I nuovi demoni di Mosca
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I nuovi demoni di Mosca
26-28 Russia tosi BIS_Layout 1 10/04/13 21:32 Pagina 26 RUSSIA I nuovi demoni di Mosca Crollato il comunismo, a tenere insieme la Federazione Russa è rimasto il petrolio, ma le regioni ricche di petrolio e gas ora sono attratte da idee indipendentiste e Mosca teme la vendetta di chi per anni è stato costretto a rispettare le ferree logiche sovietiche. di Cecilia Tosi 26 N ella sterminata terra russa le rivendicazioni regionali non sono una novità, e finora Putin è riuscito a gestirle col vecchio metodo del bastone e della carota, promettendo soldi e favori a chi gli è più fedele, cooptando le élite – potenziali guide di rivolte – e togliendo ai popoli ogni strumento di autodeterminazione. Oggi, però, il mondo non è grande come prima. Anche nelle città più povere e sperdute della steppa eurasiatica i cittadini russi sanno di avere dei diritti e di poterli difendere. Internet offre spazio alle rivendicazioni e mescola tre fattori esplosivi: sentimenti anti-Mosca, frustrazione per la perdita di diritti storici, crisi economica. Secondo alcuni economisti, il Paese rimarrà integro finché sarà alto il prezzo del petrolio, ma quando il mercato degli idrocarburi crollerà porterà via con sé l’unità della Russia. Secondo altri, come lo studioso Rustem Vakhitov, è difficile invece che la frantumazione avvenga, perché ogni repubblica della Federazione contiene al suo interno più di un gruppo etnico, e non ci sono regioni talmente omogenee da poter contare su un’identità distinta da quella russa. Sarà, ma le repubbliche attraversate dall’oro nero non sono mai state così incandescenti. Gli oleodotti che provengono dall’Asia centrale non hanno portato fortuna al Caucaso, l’area tradizionalmente più insicura della Federazione. Musulmani, montanari e imbelli, i po- poli di queste parti vengono sempre indicati come un temibile nemico interno su cui scaricare la potenza di fuoco di Mosca. Una volta era la Cecenia, oggi sono l’Inguscezia, la Kabardino Balkaria e soprattutto il Daghestan. Quest’ultimo, già definito dalla Bbc “il luogo più pericoloso del pianeta”, vive una stagione di stragi continue, tra presunti terroristi islamici, faide tribali e forze di sicurezza mandate da Mosca con obiettivi non chiari. Difficile, però, immaginare un’insurrezione indipendentista in una repubblica divisa in più di 30 gruppi etnici (e altrettante lingue) che attraversa l’esperienza surreale di una povertà esasperata – con una disoccupazione dell’80% – accanto alla scandalosa ricchezza di oligarchi east european crossroads 26-28 Russia tosi BIS_Layout 1 10/04/13 21:32 Pagina 27 RUSSIA REUTERS/CONTRASTO/EDUARD KORNIYENKO locali dediti all’epicureismo. Basti pensare che la capitale Makhachkala, dove il reddito medio equivale a un terzo di quello del resto della Russia, vanta una squadra di calcio allenata da Guus Hiddink e capitanata da Samuel Eto’o. Naturalmente il campione non si allena a tirare in porta tra le rovine daghestane, ma nelle lussuose strutture moscovite, mentre gli abitanti di Makhachkala pensano a seppellire le vittime degli ultimi attentati. Lo sport non servirà all’emancipazione dei daghestani, ma farà da trampolino alle rivendicazioni di un altro popolo caucasico: quello circasso. Così definiti dagli occidentali – in realtà loro si chiamano adighi – sono un’etnia accomunata da un idioma senza parenti, né slavi né turcofoni, e da antiche tradizioni guerriere. Sulla loro terra, e precisamente sulla montagna di Krasnaya Polyana, si giocheranno le prossime Olimpiadi invernali, quelle di Sochi 2014. Qua avvennero capitoli importanti dei massacri del 1862-64, che gli adighi chiamano genocidio e che invece il Cremlino non vuole riconoscere, preoccupato di costituire un precedente per le tante deportazioni staliniane e di dover pagare salati risarcimenti. Di circassi ce ne sono ancora, e vivono nelle repubbliche caucasiche di Adygea, Karachaevo Circassia e Kabardino Balkaria. “Sì, siamo ancora qua”, racconta Asker, “nonostante abbiano cercato di sterminarci e poi di dimenticarci”. Non se li potranno dimenticare il prossimo anno, quando saranno ospiti a casa loro per i Giochi Olimpici. Ma c’è da credere che le “muscolose” misure di sicurezza russe riusciranno a tenere a bada gli spiriti più caldi. \ La Federazione Russa non è mai stata così incandescente, finora Putin è riuscito a gestire la situazione ma la crisi economica sta accentuando le rivendicazioni regionali. numero 47 maggio/giugno 2013 E c’è pure chi riesce a ospitare stelle dello sport senza suscitare spirito di rivalsa. Sono i cittadini di Kazan, metropoli di successo dell’unica repubblica musulmana non caucasica, il Tatarstan. Nel centro della Russia, puntano sul calcio, ma anche su pallacanestro e pallavolo, formando squadre con la più alta densità di giocatori medagliati del mondo. La palla è uno dei settori di investimento dei ricchi tatari, discendenti di Gengis Khan, parenti dei turchi e fedeli ad Allah, ma assai più integrati dei caucasici. Il Tatarstan produce 32 milioni di tonnellate di petrolio all’anno e ha riserve stimate su 1 miliardo di tonnellate. Con queste ricchezze i tatari potranno presto scippare la leadership della Federazione ai fratelli slavi. Intanto hanno approvato un nuovo inno nazionale, scelto attraverso una gara pubblica. Tra 200 concorrenti, ha vinto quello che proponeva una poesia di Baytimerov, veterano tataro della seconda guerra mondiale. Ma in quale lingua si canterà? Dopo lunghe discussioni, il Parlamento ha scelto il compromesso, inserendo nell’inno due versi in tataro e due in russo. Ci tengono alla loro lingua anche i calmucchi, gente dai tratti indocinesi e di religione buddista, che vive in una repubblica desolata sul Mar Caspio. Anche loro cercano di costruire la loro identità recuperando le antiche radici, costruendo templi in stile thailandese e organizzando eventi religiosi internazionali per i seguaci di Buddha. E poi insegnando a scuola la lingua calmucca, di famiglia mongola e alfabeto cuneiforme, oggi trascritta in cirillico. Come i circassi, anche loro lamentano un passato sterminio: la deportazione del 1943, quando Stalin li trasferì in massa in Siberia e metà della popolazione morì. I treni della vergogna vengono oggi rievocati da un vagone solitario posto sotto il monumento dei martiri, nella capitale Elista. L’anno scorso 1800 calmucchi hanno fatto causa di risarcimento al governo russo per la tragedia subita 27 26-28 Russia tosi BIS_Layout 1 10/04/13 21:32 Pagina 28 RUSSIA FAUSTO GIACCONE/ANZENBERGER/CONTRASTO beria orientale si sente sempre più come la moglie di un alcolizzato, che viene picchiata tutti i giorni tranne quando il marito cerca di fare pace con un mazzo di fiori. I fiori sono 20 miliardi di dollari promessi dal Cremlino, all’ultimo vertice Apec, per finanziare lo sviluppo della Siberia. Ma cosa potranno fare 20 miliardi a 6 milioni di cittadini che contano su uno stipendio medio di 574 euro l’anno? “Ci sono leggi così stupide – racconta Dimitry, commerciante di Vladivostok – che il pesce costa più caro in una città di mare come la nostra che a Mosca. Il Cremlino non fa altro che crearci problemi e per alimentare il commercio interno hanno bloccato quello transfrontaliero. Per impedire che ci integrassimo troppo con la Cina hanno creato una zona di 500 km lungo il confine dove non si può costruire niente e 15mila persone che vivevano facendo la spola tra un Paese e l’altro si sono dovute trasferire.” In un raggio di mille chilometri da Vladivostok vivono 410 milioni di asiatici, tra cinesi giapponesi e coreani, che generano un Pil di 7 trilioni di dollari, cioè 4 volte quello della Russia. Eppure Mosca non li vuole nemmeno sentir nominare, perché nessuno deve toccare le sue terre orientali. “Ma non si può pompare per anni petrolio, ferro, le- 60 anni fa. Il tribunale ha respinto la richiesta al mittente. Ma né i calmucchi né i discendenti di antichi popoli delle montagne preoccupano veramente il Cremlino. Il terrore di Putin viene da est, dalla terra sinonimo di neve e ghiacci: la Siberia. La parte asiatica della Federazione Russa ospita appena tre abitanti ogni chilometro quadrato, ma di spazio ne occupa quanto la Cina. Le sue propaggini più orientali sono ricche di gas e petrolio e rappresentano il vanto di Mosca, eppure solo un terzo dei giovani che ci vivono sono stati nella capitale, e gli altri non hanno nessun desiderio di andarci. La Si- 28 gno – sostiene il sociologo Vladimir Cianov – e in cambio dare solo test nucleari, rifiuti radioattivi e criminali.” In Siberia si trova l’85% delle riserve di gas naturale russo, il 60% del petrolio, il 75% del carbone. Ricchezze completamente controllate dai moscoviti, che trattano la regione come una colonia. Anche per far entrare un veicolo in fabbrica deve arrivare l’autorizzazione della capitale, e la mattina gli autisti aspettano ore prima che a Mosca, con sei fusi orari di differenza, i manager si sveglino e diano l’ok per alzare la sbarra. Secondo un recente sondaggio, un partito che sostenesse l’idea dell’indipendenza potrebbe raccogliere il 20 per cento dei consensi. A Irkutsk, Omsk e Novosibirsk già risuonano gli appelli a collaborare con la Cina, che fino a qualche anno fa non poteva competere con la modernizzazione offerta da mamma Russia, mentre ora la può divorare. Divisa a sud, fragile a est, congelata al nord, la Russia deve guardarsi dagli irredentisti anche a ovest, nel cuore della sua civiltà. A San Pietroburgo cresce il numero di chi rievoca l’autonomia dell’Ingria – la regione che storicamente confina coi Paesi Baltici – e anela all’integrazione nella Ue. Anche in altre città occidentali, come Novgorod, Pskov e Bryansk, gli intellettuali si scagliano contro Mosca, colpevole di rubar loro democrazia e opportunità economiche date dalla vicinanza con l’Europa. Ma d’altronde, direbbe Majakovskij, “in una nave che affonda gli intellettuali sono i primi a fuggire subito dopo i topi e molto prima delle puttane.” east european crossroads