E. Cocever Ed. attiva e cooperazione

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E. Cocever Ed. attiva e cooperazione
L’EDUCAZIONE ATTIVA E LA COOPERAZIONE EDUCATIVA
Introduzione all’Educazione attiva
di Emanuela Cocever
Excusus
Educazione attiva è il termine che designa un insieme di riflessioni, ma soprattutto di esperienze
educative diverse per riferimenti teorici, intenzioni, condizioni di realizzazione, collocazione nel
tempo e nello spazio, accomunate dal considerare il bambino e la bambina o un qualsiasi
interlocutore dell’intervento educativo come parte attiva del processo educativo, oggi diremmo
protagonista del suo sviluppo e del suo apprendimento.
P. Bovet riassume quello che distingue i pensatori e gli operatori di questo orientamento nella
considerazione che invece di profittare delle facoltà ricettive del bambino per imprimere su questa
cera molle conoscenze ed abitudini [ .. 1 essi vedono anche e soprattutto, nel bambino, un
organismo eminentemente attivo le cui facoltà si sviluppano principalmente attraverso l’azione
(D.HAMELINE, A.JORNOD, M.BELKAID 1995).
Rousseau, Pestalozzi, Froebel, Kerschensteiner, Freinet, Dewey, Baden Powell sono i nomi di
riferimento quando si vuole ricordare chi ha sviluppato nel dibattito teorico e pratico
sull’educazione questa prospettiva. Ma l’idea che il bambino sia attore del suo sviluppo è all’opera
in esperienze anche molto precedenti: Erasmo da Rotterdam, Comenius, le Petites Ecoles di Port
Royal...
Se i maestri e le maestre di Port Royal aderivano all’idea della necessità dei bambini di essere
‘messi in forma’ per evitare le tentazioni mondane, realizzavano però una didattica fortemente
centrata sulla necessità di attivare e cercare collaborazione nell’interesse dei bambini all’oggetto di
studio e una organizzazione di vita quotidiana che teneva in gran conto l’opportunità che i bambini
si sentissero benvoluti e invitati da aspettative positive.
Parlare di questo passato non è una digressione retorica, serve a sottolineare la nostra implicazione
con fatti anche lontani, a ricordare come “niente succede per la prima volta e niente si ripete”. La
presenza o l’assenza delle ricerca di cooperazione nella pratica educativa non è da pensare tanto
scandita in un prima o un dopo, ma da un apparire scomparire in ordine tanto diacronico quanto
sincronico.
Se questa prospettiva ci interessa dobbiamo essere consapevoli che non si è realizzata né si realizza
una volta per tutte, che deve essere attivata settanta volte sette e che siamo ancora e sempre
responsabili della sua esistenza.
Le esperienze dell’educazione attiva con la fine della prima guerra mondiale diventano un
movimento che conosce un impulso particolare, mosso da due fenomeni, uno di carattere politico
sociale, l’altro di carattere scientifico e culturale.
L’esperienza dell’ingiustizia nella detenzione del potere e delle tragiche conseguenze che questa
comporta nella vita quotidiana di uomini e donne, in particolare quella della imperizia delle
gerarchie militari, quindi dell’ingiustizia sociale di fronte ai rischi mortali della guerra è decisiva
per l’affermazione di una esigenza di giustizia sociale che si afferma esplicitamente in movimenti
politici e azioni di diverse organizzazioni sociali.
Fra le categorie più attive c’è quella degli insegnanti e la scuola è al centro di molte rivendicazioni.
Freinet, in una lettera degli anni venti, scrive: Un popolo che la guerra ha unito, non può essere
diviso in tempo di pace... i padri hanno vegliato nelle nelle stesse trincee Il i figli possono sedersi
sugli stessi banchi (H. PEYRONIE 1999).
La diffusione fra insegnanti ed educatori di quanto i primi psicanalisti stavano scoprendo circa
aspetti fino allora trascurati dello sviluppo, le prospettive aperte dei lavori di S.Freud e dei clinici e
ricercatori suoi collaboratori, senza trascurare l’interesse suscitato da quelli di Binet, confermano , a
proposito della costruzione della personalità, del carattere, dell’intelligenza, l’intuizione di molti
educatori che educazione ed apprendimento non sono fenomeni lineari riducibili all’effetto di un
emittente A su un ricevente B.
Sono fenomeni complessi nei quali l’attività del ricevente non è meno importante di quella
dell’emittente; il loro successo dipende da una collaborazione che si può raggiungere tenendo conto
di aspetti che erano stati come la parte sommersa di un iceberg, la cui esplorazione è finalmente in
corso.
Partecipano a questo slancio motivato a volte da un idea umanista, a volte da un progetto politico,
ma sempre concretizzato in un’azione di definizione di formazione e di realizzazioni di scuole e
servizi innovativi, uomini e donne diversi per tradizioni culturali e scientifiche, per collocazione
geografica, per ambiti di azione e per fortuna successiva. Ne ricordo alcuni riducendo
azzardatamente in una frase il nucleo delle loro esperienze:
-J.Dewey (USA) la cui elaborazione filosofica verte sulla continuità fra esperienza e conoscenza,
-M. Montessorí (Italia) che afferma la competenza dei bambini, fin da molto piccoli, e vede l’opera
dell’educatrice come un’azione sull’ambiente di sgombero dagli ostacoli (il
primo dei quali è la troppa voglia di aiutare dell’educatrice stessa) e di offerta
di opportunità perché la competenza si esprima;
-O.Decroly (Belgio) che realizza una organizzazione degli apprendimenti corrispondente
all’assenza di soluzione di continuità negli ambiti di sviluppo;
-Gandhi e R, Tagore (India) che promuovono luoghi di vita e centri di formazione dove la pratica
spirituale, l’apprendimento di un mestiere e la produzione artigianale sono fusi
nella vita quotidiana;
-R.Baden Powell (Gran Bretagna) che costruisce un progetto di formazione di caratteri responsabili
e solidali attraverso l’esperienza di sé in un gruppo che passa dal gioco
all’azione sociale autoregolandosi secondo un insieme di intenzioni condivise,
-A.S.Makarenko (URSS) che offre ai giovani sbandati di cui si occupa un’esperienza di costruzione
di un luogo dì vita che è nello stesso tempo costruzione di un gruppo e di un sé
sociale;
- R.Cousinet, C. Freinet (Francia) che mettono in forma un’organizzazione scolastica che riconosce
le caratteristiche individuali per utilizzarle in un progetto vantaggioso per il
singolo e per il gruppo.
-E. Pikler (Ungheria) che mette a punto la possibilità di una relazione educativa cooperativa fra
l’adulto e il bambino fin dai primi mesi di vita, quando il corpo è il solo
strumento attraverso il quale un bambino percepisce, pensa, si esprime.
Un momento forte: i trenta punti di Calais
Alla fine degli anni venti il movimento fa un salto di qualità e passa dalla frammentazione di
numerose iniziative alla messa in forma di un organismo che superi la frammentazione e offra a chi
ha una pratica nell’educazione attiva e ai molti che sono alla ricerca di riferimenti capaci di
sostenere con metodi e tecniche generalizzabili il desiderio di innovare, un quadro di riferimento
convincente e d efficace.
Nel 1921 nel corso della riunione annuale della Ligue de l’éducation nouvelle, a Calais, viene
stabilito l’elenco di 29 punti (diventeranno 30 nel 1925) che caratterizzano il movimento e
vincolano i suoi aderenti.
La definizione Education nouvelle era stata usata, fino allora, con totale libertà. L’ampliarsi ed
articolarsi delle iniziative che affermavano fame parte aveva dato luogo a confusioni e distorsioni.
In questa occasione si stabilisce che una esperienza che voglia definirsi come appartenente
all’Educazione nuova deve realizzare almeno quindici dei 30 punti individuati.
1 trenta punti di Calais iniziano col delineare l’organizzazione di una scuola e arrivano a formulare
un progetto di educazione alla cittadinanza.
Dieci principi riguardano la organizzazione generale:
1. L’Educazione nuova è un laboratorio di pedagogia pratica che si propone di servire di
suggerimento alle scuole ufficiali;
1. L’Educazione nuova è un internato in atmosfera quanto più è possibile familiare;
2. L’Educazione nuova è stabilita in campagna;
3. L’Educazione nuova raggruppa gli alunni in padiglioni;
4. L’Educazione nuova pratica la coeducazione dei sessi;
5. L’Educazione nuova deve comprendere almeno un’ora e mezza al giorno di lavoro manuale;
6. La falegnameria occupa il primo posto fra i lavori manuali. Il giardinaggio e l’allevamento
sono pure consigliati;
7. Devono essere possibili lavori liberi;
8. L’educazione fisica è realizzata mediante la ginnastica naturale, i giochi, gli sport;
9. Campeggi ed escursioni.
Dieci principi riguardano l’educazione intellettuale:
1. Sviluppare il giudizio piuttosto che la memoria;
2. Specializzazione spontanea accanto a cultura generale;
3. L’insegnamento si basa sui fatti e sulle esperienze;
4. In conseguenza l’Educazione nuova si appoggia sull’attività personale del fanciullo;
5. L’insegnamento è fondato sull’interesse spontaneo degli alunni;
6. Il lavoro individuale consiste in ricerche sia attraverso. i fatti, sia fra libri, periodici, etc., e, in
seguito, attraverso classificazioni secondo un ordine logico;
7. Il lavoro collettivo consiste nell’elaborazione comune di documenti particolari
8. L’insegnamento propriamente detto è limitato alla mattina
9. L’insegnamento non tratta più di una o due materie al giorno: la varietà deve sorgere dal
modo di presentarle;
10. L’insegnamento tratta poche materie per ciascun mese o trimestre.
Dieci principi riguardano l’educazione morale:
1. L’educazione morale si realizza dall’interno all’esterno e cioè per mezzo della pratica,
graduale del senso critico e della libertà
2. Per l’organizzazione amministrativa e disciplinare si applica il sistema rappresentativo
democratico;
3. Premi e sanzioni -positive non si hanno se non come mezzo per promuovere l’iniziativa;
4. Premi e sanzioni educative consistono nel mettere l’alunno in condizione di raggiungere
meglio il fine considerato come buono;
5. Auto emulazione;
6. L’Educazione nuova deve presentare un’atmosfera estetica ed accogliente;
7. Musica collettiva, canto corale, orchestra;
8. L’educazione della coscienza consiste, per i fanciulli, soprattutto in racconti morali;
9. La maggior parte delle scuole nuove osserva un’attitudine religiosa senza settarismi e pratica
la neutralità confessionale;
10. L’Educazione nuova prepara il futuro cittadino non solo in vista della nazione, ma anche in
vista dell’umanità.
(L. ROMANINI 1954, le sottolineature sono di chi scrive).
Con questi punti, il movimento dell’Educazione nuova formula un progetto di autoeducazione
attraverso la valorizzazione dell’interesse, dell’esperienza pratica, nel rispetto e con l’utilizzo di
tutte le componenti dello sviluppo
Il ruolo dell’educatore
L’insegnante e, più in generale, l’educatore coerente con questa impostazione non è un operatore di
trasmissione (di contenuti, regole, etc.) ma un interlocutore capace di far fare esperienze e di
accompagnarne l’elaborazione globale.
L’opera degli educatori e degli insegnanti che si riconoscono nel movimento dell’educazione attiva
ha qualcosa in comune con (proseguono?) l’opera della madre come la descrive Winnicott ( D.W.
WINNICOTT 1989) quando parla della sua capacità di introdurre il bambino o la bambina ad un
rapporto creativo col mondo.
Dice Winnicott che il senso di realtà non si costruisce nel bambino con l’insistere della madre sulla
esteriorità delle cose esterne, ma con la capacità della madre di adattarsi ed adattare la realtà, al
bisogno del bambino e l’adeguato decrescere di questa disponibilità.
Ugualmente un educatore mette in grado il suo interlocutore di fare esperienze che lo confermino,
nella sua capacità di intervenire con effetto nel mondo e lo fa modulando la sua funzione di
mediazione.
Così facendo si impegna anche perché il rapporto che intrattiene con ogni interlocutore sia orientato
verso il mondo esterno e non alla coppia che essi formano. La relazione è una dinamo, non un
obbiettivo in sé.
Il concetto di mediazione è al centro della lettura delle esperienze di Freinet da parte di insegnanti e
operatori dei servizi educativi e sanitari. Il ‘Gruppo di pedagogia e psicoterapia istituzionale’ studia
e lavora in particolare il ruolo fondamentale, ai fini dell’apprendimento e della socializza ione, ma
anche della riabilitazione nei gruppi a scuola e n elle strutture psichiatriche, delle mediazioni che le
tecniche di lavoro, l’uso degli strumenti, le regole gestite in gruppo, rappresentano (F.
TOSQUELLES 1974, 1884; F. OURY 1971)
Per questi educatori e terapeuti, la mediazione è un dispositivo materiale o organizzativo che regola
gli scambi. E’ un aspetto concreto della vita di gruppo offerto all’attenzione del gruppo perché ne
mobiliti l’interesse cognitivo e affettivo e ne faciliti la comunicazione.
Mette in gioco gli individui ‘a proposito di’, muove le identificazioni in funzione di un compito,
distribuisce la reattività e la energia oltre un rapporto frontale verso l’interesse e l’azione per le cose
e le persone.
Un punto forte: la previsione positiva
Molti educatori del movimento condividono la qualità di essere degli scrittori efficaci e accattivanti,
capaci di raccontare l’esperienza senza utilizza e il gergo disciplinare.
Avendo altri tempo e spazio a disposizione sarebbe interessante citare affermazioni di intenzioni,
esposizioni di problemi, indicazioni di azione riferiti ad aspetti. della vita scolastica e dei servizi
interessanti e operativi per noi oggi, anche se la loro formulazione è lontana nel tempo.
Faccio un esempio fra i tanti possibili. Riguarda l’attribuzione di educabilità nei confronti di
soggetti in situazione di difficoltà anche estrema, così come P. Meirieu la legge in una vicenda
fondamentale nella storia dell’educazione, attiva e non solo: quella del selvaggio dell’Aveyron e del
dott. Itard.
Alla fine dei ‘700, nei boschi del centro della Francia era stato ritrovato un ragazzino dell’apparente
età di 10 - 12 anni, il cui aspetto e comportamento lasciavano immaginare che fosse stato
abbandonato alla nascita e fosse cresciuto, quindi, fra gli animali e le piante, senza alcun contatto
umano.
L’abbandono di bambini era un fatto non del tutto eccezionale, in quel periodo storico, ma questo
ritrovamento avviene in un momento particolare per la storia delle scienze dell’uomo. La
rivoluzione francese aveva lasciato dietro di sé, in questo campo, molte idee innovative favorevoli
alle ipotesi dell’efficacia dell’azione umana sulla salute, l’intelligenza, il benessere.
A Parigi lavorava Pinel (il medico che per primo aveva organizzato un ospedale per i matti secondo
l’ipotesi che vi potessero essere curati) ed era attiva una Societé des observateurs de l’ homme i cui
membri dibattevano con passione dei rapporti fra innato e acquisito nell’uomo. Le loro discussioni
si basavano non solo su convinzioni, ma derivavano per quanto possibile da esperienze o
esperimenti.. J. Itard, medico, era uno di questi intellettuali e chiese di avere in affidamento il
‘selvaggio’ per potere realizzare un’opera di educazione nei suoi confronti. Il governo accettò la sua
proposta e J.Itard si mise all’opera...
I diari eccezionalmente dettagliati e accurati di J.Itard ci lasciano una testimonianza preziosa
dell’esperienza; utilizzandoli F. Truffaut ha realizzato uno dei suoi film più belli Il ragazzo
selvaggio (A. CANEVARO, J.GAUDREAU 1997).
Philippe Meirieu apre la collezione di piccoli testi e video “Reflechir avec les pedagogues d’hier
aux questions éducatives d’aujourd’hui” con queste parole:
“La storia dell’educazione è fatta di scommesse: un bambino è dichiarato perso, ‘anormale’,
deficiente ‘, ‘ritardato, ‘incapace’ ... ed ecco che un uomo o una donna si alzano e rifiutano questo
verdetto. Affermano che `si può fare qualcosa e che non si può e non si deve rassegnarsi. Si
mettono al lavoro, ribellandosi alla fatalità alla quale altri attorno a loro si sottomettono.
Inventano metodi, cercano soluzioni, attivano dispositivi per riportare chi ne era stato allontanato
nel campo dell’umanità. A volte, il più delle volte non ci riescono del tutto. Ma il loro interlocutore
fa comunque dei progressi. Spesso con difficoltà, ma quanto è necessario per non perdere la
speranza. Hanno scommesso sull’educabilità... una scommessa insensata d ifronte a tutte le buone
ragioni che indurrebbero a rinunciare. Una scommessa infinitamente necessaria. Una scommessa
che è l’onore dell’educatore e la sua ragione d’esistere.”
Questa affermazione evita il rischio della demagogia e si mantiene nel campo drammatico, ma reale
dell’educazione, perché è accompagnata, nel testo di Meirieu, dalla considerazione della necessità
di ottenere la collaborazione, di attivare la voglia di partecipare al progetto educativo, da parte
dell’interlocutore dell’azione educativa.
E’ un tema che questo pedagogista francese tratta frequentemente (uno di quelli che alimentano la
discussione ricorrente in Italia come in Francia sulla necessità o meno di un pensiero pedagogico
per organizzare la scuola, fra pedagogisti, appunto e disciplinaristi) per mettere a fuoco qualcosa di
simile a un disegno gestaltico nel quale non si riesce a cogliere il punto in cui le linee passano dal
disegnare un elemento a disegnarne un altro. Stare in presenza di questo impossibilità di separare, e
agire al suo interno, costituisce una caratteristica dell’atteggiamento educativo nella prospettiva
dell’educazione attiva.
E’ necessario che ad un certo punto decidiamo di fare qualcosa di noi stessi e l’educatore non può
farlo al posto dell’educando, può solo creare le condizioni perché l’altro prenda lui stesso la
decisione, si assuma il rischio. Quello che oggi abbiamo capito meglio di quanto lo capisse Ilard è
che non si può crescere al posto di qualcun altro. Si può, si deve, essere presenti, fare il possibile
per aiutarlo . è il principio di educabilità ... Ma bisogna rispettare che sia l’altro a decidere, alla
fine, del suo destino e dei suoi apprendimenti: è il principio di libertà. Il principio di libertà è
indissociabile dal principio di educabilità. Senza rispetto della libertà l’educabilità diventa
addestramento. Senza educabilità il rispetto della libertà si trasforma in fatalismo (MEIRIEU
1999).
Bibliografia
A. CANEVARO, J. GAUDREAU L’educazione degli handicappati, La Nuova Italia Scientifica,
Roma 1997
D. HAMELINE, A. JORNOT, M. BELKAID, L’école active. Textes fondateurs, Puf - Paris 1995
P. MEIRIEU, J G. Itard. Tous les enfants peuvent-ils etre éduqués ?, PEMF, 2001
A. VASQUEZ, F. OURY, L’educazione nel gruppo classe, ed. Dheoniane, Bologna 1971
H. PEYRONIE, Célestin Freinet, Hachette Education, Paris 1999
L. ROMANINI, Il movimento pedagogico all’estero, vol. I Le idee, vol. Il Le esperienze, La
scuola editrice, Brescia 1953
F. TOSQUELLES, Education et psychotherapie institutionelle, HIaTUS, Mantes laVille 1984
D.W. WINNICOTT, Sulla natura umana, R. Cortina, Roma 1989.
Cooperazione Educativa
Le scuole nuove o attive, che hanno assunto anche la denominazione di attivismo, rappresentano il
metodo pedagogico per eccellenza incentrato sulla cooperazione educativa. Grazie a queste basi
siamo potuti arrivare al Computer Support for Cooperative Learning (CSCL), ovvero al
supporto del computer come strumento educativo e di cooperazione. La parola “cooperazione”
deriva dal latino cum e operari ed ha il significato di “associazione di più individui che operano e
lavorano insieme per uno scopo comune”.
In ambito educativo il principio di cooperazione, ha assunto il senso di collaborazione costante tra
maestro ed allievi, indicando anche una collaborazione degli allievi tra loro in un mutuo spirito di
comprensione e simpatia.
Tale principio verrà usato in ambito educativo solo nel secondo decennio del ventesimo secolo,
quando Profit, un semplice insegnante, istituisce in Francia le prime Cooperative scolastiche; le
origini di queste cooperative a sfondo antigerarchico e antitradizionalista con scopi egualitari, si
ritrovano però in Gran Bretagna alla fine del 1700.Joseph Lancaster a Londra e Andrew Bell a
Madras, creeranno rispettivamente luoghi importanti per la storia della pedagogia e della didattica:
il primo darà vita alle scuole popolari dell’età dell’industrializzazione, il secondo invece, ad una
scuola per figli maschi di militari europei.
La scuola di Andrew Bell si basava sulla pratica del mutuo insegnamento: gli alunni più piccoli
apprendevano l’alfabeto dagli alunni più grandi già in grado di leggere qualche parola e questi
ultimi venivano a loro volta istruiti dai compagni più esperti; ogni fila di banchi presente nell’aula
corrispondeva ad un grado di apprendimento e l’ordine all’interno di essa veniva controllato dai
monitori, ovvero da alunni-maestri responsabili ognuno di una trentina di bambini, in modo tale che
un solo insegnante potesse riuscire a seguire fino ad un massimo di cinquecento ragazzi.
La nascita vera e propria del movimento delle scuole nuove si ha alla fine del 1800, periodo in cui si
affermano le varie identità nazionali e viene totalmente abbandonata l’educazione rivolta all’élitè
presente durante la Restaurazione dei regimi monarchici europei.
Il positivismo diventa la corrente filosofica per eccellenza, perché sarà alla base della scienza e
della ragione umana e porterà a notevoli progressi scientifici e tecnologici come quelli creati da
Charles Robert Darwin in fisiologia e più tardi da Sigmund Freud con l’invenzione della
psicoanalisi e da Jean Piaget con gli stadi di sviluppo mentale del bambino.
Queste scoperte contribuiranno sempre più all’affermazione di un atteggiamento diverso riguardo ai
concetti di <<uomo>> e di <<educazione>>.
Nello stesso periodo in quasi tutta Europa e negli Stati Uniti si sviluppano le istituzioni scolastiche
e questa svolta tenderà a far diminuire l’analfabetismo, a ridurre la manodopera nel settore primario
ed aumentare il lavoro nel settore secondario e terziario.
Il nuovo metodo delle scuole attive in Europa non si baserà più sulla centralità dell’insegnante o del
programma da svolgere, ma sulla struttura mentale e sulla personalità dell’alunno, il quale diverrà
protagonista del processo di apprendimento ed acquisirà coscienza dell’educazione come strumento
di emancipazione.
I nuovi educatori porranno al centro del loro interesse l’individuo integrato nella collettività e il
concetto di collaborazione, ciò evidenzierà l’importanza del rapporto con gli altri attraverso il quale
sarà possibile prendere coscienza del proprio sé individuale soltanto rispettando il sé collettivo.
Gli insegnanti avranno il compito fondamentale di promuovere e sviluppare l’attività spontanea del
bambino in modo tale che, partendo dalle esperienze, il bambino possa avere la possibilità di tirar
fuori gli interessi meno pronunciati.
Nelle esperienze verrà insegnata la socializzazione tramite la pratica del mutuo insegnamento, della
vita comunitaria e democratica e dell’autogoverno.
Una scuola attiva europea molto significativa è la scuola per fanciulli Rue De l’Ermitage, fondata
dal medico belga O. Decroly e definita da lui stesso “scuola per la vita attraverso la vita”. Secondo
Decroly la vita è mezzo e fine della scuola, quindi il metodo ed il programma educativi si devono
adeguare alle necessità della vita e basarsi sulla psicologia infantile, perché tutti i bambini
possiedono degli interessi spontanei, delle propensioni a conoscere e a svolgere determinate
esperienze e un programma educativo che non tiene conto di tutto questo, può rivelarsi inutile e
controproducente nei confronti dell’allievo.
Nelle esperienze didattiche francesi invece, Roger Cousinet ha cercato di realizzare una scuola che
abbia come modello i metodi di uno stato: nel 1920 inizia un esperimento educativo che nomina
repubblica dei ragazzi e che fonda sul metodo di lavoro libero per gruppi, un modello di
associazione che i ragazzi seguono spontaneamente nei loro giochi.
Cousinet adegua il modello educativo della scuola alle esigenze di socializzazione degli allievi, i
quali vengono divisi in gruppi di cinque o sei membri, ciascuno dei quali ha all’interno dell’aula un
proprio angolo di lavoro in cui sono radunati tutti gli strumenti necessari, quali lavagna, scaffali,
libri, schedari, collezioni e così via.
Il maestro suggerisce ai ragazzi gli argomenti, fornisce loro il materiali di documentazione, illustra
le regole di lavoro, ma i ragazzi sono liberi di scegliere come condurre il loro lavoro. Cousinet
voleva dimostrare che per mezzo del lavoro di gruppo gli scolari hanno la possibilità di acquisire
una coscienza sociale, all’interno della quale l’attività didattica è il risultato di una integrazione
degli sforzi di ciascun allievo con gli sforzi del gruppo-classe.
Nella prima metà del novecento il pensiero pedagogico francese si arricchisce ulteriormente grazie
al contributo di un maestro del sud della Francia, Celestine Freinet , il quale si discosta dalle scuole
nuove dando origine ad una pedagogia popolare laica, impegnata a riscattare socialmente la classe
operaia.
Secondo Celestine Freinet ciascun individuo possiede per natura una tecnica peculiare per adattarsi
all’ambiente che lo circonda e col passare del tempo l’individuo perfeziona la tecnica grazie
all’esperienza a tentoni. Freinet afferma che tutti gli essere umani passano dai primi tentativi
meccanici, tipici dell’età infantile, a quelli intelligenti; durante questa fase l’individuo non può
essere lasciato solo, ha bisogno dell’aiuto di un educatore non autoritario capace di rendere
l’apprendimento rapido e completo per mezzo dell’esperienza.
La scuola quindi deve andare di pari passo con la vita, deve sviluppare nell’allievo le capacità di
inserirsi in un ambiente socio-politico che richiede ai propri cittadini consapevolezza di diritti e
doveri. Lo studioso svolge le prime esperienze di innovazione educativa accompagnando i ragazzi
in campagna e nei laboratori artigiani, in modo che l’esperienza concreta diventi spunto per lezioni
di storia, geografia e calcolo e faccia così aumentare negli allievi, la motivazione e l’interesse ad
apprendere.
Celestine Freinet trasformò la scuola in una piccola comunità, all’interno della quale erano presenti:
una costante cooperazione tra insegnanti e tra alunni ed insegnanti; laboratori sia per lavori manuali
che per attività intellettuali in cui le attività vengono supportate da alcune tecniche come il testo
libero, la tipografia, la corrispondenza interscolastica, il calcolo vivente e lo schedario auto
correttivo.
L’esperienza di Celestine Freinet attira l’attenzione di numerosi pedagogisti ed educatori in tutta
Europa, in particolare in Italia e in Francia, negli anni cinquanta, la tecnica della tipografia
rappresenta il punto di svolta per dar vita, all’interno della scuola pubblica, ad un’educazione
innovativa basata sulla cooperazione tra insegnanti ed alunni.
In Italia nasce il MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) e in Francia l’ICEM (Institut
Coopèratif de l’Ecole Moderne). Per sviluppare ulteriormente la socializzazione, le scuole
dell’attivismo tedesco, crearono un ambiente scolastico all’interno del quale bambini di età e sesso
differenti potessero lavorare insieme e dove gli alunni più progrediti o più anziani avessero la
possibilità di aiutare gli altri, così che lo sforzo di ciascun individuo andasse a beneficio della vita
comunitaria.
L’attivismo americano, di cui il padre è John Dewey, vede la costruzione del pensiero
dell’individuo ricoperta dall’esperienza e tale esperienza determina una serie di interazioni tra il
soggetto e l’ambiente socio-culturale che lo circonda. <<elaborare soluzioni appropriate ai problemi
posti dal’esperienza>> , dunque per ciascun individuo <<il vero è il verificato>>.
I punti principali della scuola attiva di John Dewey sono due: 1) la libertà della persona, che non
consiste nel libero arbitrio, ma nella possibilità di organizzare le proprie azioni in modo tale da
poter trasformare la realtà a seconda delle proprie esigenze; 2) la scuola come forma di vita di
comunità, in grado di rivestire il ruolo di comunità in miniaturae quindi a stretto contatto con
l’ambiente circostante.
In Italia, nei primi anni del ‘900, l’attivismo pedagogico è sperimentato nelle Case dei bambini di
Maria Montessori e nella scuola materna di Rosa Agazzi e Carolina Agazzi. La prima casa dei
bambini di Maria Montessori è del 1907, viene fondata a Roma e destinati ai bambini del quartiere
San Lorenzo; è una scuola speciale, una vera e propria casa dei bambini e non costruita per i
bambini.
L'intero arredamento della casa è progettato e proporzionato alle possibilità del bambino, il quale
interagisce attivamente con il materiale proposto, mostrandosi concentrato creativo e volenteroso.
Qui trova un ambiente per potersi esprimere in maniera originale e allo stesso tempo per poter
apprendere gli aspetti fondamentali della vita comunitaria grazie anche alla partecipazione attiva di
genitori ed insegnanti. Il pensiero pedagogico montessoriano parte dallo studio dei bambini con
problemi psichici e successivamente si espande allo studio dell'educazione per tutti i bambini.
La sua ideologia identifica il bambino come essere completo, capace di sviluppare energie creative
e possessore di disposizioni morali (come l'amore), che l'adulto ha ormai compresso dentro di sé
rendendole inattive. Il principio fondamentale del pensiero montessoriano è la libertà dell’allievo,
perché soltanto la libertà è in grado di favorire la creatività del bambino già presente nella sua
natura.
Dalla libertà infine, deve emergere la disciplina, perché un individuo disciplinato è capace di
regolarsi da solo quando sarà necessario seguire le regole della vita. La scuola materna delle sorelle
Agazzi viene progettata in modo tale che rispecchi l’ambiente abituale del bambino: una piccola
casa all’interno della quale il piccolo ha la possibilità di svolgere attività domestiche come a casa
propria.
Il materiale didattico di questa particolare scuola materna ha un giardino con animali e piante,
attraverso cui il bambino può prendersi cura degli animali e lavorare la terra; un museo delle
cianfrusaglie, in cui vengono raccolti materiali ritrovati dai bambini e successivamente utilizzati
come materiale didattico; i contrassegni, ovvero immagini di oggetti di uso comune che
contrassegnano le proprietà dei beni individuali dei bambini e che hanno lo scopo di educarli al
linguaggio e all’uso dei simboli.
L’insegnamento agazziano si basa su una programmazione scolastica che riguarda il fare e il
conoscere attraverso l’introduzione di attività di vita pratica, di lingua parlata, di lavoro manuale e
di norme che regolano l’educazione della voce per mezzo di esercizi ritmici.
Nel primo ventennio del ‘900 il principale sostenitore delle scuole nuove in Italia è Giuseppe
Lombardo Radice, il quale ritiene opportuno che maestro e alunno vivano insieme il processo
educativo. L’educazione, secondo il pedagogista, è possibile soltanto se i ragazzi frequentano
scuole statali fondate sul rispetto della libertà individuale e sulla collaborazione tra allievi; il
compito principale dell’insegnante consiste nel fornire all’alunno un ideale di vita e valori
fondamentali quali il riconoscimento che ogni individuo fa parte dell’umanità, cioè di una comunità
di esseri umani distinti, ma uniti tra loro dallo spirito universale concretizzato nello Stato.
Tenendo presente che ogni allievo è inserito in una situazione socio-economico-ambientale che lo
rende diverso dagli altri, Giuseppe Lombardo Radice rifiuta un’educazione realizzata con metodi
standardizzati e delinea una figura di maestro in grado di adottare diversi accorgimenti e di
assumere mezzi di volta in volta adeguati per aiutare ogni ragazzo a crescere secondo la propria
personalità.
Basandosi sugli stessi presupposti Roberto Codignola nel 1945 fonda a Firenze Scuola-Città
Pestalozzi, la prima scuola statale a tempo pieno che accoglie ragazzi del quartiere popolare di S.
Croce. Il nome steso <<Scuola Città>> sottolinea lo stretto legame tra scuola e società, affinché le
forze innovatrici della società agiscano sulla scuola per promuoverne il rinnovamento, mentre le
forze educative animate dallo spirito di trasformazione e di progresso formino nei ragazzi un
atteggiamento di indipendenza e di autonomia.
La <<Scuola Città>> simula proprio l’organizzazione della società degli adulti ed ha al suo interno
la mutua, il consorzio agrario, la cooperativa, il giornale, la biblioteca, la giunta e la corte d’onore.
Formare una coscienza etica e civile in coloro che appartengono alle classi più povere risulta essere
il principale compito dell’educatore anche secondo don Lorenzo Milani, che nel 1954 dà vita nella
sua parrocchia di Barbiana ad una scuola popolare serale.
Nella scuola di Barbiana vengono insegnati e sperimentati gli istituti democratici per formare nelle
giovani generazioni il senso della legalità ed una coscienza politica, ovvero la consapevolezza che
la civiltà umana può progredire solo grazie a leggi migliori ed alla partecipazione dei singoli
individui alla vita della comunità.
Don Lorenzo Milani si occupa dell’istruzione di giovani operai e contadini perché ritiene che a loro
manchi completamente una coscienza del passato, del presente e del futuro; a tal proposito
l’interesse maggiore è rivolto allo studio della lingua italiana, attraverso la lettura ed il commento
delle grandi opere del passato e dei giornali per portare i giovani a leggere con spirito critico il
produttivismo ed il consumismo che dominano la società.
Anche don Lorenzo Milani si avvale del mutuo insegnamento, accompagnato dalla tecnica della
scrittura collettiva, attraverso cui la consapevolezza individuale e la riflessione di gruppo coesistono
e si completano a vicenda.
La pratica collaborativa è stata per lungo tempo utilizzata in ambito didattico senza l’utilizzo delle
telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche, ma dal 1980 in poi, nella riflessione pedagogica
si afferma il cognitivismo sociale che, facendo riferimento a Lev Semyonovich Vygotskij, Jean
Piaget e Jerome Seymour Bruner, mette in evidenza l’importanza del linguaggio come strumento di
formazione dell’intelligenza e rivaluta l’ambiente sociale, l’interazione tra esseri umani ed il
rapporto tra individuo e contesto culturale.
La cooperazione “tecnologico/strumentale”
In questo contesto si è delineata una nuova generazione di sostenitori della cooperazione educativa
che utilizzano le nuove tecnologie come strumenti per un apprendimento attivo, interattivo,
significativo e condiviso.
A partire dagli anni novanta, con l’avvento delle reti telematiche cambia completamente
l’attenzione verso la comunicazione e quindi tende a mutare anche l’interazione umana supportata
dalle tecnologie.
Nello stesso periodo vengono documentate, in varie parti del mondo, esperienze didattiche che si
avvalgono delle tecnologie per lo sviluppo in ambito educativo e scolastico, tra queste c’è il
workshop di Timothy Koschmannche si basa sull’utilizzo dell’acronimo CSCL (Computer
Support for Collaborative Learning, ovvero tecnologie per l’apprendimento collaborativo).
Questo acronimo sta ad indicare quelle esperienze in cui è fondamentale l’utilizzo della telematica a
supporto delle pratiche di apprendimento collaborativo e cooperativo, le quali si basano su
groupware: un software utilizzato da gruppi anziché da singoli individui che ha lo scopo di favorire
il lavoro di equipe o forme di creazione collaborativa di conoscenza.
Le prime esperienze in questo campo si sviluppano nel Nord America, con studenti che utilizzano
computer Apple connessi a reti locali: gli strumenti utilizzati sono in grado di favorire e supportare
dinamiche di interazione e lavoro di gruppo.
Secondo lo studioso Antony Kaye è possibile individuare quattro categorie di tecnologie capaci di
supportare attività collaborative e di facilitare l’apprendimento: la prima sono i sistemi di
comunicazione sincroni e asincroni , la seconda sono i sistemi per la condivisione di risorse
(condivisione dello schermo, di programmi software o di file), la terza sono i sistemi di supporto ai
processi di gruppo (calendari condivisi, sistemi per la gestione dei progetti, strumenti di votazione,
ecc.) ed infine la quarta categoria, introdotta negli ultimi anni, che si basa sulla “simulazione
immersiva” (Mud, Moo, Muse, ecc.) dei giochi di ruolo e che spesso viene impiegata anche nella
didattica on-line e nelle esperienze di apprendimento in rete.
Nell’ambito delle CSCL, trovano una loro specificità ambienti software peculiari, che consentono di
integrare in maniera evidente le teorie pedagogiche sovrastanti con adeguate metodologie
didattiche.
Tra le ricerche che più di altre hanno fatto scuola nel campo delle CSCL è necessario citare, anche
come caso rappresentativo per questo tipo di applicazioni, lo CSILE Project (Computer
Supported Intentional Learning Environment) ideato più di un decennio fa daMarlene
Scardamalia e Carl Bereiter presso il “Centre for Applied Cognitive Science” dell’Univesità di
Toronto. Questo progetto fa riferimento alla convergenza dei modelli didattici di impronta
costruttivista con un particolare utilizzo delle nuove tecnologie e costituisce un punto nodale per
favorire e sostenere negli studenti la motivazione e la capacità di lavorare riflettendo attorno ai
compiti.
La tipologia di intervento didattico prevede uno specifico ricorso alle attività di problem solving
progressivo, mirate ad aumentare il livello di indagine e di approfondimento dei problemi
attraverso il coinvolgimento attivo degli studenti; per consentire questo il software di CSILE
fornisce una particolare implementazione di un database le cui informazioni possono essere inserite
dai singoli studenti e quindi commentate e revisionate dal gruppo nel corso del lavoro seguendo il
modello di riferimento di una redazione che scrive articoli per riviste scientifiche.
In questo processo ciascuno è al tempo stesso ricercatore, insegnante ed allievo, mentre il docente
della classe, abbandonando il ruolo di depositario del sapere, diventa il semplificatore dei processi e
il garante dell’organizzazione dei percorsi di ricerca e dell’esattezza delle analisi.
Il software CSILE contiene dati che di per sé non sono niente, senza una fitta ragnatela di
connessioni logiche e comunicative in grado di trasformare i dati stessi in conoscenza significativa
per un gruppo e i processi di sviluppo di questa conoscenza significativa sono resi evidenti dal
software, consentendo agli studenti di poterli riconoscere: per questo le ramificazioni delle
interazioni comunicative vengono visualizzate graficamente.
CSILE si è negli anni evoluto e con l’avvento di internet è stato reso disponibile per il Web con una
versione chiamata Web CSILE, oggi conosciuta con il nome Knowledge Forum (KF). KF, giunto
alla versione 4.5, è attualmente un prodotto client-server commercializzato dalla società
californiana Learning in Motion.
In ambito europeo vengono utilizzati altri strumenti che enfatizzano le così dette “metodologie
conversazionali”, tra cui il progetto Innovative Technologies for Collaborative Learning
(ITCOLE), finanziato dalla Commissione Europea per le IST (Tecnologie per la Società
dell’informazione) e basato sul sostegno delle pratiche didattiche all’interno della scuola. Da
questo progetto nascono un Portale Internet, Euro-CSCL e due prodotti software che si prefiggono
di supportare la costruzione del sapere attraverso la collaborazione di classi scolastiche: Synergeia
e File3.
Synergeia offre uno spazio di lavoro condiviso orientato al web, all’interno del quale è possibile
avviare attività di apprendimento collaborativo in grado di prevedere la possibilità di: condividere
documenti ed idee; registrare i confronti tra i partecipanti; sviluppare e presentare artefatti di
conoscenza. Gli insegnanti hanno la possibilità di strutturare, avviare e guidare i lavori all’interno di
Synergeia, facilitando così la costruzione del sapere all’interno delle loro classi. File3, Future
Learning Environment, è stato sviluppato dall’Università di Arte e di Design di Helsinki ed è un
sistema di apprendimento anch’esso basato sul web, open source e disponibile in varie lingue fra cui
l’italiano.
E’ stato progettato per aiutare gruppi di studenti nell’attivazione dei processi di apprendimento
mediante la costruzione della conoscenza e attraverso la ricerca; gli studenti hanno anche la
possibilità di costruire artefatti multimediali composti da suoni, immagini e testo, in maniera del
tutto collaborativa. Gli strumenti CSIL risultano particolarmente congeniali all’interno dei modelli
didattici in grado di valorizzare il lavoro di gruppo e la creazione cooperativa di conoscenza
attraverso la discussione.
Lo sviluppo di comunità di apprendimento risulta efficace soltanto se l’impostazione dei lavori si
svolge ispirandosi ai modelli di problemi reali e, più in generale, a tutti quei modelli di stampo
costruttivista che richiedono situazioni di attivazione degli individui in contesti per loro
significativi.
Il lungo percorso didattico che parte dal 1700 e arriva fino ai giorni nostri, mette in evidenza come
le nuove tecnologie e in particolar modo il computer, non abbia stravolto i metodi educativi rivolti
all’apprendimento, bensì li abbia sviluppati, traendo ispirazione anche dalle pratiche delle scuole
nuove.
Questo sviluppo ha permesso la nascita delle tecnologie dell’educazione, prima in area
anglosassone e poi nel resto del mondo durante la seconda metà del novecento, come studio di
principi, metodi e mezzi per progettare, implementare, gestire e valutare il processo di
apprendimento.
All’interno delle varie articolazioni le tecnologie dell’educazione hanno mostrato di convergere
verso due poli principali, quello della comunicazione (con spostamento di accento sui media, sulle
varie tipologie di media e sugli usi dei media) e quello della razionalizzazione dell’istruzione (con
spostamento di accento sui criteri progettuali ed organizzativi), che ha trovato il riferimento di
maggior rilievo storico nell’istruzione programmata.
I nuovi media interattivi (personal media, sociomedia, telemedia) hanno portato al bisogno di
ripensare gli ambienti e la progettazione educativa in forma nuova, stabilendo rapporti più stretti
con il cognitivismo e questa fusione ha portato a sua volta alla tecnologia cognitiva, la quale si basa
sull’interazione e sull’integrazione uomo macchina.
Tale integrazione mette in evidenza l’importanza di una ridefinizione degli ambienti formativi,
quindi la necessità di affrontare le problematiche di una nuova progettazione e di una nuova
realizzazione di essi.
I nuovi ambienti formativi dovranno cambiare, sul piano tecnologico: occorreranno mezzi che
consentano di strutturare-ristrutturare le conoscenze in forma più agile rispetto a quelli tradizionali e
che offrano nuove forme di comunicazione, dialogo ed accesso a risorse distribuite a distanza; sul
piano teorico: occorrerà una maggiore attenzione verso la dimensione meta cognitiva (meta
cognizione: rappresentarsi internamente gli stati mentali, riferiti a se stessi e altri), cioè uno
spostamento di riflessione sui criteri e sulle strategie che si perseguono rispetto alla quantità di
contenuti da padroneggiare; sul piano sociale ed istituzionale: occorrerà una maggiore attenzione da
parte di istituzioni ed agenzie formative verso la fattibilità di soluzioni formative diverse da quelle
tradizionali (scuola, classe) e verso nuove integrazioni tra modelli formali-informali, scuolaterritorio, come ad esempio le recenti esperienze statunitensi ad orientamento costruttivista che
vengono indicate con espressioni quali <<comunità di apprendimento>> o <<comunità di
conoscenza>>.
All’interno delle comunità di apprendimento si ritrovano elementi già noti durante la tradizione
educativa di stampo attivistico, quali il lavoro di gruppo e la metodologia della ricerca, entrambi
supportati da un più analitico corredo tecnologico.
Le tecnologie informatiche legate all’educazione diventano indispensabili strumenti di regolazione,
ampliamento e monitoraggio dei flussi comunicativi e dell’attività progettuale cui tutti i
partecipanti, dislocati anche in più scuole, devono partecipare. Grazie all’utilizzo di tali tecnologie
gli studenti hanno la possibilità di conoscere il lavoro degli altri e di poter intervenire su di esso.
Esperienze di questo genere hanno portato alla designazione di tecnologia degli ambienti
formativi, un’area che ha come oggetto lo studio dei criteri e dei metodi che si basano
sull’individuare, allestire e modificare i diversi dispositivi (impalcature simboliche e fisiche)capaci
di favorire gli scambi comunicativi per lo sviluppo di eventi formativi.
La tecnologia degli ambienti formativi, favorisce notevolmente la formazione degli studenti di oggi,
ma i dispositivi utilizzati devono sviluppare particolari forme di scambio e dialogo tra individui,
altrimenti la formazione stessa risulterebbe un evento del tutto accidentale ed incontrollabile, così
come in passato, l’utilizzo dei materiali didattici delle scuole nuove sarebbe risultato inutile senza lo
scambio del mutuo insegnamento tra allievi.
Bibliografia:
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Pontecorvo C. ET AL., op. cit., 1995
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Laeng M. (a cura di), Enciclopedia Pedagogica, Edizioni La Scuola, Brescia 1989
Pravettoni G., Web psychology, Edizioni Guerini e Associati, Milano 2002
Prellezo J.M., Lanfranchi R., Educazione e Pedagogia nei solchi della storia, Società editrice
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Prevot G., Pedagogia della cooperazione scolastica, Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1963