugis? di IV 314
pronunciato da Didone al momento dell'abbandono. L’eroe di fronte all’ombra della donna
tenta di giustificare la propria partenza con la suprema legge del Fato, ma la regina con gli
occhi fissi 9 al suolo, senza rispondere, si allontana rapidamente nel bosco verso l’ombra del
primo marito Sicheo 10 (417-476):
314. Mene fugis?: detto con doloroso stupore: proprio chi ti ha tanto aiutato e amato? Le parti si invertiranno
nell’oltretomba, dove sarà Enea a rivolgere all’ombra di Didone la domanda: Quem fugis? (E 6,466),
ricevendone in risposta uno sdegnoso silenzio. – Per ~ te: per la struttura a iperbato, formulare della preghiera,
cf. Ter. Andr. 289 ss.: ego per hanc te dexteram et genium tuum, / per tuam fidem…/ te obtestor, e vd. oltre, E
12,56 s. (parole di Amata), passi con cui ha in comune l’anafora (qui triplice) di per. Particolare pathos alla
formula dà l’accumulo pronominale in clausola monosillabica (tuam te), unico in V., e l’inserimento di una
proposizione paratattica (v. 318: miserere) tra l’oggetto (te) e il verbo (v. 319: oro).
Si possono evidenziare in prospettiva didattica i seguenti richiami:
VI 456 Infelix Dido > IV 68, 450, 596 (epiteto quasi formulare come ha sottolineato Conte in G.B. Conte,
Virgilio. L’epica del sentimento, Torino 2002, p. 122)
VI 457 exstinctam ferroque estrema secutam > IV 547, 606, 663-4, 679, 682
VI 461 iussa deum > IV 346
VI 464 hunc tantum > IV 308, 323
VI 469 aversa > IV 362
VI 471 dura silex > IV 366-7
8
Virgilio insiste particolarmente sulle lacrime effuse da Enea: v. 455 demisit lacrimas, v. 468 lacrimasque
ciebat, v. 476 prosequitur lacrimis.
9
Le parti tra i due amanti si sono rovesciate e così, mentre nel libro IV Didone huc illuc volvens oculos, in IV
469 fixos oculos tenebat.
10
Aen. VI 473-474: in nemus umbriferum, coniunx ubi pristinus illi/ respondet curis aequatque Sychaeus
amorem. Si noti l’accostamento Sychaeus amorem. Didone nel IV libro nella mancata fides alle ceneri di Sicheo
aveva ravvisato la causa della sua sciagura (IV 552).
7
3
Limitatamente a questo passo vengono citati Catullo, Cicerone, Accio, Seneca, Terenzio,
Plauto, Apollonio Rodio, Lucrezio, Catone, Plinio e Orazio per l’aspetto lessicale e, in alcuni
casi, ritmico, come al verso 316 o al verso 319:
316. Il verso, composto di due emistichi anaforici e sinonimici, chiuso da un grecismo quadrisillabico e inciso
dalla sola cesura trocaica (nōstră|| pĕr), ricalca lessicalmente e aritmicamente Catull. 64,141: sed conubia laeta,
sed optatos hymenaeos. Ma per Arianna il matrimonio è una promessa non mantenuta (v. 139), per Didone è,
almeno psicologicamente, una realtà (cf. v. 171), con cui tenta di rimuovere il senso di colpa per un rapporto che
alla morale romana appariva uno stuprum (come la relazione fra Catullo e Lesbia, ma a parti rovesciate: per
Catullo il foedus era il surrogato del matrimonio, cf. EV IV p. 97): non senza tuttavia che questo senso di colpa
affiori, come al v. 322, o qui stesso, nell’ambiguità di inceptos, che puù significare sia inizio che preludio di
nozze.
La precisazione metrica non costituisce un eccesso di tecnicismo, ma va inserita in un
discorso più ampio di esegesi attraverso il confronto con il modello catulliano considerato non
solo nella sua forma, ma anche nel suo contenuto e correlato alla biografia dell’autore.
319. exue mentem: “deponi (propriamente spogliati di) questo pensiero” (reice propositum, Serv. Dan.), cf. G.
2, 51: exuerint silvestrem animum (“natura”). Exuo con astratti psichici è attestato a partire da Cicerone, cf. ThlL
s.v., 2115, 9 ss.
Traina cita esplicitamente l’Enciclopedia Virgiliana, repertorio bibliografico in 5 volumi
diretto da F. Della Corte (Roma 1984-1991), indispensabile strumento di lavoro, e il
Thesaurus linguae Latinae (München, A-M, O-P). Queste citazioni degli strumenti
costituiscono una deroga all’orientamento generale; Traina ha infatti scelto di citare solo i
propri lavori per motivi di tempo e di spazio e di rimediare al silenzio del commento con una
bibliografia ragionata in cui segnala le opere più utilizzate.
È presente il riferimento ai commentatori antichi (Donato V sec., Servio IV/V sec. e il Servio
Danielino 1600) per chiarire il significato di alcuni termini.
Le citazioni sono quindi essenzialmente di due tipi: lessicali, come nel caso del v. 305, o
stilistiche, come ad esempio al verso 314 per la struttura a iperbato, formulare e tipica della
preghiera.
Le forme verbali sincopate non vengono sciolte sistematicamente, ma ad esempio al v. 305 la
presenza di sperasti della lingua parlata viene collegata alla necessità di evitare il
quadrisillabo dispondiaco spērāvīstī. Alla precisazione di tipo morfologico viene collegata
una notazione prosodica che non risulta quindi fine a se stessa. Anche al verso 303 il trocheo
Thyias, “la Menade”, è collegato al greco θυĩα – viene così evidenziato il calco – e al
linguaggio del culto bacchico.
Le precisazioni lessicali evidenziano termini fondamentali per il personaggio di Enea e per il
mondo romano come fides, il vocabolario della passione amorosa afferente al campo
semantico del furor (nel IV libro troviamo 14 occorrenze di tutti i derivati, nominali e verbali
4
della radice: furor, furiae, furibonda, furo) e il vocabolario allusivo al matrimonio (conubia,
coniuge, data dextera con riferimento alla dextrarum iunctio).
Il commento cura quindi gli aspetti morfologici, sintattici, lessicali, prosodici e stilistici.
Virgilio – Eneide Libro IV Introduzione, commento e note di R. Sabbadini. Revisione di C.
Marchesi (Torino 2001
(1950)
) è stato ristampato a distanza di un cinquantennio perché
utilizzato per una lettura integrale del libro.
Come osserva Maria-Pace Pieri “agli assaggi, necessariamente brevi, ma preferibilmente
proposti agli studenti in lingua originale, corredati da commento ampio e non limitato a
osservazioni di lingua e stile, è consuetudine affiancare letture per intero di uno scritto breve
(una orazione di Cicerone, un’operetta morale di Seneca ecc.) o parti di opere più ampie (ad
esempio un libro dell’Eneide).” 11
Marchesi ha rivisto il testo sulla base dell’Edizione nazionale (Roma 1930) a cura di
Sabbadini, di un esemplare del Sabbadini stesso con note autografe e appunti già pubblicati in
Historia 1934, n° 3, anno 8. Le aggiunte, che vengono segnalate puntualmente da parentesi
uncinate, non hanno cambiato l’orientamento generale del commento.
Apre il volume un paragrafo dedicato alla vita di Virgilio e alle opere. Introduce alla lettura
del libro IV l’argomento, a conclusione del quale si richiama un confronto con l’Alcesti e la
Medea di Euripide, le Argonautiche di Apollonio Rodio e l’Arianna del carme 64 di Catullo.
Nelle note però non si trova nessun riferimento preciso alle suggestioni poetiche che Virgilio
ha ricavato dai testi estranei alla tradizione del mito troiano, ad eccezione del v. 316, perché
ripropone le medesime cesure, numero di parole e numero di sillabe per parole del verso 141
del carme 64 di Catullo. Controllando i richiami in modo più attento ci si rende conto che i
confronti nella maggior parte dei casi introducono referenti sintattico-morfologici.
Le note possono assumere quindi una funzione esplicativa e di ampliamento del contenuto
come ad esempio al v. 274:
274. Il figlio d’Enea portava due nomi, Ascanio nella leggenda troiana, Giulo nella latina, cfr. I 267-268. – spes
Iuli (trisillabo), genitivo oggettivo, v. 178 = spes quae in Iulo sunt, le speranze riposte in Giulo.
Le precisazioni sintattiche e morfologiche sono però assai rare e dedicate ad elementi
particolari che richiamano casi analoghi in Virgilio o in altri autori. Si preferisce introdurre
note stilistiche con particolare insistenza sulle figure retoriche:
9. La confidenza di Didone (9-29) e la suasoria di Anna (31-53) mostrano un vivo colorito retorico, specialmente
nelle esclamazioni con cui si apre la prima e nelle interrogazioni con cui si apre la seconda. Osserva poi: Anna 9,
20; le anafore quis 10, quem 11, quibus 13, quae 14; si 15,18; vel 24, 25; ille 28,29; e l’epanafora umbras 25,26;
la personificazione e apostrofe Pudor 27.
11
MARIA-PACE PIERI, La didattica del latino, Roma 2005, p. 147.
5
O sulle analogie con il greco e sull’evoluzione della lingua:
85. si possit; quest’uso della congiunzione ipotetica occorre anche in greco p. es. Od. XI 628 εγων μένον ει τις
ελθοι. In latino si veniat: exspecto forma un nesso condizionale “nel caso che venga, io aspetto”; invertendo i
termini exspecto: si veniat, la condizione si può sentire ancora, ma accostandoli di più, exspecto, si veniat, il si
sviluppa un significato interrogativo, “aspetto per vedere se”. Così coi verbi explorandi, temptandie poi con
gl’interrogativi (v. 110) il si acquistò a poco a poco il valore di una congiunzione interrogativa.
La traduzione è rara, più spesso il curatore preferisce una perifrasi latina:
341. curas = negozia, quae curas movent
Oppure la costruzione del periodo è introdotta dalla formula “intendi così”. In casi particolari
Sabbadini si serve del commento di Servio, come al verso 385:
385. mors anima seduxerit artus “hypallage pro animam (ab) artubus seduxerit” (Servio)
Non viene concesso spazio alla morfologia. La forma carpere al verso 32 viene tradotta, ma
non spiegata.
Marchesi inoltre inserisce nel commento, che rimane molto sintetico, notazioni sulle lezioni
accolte da Sabbadini che si discostano dall’edizione del 1930, ma non c’è né stemma codicum
né storia della tradizione del testo e quindi i riferimenti ai codici rimangono isolati, come al
verso 390:
390. […] < parantem. Nella edizione nazionale (1930) il S. aveva accolto la lezione volentem del codice
mediceo; più tardi la ritenne sospetta, perché ripetuta da Georg. IV 501 e Aen. II 790; e ritornò alla lezione
parantem del codice Palatino-vaticano>.
Il progetto editoriale di Luca Canali, Camena, Letteratura latina (Milano 2005) riunisce in
un’unica opera storia della letteratura e antologia degli autori latini con l’obiettivo di avviare
alla lettura e alla traduzione delle opere inserite nel loro contesto storico e culturale. I brani
sono corredati da un apparato di commento differenziato (commento vero e proprio,
integrazioni informative, approfondimenti, suggerimenti critici, finestre sul lessico) che
vorrebbe fornire al docente la possibilità di creare percorsi diversi per impegno di analisi,
lettura e traduzione.
Viene concesso ampio spazio al libro IV di cui vengono riportati i versi 522-705. La
distinzione interna è fatta tra brani in latino e brani in latino e italiano, ma in realtà anche per i
brani in latino viene fornita in nota la traduzione con la relativa costruzione sintattica. La
suddivisione risulta più funzionale sul piano del contenuto.
La traduzione risulta centrale e viene dato ampio spazio alla esperienza di traduttore di Canali.
Rispetto al commento curato da Traina, che era pensato evidentemente per studenti
universitari, Camena è un’opera che si rivolge a studenti del triennio liceale. Insieme ai
richiami inter e extratestuali, alle note sintattiche e stilistiche che recepiscono i commenti
antichi e moderni, il testo presenta note morfologiche, in qualche caso eccessive. Se da una
6
parte, infatti, può essere utile la spiegazione sistematica delle forme sincopate, dall’altra
addirittura si sente il bisogno di fornire nominativo e genitivo di termini della terza
declinazione, quindi si chiarisce che pectora (v. 673) è neutro plurale di pectus, pectoris, o si
forniscono i paradigmi di alcuni verbi e quindi si sottolinea che fata (v. 685) è una forma di
for, faris, fatus sum, fari.
Infine Voces di M. Menghi e M. Gori (Piacenza 2000) si caratterizza per l’impianto modulare.
I testi, commentati dal punto di vista sintattico, morfologico e stilistico, sono dotati di una
parte operativa. Viene concesso ampio spazio al libro IV (versi 1-30, 160-197, 296-392, 584605 raccordati con il riassunto dei versi 31-159, 198-295 e 393-583).
È interessante notare che viene presentato il dialogo tra Didone e Enea (versi 296-361) e
l’ulteriore risposta della regina (versi 361-392).
Agli alunni negli “Spunti operativi” si chiede proprio di distinguere i tre discorsi e di
confrontarli:
► Riassumi le argomentazioni avanzate da Enea e da Didone nei tre discorsi che compongono il brano, e
realizza una scheda sinottica ponendo a confronto le due posizioni.
Sarebbe stato forse utile chiedere agli alunni di evidenziare anche i tratti stilistici connessi. Le
parole di Didone sono estremamente concitate; la donna, sopraffatta dalla passione, sembra
svolgere le proprie argomentazioni senza un ordine preciso mediante numerose interrogative
che accrescono il pathos della scena e nel secondo discorso rivolge al perfidus amante non
nuovi argomenti, ma invettive e minacce. Enea invece appare padrone di sé e della situazione,
quasi un principe del foro.
In relazione allo scopo dell’insegnamento del latino di cui abbiamo parlato preliminarmente la
prassi didattica deve cercare di proporre agli studenti il maggior numero di opere.
Poiché “l’opera letteraria ha un respiro che non tollera contrazioni” 12 e poiché per ragioni di
tempo non è possibile nella pratica scolastica tradurre per intero i 705 versi che compongono
il IV libro dell’Eneide, in prospettiva didattica si può procedere alla maniera di Voces,
cercando di dare un quadro globale del contenuto del libro. Credo però che sia preferibile,
nell’impossibilità di leggere in originale tutto il testo, una traduzione in italiano a fronte, come
ad esempio l’edizione Mondadori – Fondazione Valla. In questo modo si può procedere con
12
N. FLOCCHINI (1989), pp. 139-140. Si veda inoltre N. FLOCCHINI, La lettura e la utilizzazione degli autori
latini in una didattica rinnovata.Utilizzazione delle edizioni dei classici con il testo a fronte, (a cura di) V.F.
CICERONE, Didattica del classico. Nuovi orientamenti fra continuità e innovazione, Foggia 1990, pp. 424-433
e N. FLOCCHINI, Possibilità di un uso didattico della traduzione, Aufidus 3, 1998, pp. 75-105.
7
una lettura globale in italiano evidenziando i momenti fondamentali della vicenda anche con
la lettura di qualche verso significativo.
È il libro del dramma di Didone. La donna, dopo la sera trascorsa ad ascoltare il racconto di
Enea, non riesce a dormire. Il pudore e la fedeltà alla memoria del primo marito Sicheo le
impediscono di dare corso ai propri sentimenti.
All’inizio del libro l’amore è già una ferita tormentosa (vv. 1-2 At regina gravi iamdudum
saucia cura/volnus alit venis et caeco carpitur igni.), ma Didone con l’animo profondamente
turbato rifiuta di riconoscerne la vera natura. Si confida con la sorella Anna, la quale cerca di
rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla passione di Didone (vv. 1-55) che confessa
Adgnosco veteris vestigia flammae (v. 23).
Dopo il colloquio Anna e Didone visitano i templi degli dei e offrono sacrifici speciali a
Giunone, protettrice di Cartagine e dei vincoli coniugali.
Il fuoco della passione non si placa; la regina cerca di frequente di incontrare Enea, gli fa
visitare i lavori di costruzione della città, comincia a parlare, ma si ferma a metà.
Giunone preoccupata si rivolge a Venere e le propone un patto di alleanza e di nozze. La
madre di Enea capisce che lo scopo reale di Giunone è di bloccare in terra africana il figlio,
ma accetta convinta che la sosta invernale possa dare ristoro alle forza troiane (vv. 56-128).
Durante una partita di caccia scoppia un improvviso temporale: Enea e Didone si ritrovano
soli in una grotta e lì si uniscono. Didone proclama apertamente il proprio amore (vv. 129172).
Subito la Fama fulminea provvede a diffondere tra i popoli d’Africa la notizia che Didone si è
concessa al troiano Enea. La notizia fa infuriare Iarba, il re africano che contava di poter
sposare la regina di Cartagine, e lo infiamma di gelosia. Iarba si rivolge al padre
Ammone/Giove e gli chiede perché non lo protegga e favorisca invece Enea con il suo seguito
effeminato (vv. 173-218).
Giove ascolta la preghiera di Iarba e ordina a Mercurio di raggiungere Enea e di ordinargli di
partire per l’Italia (vv. 219-258).
Mercurio con parole insultanti riferisce l’ordine di Giove. Enea non sa come affrontare la
regina, ma non pensa neppure per un momento di disubbidire e ordina subito ai suoi
compagni di preparare in silenzio la flotta (vv. 259-295).
È Didone stessa ad intuire il sopraggiungere della crisi (v. 296 quis fallere possit amantem?) e
ad affrontare per prima Enea. L’eroe nega di volersi allontanare dalla città di nascosto e
conferma la propria gratitudine, ma i fati gli impongono altri doveri (vv. 296-361). Il verso
8
incompleto Italiam non sponte sequor (v. 361) riassume tutti gli elementi del dramma di
Enea: la meta, l’amore per Didone e la decisione di partire.
La donna risponde furibonda, il suo sentimento d’amore si trasforma in odio (vv. 362-392).
Con l’animo sconvolto, senza la possibilità di consolare la regina, Enea torna alla flotta.
Didone vedendo i preparativi per la partenza si dispera e tramite la sorella Anna cerca di
trattenere l’eroe almeno per qualche tempo, ma Enea non cede ai pianti (vv. 393-449).
Fallito l’ultimo tentativo, la regina è oppressa dal rimorso di aver tradito il marito Sicheo.
Fingendo di voler preparare un rito magico che le renda l’amante o che la liberi dalla
passione, Didone fa preparare un grande rogo al centro della reggia, vi fa collocare
un’immagine di Enea, la spada che l’eroe le aveva lasciato e il letto nuziale (vv. 450-521).
Pensa ormai alla morte, mentre Enea svegliatosi di soprassalto invoca gli dei e taglia gli
ormeggi con la spada (vv. 522-583).
Sorge l’alba e la regina vedendo dall’alto della rocca la flotta troiana che si allontana lancia
una terribile maledizione. Sale poi sul rogo e si getta sulla spada. Anna accorre disperata e
cerca di raccogliere l’ultimo respiro della sorella. Didone morente tenta per tre volte di
sollevarsi e cerca con gli occhi la luce; Giunone infine manda Iride dal cielo a sciogliere la
sua anima dal corpo (vv. 584-705).
Eneide IV 296-361 in I classici di Roma 1, Antologia latina per il liceo classico,
coordinata e diretta da A. LA PENNA (Firenze 1987) e in Scriptorium, Antologia di
autori latini, coordinata e diretta da G. B. Conte (Firenze 2000)
In entrambe le antologie i versi 296-361 sono collocati in un itinerario di letture che vuole
rendere conto del significato complessivo dell’Eneide.
“I classici di Roma” privilegia il IV libro per la sua organicità interna e la relativa autonomia:
il dramma di Didone, infatti, dall’innamoramento al suicidio, fornisce un filo unitario,
abbastanza ben delimitabile.13 La vicenda di Didone è considerata una tragedia della quale si
cerca di indicare i presupposti e gli aspetti più importanti per aiutare a seguire la
concatenazione drammatica da scena a scena. In questa prospettiva i curatori A. La Penna e C.
Grassi hanno scelto i versi 1-89, 160-197, 259-473 e 522-705 e ad essi affidano il compito di
presentare agli studenti l’Eneide.
13
I classici di Roma 1, Antologia latina per il liceo classico, coordinata e diretta da A. LA PENNA, Firenze
1987 p. 83. La sezione relativa a Virgilio è curata da A. La Penna e C. Grassi.
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L’antologia “Scriptorium” propone sei brani dell’Eneide, dei quali due tratti dal IV libro: II
506-558, IV 296-361 e 642-705, X 439-509 e 789-832, XII 887-952. La vicenda di Didone
esemplifica
quell’aumento
di
soggettività
rispetto
ai
poemi
omerici
registrato
nell’introduzione. Anche una delle caratteristiche della dizione epica, l’epiteto, “tende a
coinvolgere il lettore nella situazione e spesso anche nella psicologia dei personaggi che sono
sulla scena, riferendone i sentimenti”. 14
Per quanto riguarda i versi 296-361, così come per gli altri passi, per la traduzione c’è una
sostanziale differenza tra i due commenti. Ne “I classici di Roma” vengono tradotti termini e
nessi isolati (v. 299), al massimo emistichi (v. 298 motivato dal problema interpretativo),
assai più raramente interi versi (vv. 339-340).
Diversamente in “Scriptorium” il testo viene tradotto in modo sistematico e la traduzione è
posta all’inizio di ogni nota. Il commento che segue permette di esplicitare il percorso verso
di essa e ne discute il contenuto.
Entrambi gli apparati didattici forniscono un’analisi attenta di tutte le strutture sintattiche e
grammaticali.
Di particolare importanza sono le precisazioni stilistiche relative al lessico e ai modelli,
all’andamento retorico e ai problemi filologici e linguistici.
Il motivo bacchico dei versi 300-304 che presenta Didone ormai preda del furor è registrato in
ambedue i commenti con una accentuazione del numero di calchi dal greco segnalati da “I
classici di Roma”. Esso spiega il successivo comportamento irrazionale e incontrollato della
donna e quindi la sottolineatura è funzionale alla comprensione del contenuto di quanto segue.
Il registro erotico-elegiaco evidenziato nei commenti scientifici, sia in Conington-Nettleship
che in Austin, è rilevato sistematicamente in entrambi.
In tutti e due i commenti il sermo amatorius del topos della fanciulla abbandonata e il lessico
legato al conubium sono strettamente collegati ai modelli della tragedia greca e della lirica
latina. Perfide al verso 305 non è solo colui che viola la parola data, la fides, ma si carica di
una memoria erotico-elegiaca che riceve senso dalla tradizione; in esso confluiscono il
παγκάκιστε di Medea 465 di Euripide e il perfide Theseu di Catullo 64, 132.
Il legame con i modelli è soprattutto enfatizzato dal punto di vista del contenuto. I rapporti
con il destino e le passioni dei personaggi che entrano in azione, a cominciare dalla passione
amorosa, costituivano una tematica che andava al di là del mondo omerico. Quindi Virgilio ha
accolto le suggestioni provenienti dalla letteratura successiva ai poemi assimilando
14
Scriptorium, Antologia di autori latini, coordinata e diretta da G. B. Conte, Firenze 2000, p. 417. La sezione di
Virgilio è curata da M. Bonfanti.
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profondamente parte della poesia tragica ed epica: la tragedia di Euripide, le Argonautiche di
Apollonio Rodio, i poeti nuovi e specialmente Catullo.
Tra i due commenti emerge però una divergenza su questo argomento che rispecchia la
questione della dimensione tragico-drammatica dibattuta dalla critica virgiliana. Heinze
identificava la presenza del tragico con l’influenza concreta dei tragici ateniesi, ma
introduceva anche l’idea che la tecnica narrativa virgiliana fosse una drammatizzazione della
materia omerica. La Penna nel saggio ad introduzione di Virgilio, Tutte le opere 15 riprende
questa prospettiva ampliandola e correggendola; la vocazione tragica di Virgilio sarebbe
pertanto radicata all’interno di una esperienza storica che vede la lacerazione dell’ideologia
augustea. Questa idea viene recepita nel commento scolastico esaminato; si parla dunque di
influenza della tragedia greca, ma anche della crisi subita dall’impero e dalla società romana
nel I secolo a.C.
La giustizia del dominio romano diventava molto dubbia davanti alle rivolte dei popoli
oppressi e la società romana rivelava la contraddizione tra valori proclamati e il costume
reale. Il farsi interprete da parte di Virgilio di questa crisi attraversata dal mondo mediterraneo
si tradurrebbe, pur senza negare le ragioni del dominio romano, nella simpatia per i vinti e per
Enea.
L’analisi di “Scriptorium” non registra la presenza di una forma propriamente drammatica. Il
commento risente fortemente della posizione espressa da Gian Biagio Conte in Virgilio. Il
genere e i suoi confini. 16
Virgilio introduce una pluralità di punti di vista contraddittori, la cui compresenza non
significa, come nello sviluppo drammatico, superamento dialettico. La componente
drammatica c’è, ma non va oltre la struttura superficiale del testo, non tocca l’articolazione
profonda dei contenuti. Si tratta per lo più di fenomeni stilistici.
La struttura dei discorsi dei vv. 296-361 ricalca l’andamento del dialogo tra Giasone e Medea
in Apollonio Rodio; infatti al primo discorso di Didone dei versi 305-330 segue quello di
Enea ai versi 333-361 e la replica della regina ai versi 365-387 così come in Apollonio al
discorso di Medea seguiva la risposta di Giasone e una replica di Medea.
L’appello di Didone si caratterizza per una disposizione dei termini nella frase che può
apparire faticosa e illogica e invece è naturale, in quanto esprime l’affanno emotivo di chi
parla. Le parole di Enea sono invece organizzate in un discorso la cui qualità retorica è stata
15
16
A. LA PENNA (1966).
G. B. CONTE, Virgilio. Il genere e i suoi confini, Milano 1984, pp. 55-96.
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registrata a partire dai commentatori antichi; Servio lo legge come una controversia,
l’esercizio retorico in cui si dibattevano situazioni ipotetiche.
Il discorso di Enea – come la letteratura scientifica ha avuto modo di segnalare - è più lungo
di quello di Didone e pauca (v. 333) si riferisce al fatto che forse le parole sono poche rispetto
a ciò che avrebbe da dire e ai sentimenti che prova, ma sia il commento di “Scriptorium”,
anche se non in modo esplicito, che quello di “I classici di Roma” escludono l’ipotesi di
Conington che Enea parli lentamente e con sforzo: il personaggio è presentato in contrasto
con quello della regina. Didone parla violentemente, dominata dalla passione, esprimendosi
per interrogazioni e esclamazioni, Enea al contrario si controlla e pauca concorre a evocare un
modello oratorio secco e chiaro. La pena che prova, sottolineata dai tre spondei del verso 332,
non si traduce poi effettivamente nelle parole che utilizza.
Collegata alla questione dello stile oratorio c’è un problema di esegesi testuale che potrebbe
essere interessante mostrare agli alunni.
L’espressione pro re, come risulta dai due commenti, risente del linguaggio giudiziario: res è
l’oggetto del dibattito, ma può indicare anche il dibattito stesso (la lis) e quindi
significherebbe “in favore della causa”, cioè “in mia difesa”. In realtà l’espressione è discussa
a partire dagli antichi commentatori; infatti il Servio Danielino preferisce collegare pro a
pauca e quindi “poche parole (in proporzione al fatto)”. I curatori di “I classici di Roma”
dichiarano la loro preferenza per la prima interpretazione perché spiega meglio la funzione
della frase come passaggio dal preambolo affettivo del discorso alla discussione
dell’argomento dibattuto. In “Scriptorium” non viene presa posizione chiaramente, ma si
traduce “quanto al fatto” intendendo res l’azione, cioè la partenza di Enea, oggetto dell’accusa
di Didone.
A conclusione delle parole di Didone, riassunte nell’incipit formulare dixerat e seguite dal
silenzio di Enea e dal suo rifiuto di incontrare lo sguardo della regina, ai versi 331-332 un
intervento del narratore ci introduce in una questione letteraria che richiede un chiarimento e
che rende sicuramente utile presentare ai nostri alunni la lettura di alcune pagine di saggi
critici:
Dixerat. Ille Iovis monitis immota tenebat
lumina et obnixus curam sub corde premebat.
Nel commento al testo di “Scriptorium” la curatrice M. Bonfanti si sofferma sul contenuto di
questi versi, sulle implicazioni sulla significazione e sulla struttura dell’intero poema.
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L’intervento del narratore onnisciente vuole ricordare al lettore che il comportamento di Enea
è dettato solo da pietas, intesa come subordinazione di sé ai valori che trascendono l’io, 17 e
che un profondo tormento interiore lo lacera. Poiché al narratore nella codificazione epica
spetta la posizione ideologico-morale che informa il racconto, sottolineare prima la pietas di
Enea e poi il sacrificio dei sentimenti privati ha una conseguenza importante. Suggerisce,
infatti, la presenza in Enea di uno sdoppiamento tra una funzione oggettiva, come uomo del
Fato portatore della Verità cosmica e storica, e una funzione soggettiva come semplice
personaggio.
Emerge così la posizione critica di G.B. Conte 18 che individua nell’eroe virgiliano due
funzioni contestuali e ne definisce il doppio statuto letterario.
Ai punti di vista relativi dei personaggi Enea oppone solo la “faccia oggettiva” che
rappresenta la volontà del Fato, ma rispetto al poeta, che del Fato narra la realizzazione, non
ha lo stesso grado di conoscenza. Ne deriva che Enea è personaggio e contemporaneamente
non-personaggio; quando l’eroe si fa portatore della volontà del Fato risulta impossibile che si
instauri un conflitto drammatico perché è costretto a spogliarsi di sé e a reprimere la propria
soggettività per rivestirsi della propria missione. Nel futuro non può cercare strade diverse da
quelle tracciate per lui dal Fato; significherebbe diventare impius e tradire la propria missione.
È contro il suo cuore, non sponte (v. 361) dirà Enea a conclusione del suo discorso (invitus in
VI 640), che porta avanti la sua missione.
In Enea parla quindi il personaggio con il suo punto di vista che tende a diventare autonomo e
che è inserito in una struttura che lascia apparire coscienze diverse e punti di vista diversi fra i
quali resta aperto un vuoto doloroso che impedisce un sostanziale contatto e non permette una
reciproca penetrazione. 19 M. Bonfanti ha individuato nel punto di vista 20 un procedimento
della significazione letteraria e lascia trasparire i risultati delle sue ricerche. Amor e fides
acquistano un significato diverso per Didone e Enea e questa divaricazione di senso fa
emergere una incomunicabilità che si consumerà con un rovesciamento delle parti nel VI
libro.
Correlato tematicamente a questa struttura è la solitudine del personaggio, un elemento che
riconosce anche A. La Penna, ma come conseguenza di una diversa posizione esegetica che
nel commento al testo è appena accennata:
17
A. TRAINA, Pietas, in Enciclopedia Virgiliana diretta da F. Della Corte, 5 voll., Roma 1984-1991, vol. IV,
pp. 93-101.
18
G. B. CONTE (1984), p. 87-96 e (2002), pp. 123-124.
19
G. B. CONTE (1984), p. 70-71.
20
M. BONFANTI, Punti di vista e modi della narrazione nell’Eneide, Pisa 1985.
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331. Dixerat. Una delle «formule» epiche virgiliane con cui si indica la fine di una battuta. – immota tenebat
lumina (metafora poetica frequente per oculi). Il senso di questo atteggiamento si può cogliere bene attraverso il
confronto con 369 (nella replica di Didone) num lumina flexit?: Enea tiene gli ochhi immobili per non volgerli
verso la donna, atto che avrebbe indicato commozione, pietà, consenso: gli ammonimenti di Giove rendono
irremovibile la decisione della partenza.
332. obnixus…premebat: «con duro sforzo soffocava la sua pena nel profondo del cuore» (il duro sforzo
sembra sottolineato dai tre spondei). È un atteggiamento significativo, tipico di Enea: cfr. I 209 premit altum
corde dolore; X 464 s.: il compito affidatogli dal destino gli vieta non solo di obbedire al suo cuore, ma anche di
esprimere la sua pena: un aspetto della sua solitudine eroica.
Nell’introduzione, così come nel commento de “I classici di Roma” Enea viene definito,
proprio per il rapporto complesso che ha con il destino, un personaggio nuovo.
La sorte di Enea è ricalcata su quella di Ulisse, ma il rapporto con il destino come senso di
una missione da compiere sacrificando interessi e passioni è del tutto nuovo rispetto
all’Odissea, incomprensibile, secondo La Penna, senza lo stoicismo e la religiosità romana.
Enea rimarrebbe così schiacciato tra il disegno provvidenziale in cui è inserito e la forza
drammatica dei personaggi minori. 21
Un’apertura al dibattito della critica si percepisce nella nota al v. 361, ma rimane molto
superficiale limitandosi a sottolineare l’amarezza intensa dell’emistichio.
A conclusione di questo confronto, articolato solo su alcuni punti dei tanti possibili, credo che
sia necessario sottolineare come nei commenti antologici scientificità non significhi solo
rigore scientifico nel presentare i problemi sintattici o morfologici che il testo pone, ma anche
un continuo riferimento agli apporti della critica.
Un’unica riserva è sulla scelta del percorso monotematico di “I classici di Roma”; affidare,
infatti, esclusivamente al IV libro il compito di presentare l’intera Eneide se da una parte
privilegia l’organicità, dall’altra priva gli alunni di quella conoscenza panoramica dell’opera
che poi non sarà più acquisita.
21
A. LA PENNA (1966), pp. LXIV-LXV.
14
Bibliografia
Antologie scolastiche:
Virgilio – Eneide Libro IV Introduzione, commento e note di R. SABBADINI. Revisione di
C. MARCHESI, Torino 2001 (1950)
I classici di Roma 1, Antologia latina per il liceo classico, coordinata e diretta da A. LA
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Virgilio – L’utopia e la storia. Il libro XII e antologia delle opere, a cura di A. TRAINA,
Torino 1997
Voces, M. MENGHI e M. GORI, Piacenza 2000
Scriptorium, Antologia di autori latini, coordinata e diretta da G. B. CONTE, Firenze 2000
Camena, Letteratura latina, L. CANALI, vol. 2, Milano 2005
Commenti:
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Milano 1979
J. CONINGTON-H. NETTLESHIP, The works of Virgil, Hildesheim 1963 (London 188118843)
R.G. AUSTIN, Virgil, Aeneid IV, Oxford 1955
E. NORDEN, P. Vergilius Maro Aeneis Buch VI, Stuttgart 19271903
F. FLETCHER, Virgil, Aeneid VI, Oxford, 1941
Metodologie sull’insegnamento:
MARIA-PACE PIERI, La didattica del latino, Roma 2005
N. FLOCCHINI, Insegnare latino, Firenze 1999
A. LA PENNA, Lo studio degli antichi nella scuola moderna in Aspetti del pensiero storico
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N. FLOCCHINI, Le antologie degli autori in una moderna didattica del latino, Aufidus 7,
1989, PP. 127-141
N. FLOCCHINI, Possibilità di un uso didattico della traduzione, Aufidus 3, 1998, pp. 75-105
N. FLOCCHINI, La lettura e la utilizzazione degli autori latini in una didattica rinnovata.
Utilizzazione delle edizioni dei classici con il testo a fronte, in (a cura di) V.F. CICERONE,
Didattica del classico. Nuovi orientamenti fra continuità e innovazione, Foggia 1990, pp.
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Studi:
R. HEINZE, La tecnica epica di Virgilio, Bologna 1996 (19153)
A. LA. PENNA, Virgilio e la crisi del mondo antico, in Virgilio, Tutte le opere a cura di E.
CETRANGOLO, Firenze 1966
G. B. CONTE, Virgilio. Il genere e i suoi confini, Milano 1984
A. TRAINA, Pietas, in Enciclopedia Virgiliana diretta da F. Della Corte, 5 voll., Roma 19841991, vol. IV, pp. 93-101.
M. BONFANTI, Punti di vista e modi della narrazione nell’Eneide, Pisa 1985
G.B. CONTE, Virgilio. L’epica del sentimento, Torino 2002
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