Confimi Apindustria Bergamo

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Confimi Apindustria Bergamo
CONFIMI
Rassegna Stampa del 12/01/2015
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INDICE
CONFIMI
10/01/2015 Corriere della Sera - Bergamo
Da Zanetti a Sestini Gli esclusi eccellenti
10/01/2015 Corriere della Sera - Bergamo
Ente camerale, i grandi esclusi
10/01/2015 La Stampa - Biella
L'appuntamento
12/01/2015 La Stampa - Cuneo
Biella, a Cittadellarte artigiani e designer uniti nel "co-working"
10/01/2015 Eco di Bergamo
Camera, è una rivoluzione a metà
10/01/2015 Gazzetta di Mantova - Nazionale
Legno e sole: la scommessa della bioedilizia
11/01/2015 Gazzetta di Mantova - Nazionale
"La strada di Ilaria" in scena a teatro per non dimenticare
CONFIMI WEB
09/01/2015 www.corriere.it 17:40
Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation
09/01/2015 it.finance.yahoo.com 16:44
Aniem: ben venga riforma per Codice appalti più snello
09/01/2015 www.milanofinanza.it_DowJones 17:39
Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation
09/01/2015 agenparl.com 15:40
Appalti: Piacentini (Aniem), ben venga il cambiamento
SCENARIO ECONOMIA
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La sfida di draghi in difesa dell'europa
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
recessione, la lenta uscita e la spesa che non si taglia
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La lettera Bce, tonfo di Mps in Borsa
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Bitcoin, la moneta resti libera Ma si vigili sui nuovi mercati
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La campanella di Walgreens Boots Alliance Maxi-debutto (un po' italiano) al Nasdaq
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Compagnia Sanpaolo frena su Carige «Nessuna trattativa»
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Commissari e vertici Consob Un'Authority dimezzata
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il re dei fondi azionari Glenmede chiude l'anno a +20%
10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il sogno impossibile di un «Paese normale»
11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Camusso: i vigili assenti? Sto con chi lavora
11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
premiare chi lavora bene per ridurre l'assenteismo
11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Mini-euro, come difendere i risparmi con azioni e bond
11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Carige, la Consob contesta il bilancio
12/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Bce, la spinta di Visco per l'acquisto dei bond
12/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
la crescita dell'america riparte anche dall'auto
10/01/2015 Il Sole 24 Ore
Deficit, 3,7% a settembre In aumento i redditi ma i consumi sono fermi
10/01/2015 Il Sole 24 Ore
Le poltrone cui guardano i mercati
10/01/2015 Il Sole 24 Ore
Banche a picco, giù Milano e Madrid
10/01/2015 Il Sole 24 Ore
Ora si tratta a Francoforte
10/01/2015 Il Sole 24 Ore
Draghi, serve terapia shock
10/01/2015 Il Sole 24 Ore
Bce: acquisti per 500 miliardi
11/01/2015 Il Sole 24 Ore
BB Biotech, focus sull'oncologia La scommessa delle malattie rare
11/01/2015 Il Sole 24 Ore
Al via fondo pubblico-privato per l'industria, si comincia dall'Ilva
11/01/2015 Il Sole 24 Ore
I listini attendono solo l'allentamento quantitativo Bce
11/01/2015 Il Sole 24 Ore
La «voluntary» vince sullo scudo
11/01/2015 Il Sole 24 Ore
Non è un boom, l'America sta soltanto rimbalzando
12/01/2015 Il Sole 24 Ore
La certezza calpestata del diritto tributario
12/01/2015 Il Sole 24 Ore
La fiducia smarrita
12/01/2015 Il Sole 24 Ore
Per i settori del made in Italy segnali di timida ripresa
12/01/2015 Il Sole 24 Ore
«Grexit? Fantapolitica pura»
10/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Redditi più alti grazie agli 80 euro ma i consumi restano al palo tornano a crescere i
risparmi
10/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Disoccupati americani al minimo: 5,6% e mai così tante assunzioni da 15 anni
10/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Fondi speculativi alla guida di Seat l'ultimo tentativo di far rinascere le Pagine gialle
11/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Ecco il piano Ue sulla flessibilità investimenti fuori dal Patto e meno tagli a chi fa le
riforme
11/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Nessun diktat Bce alle banche italiane I piani non cambiano"
11/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Portugal Telecom tutte le incognite dell'assemblea per decidere sulle cessioni
12/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Piano salva-banche crediti a forte rischio venduti alla Bce con garanzia statale**
11/01/2015 La Stampa - Nazionale
L'Europa rilancia i cantieri "Investimenti fuori dal Patto Ue"
12/01/2015 La Stampa - Nazionale
Fca a Detroit per crescere con l'Alfa
12/01/2015 La Stampa - Nazionale
In Borsa con export e lusso per difendersi dal rischio Grecia
12/01/2015 La Stampa - Nazionale
"De Rigo, tre nuovi marchi per crescere in Usa e Cina" **
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
LE SCELTE INDUSTRIALI CHE MANCANO AL PAESE
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Euro-Dollaro e il gran ballo delle valute
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Pronto il piano della Bce quattro opzioni per Draghi
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Varoufakis il greco-texano che fa paura ai mercati
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Poste, parte la rivoluzione di Caio
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Voluntary disclosure, pioggia di milioni sugli studi legali e tributari
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
Bini Smaghi: "Così l'Europa potrà fare meglio degli Usa"
12/01/2015 Corriere Economia
Quanto ci costano le tante aziende pubbliche per caso
12/01/2015 Corriere Economia
Xiaomi, Uber e le altre: tutte le matricole che scalderanno le Borse
12/01/2015 Corriere Economia
Il Fisco non dà tregua e la crescita langue Un errore rassegnarsi
10/01/2015 MilanoFinanza
ORSI &TORI
10/01/2015 Milano Finanza
Altro che sottozero Ecco come avere un 8%
10/01/2015 Milano Finanza
Per l'euro la parità non è un'utopia
10/01/2015 MilanoFinanza
Internet of thing$
10/01/2015 Milano Finanza
Realtà virtuale, nel 2035 la stretta di mano sarà online
SCENARIO PMI
10/01/2015 Il Messaggero - Civitavecchia
Dai 5 Stelle una ricettaper salvare la ceramica
10/01/2015 Il Messaggero - Marche
Reti d'impresadue donneper tessilee nautico
10/01/2015 Libero - Nazionale
Scommettiamo sugli immobili, meglio stare lontani dalla finanza
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
2015, il made in Italy vede "rosa"
12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza
PICCOLE DONNE CRESCONO NELL'IMPRESA SVIZZERA
12/01/2015 Corriere Economia
Da La Doria a Rummo: buoni affari producendo per gli altri
12/01/2015 ItaliaOggi Sette
Nuovi minimi, un regime a perdere
12/01/2015 ItaliaOggi Sette
Carte business, spese in chiaro
10/01/2015 Milano Finanza
NORMANNI, AQUILE & ELEFANTI
11/01/2015 BusinessPeople
VENDERE CARA la PELLE
11/01/2015 Business People
ORGANIZZAZIONE E FORMAZIONE: LE CHIAVI DEL SUCCESSO
11/01/2015 Business People
Il TEMPO parla anche ITALIANO
CONFIMI
7 articoli
10/01/2015
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Da Zanetti a Sestini Gli esclusi eccellenti
Alla Camera di Commercio di Bergamo più di metà dei consiglieri designati sono nuovi. Sono quindici quelli
che lasceranno il parlamentino di largo Belotti e tra loro anche nomi di spicco dell'imprenditoria locale,
dall'attuale vicepresidente Matteo Zanetti a Roberto Sestini che ha guidato la Camera di Commercio per tre
mandati, al presidente di Confimi-Apindustria Paolo Agnelli. a pagina 10
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Camera di commercio
10/01/2015
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 10
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Ente camerale, i grandi esclusi
Quarto mandato Quattro consiglieri sempre presenti dal 1999: Nicefori, Trigona, Malvestiti e Martinelli Uscite
illustri Non rientrano il vicepresidente Zanetti, Agnelli ( Confimi ) e Bonetti (cooperative)
Stefano Ravaschio
Il cambiamento degli equilibri, con il ridimensionamento di Confindustria ed Ance scese a 8 a 4
rappresentanti, e l'introduzione delle quota rosa hanno determinato un radicale ricambio nel consiglio della
Camera di Commercio. Rispetto all'attuale si sale da 32 a 33 componenti, per l'ingresso dei liberi
professionisti ( Alberto Carrara) :i volti nuovi sono 17 e 15 sono quelli confermati.
A cavalcare il cambiamento è stata prima di tutto Confindustria, che ha sostituito l'intera delegazione, mentre
l'alleata Ance ha confermato il suo presidente Ottorino Bettineschi (subentrato a metà mandato al suo
predecessore Paolo Ferretti). Sono così usciti Roberto Sestini decano del Consiglio, con i suoi 79 anni
compiuti il mese scorso, già presidente della Camera di Commercio dal 1992 per tre mandati, e l'attuale
vicepresidente Matteo Zanetti. La «rivoluzione» determina anche l'uscita di Alberto Paccanelli, Alberto
Frambrosi, Rita Melocchi e Mario Ratti. E tra gli alleati di Confindustria esce anche il presidente dell'Unione
Artigiani, Remigio Villa, che nella precedente tornata era stato nominato nell'apparentamento unico degli
artigiani. Passando al fronte di Imprese&Territorio, ci sono poi state le staffette tra il presidente di ConfimiApindustria Paolo Agnelli e la sua vice. Maria Luisa Bertuletti, tra l'ex presidente di Coldiretti Giancarlo
Colombi e il suo successore Alberto Brivio, tra l'ex presidente di Confcooperative Sergio Bonetti e il suo
successore Giuseppe Guerini (che è anche presidente pro tempore di Imprese&Territorio) tra il segretario di
Confesercenti Giacomo Salvi e la vicepresidente Elena Fontana. Sono inoltre usciti Valter Giupponi,
fondatore e presidente onorario della Fai, che era designato dall'Ascom, e Stefano Carrara di Confartigianato.
La ventata di rinnovamento a dire il vero c'era già stata anche nel precedente consiglio che aveva visto 15
conferme e 17 nuovi ingressi (incluso il ritorno di un precedente consigliere).
Nel nuovo consiglio ci saranno quattro persone al quarto mandato, considerato lo spartiacque del 1999 che
ha visto il primo «parlamentino» non più a nomina governativa. Sono Franco Nicefori (ex presidente Cna) e
tre esponenti Ascom: Riccardo Martinelli, l'attuale presidente dell'associazione e della stessa Camera di
Commercio, in vista di conferma, Paolo Malvestiti, e il direttore, dal 1979, Luigi Trigona, classe 1942, che
diventa anche il decano del Consiglio. Al terzo mandato sono invece Marco Amigoni, presidente della Lia,
Giorgio Beltrami, presidente dei pubblici esercizi Ascom, Giorgio Ambrosioni, presidente della Confesercenti,
Doriamo Bendotti, segretario Fai, e Nadia Palazzi dell'Associazione artigiani. Quest'ultima è stata anche nel
consiglio camerale del 1999 la prima (e unica) rappresentante femminile. Il ruolo è poi passato nel 2004 a
Simona Bonaldi (Confindustria), Le donne dono diventate tre cinque anni dopo, con il ritorno di Nadia Palazzi,
alla quale si sono aggiunte Rita Melocchi di Confindustria e Sonia Bonesi della Lia. Adesso la rappresentanza
femminile è formata da 10 persone, grazie alla norma che prevede differenze di genere per almeno il 25% dei
rappresentanti in un raggruppamento chiamato a nominare più di due consiglieri. Per questo, metà dei
rappresentanti del raggruppamento confindustriale è formato da donne: Monica Santini e Miriam Gualini, ad
affiancare Marco Bellini e Ottorino Bettineschi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
33 I consiglieri camerali: 16 le conferme, 17 i volti nuovi e 15 le uscite
25 Gli esponenti di Imprese & Territorio e Cdo (erano 22 nell'attuale)
Le sigle
Ad Imprese & Territorio aderiscono Coldiretti (un consigliere confermato), Confartigiana-to (sale da 4 a 5), Lia
(2) Confimi (1), Ascom (sale da 6 a 7), Confesercenti (2), Fai (1) Cna (1), Cia e Confcooperati-ve (1) La Cdo,
apparentata a Imprese& Territorio, ha portato da due a tre i suoi rappresentanti Il gruppo di Confindustria cala
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Il rinnovo Quote rosa e mutamento degli equilibri hanno rivoluzionato il Consiglio: più di metà i nomi nuovi
Confindustria cambia tutti i rappresentanti. Esce l'ex presidente Sestini, adesso il decano diventa Trigona
10/01/2015
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 10
(diffusione:619980, tiratura:779916)
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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da 8 a 4 rappresentanti:l'Ance conferma il suo consigliere, Confindustria scende da 6 a 3 e l'Unione artigiani
esce. Il sindacato conferma il suo consigliere (che passa dalla Cisl alla Uil), così come credito e consumatori.
Debuttano i liberi professionisti
10/01/2015
La Stampa - Biella
Pag. 36
(diffusione:309253, tiratura:418328)
L'appuntamento alla Fondazione Pistoletto è per giovedì prossimo: «stArt Work», il primo acceleratore di
progetti d'impresa non necessariamente tecnologici, apre le porte dalle 17 alle 19 per mostrare i suoi spazi di
co-working e accogliere proposte, domande e idee. Il progetto è rivolto soprattutto ad artigiani e a piccoli
imprenditori e offre 1.500 metri quadrati a chi, grazie a una visione imprenditoriale nuova vuole iniziare
un'attività godendo di servizi, agevolazioni comuni e azioni guidate di foundraising. In prima linea, insieme a
Cittadellarte, Api e Città Studi, Unicasim e Iban_Business Angels. Info: www.cittadellarte.it.
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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L'appuntamento
12/01/2015
La Stampa - Cuneo
Pag. 44
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Biella, a Cittadellarte artigiani e designer uniti nel "co-working"
Piccoli imprenditori, artigiani, artisti, designer: sono alcune delle figure a cui è rivolto il progetto «stArt Work»
che sarà presentato giovedì a Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, a Biella, tra le 17 e le 19. Cittadellarte
prosegue nel recupero di edifici industriali tessili abbandonati proponendo una nuova chiave: riportarli a
essere protagonisti della storia imprenditoriale italiana e mettendo a disposizione uno spazio di 1500 metri
quadrati (divisi in moduli dai 9 metri quadri in su) per il co-working. Una «piazza» di saperi
Sarà una sorta di piazza sulla quale si affacceranno le diverse «botteghe» di progettisti e di artigiani aperti
alla collaborazione e alla condivisione di conoscenze ed esperienze, tra nuove competenze e saperi
tradizionali. Con Cittadellarte, nel progetto nato per contribuire in modo innovativo al rilancio economico del
territorio ci sono altri partner: Città Studi si occuperà della formazione, Api fornirà le competenze di
un'associazione di categoria, esaminerà i progetti e darà supporto alla redazione del business plan e alla
ricerca dei finanziamenti, Unicasim si attiverà con progetti di crowdfunding, la forma di raccolta fondi sul Web
con cui la gente sostiene i progetti di imprenditoria, innovazione, cambiamento sociale, volontariato o ricerca.
«In coerenza con lo spirito innovativo di stArt Work, che è il primo acceleratore di progetti d'impresa non
necessariamente tecnologici nel Biellese - dice Paolo Naldini, amministratore di Cittadellarte -, l'incontro di
giovedì apre una fase di consultazione e di co-progettazione con i potenziali soggetti interessati che invitiamo
a partecipare senza esitazione». Oltre ai partner del progetto, saranno infatti presenti anche gli architetti dello
studio N.o.v.a. civitas per un confronto pratico e diretto sugli spazi. Progetto di sviluppo
«stArt Work è anche una piattaforma di servizi e di consulenza per lo sviluppo imprenditoriale - prosegue
Naldini-, e giovedì sarà presentato ''Unicaseed'', il primo portale di equity crowdfunding di un intermediario
finanziario autorizzato da Consob». Seguirà l'intervento di Angelo Vadruccio, Ceo di Kiaro, una delle startup
che al momento stanno raccogliendo capitale di rischio su Unicaseed e madre dell'ombrello innovativo che
accumula la pioggia in una speciale custodia.
Nel Biellese ci sono altre esperienze di co-working, come SellaLab, il laboratorio aperto sulle rive del Cervo
dal Gruppo Banca Sella dedicato però esclusivamente all'economia digitale. Mentre il Comune di Veglio, per
frenare la desertificazione dei piccoli paesi di montagna, ha dedicato alcuni locali ai professionisti, giovani e
non, che vogliano condividere le spese, ma anche collaborare tra loro. [f. fo.]
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
giovedì l'open day
10/01/2015
Eco di Bergamo
(diffusione:54521, tiratura:63295)
Maurizio Ferrari
I giochi sono fatti, rien va plus. Alla mezzanotte di ieri si sono chiusi i termini per notificare in Regione i 33
nominativi che comporranno la prossima Camera di commercio.
Ci sono state sorprese, esclusioni anche importanti, ma chi pensava a un radicale rinnovamento delle
cariche, come invocato da più parti anche per anticipare le mosse di una riforma camerale ormai alle porte,
forse rimarrà deluso: in sostanza, i nomi nuovi sono solo la metà (17 su appunto 33) e la scelta di alcuni di
essi, più che una novità, rappresenta quasi un obbligo a uniformarsi alla nuova regola che impone alle
associazioni di schierare almeno il 25% di quote rosa quando la nomina coinvolga più di due rappresentanti.
Forse anche per questo e non solo per una vocazione a valorizzare le colleghe (basti dire che finora in Giunta
non se ne sono viste), le donne sono passate dalle 3 dell'attuale mandato alle 10 del prossimo, con presenze
importanti proporzionalmente, tra industriali, artigiani e commercianti. Non risultano di sicuro stravolti gli
organici al maschile se si pensa che a livello di ricambio le vere novità non arrivano alla decina.
Una rivoluzione a metà quindi: chi ha cambiato poco sostiene che il momento è delicatissimo e mandare allo
sbaraglio nomi nuovi e inesperti di macchina camerale in questo frangente non avrebbe fatto il bene di largo
Belotti. Altri invece hanno interpretato alla lettera il cambiamento, sconvolgendo completamente la squadra
come ha fatto Confindustria Bergamo (tutti e 3 nuovi i prescelti) o facendo un passo indietro come Paolo
Agnelli (Confimi). Lasciano la Camera anche altri personaggi di spicco come l'attuale vicepresidente Matteo
Zanetti, o Remigio Villa (con lui esce dal Consiglio l'Unione artigiani), mentre una «papabile» come Maria
Teresa Azzola, rispetto alla nuova ondata di new entry al femminile, deve lasciar posto in Cna al veterano
FrancoNicefori.
E se per il settore agricoltura Coldiretti impone il peso dei suoi numeri ribadendo il suo consigliere (Alberto
Brivio raccoglie l'eredità di Giancarlo Colombi) con un posto già blindato in Giunta e anche i Consumatori
confermano Umberto Dolci, c'è l'esordio dell'attuale presidente di Imprese &Territorio Giuseppe Guerini (entra
nel settore cooperazione) che dovrebbe anch'egli trovare un posto in un esecutivo che ad oggi appare ancora
più affollato a livello di «papabili», di quegli 11 posti che sembrano già fin troppi, se si pensa che Brescia ha
appena «congedato» la sua Giunta da 7 elementi.
In Giunta restano anche aperti alcuni rebus, legati alla vicepresidenza (spetterà a Confindustria, ma solo se si
troverà un'intesa complessiva con Imprese & Territorio, a partire naturalmente dalla presidenza, con il via
libera a un Malvestiti bis); all'ingresso delle quote rosa (minimo una, ma potrebbero essere di più); e alla
presenza del sindacato, rappresentato nella prossima tornata dal segretario Uil Marco Cicerone che subentra
al segretario organizzativo Cisl Patrizio Fattorini: un'eventuale esclusione di questa componente sta destando
preoccupazione, al punto che per lunedì i sindacati hanno deciso di convocare una conferenza stampa a
riguardo. •
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Camera, è una rivoluzione a metà
10/01/2015
Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:33451, tiratura:38726)
Legno e sole: la scommessa della bioedilizia
Legno e sole: la scommessa della bioedilizia
Il gruppo Dalmaschio costruisce a Cerese ville bifamiliari con la struttura d'abete e senza gas
L'estetica, certo. La tecnologia, pure. Ma la prima cosa è il profumo. La nota calda del legno, rovere e abete.
Poi la sorpresa si trasferisce allo sguardo: la villetta non ricorda una casa di bambole né uno chalet di
montagna. Dall'esterno il legno non si vede nemmeno, coperto com'è dai pannelli in fibrocemento e
dall'intonaco, steso a sua volta su uno strato di lana minerale. Dall'esterno sembra una villetta dal disegno
pulito e moderno. È la scommessa del Gruppo Dalmaschio di San Biagio (associato ad Apindustria), che ha
puntato sulla bioedilizia con il marchio dedicato Diesse Bio: per l'esperimento - culturale prima ancora che
imprenditoriale - è stata scelta la lottizzazione Virgilio Green Valley, largo fazzoletto di 70mila metri quadrati
nella campagna di Cerese, accanto all'antica villa Gobia. Per ora c'è soltanto una bifamiliare, metà finita e
l'altra al grezzo. Un assaggio per misurare la reazione dei potenziali clienti: tanto interesse - durante i due
open day sono passate seicento persone - e qualche perplessità. Vuoi perché la zona si presenta isolata (ma
l'obiettivo è proprio quello di animare la green valley, affidandosi alla formula "casa chiama casa") e vuoi
perché resiste un ostacolo culturale. Nell'immaginario più radicato la casa è ancora di mattoni, come nella
favola dei tre porcellini, ma la sensibilità sta evolvendo velocemente. Chi ha confidenza con il mondo sa che
altrove la bioedilizia è già modello, quasi filosofia. A cosa risponde, quindi, la scommessa di Cerese? A un
esperimento di mercato oppure a un azzardo ideale? «Con tutte le costruzioni invendute che ci sono, occorre
diversificare l'offerta - risponde Simone Dalmaschio - E poi, sì, questo modo di costruire risponde alla filosofia
del benessere e del risparmio energetico». Domanda numero due: in provincia di Mantova si contano già altri
esempi di ville in legno, in cosa differisce la proposta da Diesse Bio? «Le case in legno si dividono in due
famiglie - spiega Dalmaschio - quelle a telaio, prefabbricate, e quelle con la struttura portante in Xlam, che ha
una massa più pesante». In pratica, le bifamiliari di Cerese non vengono assemblate ma costruite in opera
(dal cappotto ai serramenti), in collaborazione con l'azienda trentina Legno Case e Xlam Dolomiti. Il profumo,
l'estetica (il progetto è di Aldo Tomaselli dello studio Arcatop) e la tecnologia: niente gas, ma pompe di calore,
pannelli solari e riscaldamento a pavimento (la classe energetica è A, con la possibilità di passare ad A+). Le
luci sono a led, e quando sono tutte accese contemporaneamente consumano solo 350 watt. Come un
vecchio lampadario. (ig.cip)
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Legno e sole: la scommessa della bioedilizia Il gruppo Dalmaschio costruisce a Cerese ville bifamiliari con la
struttura d'abete e senza gas
11/01/2015
Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale
Pag. 34
(diffusione:33451, tiratura:38726)
"La strada di Ilaria" in scena a teatro per non dimenticare
"La strada di Ilaria"
in scena a teatro
per non dimenticare
marmirolo
Ilaria Alpi, inviata del Tg3 Rai, e Miran Hrovatin, cineoperatore, insieme nel corno d'Africa per seguire la
guerra tra fazioni che stava insanguinando il Paese e la missione Onu "Restor Hope" lanciata per porre fine
alla guerra interna e ristabilire la legalità nello scenario somalo, sono stati assassinati a Mogadiscio nel 1994.
Chi e soprattutto perché - ha commesso questo crimine? Che cosa avevano scoperto i due giornalisti inviati
in una zona diventata un inestricabile crocevia di traffici illeciti ben nascosti? Il caso Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin, a oltre vent'anni dall'assassinio, è oggetto di La strada di Ilaria. La performance teatrale di interesse
civile, tratta dall'omonimo libro, a metà strada tra narrativa e memoria storica di Francesco Cavalli, sarà
presentata il 17 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Marmirolo nell'ambito della stagione di prosa
organizzata da Fondazione Aida e l'assessorato alla Cultura del Comune. «Lo spettacolo - come anticipa una
nota degli organizzatori - a firma Città Teatro, Regione Emilia Romagna e Associazione Ilaria Alpi racconta i
fatti sui quali avevano indagato Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, traffici d'armi e rifiuti tossici illegali in cui
probabilmente avevano scoperto che erano coinvolti anche le istituzioni italiane. Un caso scomodo, che è
stato insabbiato velocemente per le tante implicazioni fra Italia e Somalia. Un caso non ancora chiuso, e
rimasto fino ad oggi senza responsabili. Traffici, rifiuti tossici, corruzione, una strada, misteri nello storico
rapporto fra Somalia e Italia: una storia che nella scelta stilistica volutamente non giornalistica, riesce a
coniugare narrazione pura a informazione». E si fa ascoltare da tutti, adulti e ragazzi. Uno spettacolo continua la nota - rigoroso nelle informazioni e poetico nelle parole, che riesce a raccontare tante storie, unite
tra loro dal filo sottile, ma vero e indispensabile, della verità e del rispetto della memoria. La performance
teatrale è diretta da Davide Schinaia, unisce la voce recitata di Giorgia Penzo e Francesco Tonti, alle
musiche dal vivo di Scraps Orchestra e i disegni di Roberto De Grandis. Francesco Cavalli è presidente del
Premio Ilaria Alpi, e fra coloro che da vent'anni si occupa del caso Ilaria Alpi, ideatore e direttore
dell'omonimo Premio di Giornalismo, ma soprattutto è colui che, insieme ad alcuni colleghi altrettanto tenaci,
non ha mai smesso di indagare. Produttore televisivo e responsabile di un gruppo editoriale radiotelevisivo,
ha realizzato come autore diversi reportage tra i quali Somalia Italia e Un clown a Gaza. Autore di testi teatrali
tra cui Occhi scritti, interpretato da Lella Costa. È tra i curatori di Carte False. L'assassinio di Ilaria Alpi e
Miran Hrovatin. Quindici anni senza verità (Edizioni Ambiente/Verdenero, 2009). È stato assessore alla
Cultura del comune di Riccione. La stagione è organizzata con il supporto di Coop Consumatori Nordest,
Apindustria, Gruppo Tea, Cir Food e Euro e Promos Group. Biglietti da 8 euro (ridotto galleria) a 14 euro
(intero platea).
CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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"La strada di Ilaria" in scena a teatro per non dimenticare marmirolo
CONFIMI WEB
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09/01/2015
17:40
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17:40 ROMA (MF-DJ)--"Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone sulla riforma degli appalti,
perche' vanno nella stessa direzione di quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo". Lo afferma in una
nota Dino Piacentini, presidente di Aniem, l'associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere
che raggruppa circa 8.000 piccole e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa. "Un sistema di soft
regulation, la revisione del sistema di qualificazione delle imprese rafforzato dall'affiancamento di un rating di
legalita', la preferenza per l'offerta economicamente piu' vantaggiosa in un contesto di trasparenza e
responsabilizzazione degli operatori e delle stazioni appaltanti, costituiscono orientamenti che Aniem sostiene
con forza da molto tempo e quindi non possiamo che essere soddisfatti da quanto ha dichiarato il numero
uno dell'Anticorruzione", aggiunge Piacentini. "Il prossimo 13 Ottobre - prosegue Piacentini - avremo la
possibilita' di esporre all'VIII Commissione del Senato le nostre proposte che sono finalizzate ad avvicinare il
sistema degli appalti nazionale a quanto avviene gia' nel resto del mondo". "La proliferazione normativa non
ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate
talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese
assolutamente non efficace. Ben venga quindi un'impostazione piu' leggera, fondata sulla
responsabilizzazione dei soggetti protagonisti degli appalti", ha aggiunto. "Siamo soddisfatti anche per le
indicazioni sull'albo dei commissari - conclude il presidente di Aniem - e per la revisione del sistema di gare.
Chiediamo pero' su questo ultimo punto, piu' coraggio e scelte piu' forti partendo dal fallimento
dell'esperienza delle Soa". com/gug (fine) MF-DJ NEWS 0917:39 gen 2015
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation
09/01/2015
16:44
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Roma, 9 gen. (askanews) - "Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone sulla Riforma degli Appalti,
perché vanno nella stessa direzione di quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo". Lo afferma Dino
Piacentini, presidente di Aniem, l'associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere che
raggruppa circa 8 mila piccole e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa.
"Un sistema di 'soft regulation' - prosegue -, la revisione del sistema di qualificazione delle imprese rafforzato
dall'affiancamento di un rating di legalità , la preferenza per l'offerta economicamente più vantaggiosa in un
contesto di trasparenza e responsabilizzazione degli operatori e delle stazioni appaltanti costituiscono
orientamenti che Aniem sostiene con forza da molto tempo e quindi non possiamo che essere soddisfatti da
quanto ha dichiarato il numero uno dell'Anticorruzione".
"La proliferazione normativa - prosegue - non ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un
radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un
sistema di selezione delle imprese assolutamente non efficace. Ben venga quindi un'impostazione più
leggera, fondata sulla responsabilizzazione dei soggetti protagonisti degli appalti".
"Siamo soddisfatti anche per le indicazioni sull'albo dei commissari - conclude il presidente di Aniem - e per la
revisione del sistema di gare. Chiediamo però su questo ultimo punto, più coraggio e scelte più forti partendo
dal fallimento dell'esperienza delle Soa".
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Aniem: ben venga riforma per Codice appalti più snello
09/01/2015
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ROMA (MF-DJ)--"Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone
sulla riforma degli appalti, perche' vanno nella stessa direzione di
quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo". Lo afferma in una nota Dino
Piacentini, presidente di Aniem, l'associazione delle piccole e medie
imprese edili manifatturiere che raggruppa circa 8.000 piccole e medie
imprese aderenti al sistema Confimi Impresa.
"Un sistema di soft regulation, la revisione del sistema di
qualificazione delle imprese rafforzato dall'affiancamento di un rating di
legalita', la preferenza per l'offerta economicamente piu' vantaggiosa in
un contesto di trasparenza e responsabilizzazione degli operatori e delle
stazioni appaltanti, costituiscono orientamenti che Aniem sostiene con
forza da molto tempo e quindi non possiamo che essere soddisfatti da
quanto ha dichiarato il numero uno dell'Anticorruzione", aggiunge
Piacentini.
"Il prossimo 13 Ottobre - prosegue Piacentini - avremo la possibilita'
di esporre all'VIII Commissione del Senato le nostre proposte che sono
finalizzate ad avvicinare il sistema degli appalti nazionale a quanto
avviene gia' nel resto del mondo".
"La proliferazione normativa non ha funzionato, abbiamo assistito negli
ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente
male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione
delle imprese assolutamente non efficace. Ben venga quindi un'impostazione
piu' leggera, fondata sulla responsabilizzazione dei soggetti protagonisti
degli appalti", ha aggiunto.
"Siamo soddisfatti anche per le indicazioni sull'albo dei commissari conclude il presidente di Aniem - e per la revisione del sistema di gare.
Chiediamo pero' su questo ultimo punto, piu' coraggio e scelte piu' forti
partendo dal fallimento dell'esperienza delle Soa".
com/gug
(fine)
MF-DJ NEWS
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Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation
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09/01/2015
15:40
agenparl.com
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(AGENPARL) - Roma, 09 gen - Dino Piacentini presidente dell'Aniem afferma, 'la proliferazione normativa
non ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate
talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese
assolutamente non efficace'. La posizione dell'Aniem sarà rappresentata martedì prossimo in audizione al
Senato. 'Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone sulla Riforma degli Appalti, perché vanno nella
stessa direzione di quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo', commenta Dino Piacentini, Presidente
di Aniem, l'associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere che raggruppa circa 8.000 piccole
e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa. 'Un sistema di 'soft regulation', la revisione del sistema
di qualificazione delle imprese rafforzato dall'affiancamento di un rating di legalità , la preferenza per l'offerta
economicamente più vantaggiosa in un contesto di trasparenza e responsabilizzazione degli operatori e delle
stazioni appaltanti costituiscono orientamenti che Aniem sostiene con forza da molto tempo e quindi non
possiamo che essere soddisfatti da quanto ha dichiarato il numero uno dell'Anticorruzione', aggiunge
Piacentini. 'Il prossimo 13 Ottobre - prosegue Piacentini - avremo la possibilità di esporre all'VIII
Commissione del Senato le nostre proposte che sono finalizzate ad avvicinare il sistema degli appalti
nazionale a quanto avviene già nel resto del mondo'. Che prosegue: ' la proliferazione normativa non ha
funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente
male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese assolutamente non
efficace. Ben venga quindi un'impostazione più leggera, fondata sulla responsabilizzazione dei soggetti
protagonisti degli appalti.' 'Siamo soddisfatti anche per le indicazioni sull'albo dei commissari - conclude il
Presidente di Aniem - e per la revisione del sistema di gare. Chiediamo però su questo ultimo punto, più
coraggio e scelte più forti partendo dal fallimento dell'esperienza delle Soa'.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Appalti: Piacentini (Aniem), ben venga il cambiamento
SCENARIO ECONOMIA
56 articoli
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 34
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La sfida di draghi in difesa dell'europa
Ricardo Franco Levi
Tra meno di venti giorni, domenica 25 gennaio, la Grecia andrà anticipatamente alle urne per eleggere il
nuovo Parlamento. Le unanimi previsioni della vigilia danno come vincitore Syriza, il partito della sinistra
europea il cui leader Alexis Tsipras ha annunciato che, se sarà lui a guidare il prossimo governo, chiederà di
rinegoziare, cioè di cancellare una parte rilevante del debito estero del suo Paese.
In un suo articolo significativamente intitolato «Non processate solo i debitori» ( Corriere, 5 gennaio), Lucrezia
Reichlin ha già scritto che «la visione che prevarrà su come affrontare la crisi greca segnerà il futuro di tutti,
non solo quello di Atene». Ha ragione.
Ma in agenda, appena tre giorni prima del voto greco, c'è un altro appuntamento il cui esito è destinato a
influire in modo decisivo sull'oggi e sul domani dell'Europa. L'invito ad «allacciarsi le cinture di sicurezza a
gennaio» espresso dal presidente del Consiglio Renzi non vale solo per i parlamentari del Partito
democratico.
Il prossimo 22 gennaio, a Francoforte, Mario Draghi presiederà una riunione del Consiglio direttivo della
Banca centrale europea, la prima dell'anno dedicata alla politica monetaria. Insieme ai suoi ventiquattro
colleghi, Draghi dovrà decidere se procedere o no a un massiccio acquisto di titoli pubblici dei Paesi dell'euro.
L'obiettivo dichiarato dell'operazione - nota come quantitative easing , in sigla QE - è quello di invertire la rotta
dell'andamento dei prezzi, pericolosamente indirizzata verso la deflazione, cioè sotto la linea dello zero,
com'è successo in dicembre, per la prima volta dopo cinque anni.
È assai probabile, per non dire di più, che Jens Weidmann, il governatore tedesco, si opponga all'intervento
e, non da solo, voti contro.
Mario Draghi ha, tuttavia, già più volte dichiarato di essere pronto ad agire anche contro il parere di una
eventuale minoranza del Consiglio direttivo. E in un'intervista del 2 gennaio scorso, rilasciata non a caso al
quotidiano tedesco di economia e finanza Handelsblatt , ripetuto il suo rispetto del mandato affidato alla
Banca centrale europea e degli obblighi che da questo derivano (tanto che il suo intervistatore ha rilevato
quanto questo suonasse «molto prussiano per un italiano»), ha precisato che lo staff della Banca e tutti i
comitati del sistema delle banche centrali hanno già ricevuto istruzioni per «preparare concrete misure».
Riuscirà, se varato, l'intervento della Bce a risollevare l'economia europea? Molti economisti dubitano che
esso da solo possa bastare. E lo stesso Draghi ha più volte e con forza ribadito la necessità che anche i
governi facciano la loro parte.
Quali che ne possano essere gli effetti, l'eventuale, e auspicato, «passo in avanti» della Bce segnerà
comunque una tappa importante nella storia e nella costruzione dell'Unione Europea.
Perché si sarà imposta una visione che considera l'economia europea nel suo insieme e non più come un
semplice aggregato di economie nazionali.
Perché, come conseguenza di questa più vasta visione, si sarà affermata una diagnosi dei mali dell'economia
europea che vede la deflazione e l'assenza di crescita come il più immediato e maggiore pericolo della
stagione che stiamo vivendo.
Perché con riferimento all'euro, la moneta unica, elemento cardine della sovranità che i Paesi europei hanno
deliberato di condividere tra loro, sarà stato concretamente adottato un nuovo modello di governo basato sul
principio di maggioranza e non più sull'unanimità e sul diritto di veto.
Se così sarà stato, verrà rimarcato il paradosso della decisione a maggior tasso politico venuta dall'istituzione
europea più autonoma dalla politica.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Cambiamenti La Bce il 22 deciderà a maggioranza se acquistare titoli di Stato per combattere la deflazione:
un'operazione che, se si realizzerà, segnerà una tappa importante nella costruzione anche politica
dell'Unione
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 34
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 35
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Enrico Marro
I dati diffusi ieri dall'Istat segnalano che l'Italia è ancora lontana da una svolta in economia. Piccoli
aggiustamenti, alcuni positivi, preannunciano al massimo una lenta uscita dalla recessione.
Un insieme di fattori ha fatto salire dell'1,8% il reddito delle famiglie nel terzo trimestre. C'è l'effetto degli 80
euro al mese per dieci milioni di lavoratori ma anche, precisano i tecnici dello stesso istituto di statistica,
l'incremento dei redditi da lavoro. Una leggerissima crescita dell'occupazione e una dinamica dei salari
mediamente superiore rispetto ai prezzi fermi o in discesa hanno ampliato il potere d'acquisto. Ma manca la
fiducia, tanto è vero che i consumi non ripartono e se c'è qualche euro in più viene risparmiato, mentre i
profitti delle imprese continuano a scendere e di conseguenza gli investimenti.
Del resto gli elementi di incertezza prevalgono e il governo non riesce a invertire la tendenza. Prendiamo gli
altri dati dell'Istat, quelli sui conti pubblici. Il deficit nei primi 9 mesi del 2014 è risultato pari al 3,7% del
Prodotto interno lordo. Alla fine, grazie ai saldi delle entrate fiscali di fine anno, il tetto del 3% sarà rispettato,
assicura il ministero dell'Economia.
Ma il punto che più preoccupa è un altro: nei primi tre trimestri del 2014 la spesa pubblica è stata pari 48,7%
del Pil, esattamente come nello stesso periodo del 2013. I dati, insomma, dimostrano che rispetto all'obiettivo
di ridurre la spesa non c'è stata alcuna svolta. Il fatto che il governo abbia anche rinunciato al commissario
alla spending review contribuisce a dare la sensazione che questa non sia più una priorità. Si spiega anche
così che, nonostante tutte le misure prese dal governo, nel 2015 la spesa pubblica totale sarà di 838,8
miliardi, 3 miliardi e mezzo in più di quella del 2014. Ma senza ridurre le uscite non si possono abbassare le
entrate, a meno di aumentare il deficit, cosa che il governo ha già fatto per 5,8 miliardi con la legge di Stabilità
2015. E la pressione fiscale resta a livelli record.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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recessione, la lenta uscita e la spesa che non si taglia
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 46
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Titolo giù dell'8,6 %, il nodo dell'aumento di capitale. Listini in ribasso: Milano cede il 3,27%
Stefania Tamburello
ROMA Dopo una giornata positiva, ieri è arrivato il crollo: le borse europee hanno chiuso tutte in negativo
bruciando quasi 115 miliardi di euro. Madrid ha accumulato un ribasso del 3,91%, seguita da Milano, in calo
del 3,27% a 18.177 punti, Francoforte e Parigi dell'1,92% e del 1,90%, Londra dell'1,05%. Il tonfo di Piazza
Affari, che giovedì aveva guadagnato il 3,7%, è stato provocato dalla discesa dei titoli bancari, alcuni in
caduta libera: il Montepaschi, il peggiore, ha perso addirittura l'8,6%. Il fatto è che sul settore creditizio si è
abbattuto l'effetto di una lettera inviata dal nuovo organismo di vigilanza della Bce (Ssm) alle banche
controllate con l'indicazione di un nuovo requisito patrimoniale (Cet1), in qualche caso, più alto rispetto a
quello stabilito dall'accordo di Basilea3 e quindi dalla Banca centrale europea (9%). Per Mps l'asticella
sarebbe stata elevata al 14,3%.
Quella della Bce è un'indicazione «preliminare e soggetta a modifiche», ha precisato ieri la banca senese che
è in continuo contatto con gli ispettori di Francoforte ai quali è stato presentato il piano di interventi -in
particolare un aumento di capitale da 2,2 miliardi di euro - per recuperare il deficit evidenziato dagli stress test
terminati lo scorso ottobre. Il piano di Mps deve ancora essere approvato dal Ssm e il livello dell'eventuale
nuovo target patrimoniale dipenderà anche dalle modalità definitive e dalla configurazione del bilancio 2014,
se verranno cioè registrate o no tutte le perdite evidenziate. La misura del nuovo parametro richesto a Rocca
Salimbeni infatti dipende dall'esito degli esami svolti dalla Bce (Comprehensive assessment) e il confronto
avviato con le banche fa parte del processo di valutazione (Srep) in corso. Ed è prassi comune per le Autorità
di Vigilanza - lo ha fatto finora anche Bankitalia - definire accanto ai coefficienti regolamentari, forme di
copertura in relazione allo specifico profilo di rischio degli intermediari. Quel che è importante - fanno rilevare
gli esperti di Francoforte - è che le nuove indicazioni della Bce non impongono oneri aggiuntivi alle banche
rispetto a quelli determinati dai risultati, già ampiamente comunicati al mercato, delle verifiche degli attivi di
bilancio e degli stress test . Nella sostanza, il loro raggiungimento richiede al massimo la realizzazione dei
capital plan eventualmente presentati.
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Il crollo del Monte Paschi in Borsa L'andamento del titolo in Piazza Affari nell'ultimo anno d'Arco Ieri -8,63%
La capitalizzazione 2,53 miliardi di euro L'ultimo aumento di capitale (giugno 2014) 5 miliardi di euro
L'aumento proposto dopo gli stress test 2,5 miliardi Marzo Maggio Luglio Settembre Novembre Gennaio di
euro
Parametri
La Bce ha comunicato di aver attribuito a ogni banca un coefficiente patrimoniale minimo da rispettare più
alto di quello previsto da «Basilea3»
Foto: Francoforte
Il presidente della Banca centrale europea,
Mario Draghi, 67 anni
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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La lettera Bce, tonfo di Mps in Borsa
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 46
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Bitcoin, la moneta resti libera Ma si vigili sui nuovi mercati
Massimo Sideri
Alla fine Nejc Kodric, cofondatore di Bitstamp, la principale Borsa europea dei bitcoin, non si è fatto vedere al
Ces di Las Vegas come aveva anticipato via Twitter. Il suo ultimo laconico messaggio è di oltre 24 ore fa.
Bitstamp.net rimane una pagina morta sul web da quando, il 4 gennaio, sono evaporati circa 5 milioni di
dollari. La società ha annunciato di stare riparando i danni ma di rinvio in rinvio la settimana si è conclusa. Tra
gli utenti che non possono accedere ai propri soldi ci sono anche molti italiani che usavano la piattaforma sia
per la compravendita che per tenere in una sorta di conto gli investimenti in bitcoin. La speranza è l'ultima a
morire anche per i «bitcoinisti» e l'ombra di Mt Gox, la piattaforma giapponese fallita nel 2014, per ora rimane
all'orizzonte. Ma, quale che sia l'epilogo, un insegnamento lo possiamo trarre subito. La moneta di per sé non
è sotto accusa. I problemi sorgono sempre nelle società che gestiscono i conti. E dunque, pur senza porre
delle briglie alla moneta, resta da capire se queste società che di fatto gestiscono milioni altrui debbano
essere sottoposte alla vigilanza di autorità come la Bce per fornire garanzie sui fondi.
Massimo Sideri
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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La Lente
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 46
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La campanella di Walgreens Boots Alliance Maxi-debutto (un po' italiano)
al Nasdaq
Massimo Gaggi
NEW YORK - Parla italiano, quello di Stefano Pessina e di Ornella Barra, il gigante mondiale della
distribuzione farmaceutica nato dalla fusione della compagnia europea Alliance Boots con l'americana
Walgreens che, da sola, controlla 8.300 «store» farmaceutici negli Usa, dopo l'acquisizione di Duane Reade.
L'operazione, perfezionata il 31 dicembre scorso, ha avuto il suo battesimo ufficiale ieri mattina quando
Pessina, maggiore azionista e amministratore delegato del gruppo, ha suonato la campana di inizio seduta al
Nasdaq, il mercato borsistico di New York dove è quotata la nuova società denominata WBA (Walgreens
Boots Alliance).
Un'avventura partita da lontano quella di Pessina, un ingegnere nucleare che nel 1977, quando aveva 35
anni, abbandonò gli atomi per dedicarsi alla ristrutturazione dell'azienda familiare: un'impresa di distribuzione
di farmaci con base a Posillipo, un quartiere di Napoli. Unite le forze con l'azienda ligure di Ornella Barra,
diventata sua compagna negli affari e nella vita, negli Anni 80 Pessina cominciò a espandersi in Francia e poi
in Gran Bretagna con una serie di acquisizioni, fusioni e ristrutturazioni. Una crescita continua, ma la svolta
vera arrivò nel 2007 quando, con l'aiuto della società Usa di «private equity» KKR, conquistò il controllo di
Alliance Boots appena nata dalla fusione della sua Alliance Unichem col Boots Group inglese.
Simile, e sempre assistita da KKR, l'operazione avviata l'anno scorso che ha consentito di fondere i due
leader mondiali delle farmacie: ora Pessina, il terzo uomo più ricco d'Italia (103esimo nelle classifiche
mondiali con un patrimonio di 11 miliardi di dollari, secondo «Forbes») guida un gruppo con 370 mila
dipendenti che controlla 12.800 farmacie e serve 180 mila clienti in 25 Paesi del mondo, dal Messico alla
Thailandia. Numeri impressionanti come quelli del fatturato (quest'anno dovrebbe superare 110 miliardi di
dollari) e dei clienti, diversi decine di milioni, che ogni giorno frequentano gli «store» WBA. Nei quali non si
vendono solo medicine ma anche cibi, bevande, cosmetici e prodotti per la casa.
Pessina e la Barra raccontano la loro avventura imprenditoriale con comprensibile soddisfazione, ma senza
enfasi, prudenti sulle cifre. Interessante la scelta di puntare fortemente sull'America nonostante Pessina dia
per scontato che qui i margini di profitto della vendita dei farmaci, attualmente molto elevati, caleranno grazie
alla maggiore concorrenza e all'applicazione della riforma sanitaria di Obama. «Ma - spiega - qui possiamo
rendere molto più redditizia la vendita dei prodotti non medici grazie alla straordinaria esperienza accumulata
da Boots in questo campo. E ci sono ampi margini per crescere». Mentre l'Europa viene giudicato un mercato
stagnante, se non in contrazione. In effetti negli Usa oggi c'è una farmacia ogni 5500 abitanti, mentre in
Francia e Spagna ce n'è una ogni 2800 e in Italia una ogni 3.500. Inoltre, sottolinea Pessina, l'integrazione
rende possibili grosse economie di scala a cominciare da un enorme potere di pressione di WBA sulle case
farmaceutiche per approvvigionarsi di medicinali a prezzi scontati.
Uomo determinato, severo, poco espansivo, Pessina non vive il Nasdaq-day come un trionfo o
un'incoronazione, nonostante il clima di festa con tanto di pioggia di coriandoli. Spiega quella di quotarsi al
Nasdaq, la Borsa di Times Square, anziché allo Stock Exchange di Wall Street, come una scelta di
convenienza economica e aggiunge che non intende restare amministratore delegato a lungo: è un incarico
che ha assunto solo perché quello di Walgreens, Greg Wasson, ha improvvisamente deciso di ritirarsi,
probabilmente per contrasti con gli azionisti Usa. Ma, anche se è un po' contrariato dalla scelta del consiglio
d'amministrazione di stabilire la sede del gruppo a Chicago («avrei preferito Londra, non ho mai pensato alla
Svizzera come ha scritto qualche giornale»), a 71 anni questo «italiano d'esportazione» non ha certamente
intenzione di ritirarsi nella sua dimora di Montecarlo: «Ho sempre preferito la posizione di vicepresidente
esecutivo con la responsabilità dello sviluppo strategico e delle acquisizioni. Spero di tornare presto a
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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La storia
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 46
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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svolgere un ruolo di questo tipo. Ma prima dobbiamo trovare la persona giusta per la gestione del gruppo».
Lo yacht di 50 metri che tiene ormeggiato in Sardegna dovrà aspettarlo ancora a lungo.
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La fusione
Il 31 dicembre è avvenuta la fusione tra Walgreens e Alliance Boots che ha portato alla nascita di Walgreens
Boots Alliance. Ieri la quotazione al Nasdaq, con il simbolo di teleborsa «WBA» La nuova azienda globale
comprende Walgreens, la più grande catena di drugstore negli Stati Uniti; Boots,
il leader del comparto farmacia in Europa; e Alliance Healthcare, il numero uno della distribuzione
farmaceutica a livello internazionale
Foto: La cerimonia L'Opening Bell al Nasdaq di Walgreens Boots Alliance. Nella foto, il presidente esecutivo
di Wba Jim Skinner, il Ceo Stefano Pessina e Ornella Barra
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 49
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Compagnia Sanpaolo frena su Carige «Nessuna trattativa»
Erika Dellacasa
Alla Compagnia di San Paolo basta la partecipazione in Intesa Sanpaolo e non ha intenzione di entrare
nell'azionariato di Banca Carige. Si capisce così la reazione dell'ente torinese ai rumors su una fusione con
Fondazione Carige collegati all'acquisizione di una quota dell'istituto genovese. «Nessuna trattativa», dice la
Compagnia in una nota diffusa ieri, per incamerare pacchetti azionari ma non può negare gli incontri che ci
sono stati per studiare una «fusione» o un'altra forma di accordo molto stretto tra le due fondazioni bancarie.
Lo schema che avrebbero valutato i due presidenti, Paolo Momigliano e Luca Remmert, infatti è più
complesso: Fondazione Carige in grave difficoltà patrimoniale potrebbe fare cassa vendendo il suo pacchetto
di Carige (il 19,18 per cento), quindi raggiungere accordi con la Compagnia per continuare l'attività di
intervento nel sociale e nella cultura, sganciata dalla banca genovese.
Se il progetto che avrebbe già dato vita a un tavolo tecnico ha subito adesso uno stop è difficile dirlo, intanto
però i distinguo della Compagnia sull'ipotesi di fusione non hanno bloccato la corsa del titolo Carige che ha
infilato un'altra giornata positiva con un più 1,91% , spinto anche dalla notizia dell'aumento della quota di Ubs,
ora pari al 4,65% del capitale di Banca Carige.
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19,8 per cento
la quota della Fondazione Carige in Banca Carige
700 milioni di euro l'aumento di capitale allo studio da parte di Banca Carige
706 milioni di euro
il valore di Carige a Piazza Affari. Le azioni valgono
0,069 euro
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
I contatti Genova-Torino
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 49
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L'uscita di Caputi e le mancate nomine nel board di Vegas Il decreto sulla Pa Le nuove regole fissano a 5 il
numero dei componenti dell'authority
Fabrizio Massaro
L'improvvisa uscita dalla Consob del direttore generale Gaetano Caputi non è passata inosservata nelle
stanze del potere politico e finanziario. Nonostante la nota dell'authority presieduta da Giuseppe Vegas
rappresenti come ordinarie le dimissioni dell'alto funzionario, operative da lunedì 12, le critiche e i dubbi non
si placano. Sia per l'uscita sia per la successione, che ancora una volta sarà decisa da una commissione
ridotta a tre commissari - Paolo Troiano e Anna Genovese, oltre a Vegas - rispetto ai cinque reintrodotti dal
decreto legge sulla Pubblica amministrazione di giugno.
Vegas punta a fare in fretta. La successione, secondo fonti interne, dovrebbe arrivare già la prossima
settimana. Intanto l'operatività è garantita dal vicedirettore generale Giuseppe D'Agostino, che è anche uno
dei papabili a ricoprire l'incarico, insieme con il segretario generale, Guido Stazi, già ex capo di gabinetto
dell'Agcom con Corrado Calabrò. Nonostante il decreto Pa preveda la maggioranza di 4 commissari per le
nomine, a decidere saranno i tre in carica perché le nuove regole entrano in vigore quando la commissione
sarà al completo. Per questo, secondo fonti sindacali sarebbe opportuno che la Consob attendesse la nomina
dei due membri prima di procedere con l'incarico.
Resta poi aperta la questione dei motivi delle dimissioni anticipate di Caputi, 50 anni, ex magistrato, il cui
mandato quinquennale sarebbe scaduto tra un anno e mezzo. Per la Commissione il passo indietro del
dirigente, 50 anni, ex magistrato, in passato già collaboratore di Vegas al Tesoro, ha «carattere personale».
La Commissione ha espresso «vivo apprezzamento per l'importante lavoro svolto in questi difficili anni con
alta professionalità e dedizione all'istituzione». Parole non rituali, fanno notare fonti dell'autorità. Caputi
sarebbe in procinto di passare in un importante studio legale.
Chi ha sollevato il caso sono stati i deputati del Movimento 5 Stelle: «Le dimissioni di Caputi, arrivato in
Consob dall'esterno grazie ai buoni uffici del presidente Vegas e protagonista di una carriera folgorante in
seno alla Commissione, gettano un'ulteriore ombra sulla gestione» Vegas, che «dovrebbe dimettersi perché
è evidentemente inadeguato a governare un ente così importante».
Sulla nomina di Caputi è stata recentemente chiusa un'indagine del pm di Roma Giuseppe Deodato - partita
da una denuncia di Federconsumatori su alcune assunzioni effettuate da Vegas - che vede il presidente
Consob indagato per abuso d'ufficio. Nei prossimi giorni Vegas dovrebbe essere sentito dal pm prima della
decisione sull'eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Nell'assunzione di Caputi come segretario generale, nel
marzo 2011, Vegas non avrebbe rispettato il criterio della nomina interna, nonostante ci fossero in Consob
dirigenti qualificati come Claudio Salini, diventato cinque mesi dopo segretario al posto di Caputi, nominato
dg.
Secondo rumor nella decisione di dimettersi avrebbe pesato anche uno scontro avuto nel consiglio di Natale
tra Caputi, Troiano e Genovese sulle spese per i servizi informatici. Circostanza seccamente smentita però
da fonti della Consob, che evidenziano come il bilancio preventivo 2015 sia stato votato all'unanimità, che le
gare d'appalto siano state gestite dalla Consip e che in tre anni le spese informatiche siano calate del 30% a
7 milioni. Il fronte più caldo dello scontro interno negli ultimi due anni è stato comunque Unipol-Fonsai, che ha
visto una parte della struttura schierata contro Vegas e Caputi per una loro presunta posizione a favore di
Unipol.
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Foto: Authority Gaetano Caputi ha rassegnato le dimissioni, operative da lunedì, da direttore generale della
Consob
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Commissari e vertici Consob Un'Authority dimezzata
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 51
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Il re dei fondi azionari Glenmede chiude l'anno a +20%
( giu.fer .) And the winner is ... Glenmede, che nel 2014 è risultato il migliore tra i fondi comuni di investimento
azionari americani, con un rendimento del 20%, oltre 6 punti percentuali in più del 13,7% messo a segno
dall'indice S&P 500. Glenmede Large Cap Growth Fund, che gestisce asset per circa 875 milioni di dollari, ha
vinto la classifica del Wall Street Journa l che misura la performance trimestrale dei migliori fondi azionari Usa
a gestione attiva, con almeno 50 milioni di asset e anni di attività, basata sui dati preliminari di Morningstar.
Nonostante le difficoltà a battere il benchmark in un anno esuberante sui mercati, i primi 10 fondi classificati
lo hanno superato, e Pnc Large Cap Growth, che però ha appena 71,2 milioni di asset gestiti, ha ottenuto un
rendimento del 19,5%, collocandosi in seconda posizione. Detto questo, l'88% dei fondi azionari ha chiuso
l'anno con risultati peggiori del benchmark. Le azioni vincenti che hanno portato sul podio il fondo co-gestito
da Vladimir de Vassal ( nella foto ) e Paul Sullivan? Apple, che nel 2014 è salita del 50%; Skyworks Solution,
che di Apple è un fornitore chiave, volata del 154,6%: Facebook, cresciuta del 42,8%; la società di
biofarmaceutica Amgen (+39,6%); ma anche la tradizionale Home Depot, che vende al dettaglio prodotti per
costruire e migliorare la casa, in rialzo del 27,5% in Borsa. La lezione di Glenmede: puntare su titoli
sottovalutati, con robusto cash flow e un trend di utili importante.
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Il tonno Usa Bumble Bee
ai thailandesi per 1,5 miliardi
( m. ger. ) Qualche tappo di champagne deve essere finito anche nei confinanti giardini di Buckingham
Palace. I ragazzi d'oro del private equity inglese Lion Capital, Lyndon Lea e Robert Darwent, hanno chiuso
l'anno brindando e facendo gli scongiuri. Poi hanno ripreso il lavoro con i legali e gli advisor finanziari. Negli
uffici di Grosvenor Place a Londra si è quasi chiusa una delle operazioni più rilevanti degli ultimi anni nel
settore dei grandi marchi alimentari: la vendita ai thailandesi di Thai Union Frozen, per 1,51 miliardi di dollari,
di Bumble Bee Foods, il re americano del tonno in scatola con il 28% del mercato, su cui già dalla scorsa
estate si era aperta la caccia dei grandi produttori. Pare che anche l'italiana Bolton (tonno Rio Mare e
Palmera) avesse studiato l'operazione. Non è tanto la vendita che ha fatto saltare i tappi ma la plusvalenza:
530 milioni di euro in quattro anni (e non dei più felici per il mercato). Gli scongiuri, però, non sono soltanto di
rito perché il matrimonio tra il più grande produttore di tonno al mondo, Thai Union, e Bumble Bee significa
negli Usa, per esempio, mettere insieme il numero due e il numero tre per un totale pari al 48% del mercato,
distanziando l'ex numero uno Starkist (30%). Ovvio, dunque, che le dita rimarranno incrociate fino alla
"sentenza" dell'Antitrust americano. Dopodiché si potrà, ri-brindare anche perché il guadagno è molto poco
tassato. I thailandesi per comprare Bumble Bee verseranno i soldi a finanziarie di Cayman create da Lion per
controllare una holding in Lussemburgo che è il socio al 100% del gruppo di San Diego.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Sussurri & Grida
10/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 57
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Il sogno impossibile di un «Paese normale»
Piero Ostellino
È sconfortante - per chi crede ancora nella possibilità che l'Italia diventi un Paese «normale» - constatare
dapprima la comparsa, nella delega fiscale, del codicillo (non si sa scritto da chi) che prevedeva la non
procedibilità penale per chi commettesse evasione fiscale inferiore al 3% dell'imponibile, ritenuta dal sistema
informativo di regime un favore a Berlusconi; comparsa che ai miei occhi è parsa, invece, vagamente
ricattatoria in vista della prossima elezione del capo dello Stato; poi, la sua scomparsa, anch'essa non si sa
ad opera di chi, e non meno ricattatoria. Che, poi, a confermare la leggenda/pregiudizio che circonda noi
italiani, allo stesso tempo pasticcioni e imbroglioni, sia stato il presidente del Consiglio aggiunge solo una
nota surreale all'intera vicenda. Renzi - che si ritiene più furbo di tutti - ha superato, nella circostanza, il limite
dell'indecenza. Non mi pare, perciò, neppure il caso di parlare di una sua machiavellica immoralità nella
prospettiva di un proprio successo. Mi pare, piuttosto, un altro caso improntato a quella stessa buona dose di
cinismo di cui aveva dato prova nei confronti del suo predecessore, Enrico Letta.
Non ho pregiudizi personali nei confronti di questo ragazzotto presuntuoso e incolto. Perciò, non sono
d'accordo con Grillo che lo accusa di aver usato l'aereo presidenziale per andare a sciare con la famiglia. Un
incarico di un certo rilievo, pubblico o privato che sia, comporta qualche privilegio che solo il moralismo
pauperista nostrano tende a disconoscere. Ciò che mi colpisce è, semmai, il suo atteggiamento, che mi pare
quello di chi ha vinto al totocalcio e stenta a crederci. Malgrado le arie che si dà, Renzi rimane
irrimediabilmente un provinciale. Caro Renzi, non si cena con l'ex primo ministro inglese, Tony Blair, in
camicia, con le maniche arrotolate, nell'infantile presunzione di assomigliare a John Kennedy.
In definitiva, che piaccia o no, questo presidente del Consiglio, questo presidente della Repubblica e persino
questo Papa sono l'immagine di un'Italia che si è affacciata sulla scena mondiale «non sapendo stare a
tavola», avrebbero detto i nostri nonni. Siamo il prolungamento, più che dell'aristocratico Piemonte
cavouriano, del fascismo. Di quella, che da noi, è stata la tardiva versione della modernizzazione raggiunta
dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dalla Germania. I nostri limiti riguardano, per dirla con Bobbio, la carenza
del «nesso indissolubile tra politica e cultura».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Il dubbio
11/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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Camusso: i vigili assenti? Sto con chi lavora
La leader della Cgil e il caso di Roma. «Il governo ha abbassato la guardia sulla lotta all'evasione»
Enrico Marro
Jobs act, articolo 18, licenziamenti. Il numero uno della Cgil, Susanna Camusso, ribadisce in un'intervista al
Corriere l'impegno del sindacato contro ogni forma di terrorismo: «Il nostro cuore è a Parigi». Accusa il
governo di aver «abbassato la guardia sull'evasione fiscale». E sui vigili assenteisti a Roma durante le feste
aggiunge: «Sto con chi lavora». a pagina 19
ROMA Dopo aver guidato la delegazione della Cgil alla fiaccolata di giovedì in piazza Farnese, sotto
l'ambasciata di Francia, Susanna Camusso sceglie di essere intervistata nella sede romana del Corriere dove
ribadisce l'impegno del sindacato contro ogni forma di terrorismo: «Il nostro cuore è a Parigi, con chi scende
in piazza a difesa della libertà di stampa e di satira. Penso che in questo momento sia importante dire che
non ci facciamo travolgere dalla paura e che la vera risposta a questo orrore è l'integrazione. Un valore che
nel mondo del lavoro, nel sindacato pratichiamo da tempo».
Come?
«La Cgil ha numerosi dirigenti di categoria e di territorio di fede mussulmana e l'integrazione si è affermata
nelle aziende non solo a parole ma attraverso i tanti accordi che garantiscono agli immigrati congrui periodi di
ferie per poter tornare nei Paesi di origine o per assicurare le pause quotidiane per la preghiera. È anche
grazie a questa integrazione che non ci sono tensioni rispetto alla condanna di questi atti di terrorismo».
Segretario, partiamo dallo sciopero generale del 12 dicembre. Non è servito a fermare il Jobs act del
governo Renzi. Una sconfitta?
«No. Le manifestazioni e lo sciopero hanno cambiato lo scenario politico, riproposto la centralità del lavoro e
della qualità dell'occupazione. Sapevamo che Renzi avrebbe tirato dritto. Ma l'azione di contrasto non finisce
qui. Si apre una stagione che vedrà la Cgil, insieme alla Uil e se possibile anche con la Cisl, impegnata su
tutti i fronti. I decreti legislativi sono pieni di norme che producono diseguaglianze che si prestano ad essere
messe in discussione dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea di giustizia».
Come si fa a difendere l'articolo 18 sui licenziamenti davanti all'assenteismo di massa dei vigili a Roma?
«Se condizioni la difesa di un diritto al fatto che tutti si comportino bene non difendi più alcun diritto. Detto
questo, io sto con quelli che la notte di San Silvestro sono andati a lavorare. La Cgil, fin dall'inizio, ha detto: ci
sono le regole, si applichino. Non è vero che nel pubblico impiego non si può licenziare. Ciò non toglie che lo
sciopero dei vigili contro il sindaco e contro il comandante del corpo sia sacrosanto».
Scioperano contro chi vuole punire coloro che hanno appunto infranto le regole.
«No. Scioperano perché c'è una vertenza sull'organizzazione del lavoro e sul salario aperta da tempo che il
sindaco non vuole concludere».
Torniamo al Jobs act. Ma la Cgil non era favorevole al contratto a tutele crescenti?
«Sì, ma doveva essere un'altra cosa. Doveva servire a togliere di mezzo i tanti contratti precari e portare alla
stabilizzazione dei rapporti di lavoro, con la previsione che a un certo punto sarebbe comunque scattata la
tutela dell'articolo 18. Invece niente. Sa cosa c'è di crescente in questo contratto? Solo l'indennizzo a fronte
della possibilità per le imprese di licenziare, demansionare, fare ciò che vogliono».
Non crede che aver semplificato i licenziamenti possa aiutare le aziende a superare la soglia dei 15
dipendenti e incentivare gli investimenti dall'estero?
«Non ho mai conosciuto un investitore che non viene in Italia perché c'è l'articolo 18. Quanto alle piccole
imprese, si addensano tra i 7 e i 9 dipendenti, non sotto i 15».
Questo governo è guidato dal segretario del Pd. Un governo di sinistra che ha con la Cgil rapporti peggiori di
quelli che aveva Berlusconi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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INTERVISTA
11/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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«Non esageriamo. È un governo di coalizione, che ha un grande problema: si ritiene autosufficiente. Perciò
non ascolta i buoni consigli e segue i cattivi esempi, aumentando la diseguaglianza».
Fa bene Renzi a cercare un accordo con Berlusconi sul Quirinale?
«Sì, la posizione della Cgil è sempre stata quella che su questa carica, come sulle riforme istituzionali, si
debba cercare il massimo consenso con tutti gli attori politici».
Ha un nome da suggerire?
«A parte la mia propensione per una donna, serve un presidente che sia un autentico interprete della
Costituzione».
Nella partita entrerà il decreto fiscale che depenalizza la frode, con possibili benefici per lo stesso Berlusconi?
«Il fatto che Renzi abbia ammesso che la manina è sua e che allo stesso tempo abbia sospeso
l'approvazione del decreto fino a dopo le elezioni per il Quirinale fa pensare che esso possa essere usato
come un'arma di pressione. Ci saremmo aspettati invece la massima trasparenza. Tanto più che i contenuti
sono pessimi, non per presunti accordi, ma perché prospettano un allentamento della lotta all'evasione».
Il governo vuole un Fisco più semplice.
«Ma allora semplifichi. Invece qui si abbassa la guardia, mettendo a rischio il gettito. Non è questa la politica
fiscale che auspichiamo».
Che invece sarebbe?
«Fondata sulla lotta all'evasione e sulla progressività del prelievo. Non c'è un altro Paese dove l'83% dell'Irpef
viene da dipendenti e pensionati».
Di qui anche la richiesta della patrimoniale?
«Il problema fondamentale nella nostra società è la crescita della diseguaglianza. Il Fisco serve appunto per
redistribuire e creare equità».
Se verrà ammesso il referendum della Lega per abrogare la riforma Fornero voterete sì, conferma?
«Con Cisl e Uil abbiamo una piattaforma per cambiarla. È urgente, per rimediare a questa follia del
prolungamento infinito dell'età di pensionamento. Sarebbe utile che il governo aprisse un confronto con noi
per cambiare la legge. Se non lo farà neppure per evitare l'eventuale referendum, voteremo sì».
Si possono rinnovare i contratti con l'inflazione a zero?
«La Cgil non ha condiviso il modello contrattuale del 2009 e non rinuncia all'obiettivo della crescita dei salari,
che si può ottenere anche attraverso la redistribuzione dei profitti».
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Chi è
Susanna Camusso,
59 anni, segretario della Cgil dal 2010
(è rieletta a maggio 2014) Entra nella segreteria
della Fiom-Cgil
di Milano nel 1980. Nel 2001 diventa segretario generale della Cgil lombarda
Foto: Ci sono le regole, si applichino Non è vero che nel pubblico impiego non si può licenziare Sulle tutele
crescenti cresce solo l'indennizzo ma le imprese possono fare ciò che vogliono Sui vigili Io sto con quelli che
a Roma la notte di San Silvestro sono andati a lavorare
11/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Rita Querzé
Un metodo per non pagare la Tasi sulla prima casa ci sarebbe. Basterebbe portare l'assenteismo nel
pubblico impiego ai livelli delle aziende associate a Confindustria. Così si recupererebbero 3,7 miliardi.
Guarda caso poco più del gettito Tasi del 2014: 3,4 miliardi.
A stimare quanto valgono le assenze nel pubblico impiego è il centro studi di viale dell'Astronomia a partire
da dati della Ragioneria dello Stato. Nell'universo Confindustria le ore di assenza sono scese dal 7% delle
ore lavorabili nel 2012 al 6,5% del 2013. Nello stesso anno le assenze nel pubblico impiego sono state quasi
il 50% in più. Dubbi sulla quantità di assenze di un giorno nel pubblico impiego sono stati sollevati ieri anche
dalla Cgia di Mestre. Se si considera che lo Stato è il maggior datore di lavoro italiano, con 3,2 milioni di
dipendenti, si capisce come un surplus di giornate a casa in malattia comporti per il Paese una perdita di
ricchezza rilevante.
Detto questo, chi pensa di potersi risparmiare la Tasi grazie a dipendenti pubblici in miglior salute rischia di
dover aspettare a lungo. La polemica sulla costituzione cagionevole dei vigili urbani romani ha riportato il
problema sotto i riflettori. La competenza rispetto ai controlli sui lavoratori in malattia nel pubblico impiego
potrebbe passare dalle Asl all'Inps. Anche sul fronte del licenziamento degli statali non sono escluse novità a
partire dall'applicazione anche nel pubblico impiego delle regole del Jobs act.
Ma forse la soluzione non sta soltanto nei controlli. Peraltro troppo spesso scritti sulla carta. E nemmeno nelle
sanzioni: già dal 2008 nel pubblico impiego con la legge Brunetta chi è a casa in malattia per i primi dieci
giorni perde i cosiddetti «trattamenti economici accessori». Intasca, cioè, soltanto la paga base. Il problema
potrebbe essere anche un altro. Lavorare di più e meglio nel pubblico non offre alcun vantaggio. Premiare il
merito: questa potrebbe forse essere la vera rivoluzione.
@rquerze
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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premiare chi lavora bene per ridurre l'assenteismo
11/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 30
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Mini-euro, come difendere i risparmi con azioni e bond
Giuditta Marvelli
Inizio d'anno all'insegna dell'incertezza per i mercati finanziari. La Banca centrale europea inizierà davvero la
battaglia alla deflazione? Che cosa succederà alla lunga se il barile resta sotto i 50 dollari? L'euro debole è
un vantaggio o uno svantaggio per chi deve difendere i propri risparmi? «Corriere Economia», in edicola con
il primo numero del 2015 domani insieme al Corriere della Sera , prova a fare una mappa degli interrogativi e
delle strategie che si possono seguire in questi primi mesi dell'anno. Secondo l'opinione di molti esperti nel
2015 le Borse dovrebbero essere favorite rispetto alle obbligazioni, segnate da un rendimento medio sempre
più basso e da prezzi molto cari. In particolare i listini europei hanno valutazioni meno elevate di Wall Street,
che è al massimo storico (al pari di Francoforte) e che continua a salire. Ma i primi giorni dell'anno segnalano
una volatilità molto forte delle azioni, che da un giorno all'altro azzera e accende le speranze con grande
velocità. Dalle valute ai bond, dalle azioni europee a Wall Street, passando per i titoli italiani ad alto
rendimento alle diverse prospettive dei Paesi Emergenti, su «Corriere Economia» le indicazioni per farsi
un'idea e decidere se investire adesso con un piano adeguato o se aspettare, restando parcheggiati in un
deposito di liquidità.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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CorrierEconomia
11/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 30
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Gli uffici di Vegas chiedono al Tribunale di Genova l'annullamento dei conti 2012 e 2013 La banca: nessuna
anomalia, le rettifiche volute della Commissione sono state riportate L'aumento Domani riunione del
consorzio bancario per preparare l'aumento di capitale
Stefania Tamburello
ROMA La Consob accusa: i bilanci 2012 e 2013 di Banca Carige vanno annullati perchè non conformi. Da
Genova ribattono: non è vero. Ma sarà il tribunale a decidere.
La banca ligure è di nuovo sotto la luce dei riflettori dopo che la Consob ha deciso di rivolgersi al tribunale di
Genova per chiedere l'annullamento degli ultimi due bilanci di Carige. Ma c'è subito una cosa da dire in
premessa: non è in discussione la struttura economica e patrimoniale dell'istituto né il programma di aumento
di capitale da 700 milioni di euro già deliberato - domani dovrebbero riunirsi il consorzio di garanzia - e né
quindi il piano presentato alla Vigilanza della Bce dopo l'esito negativo degli stress test di ottobre.
La vicenda è nata durante la gestione di Giovanni Berneschi, finita sotto inchiesta giudiziaria, e quindi affonda
le sue radici in quei fenomeni di mala gestio , secondo la definizione data dal governatore di Bankitalia,
Ignazio Visco, portati a soluzione dagli attuali vertici, l'amministratore delegato Piero Luigi Montani e il
presidente Cesare Castelbarco Albani. Ecco il fatto: la Commissione guidata da Giuseppe Vegas ha
contestato a Carige la non correttezza non solo del bilancio 2012, dell'era Berneschi, ma anche quello 2013
approvato ad aprile scorso. Questo perché la richiesta fatta dalla stessa Consob di rettificare alcune voci di
bilancio 2012 (quelle relative all'avviamento), magari riaprendolo, non avrebbero avuto risposta tempestiva
ma sarebbero state accolte solo in una nota integrativa al bilancio 2013. Formalmente quindi non
risponderebbero al vero, secondo la Consob, entrambi i rendiconti.
Carige si contrappone e della vicenda dà una lettura diversa. La procedura seguita - fanno sapere - ha il
conforto di illustri pareri legali ed è legittima. In termini più tecnici la citazione a giudizio da parte della
Consob, di cui Carige ha dato notizia, chiede la «declaratoria di nullità o di annullamento della delibera
assembleare del 30 aprile 2014 di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2013 per asserita non conformità
alle norme che ne disciplinano la redazione e in particolare ai principi contabili».
Di contro Carige «confida che l'autorità giudiziaria confermi la correttezza del proprio operato e la conformità
dei bilanci che ne disciplinano la redazione». L'istituto genovese ha precisato inoltre che «della materia
oggetto della citata delibera Consob è stata già fornita ampia ed approfondita informativa al pubblico» e che
«ha già provveduto in via autonoma alla rettifica dei valori» senza violare le norme ma determinando
unicamente «una diversa ripartizione degli oneri nei conti economici dei bilanci 2012 e 2013, senza
modificare i saldi patrimoniali».
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La vicenda
Al termine degli stress test per Banca Carige è emersa una carenza di capitale di 850 milioni di euro La
banca genovese ha già messo in cantiere una ricapitalizzazione da 650 milioni di euro per rispondere alle
richieste della Bce Fondazione Carige, primo socio (19,18%) non vuole sottoscrivere in toto l'aumento e cerca
un partner a cui vendere quote. Andrea Bonomi starebbe valutando
Foto: Il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha chiesto l'annullamento dei conti 2012-2013 di Carige
Foto: Il presidente di Banca Carige Cesare Castelbarco Albani. L'istituto deve varare un aumento di capitale
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Carige, la Consob contesta il bilancio
12/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 19
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Il governatore sulla stampa tedesca: è lo strumento più efficace. In Europa troppa lentezza sulle riforme
Stefania Tamburello
ROMA Il rischio di deflazione non va sottovalutato perché «se i tassi di inflazione restano molto bassi per
troppo tempo e l'economia praticamente non cresce più, rischiamo di scivolare in una spirale negativa che si
autoalimenta sempre più». In un'intervista al settimanale tedesco Welt am Sontag , il governatore della Banca
d'Italia, Ignazio Visco rileva quanfo l'attuale situazione sia «critica» e sottolinea come l'acquisto di titoli di
Stato da parte della Bce «sia lo strumento più efficace» da poter adottare.
La sua è quindi una posizione decisamente a favore dell'avvio del programma di Quantitative easing , in
pratica di acquisto massiccio di titoli pubblici da parte della Bce, per aumentare la liquidità, ridare slancio
all'aumento dei prezzi e riattivare la crescita economica. «Quando i tassi ufficiali scendono a zero - spiega non resta che ampliare la quantità di moneta. Abbiamo diversi modi per farlo. Potremmo anche metterci per
strada e distribuire banconote. Oppure compriamo titoli di Stato. Si tratta di uno strumento standard della
politica monetaria, che chiamiamo non convenzionale soltanto perché per molto tempo in Europa non è stato
usato». Visco è fiducioso sull'esito del programma e a chi ipotizza la pessimistica previsione di un rialzo dei
prezzi appena dello 0,1% risponde che «le nostre stime sono più vicine allo 0,4%, un aumento di cui sarei
senz'altro soddisfatto, sarebbe un ottimo risultato» perché ci porterebbe «su un percorso che potrebbe
riportare l'inflazione vicino al 2%».
Il numero uno di Palazzo Koch, tuttavia non si sbilancia sui tempi e sulle modalità della decisione che i
mercati aspettano comunque per il 22 gennaio. Ma giudica negativamente l'ipotesi di acquisti a carico delle
Banche centrali nazionali che è stata messa sul tavolo assieme ad altre. Se così fosse «la frammentazione
finanziaria nell'area potrebbe tornare ad ampliarsi rispetto alle condizioni attuali. Faremmo bene a mantenere
le procedure che valgono per tutti i nostri interventi di politica monetaria: i rischi sono condivisi
dall'Eurosistema nel suo insieme». Del resto anche il problema dei tassi di inflazione bassi ovunque,
compresa la Germania, «è comune» come lo è l'obiettivo dell'inflazione al 2%. Su questo punto, insiste Visco,
non ci sono conflitti.
E sulla posizione del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, contrario all'acquisto di titoli pubblici, il
governatore spiega: «Al consiglio Bce, io siedo vicino a Weidmann: siamo disposti in ordine alfabetico perché
non rappresentiamo i nostri paesi ma abbiamo un compito comune, garantire la stabilità dei prezzi». E
comunque «Weidman ed io siamo d'accordo su un punto: la politica monetaria è uno strumento forte ma non
può far salire la produttività o migliorare le strutture economiche. Questo è il compito della politica economica.
Le riforme in Europa sono essenziali ma procedono lentamente».
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Il profilo
Ignazio Visco, 65 anni, da novembre 2011 è governatore della Banca d'Italia, dopo esserne stato direttore
generale
dal 2007
+0,2 per cento
È il tasso medio annuo di incremento dei prezzi in Italia
2 per cento
È la soglia
di inflazione
obiettivo della Banca europea
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Bce, la spinta di Visco per l'acquisto dei bond
12/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 29
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Massimo Gaggi
«Osama bin Laden è morto e la General Motors è viva». Nel 2012, scherzando ma non troppo, il
vicepresidente Usa Joe Biden diceva che la campagna per la rielezione di Obama era tutta lì. Due anni dopo
la sconfitta di Al Qaeda appare assai meno certa. A Barack Obama rimane il salvataggio dell'auto che ha
celebrato giorni fa in uno stabilimento della Ford in Michigan. Un'enfasi da comizio, la sua, ma con buone
ragioni: il Salone dell'Auto che si apre oggi a Detroit non è solo quello della rinascita di un'industria Usa data
per morta nel 2009 e che invece cresce e guadagna da cinque anni. È anche la consacrazione della ritrovata
capacità della vecchia industria manifatturiera di trainare l'economia, di sostenere i consumi. 16,5 milioni di
auto vendute negli Usa: una distanza siderale dall'incubo del 2009 (l'anno della bancarotta di GM e Chrysler)
quando il mercato assorbì appena 10 milioni di veicoli.
Più 6% sul 2013 con un forte contributo al Pil Usa mentre l'Europa ristagna. E quest'anno andrà ancora
meglio, secondo gli analisti. Aumentano i posti di lavoro e anche i salari: il sindacato UAW chiede aumenti nel
nuovo contratto ma quest'anno già scattano quelli (da 15 a 19 dollari l'ora) previsti per i dipendenti assunti a
stipendio ridotto. L'enfasi di Obama è comprensibile: per anni la destra ha contestato la sua politica per l'auto.
Ora è possibile un bilancio: il governo federale, che aveva speso 79 miliardi di dollari per tenere in vita
General Motors e Chrysler, ha recuperato per intero i 12 prestati al gruppo guidato da Marchionne e 58 dei 67
miliardi dati a GM. Una spesa di 9 miliardi che ha consentito di evitare fallimenti che avrebbero prodotto la
perdita di 2,6 milioni di posti di lavoro.
Tutto ciò non garantisce un futuro radioso: la benzina a buon mercato che ha sostenuto il settore dell'auto
non durerà in eterno, la ferita dei veicoli difettosi non si è affatto rimarginata e all'orizzonte ci sono sfide e
incognite: dall'auto senza guidatore a Uber che immagina un mondo con meno veicoli, non più di proprietà
personale e sempre in circolazione. Ma oggi splende il sole.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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la crescita dell'america riparte anche dall'auto
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Deficit, 3,7% a settembre In aumento i redditi ma i consumi sono fermi
Bocciarelli
Secondo l'Istat nei primi nove mesi il rapporto deficit/Pil è risalito al 3,7%. Intanto c'è un primo effetto del
bonus degli 80 euro in busta paga: i redditi delle famiglie sono in aumento, ma i consumi sono fermi.
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ROMA
Un rapporto deficit-pil in leggera salita (soprattutto se si considerano i dati cumulati) e un aumento del potere
d'acquisto delle famiglie che però, per via della crisi, appaiono più propense al risparmio che al consumo. È
quanto si ricava dalle cifre del conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche diffuso ieri
dall'Istat. L'indebitamento in rapporto al Pil nei tre mesi compresi fra luglio e settembre 2014 è stato pari al
3,5%, superiore di 0,2 punti rispetto al corrispondente periodo del 2013.
Nei primi tre trimestri dell'anno, inoltre, l'indebitamento è stato del 3,7% del prodotto, con un aumento di 0,3
punti rispetto all'anno prima. Dunque per chiudere al 3% del Pil serve un netto miglioramento nell'ultimo
scorcio del 2014: «L'ultima parte dell'anno fa registrare storicamente un dato più basso», ha sottolineato in
una nota il ministero dell'Economia.
Sempre considerando i primi tre trimestri del 2014, le uscite totali sono state pari al 48,7% del pil un rapporto
invariato rispetto al 2013 mentre le entrate totali si sono ridotte in termini tendenziali dello 0,7% , con
un'incidenza sul Pil del 45% (erano il 45,3% nello stesso periodo del 2013). La pressione fiscale relativa ai
primi tre trimestri dell'anno risulta pari al 40,7% e dunque fa registrare una diminuzione di 0,2 punti rispetto al
medesimo periodo del 2013. Per contro, se si valuta il solo terzo trimestre del 2014 le entrate totali risultano
in aumento dello 0,4% rispetto all'estate del 2013 e la loro incidenza sul Pil è del 44,5% in aumento di 0,4
punti percentuali rispetto allo stesso trimestre dell'anno prima. E in salita è anche la pressione fiscale relativa
all'estate del 2014: si tratta del 40,9% del Pil, lo 0,7% in piùrispetto a un anno prima.
L'effetto bonus fiscale, tuttavia, non si vede solo dai dati sul deficit. L'Istat ha pubblicato ieri anche le cifre sui
redditi delle famiglie, dalle quali si ricava che nel terzo trimestre dell'anno è aumentato il loro reddito
disponibile (+1,4% tendenziale). Se poi si tiene conto della dinamica particolarmente bassa dei prezzi si vede
che anche il potere d'acquisto delle famiglie consumatrici è risultato nel terzo trimestre dello scorso anno in
aumento dell'1,9% rispetto al trimestre precedente (+1,5% sul terzo trimestre 2015). Dunque, l'aumento di
potere d'acquisto di salari e redditi c'è stato. Ma, almeno per quel che riguarda il terzo trimestre 2014, non si
è tradotto in consumi: la spesa delle famiglie per consumi finali risulta infatti invariata rispetto al trimestre
precedente anche se si registra un lieve aumento (+0,4%) rispetto al 2013; nei primi 9 mesi dell'anno, infine,
la spesa per consumi è cresciuta dello 0,5%. È aumentata invece e nettamente la propensione al risparmio
delle famiglie consumatrici, pari al 10,8% nel terzo trimestre 2014:+ 1,6 punti sul trimestre precedente e
+0,9% sul 2013.
La prudenza e l'incertezza sul futuro(connessa alle prospettive non brillanti dell'occupazione) sembrano per il
momento aver avuto la meglio, lasciando prevalere la tendenza a rimborsare i debiti o a risparmiare. Un dato
che «non sorprende, precisa il ministero dell'Economia: «Le famiglie tendono a ricostruire lo stock di
risparmio intaccato durante la crisi». Ma Via XX settembre è fiduciosa: prima o poi l'aumento del reddito si
tradurrà «in consumi e investimenti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Rossella Bocciarelli
PRESSIONE E DEFICIT, L'ANDAMENTO
PRESSIONE FISCALE
DEFICIT/PIL
III trimestre 2011 - III trimestre 2014. Dati cumulati. Valori %
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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L'Istat sui primi 9 mesi - Effetto 80 euro sul potere d'acquisto
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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aumenta il reddito delle famiglie
Tassi di crescita tendenziali e congiunturali - III trimestre 2014, dati destagionalizzati variazioni % III trim.
2014su II trim. 2014 III trim. 2014su II trim. 2013 Gen.-sett. 2014su gen.-sett. 2013 Reddito lordo disponibile
1,8 1,4 1 Potere d'acquisto delle famiglie* 1,9 1,5 0,8 Spesa delle famiglie per consumi finali 0 0,4 0,5
Investimenti -0,6 -3,7 -2,6
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Le elezioni del presidente della Repubblica in passato non hanno elettrizzato i mercati. Sono di solito altre le
poltrone che scottano per investitori e traders. Continua pagina 10
Continua da pagina 1
L'Italia non è una repubblica presidenziale e il via vai di questo o quel leader politico, di questo o quel premier
a colloquio al Quirinale non è stato centrale per le scelte di investimento, finanziarie e non, nel nostro Paese.
Per lungo tempo. Non ricordo una domanda una negli anni passati, rivoltami in tono concitato da un trader o
uno strategist o un equity portfolio manager che riguardasse il nostro capo dello Stato.
Tutto questo fino a Giorgio Napolitano. O meglio, fino all'intervento determinante, anche agli occhi dei
mercati, di Napolitano in due delicatissimi snodi del rischio-Italia: il ruolo svolto dal Presidente nell'allontanare
l'Italia dall'orlo del baratro alla fine del 2011 (con la fine del Governo Berlusconi e l'inizio del Governo Monti) e
poi ancora nel traghettare l'Italia fuori dall'impasse politico in cui era caduta dopo le elezioni del febbraio 2013
(aprendo alla sua seconda candidatura).
Napolitano visto dai mercati finanziari è sinonimo di stabilità politica. La sua uscita inevitabilmente riaccende
sui monitor dei traders una luce sul rischio di instabilità politica. E quando la politica rallenta il passo, anche i
tempi del cammino delle riforme si allungano: e questo sarebbe l'effetto più deleterio per i mercati di uno
stallo sull'elezione del successore di Napolitano.
Unicredit, in una nota diramata alla sua clientela istituzionale, ha rassicurato: «Le dimissioni di Napolitano
difficilmente porteranno all'instabilità politica e al deragliamento dal processo delle riforme». E questo
messaggio, in diverse sfumature ma con la stessa sostanza, lo stanno diramando i desk Italia delle grandi
banche internazionali. La partita che giocherà Matteo Renzi per la nomina del prossimo capo dello Stato è
molto impegnativa, e sarà seguita da vicino dai mercati perché darà elementi di valutazione importanti per
misurare la forza del premier, all'interno del Pd e nei confronti dell'opposizione: tuttavia l'uscita di scena di
Napolitano non sta avendo una portata destabilizzante al punto da annullare l'effetto-Draghi e del sovereign
QE sui BTp e più in generale sul rischio-Italia.
Sgombrato il campo dal timore che Mario Draghi potesse lui "salire al Colle" per restarvi(in quel caso le
ripercussioni sui mercati sarebbero state destabilizzanti per il futuro dell'euro ma rassicuranti per il futuro
dell'Italia), più che per il Quirinale i mercati si appassionano su un altro giro di poltrone, quello all'interno del
ministero dell'Economia e delle Finanze e all'interno di Palazzo Chigi. Chi investe in Italia è molto più
interessato all'identikit del ministro dell'Economia e poi a scendere del direttore generale del Tesoro (che ha
le mani in pasta sulle privatizzazioni e sul debito pubblico), del chief economist al Mef (responsabile per una
grossa fetta dei numeri e dei pronostici che caratterizzano il rischio-Italia), del ragioniere generale dello Stato
(che ha in mano i conti pubblici).
Dove invece i mercati si perdono è nella duplicazione dei ruoli e delle responsabilità, una specialità molto
italiana. Non capiscono bene fino a che punto pesino nei grandi giochi i personaggi che popolano le "cabine
di regia" e i ministeri ombra che si aprono e chiudono a Palazzo Chigi. Le domande in tono concitato le
ricordo, ma erano concentrate sugli advisor economici del premier Renzi.
.@isa_bufacchi
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738
i voti ottenuti da Giorgio Napolitano
Il 20 aprile 2013 al 6° scrutinio l'assemblea elegge
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Le poltrone cui guardano i mercati
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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il presidente della Repubblica (997 votanti )
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Banche a picco, giù Milano e Madrid
I mercati temono che gli acquisti Bce dei titoli di Stato non superino i 500 miliardi
Vito Lops
Le vendite sui titoli bancari in tutta Europa hanno vanificato i guadagni degli indici di Borsa nelle sedute
precedenti. Milano e Madrid hanno perso più del 3%. Ha pesato il maxi-aumento del Santander che ha
affondato il titolo (-13%). Piazza Affari teme le richieste di soglie di capitale più alte agli istituti italiani.
Preoccupano infine i rumors sugli acquisti di titoli di Stato dalla Bce che non supererebbero i 500 miliardi di
euro. pagine 6 e 7
Andamento dei titoli ieri e indici di patrimonializzazione al 30 settembre
Venerdì nero per le Borse europee che hanno annullato gli effetti del rimbalzo messo a segno alla vigilia.
Maglia nera a Madrid (-3,57%), seguita da Piazza Affari (-3,27%). Francoforte e Parigi hanno perso più del
2%. Con il tonfo di ieri il listino milanese archivia la prima settimana piena dell'anno con un calo del 5%. C'è
più di un motivo che ha spinto gli investitori ad allontanarsi dalle azioni, in particolare dai titoli del credito che
hanno zavorrato l'intero comparto europeo. La giornata è iniziata subito male per la spagnola Banco
Santander (uno dei pesi massimi della Borsa iberica) che - dopo l'annuncio di un aumento di capitale da 7,5
miliardi - è stata colpita dalle vendite fino a perdere nel finale il 13%. Ed è iniziato subito al ribasso anche per
le banche italiane dopo che la Banca centrale europea ha inviato una lettera - come pubblicato ieri dal Sole
24 Ore - attribuendo a ogni singola banca un suo coefficiente patrimoniale minimo da rispettare «sulla base
della situazione finanziaria e dei profili di rischio, e prendendo in considerazione i risultati della Supervisory
Review e del processo valutativo».
Insomma, ai mercati è passato il messaggio che gli stress test per le banche europee non sono finiti. Così, a
fine seduta, Banca Mps - che secondo le nuove indicazioni della Bce (confermate dallo stesso istituto
senese) dovrebbe disporre di un floor del 14% anziché del 7% minimo stabilito dai vincoli di Basilea 3 -ha
ceduto l'8,63%. In media, per le 15 banche italiane vigilate dalla Bce, la soglia è salita di oltre tre punti di
percentuale al 10,5 per cento. Sul titolo senese ha poi pesato la smentita di Santander su un interesse
sull'istituto di Rocca Salimbeni.
Le vendite hanno colpito anche Ubi banca (-5,14%) che ha confermato la nuova soglia fissata ad hoc dalla
Bce al 9,6%. E non hanno risparmiato UniCredit (-5,49%), Intesa Sanpaolo (-4%), Banco popolare (-7,47%),
Mediobanca (-4,79%), Bper (-6,68%), Bpm (-3,51%). Forte calo anche per energetici (Eni -3,75%, Enel 5,05%, Saipem -3,45%).
Sull'andamento delle Borse hanno pesato poi indiscrezioni sul possibile "quantitative easing" che sarebbe allo
studio sul tavolo della Bce. I rumor indicano un importo di 500 miliardi (i mercati si aspettano di più) con
acquisto di titoli con rating fino a BBB- (sarebbero quindi esclusi quelli di Grecia e Cipro). Il nervosismo sul
"Qe" è stato accentuato dal fatto che si sta allargando il fronte dei consiglieri della Bce contrari a
un'accelerazione verso l'acquisto dei titoli di Stato. Ardo Hansson, governatore estone, ha detto che
«personalmente troverei problematico annunciare un programma di acquisto bond inclusi quelli greci a
gennaio».
Sullo sfondo ci sono poi i dati sul lavoro negli Usa, solo a una prima lettura positivi. L'economia americana ha
creato in dicembre 252mila posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 5,8 al 5,6 per cento. Ma i
compensi restano stagnanti: i salari medi sono calati di 5 centesimi a 24,57 dollari l'ora, lo 0,2% in meno
annuo. Ed è questo l'elemento che pesa sui mercati azionari dato che i salari sono seguiti da vicino dalla Fed
per orientare la politica monetaria.
Nell'incertezza di fondo l'euro ha recuperato terreno sul dollaro riportandosi sopra quota 1,18. Mentre il
mercato dei titoli di Stato ha risentito di poco delle turbolenze . Il rendimento del decennale italiano è salito di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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La richiesta di soglie di capitale più alte appesantisce il credito - In Spagna il maxi aumento affonda
Santander (-13%)
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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tre punti base rispetto alla vigilia chiudendo all'1,88%. Lo spread col Bund si è attestato a 139 punti. E lunedì
il Tesoro si appresta a collocare 8 miliardi di euro in BoT a 12 mesi. Nell'asta di dicembre il titolo è stato
collocato allo 0,418% con richieste 1,8 volte l'offerta. Ieri viaggiava sul mercato secondario allo 0,14%. Il che
lascia presupporre che l'asta dovrebbe far segnare un nuovo minimo record.
© RIPRODUZIONE RISERVATA UniCredit -5,49 10,8% Intesa Sanpaolo -4,05 13,3% Monte Paschi di Siena
-8,63 12,8% Ubi Banca -5,14 13,0% Banco Popolare -7,47 13,7% Mediobanca -4,79 11,1% Bpm -3,51 11,3%
Pop. Emilia -6,68 11,1% Banca Carige +1,91 9,4% Pop. Sondrio -1,32 10,1% Veneto Banca - 10,5%* Pop.
Vicenza - 10,7%* ** Iccrea - 11,1%* Stoxx Banche -3,20 Performance borsa CET1 RISERVATA (*) dati
aggiornati al 30/06; (**) può salire al 12,6% dopo la campagna nuovi soci e il rimborso in azioni bond
convertibile Fonte: Reuters UniCredit -5,49 10,8% Intesa Sanpaolo -4,05 13,3% Monte Paschi di Siena -8,63
12,8% Ubi Banca -5,14 13,0% Banco Popolare -7,47 13,7% Mediobanca -4,79 11,1% Bpm -3,51 11,3%
Popolare Emilia -6,68 11,1% -1,32 10,1% Stoxx Banche -3,20 Performance Borsa CET1 Banca Carige +1,91
9,4% Popolare Sondrio Titoli bancari sotto pressione
Foto:
TITOLI BANCARI SOTTO PRESSIONE
Foto:
IL SETTORE
I titoli bancari ieri a Piazza affari e il Cet1 (transitional) al 30 settembre 2014
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Ora si tratta a Francoforte
Luca Davi Marco Ferrando
di Luca Davi e Marco Ferrando
L'innalzamento delle asticelle patrimoniali delle banche italiane voluto dalla Bce sarà oggetto di un negoziato.
Dalla prossima settimana gli istituti italiani vigilati si recheranno a Francoforte per discutere di eventuali
«sconti». Difficile però che ci siano ampi margini. Servizio pagina 7
Trattandosi formalmente di una «proposta», la nuova soglia minima di capitale indicata dalla Bce sarà
oggetto di negoziato con le banche vigilate. Per la verità, i banchieri italiani non sembrano molto confidenti di
poter ottenere chissà qualche sconto, ma dalla prossima settimana ci proveranno nel corso del nuovo round
di incontri programmati a Francoforte.
Una serie di appuntamenti, secondo quanto si apprende, già fissati prima di Natale, quando i team ispettivi
inviati dalla Vigilanza unica avevan o incontrato per la prima volta gli istituti loro assegnati. Nei prossimi
giorni, il confronto entrerà nel vivo: sul tavolo, infatti, ci saranno le prime bozze dei bilanci 2014, quelli - attesi
anticipatamente dalla Bce il 10 febbraio - che dovranno recepire non solo le indicazioni fornite da Bce sul
capitale, ma anche tutte le rettifiche sui crediti emerse al termine del comprehensive assessment.
Il clima tra le banche
Il redde rationem è vicino ma le variabili da comporre restano molte, e così si spiegano i diversi umori che
trapelano dalle banche in queste ore. A Siena e Genova, alle prese con un capital plan ancora in attesa della
sua approvazione definitiva da Francoforte, l'allarme rosso è partito da fine ottobre e non a caso mentre si
tenta di puntellare i conti non si escludono ipotesi di M&A: gli incontri dei prossimi giorni saranno decisivi,
come ha confermato ieri Mps con una nota ufficiale. C'è da ricordare, al riguardo, che i vertici di Rocca
Salimbeni non si limiteranno a incontrare il proprio team ispettivo, ma per venerdì è previsto un incontro con
Daniele Nouy, a capo del supervisory board della Bce.
Ieri la banca, in linea con le anticipazioni di ieri del Sole 24 Ore, ha confermato di aver ricevuto dalla Bce una
bozza preliminare che indica nel 14,3% il nuovo target di capitale Cet1 cui attenersi e che risponderà entro il
16 gennaio. Tuttavia, ha bollato come «prematuro» ogni commento relativo agli obiettivi da raggiungere dopo
aver completato il capital plan. Resta da capire se il capitale minimo richiesto sia comprensivo dell'aumento di
capitale da 2,5 miliardi già annunciato e che verrà varato entro maggio.
Le due big, Intesa Sanpaolo e UniCredit, non sembrano essere state colte di sorpresa dalle nuove richieste
della Bce - sul capitale, in fondo, il confronto con la Vigilanza era già prassi negli anni scorsi, quando
l'interlocutore era Banca d'Italia - e anche per Ubi e Mediobanca l'asticella sembra decisamente alla portata;
più articolata la situazione tra le popolari, dove in tutti i casi si parte da un Cet1 al 30 settembre superiore al
10% ma si dovranno scontare rettifiche di portata variabile: più se ne dovranno scontare sul bilancio 2014, più
destano preoccupazione le richieste di Francoforte.
Le lettere di metà dicembre
D'altronde, è da circa tre settimane che le banche italiane sono al lavoro per mettere a punto le
controdeduzioni da presentare agli ispettori. Le lettere di Francoforte sono infatti arrivate ai vertici degli istituti
a metà dicembre. In esse, sono indicate nel dettaglio per ogni banca le soglie individuali relative ai due
principali indicatori di forza patrimoniale nel quadro dell'avvio dello Supervisory review and evaluation process
(Srep), che da quest'anno passa sotto il controllo della Bce, ovvero il Common equity tier 1 ratio e il Total
Capital Ratio. Non si tratta di un dettaglio di poco conto. Eventuali lacune che dovessero presentarsi sul
fronte del Cet 1 ratio - che rappresenta il rapporto tra capitale ordinario versato e la attività ponderate per il
rischio - potrebbero essere colmate solo con raccolta di capitale fresco, magari da reperire tramite cessione
di asset. Diversamente, lacune sul fronte del Total capital ratio - che rapporta la somma del patrimonio di
base e supplementare con gli attivi ponderati - troverebbero compensazione anche con l'emissione di
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LA VIGILANZA
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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(diffusione:334076, tiratura:405061)
Draghi, serve terapia shock
di Donato Masciandaro
Per essere efficace in termini di aspettative e di uscita dalla trappola della liquidità, l'espansione monetaria
quantitativa annunciata da Draghi deve creare uno shock. Come? Dipenderà dalle caratteristiche che
l'operazione avrà come qualità dei titoli, dimensione, venditori, tassi d'interesse. Continua pagina 6
Continua da pagina 1
Lo shock sarà tanto più forte quanto più le caratteristiche non convenzionali saranno radicali. L'annuncio del
presidente Bce della possibilità di attuare una ulteriore espansione monetaria anche basata su interventi sui
mercati finanziari di acquisto di titoli - il cosiddetto Qe - ha ulteriormente accentuato l'attesa dei mercati sulla
fisionomia che tale espansione potrebbe concretamente avere.
Punto di partenza: per essere utile all'Europa, l'espansione monetaria quantitativa deve essere efficace.
L'efficacia dipende a sua volta dalla situazione macroeconomica in cui l'azione della banca centrale viene
messa in atto. L'Unione vive una situazione che ha due connotati straordinari e speculari: vi è una trappola
della liquidità da aspettative di ristagno economico, che si accoppiano a una disinflazione, effettiva e
attesa.Da un lato la trappola della liquidità nasce dalla mancanza di fiducia su una ripresa economica robusta
e stabile. Per cui famiglie, imprese e banche tendono a cercare la liquidità, ma non a spenderla e investirla.
Per le espansioni monetarie "normali" non hanno effetto. Allo stesso tempo, la flessione dei prezzi - che in
linea di principio può avere sia effetti positivi che negativi sulla produzione - si accoppia alla crisi di fiducia,
tendendo anzi a rafforzarla. La caduta di prezzi e aspettative può ulteriormente minare la credibilità della
banca centrale di saper mantenere la stabilità monetaria.
A meno che non sia una politica monetaria "straordinaria", vale a dire che produca un effetto, doppio e
congiunto: contribuire a "riparare" il meccanismo della liquidità, rotto dalla trappola; incidere sulle aspettative,
in modo che il tasso di inflazione, atteso ed effettivo, torni il più velocemente possibile verso l'obiettivo del
2%.
Sarà il Qe della Bce una politica monetaria "straordinaria"? Tutto dipende dalla capacità di creare uno shock
nei mercati, ma anche e soprattutto nelle imprese e nelle famiglie: se tutti credono che l'azione della Bce è
davvero in grado di uscire dalla trappola e di far crescere il livello dell'inflazione, ciascuno troverà conveniente
spendere o investire la liquidità, visto che economia e prezzi saranno in crescita. Quanto "shoccante" può
essere il Qe di Draghi? Possiamo identificare due estremi: l'opzione standard - shock minimo - e l'opzione
radicale - shock massimo - tra cui poi collocare tutta una serie di possibili varianti.
Nell'opzione standard l'oggetto dell'operazione saranno titoli pubblici europei, acquistati in proporzione al
peso economico relativo dei diversi Paesi, con un obiettivo quantitativo al massimo di ripristino della liquidità
primaria, avendo come controparti le banche europee, e facendo attenzione a non prestare a tassi negativi.
Nell'opzione standard il tasso di sorpresa tende a zero. La Bce metterebbe in atto una tradizionale
operazione di mercato aperto in titoli pubblici. Essendo la Bce la banca centrale di una Unione federale tra
Stati sovrani, proprietari della banca centrale stessa, il criterio più conservatore è quello che gli acquisti di
titoli tengano conto delle quote di proprietà, cioè del peso economico dei diversi Stati. Questo criterio
dovrebbe però tener conto di un altro criterio prudenziale: evitare il rischio di perdite sui titoli stessi. Il rischio
di perdite può emergere sia sui titoli dei Paesi "forti" - se vengono acquistati a tassi nominali negativi - o sui
titoli dei Paesi "deboli", se quei Paesi rischiano la bancarotta. Infine, anche il perimetro delle controparti - le
banche europee - non presenterebbe novità. Nell'opzione radicale l'obiettivo di aumentare la liquidità in
circolazione nei tempi più brevi possibili diventa dominante rispetto a qualunque altra considerazione. Per cui
la Bce dovrebbe essere pronta a operazioni di mercato aperto e/o di rifinanziamento utilizzando titoli pubblici
e/o privati, europei e non, con effetti sulla rischiosità del suo bilancio. In parallelo, dovrebbe essere pronta a
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IL QE
10/01/2015
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operazioni con tassi negativi, effettivi o attesi. Infine, dovrebbe aumentare il novero delle controparti,
allargando il perimetro a banche e intermediari non europei e non convenzionali, imprese (e famiglie?)
incluse. Il ripristino della liquidità primaria dovrebbe essere il pavimento, non il tetto dell'operazione. Ciliegina
sulla torta? Al fine di riportare velocemente i prezzi sul sentiero abbandonato nel gennaio 2013 - ultimo mese
con un tasso d'inflazione europeo del 2% - l'obiettivo di inflazione potrebbe essere temporaneamente alzato
al 3%-4%. Tra l'opzione radicale e quella standard vi è evidentemente un abisso in termini di shock, la loro
relativa fattibilità politica: che è esattamente la distanza che separa la probabilità di efficacia della prima
rispetto alla seconda.
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10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Bce: acquisti per 500 miliardi
Francoforte potrebbe concentrare il Qe sui titoli di Stato con investment grade
Alessandro Merli
LE MODALITà
Gli economisti temono
che il rischio di perdite possa
essere attribuito alle banche
centrali nazionali: «Sarebbe
la fine dell'unione monetaria»
FRANCOFORTE
Lo staff della Banca centrale europea ha messo sul tavolo del consiglio questa settimana diverse opzioni per
l'acquisto di titoli pubblici, in vista dell'atteso annuncio del quantitative easing (Qe) alla riunione del 22
gennaio. Secondo diverse fonti monetarie, una delle ipotesi presentate mercoledì è stato l'acquisto di 500
miliardi di euro (la soglia più bassa della forchetta indicata finora dagli economisti di mercato) di titoli
investment grade, che escluderebbe quindi Grecia e Cipro. Gli oppositori del Qe, secondo alcune di queste
fonti, sarebbero pronti ad accettare una somma più alta a patto che il rischio, almeno di una parte degli
acquisti, non venga assunto dalla Bce nel suo bilancio, ma resti alle banche centrali nazionali. Un punto
cruciale, secondo molti: la mancata condivisione del rischio metterebbe in crisi l'idea stessa di unione
monetaria, secondo l'economista Paul de Grauwe, della London School of Economics.
L'idea che il Qe sia necessario si sta facendo strada nel consiglio, secondo diverse indicazioni, soprattutto
dopo la pubblicazione del dato dell'inflazione di dicembre, negativo per la prima volta da oltre cinque anni, e
l'aspettativa diffusa che l'inflazione possa restare sotto zero per buona parte dell'anno. Ieri si sono fatte
sentire però ancora una volta voci di dissenso: Sabine Lautenschlaeger, ex vicepresidente della Bundesbank
e oggi membro del comitato esecutivo, ha ribadito, secondo il settimanale tedesco "Spiegel", la sua
opposizione all'acquisto di titoli pubblici in questo momento, ritenendo che possa trattarsi solo di una misura
di ultima istanza. Il voto contrario della signora Lautenschlaeger vorrebbe dire che entrambi i membri tedeschi
(dando per scontata l'opposizione del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann) potrebbero schierarsi
contro il Qe, a differenza di quanto avvenne due anni fa al lancio del piano anti-crisi Omt, che fu invece
appoggiato da Joerg Asmussen. Il governatore della Banca centrale estone, Arno Hansson (che peraltro non
voterà al prossimo consiglio, in virtù della rotazione introdotta proprio all'inizio del 2015 con l'ingresso della
Lituania, che ha portato i consiglieri a 25), ha ripetuto in un'intervista a Bloomberg Tv di ritenere il Qe
"problematico". Un altro oppositore dichiarato è il presidente della Banca centrale olandese, Klaas Knot. Nei
poco più di dieci giorni che mancano alla riunione, toccherà all'abilità diplomatica del presidente Mario Draghi
raccogliere il più ampio consenso possibile.
Il consiglio non ha finora preso alcuna decisione. Resta incerto sia il volume degli acquisti (che potrebbero
essere integrati da quelli di titoli di enti europei, come Ue, Bei, Efsf e Esm, e da obbligazioni societarie) e il
tempo di attuazione. Se realizzato in un solo anno, l'importo di 500 miliardi di euro vorrebbe dire oltre 40
miliardi al mese, che, sommato alle operazioni su obbligazioni bancarie garantite e titoli cartolarizzati (Abs)
già in corso, costituirebbe un intervento non lontano da quelli della Federal Reserve americana. Diluito su due
anni, invece lo stesso importo sarebbe insufficiente, secondo le valutazioni di mercato. La Bce ha l'opzione di
dichiarare un importo complessivo oppure un importo mensile. È meno probabile che dichiari volumi e tempi
illimitati, date le possibili controversie legali, come quelle già sollevate contro l'Omt.
La scelta di puntare su titoli investment grade avrebbe il vantaggio di escludere, almeno temporaneamente, la
Grecia, dove si svolgeranno le elezioni tre giorni dopo la riunione del consiglio Bce, almeno fino a che non
venga concordata un'estensione del programma economico con i creditori internazionali. La situazione greca
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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La lunga crisi
10/01/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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non farà rinviare la decisione sul Qe, ha detto giovedì il membro del comitato esecutivo Benoit Coeuré.
L'ipotesi alternativa, di acquistare solo titoli tripla A non sembra percorribile, in quanto penalizzerebbe
eccessivamente Italia e Spagna. Quanto alla suddivisione dei titoli da acquistare, ci si potrebbe basare sulle
quote dei Paesi nel capitale della Bce o sulla quota nel mercato del debito sovrano, o una combinazione dei
due parametri.
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Il bilancio delle Banche centrali
Fonte: Statistiche di banche centrali nazionali
Fonte: Statistiche di banche centrali nazionali
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Francoforte. La nuova sede della Banca centrale europea dove si terrà la conferenza stampa del 22 gennaio
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A CONFRONTO
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
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BB Biotech, focus sull'oncologia La scommessa delle malattie rare
Vittorio Carlini
BB Biotech è un fondo, quotato a Piazza Affari (oltre che a Francoforte e Zurigo) che investe in società
biotecnologiche. Il settore, seppure diverse sue realtà siano ormai aziende mature, resta ad alta crescita e
difficile da approcciare. Insomma, non adatto al trader fai-da-te. Ciò detto, il Nasdaq Biotechnology Index in
10 anni (chiusura al 31 dicembre scorso) ha guadagnato oltre il 338%. Negli ultimi 12 mesi, poi, ha
sovraperformato (+31,5%) l'S&P 500. Al che, inevitabilmente, viene da pensare che sussista il rischio di una
bolla nel settore. Anche perchè, a fronte dell'eccesso di liquidità sui mercati, molti denari «generalisti» sono
stati investiti nei titoli biotech.Una situazione che può agevolare, nel momento di difficoltà, la corsa alle
vendite. BB Biotech non condivide l'analisi. Nonostante la attuali valutazioni il comparto è ancora in crescita.
E questo grazie a ricche pipeline e imminenti lanci di nuovi farmaci. Certo, è necessario fare selezione. Però,
aggiunge BB Biotech, l'incremento medio annuo di settore tra 2014-2016 è stimato a circa il 13%. Al di là
delle considerazioni sul comparto, quali però le strategie del 2015 di BB Biotech? Il fondo specializzato indica
che un focus rimane sul settore dell'oncologia. Oltre a questo si guarda, poi, alle malattie rare e a quelle
infettive. Senza dimenticare, infine, settori di frontiera quali ad esempio, le «platform tecnologies». Cioè,
processi tecnologici costruiti a misura del paziente.
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La «Lettera» online per gli abbonati
Le biotecnologie, mondo dove investe il fondo BB Biotech (quotato a Milano, Francoforte e Zurigo), non sono
pane troppo adatto per i denti del signor Rossi. Soprattutto, se è dedito al fai-da-te. Si tratta infatti di un
settore molto specializzato, caratterizzato dall'alta crescita, dove la classica scottatura è dietro l'angolo.
Insomma: più rischi cui corrispondono, però, maggiori rendimenti.
Per rendersene conto basta guardare all'andamento del Nasdaq Biotechnology Index (Nbi), cioè il paniere
dove sono quotate gran parte delle società biotecnologiche. Ebbene, negli ultimi 10 anni (chiusura al 31
dicembre scorso) la performance semplice del Nbi mostra un incremento del 338,11%. Nello stesso arco di
tempo l'S&P 500, anche con il re-investimento delle cedole nell'indice, guadagna «solamente» il 114,6%. La
storia si ripete su tempi più brevi: nei 5 anni la «tradizionale» Wall Street è salita del 112,6% (sempre total
return) mentre il paniere delle biotecnologie (senza contare i dividendi) è cresciuto del 269,4%. Negli ultimi 12
mesi, poi, il Nbi è aumentato del 31,5% a fronte del rialzo del 12,8% dell'S&P 500. I numeri, quindi,
testimoniano la migliore performance del mondo biotech.
I semplici dati, tuttavia, raccontano metà della storia. Come spesso accade per business di frontiera, seppure
non più giovanissimi, i corsi azionari possono subire forti scossoni. Così, ad esempio, è accaduto tra la fine di
febbraio fino a metà aprile del 2014. In quel periodo, mentre Wall Street proseguiva la sua marcia al rialzo, il
Nasdaq Biotech Index è crollato da oltre 2800 punti in area 2250. Certo, poi si è ripreso e oggi viaggia su
quota 3200. Il violento scossone, però, è innegabile. Così come non può nascondersi che, secondo il
terminale Bloomberg, il rapporto tra prezzo e utili del Nbi sul 2015 è stimato a 40,99. Vale a dire, un valore
inferiore al passato (ad esempio 72,6 nel 2012) ma superiore a quello dell'S&P 500 che è già considerato
sopravvalutato. Al che sorge il dubbio: il rally di lungo periodo, conseguenza anche dell'eccesso di liquidità,
può trasformarsi in bolla finanziaria. Alcuni esperti ricordano, ad esempio, che molti capitali di fondi
«generalisti», in caccia di rendimento, hanno comprato titoli biotech. Una situazione che, alle prime difficoltà
del comparto (o più, più in generale, della Borsa), può generare la corsa alle vendite .
BB Biotech invita ad una lettura meno superficiale. Nonostante le attuali valutazioni il settore, seppure più
maturo rispetto al 2000, è ancora in fase di crescita. E questo grazie a ricche pipeline e imminenti lanci di
farmaci importanti. L'incremento atteso medio annuo di settore, sottolinea BB Biotech, tra il 2014 e il 2016 è
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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LETTERA AL RISPARMIATORE
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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del 13%. Quindi le valutazioni correnti sono ancora attraenti.
Ciò detto, può ulteriormente obiettarsi che le quotazioni, anche nel pharma, sono state drogate da dividendi
e, soprattutto, mega buyback. Nel 2014, questi ultimi, dovrebbero avere raggiunto la cifra record di 914
miliardi di dollari.
Diversi esperti, però, non condividono il dubbio: l'uso dei flussi di cassa per operazioni a supporto del titolo
non è un male in sé. Anzi, è servito a sostenere i corsi azionari. Il fatto, poi, che gruppi come Amgen o
Actelion paghino una cedola è la prova che molte società sono ormai solide e mature. Corretto! Però, queste
strategie distolgono importanti denari dagli investimenti in ricerca e sviluppo. Cioè, quelle attività che sono
vitali per qualsiasi azienda attiva nelle biotecnologie. BB Biotech ribatte che chi effettua simili operazioni sono
essenzialmente le grandi realtà. Gruppi che hanno eccedenze di liquidità tali da non potere essere tutte
indirizzate nell'R&D. Quindi, l'argomentazione non ha molta forza.
Al di là del riacquisto di azioni proprie e dei multipli, gli esperti guardano comunque ad un altro elemento per
definire lo stato dell'arte nelle biotecnologie: le Ipo. Secondo Dealogic, nel 2014 il valore globale dei
collocamenti di società biotecnologiche ha raggiunto 3,085 miliardi. La cifra costituisce il record degli ultimi 14
anni ed è stata spinta soprattutto dall'effervescenza negli Stati Uniti. Qui le Ipo sono state 24 (13 in Europa)
per un controvalore di 2,03 miliardi.
Ebbene, a fronte di una simile dinamica l'interpretazione può essere duplice: da una parte c'è chi dice che si
tratta dell'ulteriore prova del positivo «momentum» del settore; dall'altra si sottolinea, invece, che il grande
numero di sbarchi in Borsa è il riflesso di una esuberanza irrazionale che darà vita a fuochi di paglia. BB
Biotech, dal canto suo, articola il pensiero. Certo, non può escludersi che in futuro possano esserci dei
fallimenti. Proprio per questo motivo, è l'indicazione, la selezione meticolosa delle società cui guardare è
essenziale. Ciò detto, il mondo delle biotecnologie rimane l'origine di molti dei nuovi farmaci approvati dalla
Fda. C'è, negli Stati Uniti, un atteggiamento più coraggioso rispetto all'«assumersi dei rischi» ed è proprio per
questo che nascono tante aziende biotech. Oltre, poi, i moltissimi spin-off universitari nella Silicon Valley ( e
non solo). Insomma, per BB Biotech c'è la speranza e la previsione che la tendenza sulle Ipo si confermi.
Fin qui alcune indicazioni sulle potenzialità, e i corrispondenti rischi, del settore. Quali però le strategie di BB
Biotech? Gli investimenti della società, che gestisce un fondo chiuso, sono (al 30/9/2014) focalizzati per il
38,6% sul settore dell'oncologia. Il quale, è l'indicazione di BB Biotech, rimane il comparto più rilevante. A
seguire ci sono le malattie orfane (19,4% il peso sul portafoglio, sempre al 30/9/2014) e poi le malattie
infettive (15,9%). Proprio in quest'ultimo comparto possono sussistere, indica BB Biotech, realtà già affermate
ma con ulteriori potenziali. Così è, ad esempio, Gilead. Nei primi nove mesi del 2014, i ricavi del gruppo
statunitense si sono assestati a 17,57 miliardi di dollari (erano stati 8,08 un anno prima). I costi operativi sono
anch'essi aumentati ma ad una velocità inferiore rispetto a quella del giro d'affari. Tanto che l'utile netto è
balzato a 8,6 miliardi. Al di là del conto economico il gruppo, ricordano gli esperti, ha una buona posizione
nelle medicine anti-virali. Nel novembre scorso Gilead ha ricevuto in Europa l'ok per la commercializzazione
della combinazione di Sovaldi e Ledipasvir contro l'Epatice C.
Ma non sono solo le malattie infettive. Un altro focus, per l'appunto, è quello sulle «orphan drug». Le malattie
rare senza cura sono, purtroppo, molto numerose. Per questo le potenzialità del settore rimangono elevate.
Inoltre, aggiunge BB Biotech, il percorso di sviluppo di un farmaco per malattie rare può godere di diversi
«vantaggi», considerando la mancanza spesso totale di terapie adeguate e di competitor. Così, in questo
campo, nel radar di BB Biotech c'è, ad esempio, Alexion Pharmaceuticals. Si tratta di una società più piccola
di Gilead. Seppure anch'essa è già in utile e, sul 2014, ha rivisto al rialzo le guideline. L'indicazione sui ricavi
per l'esercizio appena concluso è, infatti, passata dalla forchetta tra 2,18 e 2,2 miliardi di dollari, a quella di
2,22 e 2,225 miliardi. Mentre le stime sull'utile non Gaap sono state ritoccate all'insù nell'intervallo tra 5,15 e
5,20 dollari per azione.
Al di là delle «orphan drugs» e delle malattie infettive, rimane però sempre l'importanza delle cure al cancro.
In tal senso, al 30/9/2014, la maggiore partecipazione era Celgene (12,2% il suo peso sul portafoglio). Il
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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gruppo Usa, focalizzato oltre che sulle cure del cancro ematico anche nelle patologie infiammatorie, nei primi
nove mesi del 2014 ha riportato ricavi per 5,58 miliardi e un utile netto in crescita a 1,386 miliardi (erano stati
1,235 un anno prima). I conti, come già indicato in precedenza dalla «Lettera al risparmiatore» sono stati
spinti anche, e soprattutto, dal suo blockbuster: il Revlimid. Il farmaco contro il mieloma multiplo, in avvio del
2014, era previsto generare vendite tra 4,9 e 5 miliardi. Ebbene, alla fine di settembre scorso Celgene ha
confermato che i ricavi da Remivlid sono stimati leggermente oltre 4,95 miliardi. Tutto rose e fiori, quindi? Non
proprio. I fondamentali, con il Nib sui massimi, contano meno. Il multipli delle società (il P/e di Celgene sul
2014, ad esempio, è 31) non sono a sconto. Essenziale, quindi, è la diversificazione. Oltre alla reale
conoscenza del settore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Vittorio Carlini
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I NUMERI DI BB BIOTECH
PORTAFOGLIO
E TITOLI
10 posizioni principali
al 30/09/2014
Dati in
percentuale
PORTAFOGLIO
E SETTORI
Dati in %
al 30/9/2014
IL SETTORE
BIOTECH
IN BORSA
BB BIOTECH
A PIAZZA
AFFARI
7/1/2014=100
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Al via fondo pubblico-privato per l'industria, si comincia dall'Ilva
Carmine Fotina
Carmine Fotina pagina 7
ROMA
Si partirà dall'Ilva per poi intervenire in altre crisi industriali: il governo è pronto a far decollare un nuovo
strumento per le ristrutturazioni aziendali, che assumerà la forma di un Fondo di investimento o anche di una
Spa holding di partecipazioni. La novità, che consentirà anche il coinvolgimento della Cassa depositi e
prestiti, dovrebbe entrare nel decreto "Investment compact" o in alternativa essere inserita nell'iter
parlamentare del decreto Ilva attualmente all'esame del Senato. Contemporaneamente, sempre in chiave
industriale, si lavora ai "Development bond", l'equivalente dei project bond finalizzato però allo sviluppo di reti
e consorzi di impresa.
Strumento anti-crisi
Il pacchetto di proposte è al vaglio di un gruppo di lavoro composto dagli esperti di Palazzo Chigi e dai capi
della segreteria tecnica del ministero dell'Economia e del ministero dello Sviluppo economico, rispettivamente
Fabrizio Pagani e Stefano Firpo. Il nuovo strumento per le ristrutturazioni interverrebbe in crisi di aziende
caratterizzate da squilibri patrimoniali e finanziari solo temporanei, quindi dotate di buone prospettive
industriali ed economiche. Questo target di imprese è monitorato con interesse da grandi banche, fondi,
investitori istituzionali che per investire, però, richiedono una forma di presenza pubblica. Di qui l'idea di
coinvolgere la Cassa depositi e prestiti con le uniche modalità che consentano di farlo senza rischiare di
violarne lo statuto, di attivare un intervento di vigilanza di Banca d'Italia o peggio ancora di innescare una
procedura Ue di infrazione per aiuti di Stato. In sostanza Cdp può entrare in quest'operazione solo con il
ruolo di anchor investor, a determinate condizioni, e con la garanzia dello Stato.
Soggetti pubblici e privati
Si sta immaginando la creazione di un Fondo di investimento o una Spa holding di partecipazioni, con
conferimenti potenziali nell'ordine di 3-4 miliardi di cui 1 di fonte privata. Potrebbero entrare anche soggetti
stranieri, in linea con le iniziative del governo per aumentare l'afflusso di investimenti esteri (si veda Il Sole 24
Ore di ieri). Ci sarebbero due categorie di quote o azioni: le prime sottoscritte da banche, investitori
istituzionali, fondi di investimento e altri privati; le seconde sottoscritte da Cdp ma anche fondi pensioni, Poste
Vita, Inail, assicurazioni vita. I privati sarebbero comunque dotati di poteri speciali nella governance
societaria, compreso il veto su nuovi investimenti. Gli altri investitori, invece, beneficerebbero di una garanzia
dello Stato sul capitale investito e su un rendimento minimo. Uno schema di questo tipo potrebbe generare
una buona redditività e con circa 300 milioni di copertura si potrebbero garantire 3-4 miliardi di conferimenti.
Da un punto di vista strettamente normativo, si potrebbe sfruttare come base il «Fondo di servizio per la
patrimonializzazione delle imprese» già previsto dal decreto sblocca Italia, ovviamente con tutte le modifiche
del caso.
Ilva
Come detto, l'Ilva sarebbe la prima missione di questo nuovo strumento. Verrebbe creata un'ulteriore newco
che prenderebbe in affitto gli asset Ilva depurati delle passività, per poi imbarcare anche altri soci (partner
siderurgici ad esempio). Solo come ipotesi alternativa, il Fondo (o la Spa) entrerebbe in seconda battuta nel
capitale di una newco costituita con fondi a disposizione dell'amministrazione straordinaria e con risorse Ue.
Industrial bond
In questi giorni viene messo a punto il decreto legge sull' "Investment compact" che, a meno di cambiamenti
di rotta, il governo intenderebbe varare al consiglio dei ministri del 20 gennaio. Tra le proposte in ballo c'è
anche quella dello Sviluppo economico per la creazione degli "Industrial development bond" sulla falsariga di
alcuni analoghi strumenti presenti all'estero. Si tratterebbe di bond, destinati a investitori qualificati, emessi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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IL RILANCIO DELL'ECONOMIA
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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per finanziare progetti di reti con soggettività giuridica o consorzi di imprese. Progetti di integrazione della
filiera, internazionalizzazione, innovazione e ricerca, digitalizzazione dei processi aziendali, sviluppo della
catena commerciale, ottimizzazione dei crediti commerciali. Le obbligazioni "industriali" godrebbero, come nel
caso dei project bond riservati alle infrastrutture, di un trattamento fiscale equiparato ai titoli di Stato: ritenuta
ridotta del 12,5%, anziché del 26 per cento.
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I SEGNALI DI RIPRESA DELLA DOMANDA
VALORE TOTALE DEI BANDI DI GARA PUBBLICATI
Dati in milioni di euro
LA RIPARTIZIONE
Numero e importi (in milioni di euro) dei bandi pubblicati per committenti Valori assoluti Var. % su 2013
Numero Importo Numero Importo Comuni 10.104 6.368 21,1 46,0 Regioni 185 2.132 69,7 258,0 Aziende
speciali 1.103 2.709 21,7 4,8 Anas 652 1.389 38,7 128,6 Concessionarie Anas 92 283 46,0 -50,1 Ferrovie
248 3.021 17,0 45,8
LE NOVITÀ
LE AZIENDE «TARGET»
Si interverrebbe in imprese con squilibri patrimoniali e finanziari solo temporanee, dotate quindi di buone
prospettive industriali ed economiche. Aziende che ad esempio sono soffocate da temporanee crisi di
liquidità. Non ci sarebbe il vincolo di investire esclusivamente in aziende che già sono in utile
IL RUOLO DEI PRIVATI
Inizialmente il Fondo o la Spa potrebbe essere costituito esclusivamente da Cdp e altri investitori della sfera
pubblica, pe rpoi aprirsi successivamente ai privati. Quest'ultimi sarebbero dotati di speciali poteri nella
governance, fino al possibile veto sull'adozione di nuovi investimenti
LA COPERTURA
Si calcola che 300 milioni di euro potrebbero essere sufficienti alla costituzione di un fondo che copra la
garanzia dello Stato in modo da garantire tra i 3 e i 4 miliardi di conferimenti nel nuovo soggetto. La garanzia
dello Stato è un elemento essenziale per poter consentire alla Cdp di intervenire nell'operazione
L'OPERAZIONE ILVA
Il Fondo o Spa dovrebbe creare un'ulteriore newco che prenderebbe in affitto gli asset Ilva depurati delle
passività, per poi imbarcare anche altri soci. Solo come ipotesi alternativa, il Fondo (o la Spa) entrerebbe in
seconda battuta nel capitale di una newco costituita con fondi a disposizione dell'amministrazione
straordinaria e con risorse Ue
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 9
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Fabio Pavesi
GLI EFFETTI DEGLI ACQUISTI
Le banche venderanno con plusvalenze i BTp in portafoglio e i titoli industriali correranno
con l'euro debole
Arriva tardi, sarà (forse) insufficiente e pasticciato quando a efficacia e dimensioni, ma arriverà. E presto. Il
mercato lo dà per certo: il bazooka della Bce, con l'acquisto di titoli pubblici, verrà messo in campo nella
prossima riunione del 22 gennaio. Del resto il termometro, o meglio il sismografo delle Borse, lo segnala con
particolare sensibilità. È bastato che l'altro giorno Draghi si riferisse ai bond sovrani nel preparare il terreno al
Qe in salsa europea, per far scattare immediatemente al rialzo i listini. Così come è bastata l'indiscrezione su
un piano da "soli" 500 miliardi, anzichè i mille attesi dal mercato per provocare il ritracciamento delle Borse.
La solita cupidigia degli operatori finanziari che invocano ormai da più di un lustro sempre più stimoli monetari
per far correre i loro investimenti, verrebbe da dire. Ma è così. I veri beneficiari delle manovre espansive non
convenzionali delle banche centrali sono proprio i mercati. Con l'unica eccezione degli Stati Uniti e della Gran
Bretagna, dove accanto alle massiccie iniezioni di liquidità sono state realizzate politiche fiscali altrettanto
espansive, gli interventi d'acquisto di titoli non hanno prodotto granchè. Basti pensare al Giappone dove la
Borsa di Tokio è stato di fatto il beneficiario assoluto dell'Abenomics. E certo la ripresa è tangibile e forte negli
Usa, anche grazie all'attivismo di "mamma" Fed, ma il segnale più imponente è stato il triplicarsi del valore di
Wall Street. Questo per dire che la cura massiccia della liquidità, praticata a più riprese per riavviare i motori
dell'economia, ha avuto il suo effetto più pieno nel drogare letteralmente gli asset finanziari. Ecco perchè è
facile intuire che il Qe di Francoforte finirà per trascinare all'insù le Borse, in particolare del Sud Europa, E
dentro a quei listini saranno le banche italiane, spagnole, portoghesi e greche a mettersi a correre. Ma sarà
un cammino denso di volatilità da qui all'avvio del piano di acquisto di bond. Saranno divisi per peso specifico
per Paese? Saranno concentrati solo sui rating maggiori, o includeranno tutti i bond fino alla tripla BBB cioè
tutti i livelli di investment grade? La dimensione degli acquisti arriverà ai mille miliardi o si ferma a cifre
simboliche? Attorno a queste domande i listini si muoveranno a elastico nelle prossime settimane. Se è
assodato che la nuova liquidità beneficerà la ricchezza finanziaria di chi investe in Borsa e bond, difficile
capire se il bazooka della Bce sarà altrettanto efficace a ridare fiato all'economia europea. Molti analisti sono
scettici. Finora le manovre di stimolo monetario della Bce si sono infrante nel nulla. Sia l'Ltro da mille miliardi,
sia il Tltro sono stati un semi fiasco. La liquidità si è fermata al sistema bancario e non si è trasmessa
all'economia reale. Le banche hanno fatto incetta di titoli pubblici trasformandosi in tesorerie finanziarie. Del
resto la domanda di credito è bassa e il rischio di credito non è mai stato così alto. E quella liquidità a
bassissimo costo non viene spesa, come ricorda Alberto Gallo di Rbs neanche da Governi e imprese.
Leimprese non investono, i Governi non spendono: il deficit europeo, imbrigliato nella tagliola di Maastricht, è
al 3%, meno di un terzo di quando gli Usa lanciarono il loro Quantitative easing. L'unico effetto visibile del Qe
europeo, oltre all'apprezzamento delle Borse è, e sarà, quello della svalutazione della moneta unica. Sta già
avvenendo e la futura manovra di Francoforte aiuterà l'euro a restare debole sul dollaro, aiutando le
esportazioni europee. Oltre alle banche, che si libereranno con laute plusvalenze dei bond governativi che
hanno accumulato in questi anni, saranno i titoli industriali esposti ai mercati mondiali a beneficiarne. Per
tirare fuori l'Eurozona dalle secche della stagnazione però, servirà ben altro che il Qe di Francoforte.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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I listini attendono solo l'allentamento quantitativo Bce
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
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La «voluntary» vince sullo scudo
Esborso minore per regolarizzare immobili ereditati se non hanno prodotto reddito
Valentino Tamburro
La voluntary disclosure può battere l'ultimo scudo fiscale in convenienza se le attività da regolarizzare non
hanno prodotto redditi significativi o addirittura alcun reddito. È il caso, per esempio, degli immobili ricevuti in
eredità o in donazione e non dichiarati al fisco italiano ma da cui non è stato mai ottenuto alcun reddito,
perché per esempio non sono stati locati. Il costo dell'adesione alla procedura di rientro dei capitali potrebbe,
infatti, risultare in alcuni casi inferiore rispetto a quello sostenuto dai contribuenti che hanno aderito all'ultima
«edizione» dello scudo fiscale entro il 30 aprile 2010. Mentre l'applicazione dell'imposta dovuta nel caso di
adesione allo scudo fiscale si basava su una presunzione assoluta che non teneva conto del periodo di
effettiva detenzione all'estero delle attività oggetto di regolarizzazione o rimpatrio né del reale rendimento
conseguito, la procedura di voluntary disclosure tiene conto di entrambi i predetti parametri e potrebbe
risultare più conveniente rispetto all'ultimo scudo con aliquota effettiva applicabile al 7 per cento.
Le condizioni
Tale circostanza non si verifica quando le attività oggetto di regolarizzazione siano derivanti da evasione
fiscale ancora accertabile (si veda «Il Sole 24 Ore» del 9 gennaio). Qualora, invece, le attività finanziarie e
patrimoniali siano state acquisite per successione o donazione, l'adesione alla procedura di voluntary
disclosure potrebbe risultare più conveniente rispetto ai costi che sarebbero stati sostenuti applicando le
vecchie regole per lo scudo fiscale, soprattutto nel caso in cui le attività regolarizzate non abbiano prodotto
redditi significativi o alcun reddito.
Naturalmente per la Svizzera la convenienza dipende dalla stipula entro il prossimo 2 marzo 2015
dell'accordo di modifica alla Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con l'Italia. In questa ipotesi e
con la conseguente riduzione delle sanzioni, il confronto dei costi negli esempi a lato è stato effettuato tra le
seguenti situazioni:
un contribuente che nel 2015 aderisce alla procedura di voluntary disclosure in relazione ad attività
pervenute per successione nel corso del 2013;
un contribuente che nel 2010 ha aderito allo scudo fiscale in relazione ad attività pervenute per successione
nel corso del 2008.
Le altre variabili
Ma ci sono anche altre variabili da considerare rispetto alla sanatoria 2009-2010.
In primo luogo, bisogna capire se il patrimonio oggetto di regolarizzazione proviene a sua volta da soggetti
che abbiano correttamente adempiuto agli obblighi di dichiarazione in Italia oppure da soggetti fiscalmente
residenti all'estero. A differenza dello scudo, la voluntary disclosure non garantisce più l'anonimato e ciò
potrebbe determinare, ad esempio, l'apertura di un controllo fiscale nei confronti del defunto ovvero del
soggetto donante. In tal caso, sebbene le sanzioni siano intrasmissibili agli eredi, sarebbero comunque
dovute le imposte e relativi interessi.
In secondo luogo, le attività finanziarie con una media delle consistenze al termine di ciascun
periodo d'imposta oggetto di disclosure fino a due milioni di euro possono consentire l'opzione per la
determinazione dei rendimenti con un forfait del 5% del valore complessivo della consistenza alla fine
dell'anno e il calcolo dell'imposta dovuta con l'aliquota del 27 per cento. Si tratta di un'agevolazione che
potrebbe avvantaggiare soprattutto chi non ha dichiarato redditi di natura finanziaria tassati secondo
l'aliquota progressiva Irpef, come i dividendi da società non quotate residenti in Paesi black list. Negli altri
casi potrebbe convenire di più la determinazione analitica dei rendimenti, anche per le consistenze
inferiori ai 2 milioni di euro.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Fisco internazionale. Per le attività in Svizzera la convenienza dipende dalla firma dell'accordo che consentirà
di ridurre le sanzioni
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Ivie e Ivafe
La regolarizzazione degli immobili e delle attività finanziarie detenute in violazione del monitoraggio fiscale
dovrà fare i conti anche con l'Ivie e l'Ivafe, dovute a partire dall'anno d'imposta 2012 e non comprese nella
procedura di collaborazione volontaria. Allo stesso modo la voluntary disclosure non permette di sanare le
eventuali imposte di successione e donazione dovute.
Per quanto riguarda gli immobili, a partire dal periodo d'imposta 2009 in poi devono essere indicati in RW
anche se non producono redditi imponibili in Italia. Senza dimenticare, infine, che dal 2013 i criteri di
valorizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali estere da indicare nel modulo RW sono cambiati (si veda
la circolare 38/E/2013).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
a cura diValentino Tamburro
IL CONFRONTO
Le differenze tra la voluntary disclosure e l'ultimo scudo fiscale. Importi in euro
GLI INVESTIMENTI
01 LA SITUAZIONE
Nel 2013 un contribuente italiano ha ricevuto in eredità 100mila euro provenienti da un conto svizzero di un
parente in linea retta di primo grado. L'importo è stato accreditato su un conto elvetico.Non superando i 2
milioni di euro, il contribuente opta per il calcolo a forfait. L'imposta dovuta sarà pari al 27% di una
percentuale pari al 5% del patrimonio detenuto al 31 dicembre 2013. Per le somme su conto corrente è
marginale l'impatto di Ivafe
(34,20 euro) e sanzioni, sebbene non sia coperto dalla disclosure
02 LE SANZIONI
In caso di accordo Italia - Svizzera, per l'omessa compilazione di RW si applicherà la sanzione del 3%,
dimezzata e ridotta a un terzo in adesione.
Per i redditi prodotti all'estero la sanzione è pari al 100% dell'imposta evasa aumentata di 1/3 e poi ridotta di
1/4 e a 1/6 in caso di adesione all'invito
al contraddittorio a cura diValentino Tamburro
LE DIFFERENZE CON L'ULTIMO SCUDO
LE IPOTESI DI PARTENZA Attività finanziarie da regolarizzare
Valore al 31 dicembre 2008
Valore al 31 dicembre 2013 100.000
1 00.000 IL CONFRONTO DI CONVENIENZA NELLA REGOLARIZZAZIONE Ultimo scudo fiscale Voluntary
disclosure Imposta straordinaria pari al 7%
del capitale 7.000 Imposte evase 1.350 Sanzioni sulle imposte evase 225 Sanzioni relative a RW 500
Interessi (3,5% per anno) 47 Costo totale della regolarizzazione 7.000 2.122 Risparmio in valore assoluto
della voluntary rispetto allo scudo 4.878
L'IMMOBILE EREDITATO
1 LA SITUAZIONE
Nel 2013 un contribuente italiano ha ricevuto per successione ereditaria un immobile situato in Svizzera e
non locato. Il valore dell'immobile è pari a un milione di euro. Finora non ha mai provveduto a dichiararlo al
fisco italiano, per questo intende mettersi in regola con la voluntary disclosure
2 LE SANZIONI
In caso di accordo tra Italia e Svizzera, per l'omessa compilazione del modulo RW si applicherà la sanzione
del 3%, dimezzata e ridotta a un terzo in adesione. Poiché l'Ivie sugli immobili esteri (che nel caso in
questione sarebbe pari a 7.600 euro) non è compresa nella procedura di voluntary disclosure, nel calcolo del
costo complessivo bisognerà tenere conto anche dell'impatto di tale imposta e delle relative sanzioni e
interessi
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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LE DIFFERENZE CON L'ULTIMO SCUDO
LE IPOTESI DI PARTENZA Attività patrimoniali da regolarizzare
Valore al 31 dicembre 2008
Valore al 31 dicembre 2013 1.000.000
1. 000.000 IL CONFRONTO DI CONVENIENZA NELLA REGOLARIZZAZIONE Ultimo scudo fiscale
Voluntary disclosure Imposta straordinaria pari al 7%
del valore dell'immobile 70.000 Sanzioni relative a RW 5.000 Costo totale della regolarizzazione* 70.000
5.000 Risparmio in valore assoluto
della voluntary rispetto allo scudo 65.000 * Al netto dell'Ivie che non è compresa nella procedura
di volontary disclosure
11/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'economista Dean Baker ha ragione: il recente rialzo dell'economia Usa non è un boom e i paragoni con gli
anni 90 sono assurdi. È evidente però che la crescita ha avuto uno scatto in avanti e l'opinione pubblica
sembra essersene accorta. Ma allora, cosa dire del non-boom di Obama? La mia opinione è che quello che
stiamo vedendo rispecchia in gran parte il graduale llentamento dell'austerity. Gli Stati Uniti non hanno mai
avuto un piano di austerity dichiarato, come in Gran Bretagna, ma un bel po' di austerity c'è stata comunque,
specialmente sotto forma di tagli alla spesa per Stati ed enti locali. E anche se non c'è ancora stata una
ripresa della spesa, almeno la contrazione si è fermata. Ed è importante rendersi conto che la realtà, con
buona pace di tutti i blateramenti sulla riforma sanitaria, la retorica anti-impresa del presidente e il suo
ateismo islamico keniano che stanno distruggendo le imprese, è che il settore privato si è relativamente
rafforzato sotto la presidenza Obama. Da quando è entrato alla Casa Bianca sono stati creati 6,7 milioni di
posti di lavoro in più nel settore privato, contro gli appena 3,1 milioni creati da George W. Bush allo stesso
punto del suo mandato. Ma sotto Bush era cresciuta anche l'occupazione nel settore pubblico, di 1,2 milioni
di posti di lavoro, mentre sotto Obama se ne sono persi 600mila. Il punto è che l'andamento relativamente
positivo dell'occupazione nel settore privato è stato occultato dai tagli nel settore pubblico: è il contrario di
quanto si sente dire comunemente, ma di questo non c'è da sorprendersi. E riguardo alle prospettive future?
Come ho sottolineato prima, gli investimenti delle imprese sono relativamente alti. Gli investimenti residenziali
invece dal 2006 rimangono su livelli molto bassi, e questo lascia intendere la presenza di un accumulo di
domanda repressa, che dovrebbe far sentire il suo peso in presenza di un miglioramento del mercato del
lavoro. È un elemento di forza, ma oltre a questo c'è anche il basso livello del prezzo del greggio, che in
generale è una cosa positiva per l'economia. el complesso, insomma, i prossimi due anni andranno
abbastanza bene. Questo non significa che la politica economica nel suo insieme sia stata efficace: abbiamo
sprecato migliaia di miliardi di dollari di produzione potenziale e peggiorato la vita di milioni, se non addirittura
decine di milioni di individui. Ma la situazione sarà ben più rosea che negli anni precedenti.
Mosca nel Texas
Beh, insomma, non proprio alla lettera. Però la caduta del prezzo del petrolio avrà effetti molto diversi nelle
diverse regioni degli Usa: gli Stati che più hanno beneficiato del boom del petrolio di scisto saranno quelli che
subiranno i contraccolpi più pesanti, anche se la maggioranza degli americani ci guadagnerà. A rimetterci di
più saranno i due Dakota e il Nebraska, ma in tutta quell'area ci vive più o meno la popolazione di Brooklyn. Il
pezzo da novanta fra gli Stati colpiti è il Texas: che impatto avrà il tracollo dell'oro nero da quelle parti? Un
impatto grosso. In Texas il settore minerario ha fornito direttamente il 4,7 per cento del Pil. Applicando un
moltiplicatore di 1,5, come indicato dalle ricerche più attendibili, arriviamo alla conclusione che il boom del
petrolio di scisto ha aggiunto il 7% alla crescita del Texas: e quello che il petrolio di scisto dà, il petrolio di
scisto può riprendersi. Non stiamo parlando di un disastro vero e proprio, ma forse di fronte a una situazione
in cui il Texas scivolerà in recessione mentre il resto del Paese andrà piuttosto bene. Paul Krugman
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Non è un boom, l'America sta soltanto rimbalzando
12/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La certezza calpestata del diritto tributario
Enrico De Mita
Lo schema di decreto legislativo sull'abuso del diritto - ora impigliato nella vicenda della contestata soglia di
punibilità del 3% - porta nel titolo il riferimento alla «certezza del diritto». Èstato detto che questo
provvedimento dovrà lasciare all'interpretazione «uno spazio minimo quasi nullo».
È un'affermazione, questa sullo spazio minimo quasi nullo, che va chiarita, perché secondo un'opinione
diffusa la certezza del diritto è quella che non lascia alcun spazio all'interpretazione. Ora, il diritto tributario è
un diritto come tutti gli altri. Sicché non si può stabilire a priori quanta parte di esso resti affidata alla
interpretazione.
I principi sono sempre gli stessi. Il tema della certezza del diritto come tema di carattere generale è stato
accantonato. Altri temi hanno preso il suo posto come quello dell'affidamento. Perciò non serve a niente
scrivere in testa a una legge che essa risponde alla certezza del diritto. È solo uno slogan e il riferimento a
questa esigenza può creare degli equivoci se non correttamente inteso.
C'è un profilo pacifico del tema che riguarda tutte le leggi tributarie: il numero delle leggi e la loro stabilità nel
tempo. Questo è il tema. La semplificazione è un metodo che vuol dire tutto il contrario di una legislazione a
getto continuo. La certezza del diritto non può essere data da una legislazione che per la sua immensità è
inconoscibile. C'è l'esigenza nel nostro ordinamento (come in quello tedesco) di un codice tributario nel quale
le leggi siano semplici e chiare, altrimenti si resta condannati a una legislazione scritta con la mentalità delle
circolari e che, per la sua minuziosità, penalizza non solo i contribuenti ma la stessa amministrazione. Ma è la
prassi delle circolari che aggrava la situazione, quando introduce nell'ordinamento un'interpretazione distorta,
con limitazioni e distinzioni che non hanno fondamento e che contrastano con lo spirito delle leggi. E
l'emanazione di una circolare vuol dire certezza di atti d'accertamento conseguenti.
Continua pagina 12
Continua da pagina 1
Quindi l'aspirazione ad uno spazio minimo, quasi nullo per l'interpretazione, non è una prospettiva plausibile.
Di fronte alla locuzione «sostanza economica», l'Amministrazione non rinuncerà a spiegare, con una
circolare, che cosa si intende per sostanza economica nell'abuso del diritto. Lo slogan con cui è stata
presentata la legge, la certezza del diritto, risulta vanificata dalla legge stessa.
Volendo dare un contenuto proprio alla certezza del diritto, questa vuol dire ripugnanza delle nuove regole
senza abrogazione espressa delle precedenti nell'ordinamento legale. Il diritto ha il compito di garantire
soprattutto comportamenti sociali rendendo prevedibili valutazioni per il futuro nel processo economico di alto
valore costituito dalla sicurezza. Nel diritto tributario, con il forte prevalere delle garanzie costituzionali,
perdono di autorità il metodo dell'interpretazione teleologica e della giurisprudenza degli interessi. Al loro
posto è subentrata una concezione delle fattispecie legali dirette a garantire l'applicazione perequatrice delle
leggi tributarie. La nostra giurisprudenza della Cassazione ha imboccato questa strada quando ha inventato
la nozione di abuso del diritto con una interpretazione teleologica e perseguito in modo improprio la tutela
dell'interesse fiscale.
È sufficiente il provvedimento sull'abuso del diritto a neutralizzare questa tendenza della nostra
giurisprudenza? Solo il tempo potrà dirlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Enrico De Mita
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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LA DELEGA FISCALE
12/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La fiducia smarrita
di Cristiano Dell'Oste
Dare una casa in affitto è ancora un buon affare? A prima vista, vien da dire di sì, almeno guardando i migliori
tra i rendimenti netti calcolati dal Sole 24 Ore del lunedì.
Dopotutto, livelli medi di ritorno sul capitale tra l'1,78 e il 2,61% - al netto di imposte e spese, e senza
considerare il rischio di morosità - non sono male di questi tempi. Ma ci sono altri aspetti che aiutano a capire
perché gli italiani non stiano correndo a comprar case da affittare.
Continua pagina 3
Continua da pagina 1
Secondo gli ultimi dati, ci sono 2 milioni di proprietari "persone fisiche", cioè privati, che concedono in affitto
2,7 milioni di abitazioni. È un popolo di risparmiatori, che spesso non si muove analizzando le percentuali di
rendimento, ma cogliendo i segnali che definiscono lo spirito del momento.
Il primo segnale - chiarissimo - è l'aumento delle tasse. Certo, nel 2011 ha debuttato la cedolare secca. Ma
poi è arrivato lo shock dell'Imu, e la pressione fiscale è sempre cresciuta. Basta vedere la progressione
dell'aliquota media sulle case locate nei capoluoghi, rilevata dal Caf Acli: 9,49 per mille nel 2012, poi 9,62 per
mille l'anno seguente e 10,35 per mille nel 2014 con l'arrivo della Tasi accanto all'Imu. Senza dimenticare la
riduzione dal 15 al 5% della deduzione forfettaria per gli affitti in tassazione ordinaria.
Il secondo segnale è la diminuzione dei canoni, accompagnata dall'esplosione della morosità. Tra gli
indicatori giudiziari di crisi, il numero degli sfratti per morosità è quello che è salito di più negli ultimi quattro
anni: +46% tra il 2011 e il 2014 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 5 gennaio). Da una parte ci sono famiglie di
inquilini in forte difficoltà economica. Dall'altra c'è sempre maggiore prudenza nella selezione dei conduttori,
periodi più lunghi in cui la casa resta sfitta e timore di dover anticipare le imposte su affitti non incassati.
Il terzo segnale è la diminuzione delle quotazioni immobiliari, che ha scavato crepe profonde nel vero pilastro
su cui si è sempre fondato ogni investimento popolare nel mattone, al di là del canone mensile. Se vacilla la
certezza della rivalutazione dell'immobile, il risparmiatore medio guarda all'acquisto della casa come alle
azioni di Wall Street: prospettive interessanti, magari, ma con l'incognita che il cambio rovini tutto.
Al calo delle prezzi si è poi accompagnato il crollo delle compravendite, ridotte a poco più di 400mila rispetto
alle 869mila del 2006, anche per la stretta delle banche sui mutui. E così è venuta meno un'altra delle
convinzioni granitiche degli italiani: la possibilità di vendere l'immobile in caso di bisogno, velocemente e a un
buon prezzo. La crescita dei depositi bancari mostra esattamente che in tempi di incertezza molti
risparmiatori preferiscono "restare liquidi", come si dice in gergo.
Naturalmente, esistono anche buone ragioni per investire in immobili, se non altro perché molti dei cattivi
segnali descritti fin qui potrebbero valere anche per le altre asset class. Ma il clima è questo da qualche anno,
e ormai ha un po' incrinato la storica fiducia degli italiani nel mattone. Ecco perché, nel bene e nel male, ogni
tentativo di rimettere in moto la fiducia non può trascurare il modo in cui il popolo dei proprietari guarda
all'investimento immobiliare.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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L'ANALISI
12/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Per i settori del made in Italy segnali di timida ripresa
Netti
All'orizzonte si profila una ripresa fragile, alimentata dal buon andamento di ordini ed export, agevolati
dall'euro e dal greggio ai minimi. In arrivo c'è anche il timido ritorno della domanda interna. Sono gli elementi
che quest'anno dovrebbero caratterizzare i sette settori chiave del made in Italy. Ma sulle prospettive di
ripresa pesa l'assenza di una politica industriale strategica.
pagina 15
Una ripresa fragile, alimentata dalle esportazioni che crescono al traino dell'euro e del petrolio ai minimi, a cui
si somma il timido ritorno della domanda interna, seppur condizionata dal clima di (scarsa) fiducia e dalla
pressione fiscale (al massimo) che grava su famiglie e imprese.
Sono i fattori che nel corso dell'anno condizioneranno l'andamento di sette settori chiave del made in Italy,
sempre più proiettati verso i mercati del mondo per compensare l'immobilismo e l'assenza di una concreta
politica industriale in grado di ridare il giusto ritmo al manifatturiero. Questo il sentiment che accomuna i
pilastri dell'industria nazionale secondo i vertici delle federazioni confindustriali del manifatturiero.
«I cali delle materie prime e dell'euro sono elementi che aiutano, ma sono casuali. A mancare sono la fiducia
e una politica industriale che supporti e detti le priorità agli investimenti pubblici e privati - dice Stefano
Franchi, direttore generale di Federmeccanica -. Si devono liberare risorse da investire, altrimenti l'Italia non
riparte». La metalmeccanica è stata pesantemente colpita dalla recessione e rispetto agli anni pre-crisi ha
perso un terzo della produzione e un quarto della capacità produttiva. Anche il 2015 si preannuncia un anno
difficile: l'export rimarrà stabile e la domanda interna ferma.
Nell'anno dell'Expo la filiera del food accelera sull'export. «Crescerà del 5-6% e per la prima volta si fermerà
la caduta dei consumi alimentari delle famiglie, che dovrebbero aumentare dello 0,3-0,4%» spiega Luigi
Scordamaglia, alla guida di Federalimentare. Il calo del greggio, poi, dovrebbe migliorare la capacità di spesa
delle famiglie, ma il presidente è preoccupato per un sempre possibile aumento di tasse e accise.
Relativamente più facile l'affermazione sui mercati mondiali, «dove la domanda di food made in Italy c'è e
cresce».
In tutti i casi alle imprese che esportano servono aiuti e un maggior supporto dallo Stato. È quanto oggi
Roberto Snaidero, presidente di Federlegno-Arredo, chiederà nel corso di un incontro con il ministro
Gentiloni. Lo scorso anno il comparto è riuscito, grazie al bonus mobili, a fermare la caduta della domanda e
quest'anno punta a una leggera crescita. La messa in sicurezza è comunque affidata all'export, che dovrebbe
crescere del 5 per cento. «Presidiamo sempre più i mercati dell'area del dollaro e quelli emergenti, sperando
che le sanzioni alla Russia si allentino - sottolinea Snaidero -. Quest'anno sono in programma oltre venti
missioni e nel 2016 si svolgerà la prima grande fiera del design italiano a Shanghai».
Si aspetta un anno piatto Claudio Andrea Gemme, presidente Anie (elettronica ed elettrotecnica). «La
flessione della domanda interna è compensata dalle esportazioni, ma servono politiche industriali, un piano
energetico e una strategia che finalmente favorisca la manutenzione e l'aggiornamento tecnologico di
impianti, infrastrutture, immobili pubblici e privati». Gemme tocca anche un altro tasto chiave: quello
dell'innovazione. «In queste condizioni sono fortunate le imprese che riescono a investire in ricerca e
sviluppo» rimarca. All'interno del perimetro della federazione l'incremento atteso è del 2%, ma non mancano
segmenti, come quello della sicurezza, che dovrebbero crescere del 4 per cento.
Il 2% è l'aumento previsto anche per i beni strumentali. «Le prime stime evidenziano un altro anno di crescita,
ma nel biennio 2012-2013 il comparto ha registrato un calo della produzione e ora stiamo ritornando ai valori
del 2008 - premette Alfredo Mariotti, segretario generale di Federmacchine -. I consumi interni continueranno
a essere sostenuti, anche grazie agli effetti della Sabatini bis, che lo scorso anno ha risvegliato la domanda».
Il portafoglio ordini copre un trimestre «ed è in miglioramento». Anche qui si registra una nicchia che riuscirà
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Le stime su ordini, export e domanda interna
12/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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a fare meglio della media. Si tratta delle macchine utensili e dei robot: la prospettiva è di un aumento della
produzione tra il 4-5%, avvicinando così i 5 miliardi di ricavi. Un exploit che andrà a ripercuotersi
positivamente su altri comparti della federazione, resi ancora più competitivi dal calo delle materie prime e
dalla bolletta energetica più leggera.
Dopo sei anni di affanni un cauto ottimismo contraddistingue il tessile e la moda. «Per la prima volta si vede
qualche bagliore di luce e il tessile avrà migliori prospettive rispetto all'abbigliamento» osserva Gianfranco Di
Natale, direttore generale di Smi (Sistema moda Italia). La domanda interna è ferma, «non si vedono segni di
ripresa e se a fine anno si confermeranno i risultati del 2014 sarà già un buon risultato». Così la filiera
rafforza la presenza nell'area del dollaro.
Stabilità anche per la meccanica varia. «Non ci sono grandi aspettative - premette Sandro Bonomi,
presidente di Anima -. Il calo dell'euro ci aiuterà negli Usa e nel Far East e la crescita sarà più vigorosa in
nicchie come la meccanica fine e l'automotive». La domanda interna invece resterà «stagnante per la
mancanza di fiducia».
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Enrico Netti
I NUMERI
3-4%
Tessile e moda
Rispetto al 2014 l'andamento delle esportazioni dovrebbe far registrare un aumento tra il 3 e il 4 per cento
1,5%
Arredamento
È la crescita del giro d'affari alla produzione prevista per la filiera del legno-arredo. Il comparto beneficia della
spinta sui mercati esteri e di un ritorno della domanda interna
15
Miliardi di euro
Le esportazioni di componenti e macchinari verso gli Stati Uniti superano i 15 miliardi di euro. Per la
metalmeccanica il mercato Usa vale più dell'8% del valore dell'export della filiera
Le previsioni sui trend del 2015 legati a ordinativi, domanda interna ed esportazioni
Portafoglio ordini in aumento e la Sabatini bis fa ripartire la domanda interna. L'export è visto in aumento
(+2,5%) e punta verso i mercati del dollaro
Il comparto resiste grazie all'export, soprattutto extra-Ue, mentre la domanda interna resta stagnante
Un anno all'insegna della continuità, con una domanda interna ferma e tensioni sui prezzi di vendita. Export
verso Usa, Cina e Corea del Sud
È attesa una lieve (+0,3%) ripresa della domanda interna, mentre l'export dovrebbe aumentare del 5-6%.
Stabili gli ordinativi (+0,1%)
Cauto ottimismo grazie ai ricavi attesi in aumento al traino dell'export (+5%) e di una domanda interna stabile
Ci sarà una parziale inversione del trend recessivo grazie a una moderata ripresa della domanda di beni di
consumo. In aumento l'attività verso la Ue e gli Usa
La buona crescita dell'export riporta un po' di ottimismo, ma manca la domanda interna. Prospettive migliori
per il tessile rispetto all'abbigliamento
IL CRUSCOTTO DEI SETTORI
12/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 6
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Grexit? Fantapolitica pura»
C. Bu.
La «Grexit», ovvero l'uscita della Grecia dall'area euro, non è contemplata dai Trattati. L'addio di Londra
all'Unione europea, la cosiddetta «Brexit», sarebbe invece possibile. Parola di André Sapir, senior fellow del
think tank Bruegel ed ex consulente economico della Commissione Ue.
La settimana scorsa il dibattito europeo è stato dominato da indiscrezioni e smentite di una «Grexit».
Lo scenario sarebbe possibile?
No, non sarebbe possibile. Il Trattato non lo prevede e sancisce che l'adesione all'euro è irrevocabile, non
esistono regole che vanno nella direzione opposta. Un'ipotesi del genere sarebbe, inoltre, una follia dal punto
di vista economico e politico, per la Grecia e per i partner. Se poi vogliamo fare un esercizio di fantapolitica...
Proviamoci. Che cosa succederebbe se la Grecia decidesse di uscire dal club dell'euro?
Atene dovrebbe ripristinare la sua Banca centrale nazionale per poter stampare moneta, perché con
l'introduzione dell'euro questo non è più possibile per gli istituti nazionali. È chiaro che la decisione creerebbe
una frattura, la Grecia non rispetterebbe più gli obblighi assunti con i partner europei e sarebbe naturale una
sua uscita dall'Unione. Questo, infatti, è possibile. Dubito, però, fortemente che i Paesi europei vogliano
rinunciare a un angolo del Mediterraneo, strategico dal punto di vista economico e politico. E poi, lo ripeto, è
fantapolitica pura.
La «Brexit» sarebbe invece consentita?
Teoricamente sì e, a mio avviso, non è un'ipotesi neppure così remota. Il Trattato di Lisbona prevede infatti
un meccanismo di recesso volontario e unilaterale. Il rapporto conflittuale tra Londra e Bruxelles è un
fenomeno non nuovo . Alla fine degli anni 50, prima di arrivare ai Trattati di Roma, l'Europa si trovava a un
bivio: poteva scegliere se limitarsi a essere una zona di libero scambio o una Comunità economica con il
sogno di un'unione politica. Per Londra si tratterebbe di tornare a quel progetto relegato in soffitta.
Quali sarebbero i tempi?
Abbastanza veloci, da uno a due anni. Occorrerebbe avviare i negoziati per definire la nuova relazione che
dovrà intercorrere tra la Ue e la Gran Bretagna. A quel punto, però, gli altri non avrebbero più alibi per
proseguire sulla strada di una maggiore integrazione.
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Foto:
Senior fellow. André Sapir
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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INTERVISTA ANDRÉ SAPIR SENIOR FELLOW BRUEGEL
10/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 34
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Sale il potere di acquisto delle famiglie grazie anche al calo dell'inflazione I dati Istat del terzo trimestre. In
alto il deficit-Pil dei primi nove mesi: 3,7%
ROSARIA AMATO ROMA.
Aumenta il reddito disponibile, ma i consumi rimangono fermi: gli italiani preferiscono risparmiare. I dati Istat
del terzo trimestre 2014 ritraggono per l'ennesima volta un Paese molto prudente, con poca voglia di
spendere. Si tratta dei primi tre mesi in cui chi ne aveva diritto ha ricevuto gli 80 euro in busta paga per
l'intero periodo,e gli effetti in termini contabili si vedono: reddito disponibile in crescita dell'1,8% rispetto al
trimestre precedente e dell'1,4% rispetto al corrispondente periodo del 2013. Meglio ancora il potere
d'acquisto, favorito anche dal deciso calo dei prezzi, e in rialzo dell'1,9% rispetto a giugno e dell'1,5% sul
2013. Però le famiglie continuano a moderarsi nella spesa, rimasta invariata rispetto al trimestre precedente e
in lieve crescita solo rispetto al 2014 (più 0,4%), e preferiscono per il momento ricostituire le riserve, messe a
dura prova negli anni di crisi: la propensione al risparmio torna infatti al 10,8%, riavvicinandosi al valore della
media 2009, 11%, ma ancora lontanissima dal picco del 19% del 1996. Un comportamento che fa dire ad
alcune associazioni dei consumatori,a cominciare dal Codacons, che il bonus «è un flop», ma che viene
invece valutato positivamente dal ministero dell'Economia: «Il ministro Padoan - si legge in una nota - ha più
volte sostenuto che le famiglie tendono a ricostruire lo stock di risparmio intaccato durante la crisi prima di
riprendere il livello adeguato di consumi e investimenti».
La dinamica della spesa delle famiglie conferma puntualmente le previsioni di sondaggi e indagini che, come
quello di Confesercenti-Swg, pronosticavano che solo il 26% dei beneficiari del bonus avrebbe destinato gli
80 euro alla spesa: gli altri avrebbero impiegato la liquidità per il pagamento delle spese pregresse oppure
per alimentare i risparmi. Eppure la stessa Confesercenti, come la Cisl, chiedono al governo di non tornare
indietro sul bonus e anzi di ampliarne la platea, allargandolo ai pensionati.
I conti pubblici però, sempre a giudicare dai dati Istat, non lasciano molti margini per un ulteriore
ampliamento del bonus e della spesa in generale: nei primi nove mesi del 2014 il rapporto tra indebitamento
netto e Pil sale al 3,7%, 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2013. Anche in questo caso, il ministero
dell'Economia frena eventuali allarmismi, spiegando che nel terzo trimestre dell'anno l'indebitamento «mostra
con sistematicità un valore maggiore rispetto al dato finale». Le uscite del terzo trimestre sono appesantite
dal bonus di 80 euro ma beneficiano del calo dello spread: infatti le spese per interessi passivi sono diminuite
tra luglio e settembre del 7,8%.
III° trim. 2014 su II° trim. 2014
+ 1,8
+ 1,9
+ 1,4
+ 1,0
+ 0,8
+ 1,5
+ 0,5
0,0
+ 0,4
3,7
2,6
0,6 FONTE: Istat Redditi e spese delle famiglie Reddito lordo disponibile III° trim. 2014 su III° trim. 2013
Potere d'acquisto delle famiglie* * Reddito lordo disponibile espresso in termini reali Spesa delle famiglie per
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Redditi più alti grazie agli 80 euro ma i consumi restano al palo tornano a
crescere i risparmi
10/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 34
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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consumi Þnali Investimenti Þssi lordi Gen-Set 2014 su Gen-Set 2013
10/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
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Si è tornati ai livelli precrisi, ma molti lavoratori per adesso sono solo part-time Quasi tre milioni di nuovi
impieghi nel corso del 2014 ma i salari languono
L'ANALISI FEDERICO RAMPINI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK. Un'annata d'oro, quasi tre milioni di posti di lavoro creati, una performance che non si vedeva
da 15 anni. Il tasso di disoccupazione che scende sempre più giù, al 5,6%, cioè ai livelli precrisi del giugno
2008. E' un gran finale del 2014 per l'economia americana. Con un'ombra, però.
I salari continuanoa languere,a conferma che la ripresa avviene in un contesto di debolezza contrattuale dei
lavoratori, incapaci di spuntare condizioni retributive migliori. Anche se il loro potere d'acquisto non ne risente
così negativamente, grazie alla manna petrolifera che regala alla famiglia media Usa dai 350 ai 700 dollari di
risparmi annui.
Il dato di dicembre sul mercato del lavoro Usa ha superato ancora una volta le previsioni: +252.000
assunzioni in un mese, al di sopra anche della media annuale. Nella stessa occasione è stato rivisto al rialzo
anche il dato di novembre: dai 321.000 si è saliti a 353.000, in quello che è stato il mese migliore del 2014.
Complessivamente i posti di lavoro creati nel corso del 2014 sono 2,95 milioni e negli ultimi sei anni - cioè
dall'inizio della presidenza Obama - sono ormai 10 milioni. L'unico dato "stonato" riguarda quindi le
retribuzioni. A novembre erano salite solo dello 0,2% e a dicembre sono ridiscese nella stessa misura, meno
0,2%.
Bonaccia piatta su quel fronte, insomma. Questa dei salari è una preoccupazione, oltre che per i lavoratori
(non a caso i sondaggi li descrivono assai meno ottimisti sullo stato dell'economia di quanto si potrebbe
credere), anche per la Federal Reserve. In particolare da quando è presidente della banca centrale Janet
Yellen, la Fed segue con attenzione non solo i dati quantitativi sul mercato del lavoro ma anche quelli
qualitativi. Cioè la tipologia di posti e anche la dinamica salariale. Il quadro che ne esce è meno trionfale dei
dati generici. Molti lavoratori occupati debbono ancora accontentarsi di un lavoro part-time mentre ne
vorrebbero uno a tempo pieno. Il fenomeno della riduzione del tasso di partecipazione (disoccupati che
rinunciano a cercarsi un posto e quindi escono dalle statistiche) è in miglioramento ma non ha riassorbito tutti
i danni della crisi. All'interno dei disoccupati - pur in diminuzione - è più elevata del normale la quota di coloro
che sono senza lavoro da più di sei mesi, la cosiddetta disoccupazione di lungo periodo cheè anche la più
difficile da sanare perché comporta una perdita di addestramento e di attitudini professionali.
Il fatto che i salari siano immobili riporta a dati strutturali del modello di sviluppo americano, preesistenti la
crisi del 2008: è una crescita che concentra la massima parte dei benefici in una minoranza di privilegiati; il
poteAL VERTICE Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama re dei sindacati è ai minimi da mezzo secolo.
In controtendenza, c'è il fatto che proprio all'inizio di gennaio è entrato in vigore in molti Stati Usa l'aumento
legale del salario minimo garantito. E' un'antica battaglia di Obama che tentò di far passare al Congresso un
rialzo dagli attuali 7,25 dollari oraria 10,10 dollari orari, per il salario minimo imposto dalla legge federale. Il
Congresso a maggioranza repubblicana non gliel'ha mai passata, argomentando che l'imposizione di aumenti
salariali danneggerebbe le imprese e alla fine ridurrebbe l'occupazione.
Ma la battaglia si è trasferita a livello localee ormai sono 30 gli Stati ad avere aumentato i minimi legali.
Questo dovrebbe avere effetti positivi a partire dalle retribuzioni del 2015. Separatamente a New York è in
corso una battaglia collegata: per convincere il governatore Andrew Cuomo a sopprimere il privilegio
concesso ad alberghi e ristoranti dove i datori di lavoro possono pagare molto meno del minimo legale,
appena 5 dollari l'ora, col pretesto che il salario viene arrotondato dalle mance.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Disoccupati americani al minimo: 5,6% e mai così tante assunzioni da 15
anni
10/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
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Fondi speculativi alla guida di Seat l'ultimo tentativo di far rinascere le
Pagine gialle
Tutto straniero il libro soci dopo l'aumento di capitale Goldentree e Avenue capital al 50%
VITTORIA PULEDDA
MILANO. A questo punto si faranno i giochi veri. Quella che è al listino, ormai, è infatti una "nuova" Seat, con
l'azionariato - vedremo quanto duraturo nel tempo - uscito dalla feroce conversione dei crediti in azioni che a
fine 2013 ha spazzato via i soci precedenti (riducendoli tutti insieme allo 0,25% del capitale postconversione).
Dunque, due azionisti di riferimento sono i fondi speculativi Goldentree Asset Management (con il 26,128%) e
Avenue Capital di Marc Lasry (con il 23,87%). Al terzo posto c'è un nome già molto noto alla società: Royal
Bank of Scotland, che era la capofila dei creditori bancari, ora al 4,22%, e poi altri due fondi specializzati in
ristrutturazioni, Bennet management corporation (3,36%) ed Elvis Leigh (3,23%). Nel 2012 Goldentree già
aveva compiuto un investimento sempre nel settore delle directories in Canada arrivando a detenere oltre il
40% di Yellow media (poi dismessa) nell'ambito di una ristrutturazione finanziaria simile a quella che ha
interessato Seat Pagine Gialle.
Ma in generale il nuovo azionariato, che evidentemente nel tempo aveva rilevato i crediti (bancari e non) è
fatto in larghissima parte da fondi specializzati in situazioni di stress e da un flottante al 39%.
Questa è una Seat senza debiti post ristrutturazione, qualche decina di milioni di euro di cassa, un
concordato chiuso e una possibile transazione con i vecchi azionisti-manager, i fondi di private equity, già
approvata dal consiglio e che a fine mese sarà sottoposta all'assemblea dei soci.
A questo punto può ripartire la storia industriale del gruppo e per la società, non più zavorrata dal miliardo e
mezzo di debiti (che erano già molto scesi, dopo la prima ristrutturazione) è giunto il momento della verità. Se
il modello di business funziona potrà ripartire; poi si vedrà se l'assetto azionario attuale reggerà nel tempo o
se ci sarà un futuro di matrice più industriale.
Foto: EX PRESIDENTE Guido De Vivo ha lasciato il cda di Seat pochi giorni fa dopo il cambio degli azionisti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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IL PUNTO
11/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
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Ecco il piano Ue sulla flessibilità investimenti fuori dal Patto e meno tagli a
chi fa le riforme
Il documento sarà subito operativo e così l'Italia potrebbe evitare la procedura a marzo A certe condizioni
cadrà l'obbligo di risanare il deficit strutturale dello 0,5%: per noi 8 miliardi
ALBERTO D'ARGENIO
ECCO le 25 pagine sulla flessibilità dei conti pubblici che potrebbero salvare l'Italia da pesanti guai in Europa.
Il testo è ancora provvisorio, il negoziato interno alla Commissione europeaè incandescente, ma quanto al
momento si legge nella bozza della Comunicazione sulla flessibilità voluta dal presidente Jean Claude
Juncker lascia ben sperare Roma, Parigi e le altre capitali che vogliono stoppare l'ortodossia rigorista che in
questi anni ha regnato a Bruxelles. Il testo verrà approvato dall'esecutivo comunitario martedì durante la sua
riunione settimanale che questa volta si terrà a Strasburgo, in coincidenza con la plenaria
dell'Europarlamento di fronte al quale Renzi esporrà il bilancio del semestre di presidenza italiana dell'Ue. Ed
è innegabile che un'influenza sulla svolta di Juncker l'Italia, come la Francia, l'abbia avuta.
La bozza è suddivisa in quattro sezioni.
La prima conferma che i soldi che i governi eventualmente decideranno di versare al nuovo Fondo strategico
per gli investimenti, cuore del pacchetto da 315 miliardi varato da Juncker per rilanciare l'eurozona, non
saranno conteggiati nel calcolo del deficit dei singoli paesi. In bilico invece la possibilità di scorporare dal
deficit non solo i soldi versati nel Fondo, ma anche quelli usati per partecipare direttamente ai progetti di una
singola nazione legati al piano Juncker. Ma il meglio arriva nella seconda sezione del documento, che dopo
anni di richieste italiane, Renzi ne ha fatto una vera battaglia, permette di scomputare dal conteggio del
disavanzo strutturale anchei soldi nazionali (cofinanziamento) che i governi devono stanziare per accedere ai
fondi strutturali o ai denari comunitari per il finanziamento delle reti di comunicazione (Connecting Europe).
Dunque potranno essere sfilati dal deficit i cosiddetti investimenti pubblici produttivi (quelli che generano
crescita) a condizioni ben più abbordabili rispetto a quelle che in passato erano tanto rigide da rendere la
clausola praticamente inservibile. Se resta fermo che un governo può chiedere di sfilare gli investimenti
virtuosi solo se resta sotto il tetto del 3% del deficit, potendo però utilizzare lo spazio di spesa fino a quella
soglia senza incappare nelle varie procedure di infrazione, leggi commissariamento e sanzioni, previsti dal
Fiscal Compact anche per chi non sfora il parametro di Maastricht, la novità è che se prima per accedere alla
clausola era necessario che tutta la zona euro fosse in grave recessione, ora basterà che lo sia solo il paese
che desidera investire (si negozia sulla definizione di recessione "grave").
Fondamentale per Roma è anche il terzo capitolo della bozza, quello dedicato alle riforme strutturali secondo
il quale chi ammoderna davvero il Paese, e per deciderlo servirà ogni volta una verifica ad hoc di Bruxelles,
potrà evitare di risanare il deficit strutturale dello 0,5% all'anno (per Roma si tratta di 8-10 miliardi). Una
deroga importante, che i falchi avevano provato ad azzoppare inserendo una velenosa postilla - al momento
saltata dalla bozza - secondo cui chi accede alla clausola delle riforme viene automaticamente messo sotto
procedura per squilibri macroeconomici, uno strumento di cui l'Europa si è dotato di recente per mettere sotto
tutela, e imporre un vero e proprio programma di politica economica, anche i paesi che non sforano il 3%.
Infine il capitolo quarto, secondo il quale in determinati casi indicati da rigidissime formule matematiche, un
Paese che non ha ancora azzerato il deficit può procedere con una correzione dello 0,25% all'anno, e non
dello 0,5.
Se il documento - che sarà subito operativo senza dover incassare il via libera di governi ed Europarlamento
- verrà approvato dalla Commissione così come scritto al momento, darà una svolta all'Unione e l'Italia
potrebbe sorridere. Già, perché Juncker a novembre ha rinviato a marzo il giudizio sui conti di Roma (che non
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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La bozza della Commissione europea Il testo voluto da Juncker e appoggiato da Roma e Parigi sarà
approvato martedì a Strasburgo. Se passerà senza correzioni sarà una svolta storica per la politica di bilancio
europea e il nostro Paese avrà più margini di manovra
11/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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rispetta vari parametri pur restando sotto il 3% del defcit) e con le regole attuali una procedura sarebbe quasi
scontata. I PUNTI FONDO JUNCKER La prima ipotesi è quella di scomputare dal calcolo del deficit tutte le
risorse nazionali indirizzate al fondo Juncker per gli investimenti FONDI STRUTTURALI L'idea è di
scomputare anche i cofinanziamenti nazionali che sbloccano i fondi strutturali Ue, in caso di recessione del
Paese in questione RIFORME E MANOVRA Chi dimostra di realizzare le riforme avviate può evitare di
tagliare il deficit strutturale di 0,5 punti all'anno: per l'Italia sono 8-10 miliardi ULTERIORE SCONTO Infine,
solo in taluni casi, un Paese che non ha ancora azzerato il deficit strutturale può limitarsi a una correzione di
0,25 invece che di 0,50
Il labirinto delle regole europee sul bilancio
1997
2005
2011
X€X€
2013
2013
2011
X€
X€
€€ X X E inÞne... il "Two Pack" per ra•orzare la sorveglianza Obblighi introdotti: 1) invio anticipato al 15 aprile
del Def (Documento di economia e Þnanza) e del Programma nazionale di riforme 2) presentazione alla Ue
della bozza della legge di Stabilità entro il 15 ottobre Poteri Ue: può richiedere modiÞche e d'ora in poi
controllare attuazione riforme Arriva il Fiscal Compact Obblighi introdotti: 1) obiettivo deÞcit strutturale dello
0,5% del Pil per i Paesi con debito oltre il 60% 2) regola da inserire in Costituzione Poteri Ue: sanzioni pari
allo 0,1% del Pil Arriva il "Six Pack" con regole più severe sul debito Obblighi introdotti: 1) chi ha un debito
oltre il 60% del Pil deve ridurlo ogni anno di un ventesimo della di•erenza tra il debito/Pil reale e il 60% Poteri
Ue: sanzioni semi-automatiche pari allo 0,1% del Pil Arriva il "Semestre europeo" 1) presentazione a Þne
aprile del Programma di stabilità (con Obiettivo di medio termine e misure) 2) presentazione entro aprile del
Programma nazionale di riforme Poteri Ue: la Commissione li giudica e fa le sue raccomandazioni Riforma
del Patto di Stabilità Obblighi introdotti: 1) correzione annuale di almeno 0,5 punti del deÞcit strutturale 2)
convergenza rapida verso Obiettivo di medio termine (Omt) che varia da Paese a Paese Poteri Ue: procedura
di infrazione e multa Entra in vigore il Patto di Stabilità e di Crescita Obblighi introdotti: 1) soglia massima
deÞcit/Pil 3% 2) soglia massima debito/Pil 60% Poteri Ue: procedura di infrazione e multa Sei passaggi, dal
1997 ad oggi, uno più complicato dell'altro, durante i quali le regole europee sui bilanci pubblici dei singoli
Paesi si sono moltiplicate.
Ecco in estrema sintesi tutti i diktat Ue su deÞcit e debito PER SAPERNE DI PIÙ ec.europa.eu
www.consilium.europa.eu
Foto: PRESIDENTE Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Ue ha definito il piano sulla
flessibilità dei conti
11/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 22
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"Nessun diktat Bce alle banche italiane I piani non cambiano"
Panetta (Bankitalia): Francoforte non ha chiesto aumenti nelle lettere dell'Eurotower solo indicazioni già note
"Gli istituti non dovranno rafforzare il capitale di 1 euro se coprono il deficit come previsto" Vale la pulizia già
effettuata nei bilanci sui crediti inesigibili L'esempio del Mps
FEDERICO FUBINI
ROMA. Alla riapertura dei mercati domani gli occhi saranno puntati sulle banche italiane. Venerdì i titoli del
credito quotati a Piazza Affari hanno fatto segnare crolli in molti casi violenti. A innescare la caduta è stata la
notizia che il Consiglio di vigilanza della Banca centrale europea stesse per alzare ancora una volta l'asticella
delle richieste di patrimonializzazione per gli istituti italiani, con gli ulteriori aumenti di capitale o un
inasprimento della stretta al credito che ciò avrebbe comportato.
Questa volta il mercato non sembra saltato a conclusioni fondate sulla realtà. La Bce dal 4 novembre ha
assunto poteri di vigilanza diretta sui primi 15 istituti italiani, insieme alla Banca d'Italia, ma non sta chiedendo
niente di più di quanto sia noto da mesi.
Non arrivano nuove pressioni per alzare i coefficienti patrimoniali oltre quanto già fatto o previsto per il 2015
dalle banche italiane passate al vaglio della Bce: quelle che hanno passato l'esame europeo del 2014 e le
altre, come Montepaschi e Carige, che stanno mettendo a punto un piano di aumenti di capitale. «Non ci
sono informazioni nuove al mercato diverse da quelle già note», osserva Fabio Panetta, vicedirettore di
Banca d'Italia, componente del nuovo Consiglio di vigilanza della Bce presieduto dalla francese Danièle
Nouy. Panetta osserva: «Non c'è da parte di Francoforte nessuna richiesta di aumenti di capitale ad alcuna
banca né italiana, né europea. Le banche che sono emerse con un deficit di capitale dal comprehensive
assessment (l'esame Bce sulla qualità del credito e la solidità patrimoniale, ndr ) non dovranno rafforzare il
capitale di un solo euro di più rispetto a quanto già richiesto e come da loro stesse previsto». Resta che
venerdì gli istituti hanno bruciato decine di miliardi di euro in Borsa. A innescare le vendite, un servizio del
Sole 24 Ore secondo il quale la Bce ha inviato a ciascuna banca una lettera con cui indica un "coefficiente
patrimoniale minimo" da rispettare. Nelle lettere alle banche italiane questo minimo sarebbe molto più alto
della soglia del 7% di "Core Tier 1" (CET1, il capitale di base immediatamente disponibile) previsto dagli
accordi internazionali di Basilea 3. A prima vista, è un'ulteriore richiesta di aumenti o di stretta al credito.
Una seconda occhiata invece fa capire che nonè così. Quelle lettere sono una pratica abituale dei
supervisori, fino al 2014 affidata alla vigilanza nazionale e oggi effettuata dalla Bce con Banca d'Italia. Il
comprehensive assessment ha riguardato la copertura del rischio delle banche sul credito e sui mercati
finanziari. Quelle lettere invece guardano anche a fattori come i rischi legali, operativi e sui tassi d'interesse.
Nelle lettere non si indicano nuovi coefficienti patrimoniali ma un obiettivo temporaneo, che quest'anno riflette
i risultati del comprehensive assessment . In altri termini, i requisiti di capitale più alti inseriti dalla Bce nelle
lettere sono quelli che le banche dovrebbero raggiungere se non facessero rettifiche di valore sui crediti
deteriorati emersi (o stimati) con l'esame europeo. Se invece le banche recepiranno a bilancio 2014 le
rettifiche, il coefficiente di patrimonio indicato come obiettivo verrà ridotto in misura corrispondente. L'ulteriore
capitale in più è necessario solo se non ci fosse la pulizia in bilancio. Ma quella pulizia è già avviata e gli
aumenti relativi per rafforzare il patrimonio nella gran parte dei casi sono stati realizzati prima che l'esame
europeo fosse concluso. Quanto a Carige e Mps, sui quali c'è un deficit di capitale negli stress test, sono
pubblicamente al lavoro per preparare i prossimi aumenti.
Il caso più delicato riguarda proprio Mps, venerdì crollata in Borsa dell'8,6%. Per il Monte la lettera della Bce
cita un obiettivo di patrimonio al 14,3%, a fronte di un CET1 attuale del 12,8%.
Questo non vuol dire che la Bce stia spingendo il Monte a raccogliere nuovo capitale oltre ai 2,5 miliardi del
piano già richiesto in ottobre. Il 14,3% varrebbe solo se Mps non portassea bilancio le rettifiche derivanti dal
comprehensive assessment della Bce. Ossia se non farà chiarezza delle sofferenze e non abbatterà il
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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L'ANALISI
11/01/2015
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capitale di conseguenza. Qualora lo facesse, come annunciato e previsto, quel cuscinetto in più non sarà
richiesto. «La stretta della vigilanza europea c'è stata - riconosce Panetta di Banca d'Italia - ma è quella nota
da ottobre». Ora la Bce sta solo mettendo in pratica le sue stesse regole, non senza qualche (in Borsa,
costoso) cortocircuito di comunicazione. La patrimonializzazione delle banche in Europa Capitale di migliore
qualità in rapporto al totale attivo ponderato per il rischio, dati set 2014 I M C P S A I G G F B S F S L L L P E
25 % livello medio 20 15 10 5 FONTE: ELABORAZIONE CER SU DATI BCE
Foto: BANKITALIA Fabio Panetta, classe 1959, vicedirettore generale della Banca d'Italia e supplente del
governatore nel consiglio direttivo della Banca centrale europea
11/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
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Portugal Telecom tutte le incognite dell'assemblea per decidere sulle
cessioni
La partita si intreccia con la vicenda che vede coinvolta l'italiana Tim Brasil
CARLOTTA SCOZZARI
MILANO. E' avvolto nell'incertezza l'appuntamento del 12 gennaio cui guardano Telecom Italia e gli altri
operatori interessati al mercato brasiliano. Domani si riunirà l'assemblea degli azionisti di Portugal Telecom
(Pt) Sgps, ossia la holding che possiede una quota nell'operatore nato dalla travagliata fusione tra l'omonimo
gruppo telefonico portoghese e la brasiliana Oi.
Quest'ultima, a dicembre, ha raggiunto un'intesa per cedere a 7,4 miliardi le attività telefoniche portoghesi ad
Altice, con sede in Lussemburgo e presente anche in Francia e Israele. Ma l'operazione è condizionata al via
libera degli azionisti di Pt Sgps, che non è affatto scontato diano il loro benestare. Di mezzo sembrano
esserci ragioni politiche, legate all'opportunità di vendere attività domestiche tanto delicate a un operatore
estero.
Secondo i detrattori, non era nei patti della fusione che Oi decidesse una simile cessione.
Inoltre, ad alimentare interrogativi sull'integrazione è la recente relazione dei consulenti di Pwc
sull'investimento da quasi 900 milioni di Portugal Telecom nel debito di Rioforte (operazione nel mirino della
Procura generale del Portogallo, che di recente ha perquisito nella sede di Pt Sgps), la holding della famiglia
Espirito Santo che l'estate scorsa non ha onorato i prestiti. Così, i sindacati dei lavoratori del gruppo nato
dalla fusione hanno chiesto di sospendere l'assemblea di lunedì sulla base della considerazione che non
siano valide le stesse nozze tra Portugal Telecom e Oi.
Non si sa quali siano le intenzioni dei soci di Pt Sgs (tra cui Novo Banco, nato dalle ceneri di Banco Espirito
Santo) all'appuntamento di domani, che resta avvolto dunque nell'incertezza. Se, però, alla fine, l'assemblea
dovesse esprimersi a favore della cessione delle attività portoghesi ad Altice, l'operazione, oltre che servire
per abbattere parte del debito, fornirebbe a Oi le munizioni per trattare meglio l'avvicinamento alla controllata
di Telecom Italia, Tim Brasil. A quel punto, sarà da vedere se - e nel caso come - deciderà di replicare il
gruppo italiano.
Foto: AL TIMONE Patrick Drahi, miliardario nato in Marocco, fondatore di Altice
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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IL PUNTO
12/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 19
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Piano salva-banche crediti a forte rischio venduti alla Bce con garanzia
statale**
Si trattarebbe di una specie di "bad bank". Intervento nell'ambito dei prossimi acquisti
FEDERICO FUBINI
ROMA. A Bruxelles circola in queste settimane una presentazione preparata alla Banca centrale europea. Il
suo messaggio, espresso in grafici, è inconfondibile: la stretta al credito in Italia o altrove nel Sud Europa
continua, ma non è per mancanza di liquidità. Una ragione di fondo sono le sofferenze, la montagna dei
prestiti a rischio di insolvenza (o già in default) prodotti dalla recessione e ora arenati nei bilanci delle banche.
Nasce di qui il progetto a cui Palazzo Chigi e il Tesoro stanno lavorando dopo mesi e anni di esitazioni, di
questo e dei precedenti governi. L'obiettivo è attaccare la montagna: rimuovere parte delle sofferenze, veri e
propri ostacoli che paralizzano gli istituti e ostruiscono la circolazione di credito nei canali nel sistema
finanziario. Il metodo individuato è farlo grazie agli acquisti di titoli sul mercato da parte della stessa Bce:
quello che gli addetti ai lavori chiamano "quantitative easing".
A settembre la Banca centrale guidata da Mario Draghi ha lanciato un programma di interventi su pacchetti
di titoli privati (gli Abs, assetbacked securities) fino a 500 miliardi di euro. L'idea alla quale si lavora in Italia è
far comprare alla Bce dei pacchetti di Abs che raccolgano parte dei crediti deteriorati delle banche italiane:
prestiti alle imprese o mutui alle famiglie sui quali i debitori sono in ritardo o già in parte insolventi.
Poiché si tratterebbe in gran parte di titoli di bassa qualità, la Bce verrebbe incoraggiata a comprarli grazie
alla garanzia dello Stato italiano. In altri termini la Bce verrebbe rimborsata dal Tesoro in caso di ulteriori
perdite, dopo aver acquisito quei titoli già a sconto rispetto al valore originario dei prestiti.
La proposta per liberare le banche di almeno 50 dei loro 180 miliardi di sofferenze è contenuta in un
documento già inviato a Draghi e alla Banca d'Italia. Su di essa Matteo Renzi lavora da settimane con il
Tesoro e i suoi stessi consiglieri. In realtà l'idea di intervenire per ridurre i crediti deteriorati era già stata
discussa in un incontro di quest'autunno fra lo stesso premier, il governatore della Banca d'Italia Ignazio
Visco e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan.
Rimuovere le sofferenze delle banche con un'azione di governo è una priorità per la ripresa e, da anni, un
tabù della politica. La Banca d'Italia ha pronto da tempo uno schema di "bad bank", un veicolo finanziario
sostenuto da garanzie pubbliche che riassorba dalle banche i crediti deteriorati. Per ora però non si è mai
passati dagli studi alla pratica: sia il governo di Enrico Letta che l'attuale hanno a lungo esitato di fronte alla
scelta, impopolare, di aiutare le banche con denaro dei contribuenti.
La proposta a cui si lavora in queste settimane non nasce nel governo. La firmano Franco Bassanini,
presidente della Cassa depositi e prestiti, il banchiere ed ex ministro del Bilancio Rainer Masera, gli
economisti della Cdp Edoardo Reviglio e Gino del Bufalo, l'ex direttore generale dell'Abi Giuseppe Zadra e
Marcello Minenna della Consob. Il piano si basa sul fatto che i pacchetti di crediti deteriorati, raccolti in titoli
Abs, generebbero ancora flussi di cassa dati dai pagamenti dei debitori. I titoli verrebbero segmentati in parti
a rischio piùo meno alto, con una parte intermedia ("mezzanino") coperta dalla garanzia pubblica. «Il rischio
della tranche mezzanino è allineato al rischio di credito della Repubblica italiana - si legge nel documento
Bassanini - e in questo modo potrebbe essere sottoscritto, insieme alla tranche di qualità più alta, dalla Bce».
Il tentativo è dunque di usare il quantitative easing della Bce per liberare le banche italiane della zavorra.
Circa 50 miliardi di prestiti originari posso essere venduti all'Eurotower a 20 miliardi circa. Eventuali perdite
ulteriori per circa il 40%, a causa dei default dei debitori, comporterebbero poi per il governo un indennizzo di
8 miliardi all'Eurotower. Tecnicamente non appare fuori portata, ma restano vari scogli: nessun governo
italiano ha mai osato usare denaro pubblico per le banche, anche se ciò ha poi aggravato il credit crunch e la
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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La finanza Il progetto. Ecco il documento al quale stanno lavorando governo, Bankitalia e Francoforte per
fronteggiare le sofferenze Verrebbero impacchettate in titoli cartolarizzati da cedere alla Banca centrale
europea a prezzi scontati
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recessione stessa. Se Renzi lo facesse, forse vorrebbe imporre il licenziamento dei manager che ricevono
l'aiuto tramite la Bce. I manager dunque ultimi rischiano di non voler vendere nulla all'Eurotower, pur di
conservare il loro posto a dispetto delle enormi sofferenze in bilancio che paralizzano la loro attività. C'è poi
un dubbio sul governo: l'Italia è a un solo gradino dal rating "spazzatura". Se fosse ancora declassata, la Bce
non potrebbe più accettare una garanzia così svilita. Più passano i mesi, più il tempo stesso lavora contro la
soluzione del problema più urgente. Quello che quasi nessuno ha mai voluto affrontare. PER SAPERNE DI
PIÙ www.bancaditalia.it www.ecb.europa.eu GARANZIA Il meccanismo, in pratica una specie di bad bank,
avrebbe la garanzia pubblica: lo Stato italiano rifonde la Bce in caso di perdite CARTOLARIZZAZIONE Parte
di questi crediti verrebbe impacchettata in titoli cartolarizzati (Abs) e ceduti con forte sconto alla Banca
centrale europea CREDITI DETERIORATI Le sofferenze delle banche italiane, ossia i crediti deteriorati, sono
saliti a180 miliardi I PUNTI
Le so•erenze del sistema bancario italiano
ott 2012
119.825
nov 2012
dic 2012
gen 2013
feb 2013
mar 2013
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179.255 so•erenze lorde in milioni di euro FONTE: Elaborazione Abi su dati Banca d'Italia
Foto: BANKITALIA
Foto: La proposta, sui tavoli di Visco e di Draghi, viene sostenuta dal vertice della Banca d'Italia
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L'Europa rilancia i cantieri "Investimenti fuori dal Patto Ue"
Le grandi opere e i progetti del piano Juncker non rientreranno nel calcolo del deficit. Così l'Italia avrà più
risorse da mettere in campo per la crescita
MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
Al ministero del Tesoro attendono con qualche ansia di conoscere il destino del riquadro che segna le pagine
8 e 9 delle nuove tavole europee della legge in materia di flessibilità contabile che la Commissione Ue sta
scrivendo in queste ore. Compiendo un passo nella direzione auspicata da Matteo Renzi, l'ultima bozza
introduce fra le spese ammissibili alla «Clausola d'investimento» (cioè al codice che può garantire uno sconto
sul deficit ai paesi virtuosi) i progetti cofinanziati dal fondo strategico (Efsi) del piano Juncker da 321 miliardi.
Temporaneamente, e a precise condizioni, la mossa libererebbe risorse dal Patto di Stabilità. Sarebbe un
segnale politicamente rilevante dell'equilibrio delle euroregole che si sposta da austerità a crescita. «Il
negoziato è in corso, tutto può succedere - concede una fonte europea -, però la proposta relativa all'Efsi ha
possibilità di farcela». Sino a domani i tecnici dell'esecutivo comunitario continueranno il lavoro sulla
comunicazione da cui avranno origine le linee guida della «nuova» flessibilità. Al netto di colpi di scena, il
documento sarà varato martedì. Per sapere come, bisogna attendere la fine. I leader Ue hanno promesso più
volte di sfruttare tutti i margini esistenti nei Trattati. Ma i punti di vista dei rigoristi (Germania in testa) e del
partito del sostegno alla crescita (con Italia e Francia) non sono facili da combinare. La «Clausola
d'investimento» è un'idea del luglio 2013, fu la prima risposta all'esigenza di minor rigidità del Patto che
sovrintende alla governance economica europea. In realtà, il tempo ha dimostrato che si trattava d'uno
strumento difficile da utilizzare. Il governo Letta ci ha provato, sfruttando piano di riforme e deficit sotto il 3%
del pil, tuttavia Bruxelles non ha ritenuto che avessimo le carte in regola, salvo poi ammettere che la formula
non è fatta per funzionare. Di qui la decisione di rivedere le regole e allargarne lo spettro. A caccia di fondi
Posto che la partecipazione eventuale, e alla fine probabile, dei Ventotto alla dote dell'Efsi (21 miliardi) non
sarà oggetto di contestazione qualora fosse causa dello sforamento del Patto di Stabilità, ora si valuta di non
contare nemmeno la quota nazionale dei progetti scelti col piano Juncker. Nella mente di Bruxelles, grazie
alla garanzia dell'Efsi, molti cantieri infrastrutturali potrebbero essere rilanciati attirando capitali privati. Visto
che si tratta di lavori col bollino Ue - il piano per "la Buona scuola" da 8,7 miliardi come il terzo valico della
GenovaTortona, per dirne due - i denari spesi dei governi potrebbero essere sterilizzati ai fini delle pagelle
europee, sempre che parametri come il rapporto deficit/ Pil siano nella norma. Passando nella stretta via della
«Clausola», l'Italia potrebbe ritrovarsi i miliardi extra per la scommessa sulla ripresa che Renzi chiede da
sempre. Magari di più. Soprattutto se passasse un'altra proposta sul tavolo in queste ore, cioè l'allargamento
delle maglie per considerare anche lo scorporo dei progetti cofinanziati nell'ambito della Politica strutturale e
le reti transeuropee. «Difficile, eppure possibile», dicono alla Commissione. Faciliterebbe un esito favorevole
all'Italia, il riconoscimento della singola recessione come scusa di flessibilità invece che l'intera Ue in rosso
come chiede qualcuno. Il resto è aperto: la facoltà che Bruxelles abbia più discrezione nel redigere la pagella
dei Paesi e il legame dell'intera architettura con le riforme. «Equazioni e formule», spiega una fonte. Che poi
aggiunge: «Ci saranno più margini. Però nessuno si illuda che si possa chiudere un occhio sui conti o sugli
interventi strutturali: di questo, non se ne parla».
I numeri del piano europeo Il presidente della Commissione Ue Jean•Claude Juncker
321 miliardi I finanziamenti stanziati per il piano varato dal presidente della Commissione europea Juncker
21 miliardi L'ammontare dei contributi che verseranno gli Stati europei per partecipare al piano di investimenti
2000 progetti Le iniziative presentate dall'Italia per Tlc, energia, trasporti, infrastrutture sociali e tutela della
natura
75 miliardi l'anno L'ammontare dei finanziamenti erogati dalla Banca europea degli investimenti negli ultimi
due anni
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FLESSIBILITÀ, SVOLTA DI BRUXELLES
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Alcuni progetti da approvare Lo scalo di Malpensa Per rafforzare l'aeroporto lombardo servono 225 milioni.
Ma i progetti comprendono anche porti e autostrade L'alta velocità Per far correre il treno veloce sul Terzo
valico dei Giovi fra Genova e Tortona servono almeno sei miliardi di euro La «buona scuola» Il progetto da
8,7 miliardi prevede ristrutturazione di edifici, digitalizzazione, formazione degli insegnanti e scuole innovative
La banda larga Il governo ha in cantiere un investimento per accelerare la «rivoluzione digitale», con reti più
veloci e un piano per snellire la P.a.
Foto: ALESSANDRO DI MARCO/ANSA
Foto: Il piano europeo prevede il rilancio di molti cantieri infrastrutturali
12/01/2015
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Fca a Detroit per crescere con l'Alfa
Al salone dell'auto più importante d'America Marchionne presenta la 4C Spider
PIERO BIANCO DETROIT
Gli otto mesi che hanno cambiato faccia alla galassia FiatChrysler partirono da Auburn Hills il 6 maggio
dell'anno scorso, con l'ambizioso piano industriale annunciato da Sergio Marchionne. Una svolta epocale, nei
numeri e nella sostanza. La rivoluzione, subito avviata, è andata in qualche caso oltre le previsioni: ad
esempio con il cambio di presidenza alla Ferrari e lo scorporo che porterà alla quotazione del 10% del
Cavallino «sul listino Usa e in un altro mercato europeo». In attesa dei dettagli sull'ipo, Credit Suisse ha
alzato il giudizio su Fiat a «neutral» e fissato a 9 il rapporto fra valore d'impresa ed ebitda della Rossa.
Probabilmente sarà più preciso, sulla data e sulle sedi delle quotazioni Ferrari, lo stesso Marchionne
nell'incontro con la stampa in programma stamane al Salone dell'Auto di Detroit. Il balzo di Jeep Il manager
che guida Fca può intanto esibire risultati già concreti, a testimonianza di una «visione» di crescita realistica e
di uno scenario promettente in proiezione futura. Addirittura clamoroso il balzo del marchio Jeep, passato a
1.017.019 consegne mondiali con una crescita del 39% sul 2013. E ancora non sono compresi i frutti della
nuova Renegade, in fase di lancio. Jeep sta per diventare un brand sempre più forte e globale, una bandiera
universale di Fca che si rafforzerà ulteriormente con l'inaugurazione dello stabilimento brasiliano di
Pernambuco, a marzo. Di sicuro i primi mesi della cura-Marchionne dopo la presentazione del piano
industriale hanno rinvigorito il gruppo italo-americano. Il successo in Borsa La nascita di Fca (sigla che
esordisce a livello internazionale proprio al North America Auto Show) e la successiva quotazione a Wall
Street, dal 13 ottobre, hanno prodotto un guadagno del 30%: più di quanto ottenuto dalle altre sorelle di
Detroit, General Motors e Ford. Fca ha incassato dall'operazione con gli investitori americani 3,88 miliardi di
dollari grazie alle azioni e alle obbligazioni piazzate, risorse preziose per finanziare nuovi modelli e ridurre
l'indebitamento. «È il risultato concreto del lavoro svolto negli ultimi 5 anni e mezzo», ha sintetizzato
Marchionne, che il 27 gennaio presenterà i conti del bilancio 2014. I mercati strategici A fronte di una crescita
complessiva del gruppo, con oltre 4,55 milioni di veicoli venduti e un incremento che sfiora il 6% (7° posto
nella classifica globale guidata da Volkswagen, Toyota e Gm), resta il problema dell'Europa, la cui ripresa è
ancora molto debole. In compenso, Fca si è confermata leader in Brasile e registra nel mercato
nordamericano una crescita del 16,1%. «Le vendite di dicembre sono state le più alte dell'ultimo decennio ha commentato Reid Bigland, responsabile commerciale per gli Usa - e ci hanno permesso di superare i 2
milioni di unità raggiungendo il miglior risultato dal 2006. È il 5° anno consecutivo di incremento e ancora una
volta siamo stati il costruttore con il tasso di crescita più elevato nel Paese». Vinta la sfida della Maserati (35
mila unità globali e 13 mila consegne in Usa, due record storici), la prossima tappa si chiama Alfa Romeo. A
Detroit debutta la versione definitiva della supercar compatta 4C Spider, il 24 giugno Marchionne svelerà la
berlina medio-grande che forse non si chiamerà più Giulia. Però la scalata verso le 400 mila vetture
annunciate qui si prospetta ancora difficile e sarà più lenta.
Gli eventi della settimana
Domani Decreto Ilva n Comincia in Senato (commissioni Industria e Ambiente) l'iter di conversione in legge
del provvedimento
Mercoledì Referendum n La Corte costituzionale decide se ammettere i quesiti sulla legge Fornero per le
pensioni e sui tagli dei tribunali
Giovedì La Corte su Omt n A Bruxelles la Corte di Giustizia Ue comunica il parere sul programma Omt di
acquisto dei titoli di Stato
Foto: Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo Fiat•Chrysler
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JEEP DIVENTA UN BRAND GLOBALE SEMPRE PIÙ FORTE: A MARZO VERRÀ INAUGURATO LO
STABILIMENTO IN BRASILE
12/01/2015
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In Borsa con export e lusso per difendersi dal rischio Grecia
Gli esperti: bene le aziende che vendono all'estero, le Tlc e i beni di consumo
SANDRA RICCIO
Inizio d'anno con il fiato sospeso sui mercati finanziari: dopo le prime giornate di forti vendite è tornata a farsi
spazio l'euforia per poi lasciare di nuovo il passo ai crolli. Gli operatori guardano alle mosse della Bce di
Mario Draghi che offre segnali sempre più convincenti di un lancio del «quantitative esasing» sui titoli di Stato
già il 22 gennaio. Restano immutate le preoccupazioni per la Grecia e per gli effetti sistemici del crollo del
prezzo del petrolio. Come muoversi in questo contesto di rinnovate tensioni? Gli esperti sono convinti che il
timone debba restare puntato sull'azionario. «Nonostante i mercati azionari siano scesi durante queste ultime
settimane, non ci aspettiamo che la situazione si inasprisca fino a causare situazioni critiche - dice Claudio
Barberis, responsabile assetallocation di MoneyFarm.com -. Tuttavia queste tensioni potrebbero creare un
periodo protratto di elevata volatilità e riteniamo che questo calo dei mercati azionari possa costituire un buon
momento per investire». Per l'esperto i mercati azionari europei si riprenderanno se verrà annunciato
l'acquisto di bond governativi da parte della Bce nel 2015 e i mercati azionari americani ritorneranno a salire
per il continuo miglioramento dell'economia. Meglio le azioni, quindi? «Vari segnali sembrano favorevoli ai
mercati della azioni - sostiene Marc Craquelin, direttore della Gestione di Financière de l'Echiquier -. Tra
questi ci sono un elevato premio di rischio e uno scostamento storicamente ampio tra il rendimento delle
azioni e quello delle obbligazioni corporate». Da non dimenticare poi che la flessione del prezzo del petrolio
dovrebbe rivelarsi positiva per l'Eurozona con un effetto benefico sulla domanda interna stimato dagli esperti
in uno stimolo alla crescita europea fino al +0,5%. Per questo nel mirino finiscono i titoli del consumo con
grandi gruppi della distribuzione fino alle telecomunicazioni. Naturalmente l'interesse è alto anche per i grandi
esportatori europei che potranno approfittare nei prossimi mesi di condizioni favorevoli e di un euro basso.
Tra i nomi italiani citati da Marc Craquelin ci sono Luxottica e Prysmian. La prima è apprezzata per la grande
forza di crescita all'estero mentre Prysmian piace perché «è leader del settore e il management è al top nel
comparto ed è molto focalizzato sul ritorno agli azionisti. Ci aspettiamo poi altre acquisizioni». E il mercato dei
titoli di Stato? «Se gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla soppressione globale del rischio, la fase di
normalizzazione iniziata con la conclusione del Quantitative Easing americano porterà tra l'altro a un generale
ritorno della volatilità sui mercati finanziari - spiega Donatella Principe, Institutional Business di Schroders
Italia -. Proprio attività d'investimento come i governativi italiani, per il loro grado di rischio e per la loro elevata
reattività, potrebbero quindi sperimentare più di una fase di turbolenza nel corso di quest'anno, legata in
modo particolare all'incertezza sulla tempistica del lancio del Qe da parte della Bce». Cosa fare? Per l'esperta
se la volatilità dello spread italiano non è legata a cambiamenti strutturali, in particolare nell'azione di politica
monetaria della Bce, non dovrebbe rappresentare un catalizzatore per le vendite. Sebbene oggi il rischio
associato ai Btp sia asimmetrico e il rendimento non paghi correttamente per il rischio associato, fino a
quando permane il supporto della Bce (cosiddetta Draghi put) non c'è fretta di liquidare le posizioni. La
partenza del Qe della Bce non è un'opzione ma un imperativo, specie dopo la caduta in deflazione
dell'eurozona e la necessità di liberare risorse delle banche per sostenere una ripresa economica sempre più
incerta e a rischio. Per l'esperta, il rilancio dell'azione ultra-espansiva della Bce porterà benefici ai periferici
europei, con i governativi italiani che sono l'opzione preferita dalla casa d'investimento.
Piazza Affari e Wall Street a confronto 0 % -5% 10% - LA STAMPA Indice Dow Jones Andamento
nell'ultimo anno della Borsa di Milano 2014 Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic 2015
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tutto SOLDI
12/01/2015
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Pag. 17,20
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"De Rigo, tre nuovi marchi per crescere in Usa e Cina" **
L'ad Michele Aracri: "In Italia puntiamo su design e prezzi competitivi E con la linea firmata Pininfarina ci
apriremo nuovi spazi nel lusso"
ELEONORA VALLIN LONGARONE
"Un 2015 di crescita per gli occhiali firmati De Rigo" L'AD ARACRI «All'estero oltre il 90% del nostro giro
d'affari Oggi annunciamo un accordo coi francesi di Zadig& Voltaire, a marzo con Pininfarina e da luglio
offriremo altri due marchi» IN ESPANSIONE «Tre nuove basi logistiche in Cina e un polo in Italia Ottime
performance in Turchia, Germania Bene anche il Portogallo nonostante la crisi»
Il 2015 si apre all'insegna della crescita per la bellunese De Rigo, storica produttrice di occhiali che crea e
distribuisce, oltre agli house brand Police, Sting e Lozza, dieci licenze internazionali quali: Blumarine,
Chopard, CH Carolina Herrera, Carolina Herrera New York, Escada, Furla, Givenchy, Lanvin, Loewe e Tous.
«Gli obiettivi sono molto ambiziosi» spiega l'ad Michele Aracri: ampliare le filiali all'estero presidiando meglio
le Americhe, rinforzare il portafoglio marchi e potenziare la struttura italiana. Sono trenta i giovani profili che
saranno assunti in azienda nei prossimi mesi: «Un rinforzo in funzione dei brand che aggiungeremo nel
2015» precisa Aracri. Proprio oggi il gruppo annuncia un accordo con Zadig&Voltaire. Mentre a marzo
saranno in anteprima al Mido le capsule collection Lozza sartoriale firmate Pininfarina. A luglio, anticipa
Aracri, «saremo sul mercato internazionale con due nuovi marchi». Come finanziate lo sviluppo?
«Direttamente; per fortuna l'azienda negli anni ha avuto una gestione oculata con cash in attivo e si finanzia
da sola. Tuttavia, non abbiamo mai nascosto che, di fronte a un'opportunità, saremmo aperti a una eventuale
entrata in Borsa o all'apertura del capitale». Com'è andato il business nel 2014? «De Rigo è un'azienda
solida sotto il profilo finanziario e ha attraversato un 2014 con segno positivo anche sul mercato italiano, che
molto ha sofferto. Abbiamo reagito bene, con un design più attrattivo e un aggiustamento dei listini. Su Sting,
per esempio, abbiamo definito un prezzo d'entrata tra gli 80 e i 120 euro. Abbiamo investito nella logistica,
con un nuovo polo a Longarone, per servire tutti gli ottici europei. Oggi siamo più tecnologici ed efficienti».
Qualche cifra? «Ci aspettiamo una leggera crescita sul 2013 che è stato chiuso con un consolidato di 365
milioni di euro (219 wholesale e 146 retail, ndr). Di certo non sarà a due cifre ma siamo contenti. Posso
tuttavia dire che gli investimenti complessivi nel 2014 sono stati di 25 milioni». All'estero quali Paesi trainano?
«Abbiamo avuto ottimi numeri in Europa, Russia esclusa. Si sono distinti la penisola iberica e la Francia.
Ottime performance in Turchia e Germania mentre Grecia e Portogallo, dopo qualche anno di sofferenza,
crescono a doppia cifra». Il futuro sarà sempre più Asia•Pacifico dopo l'headquarter appena inaugurato in
Cina? «Nell'area asiatica cresciamo attorno al 5%, purtroppo lo yen ci ha creato qualche problema: abbiamo
aumentato le quantità ma non il fatturato. In Giappone cresciamo del 20%, con record di vendite ma
cresciamo a due cifre anche in Middle East. In Cina De Rigo ha una sede storica a Hong Kong, ma abbiamo
deciso di investire su altre tre basi logistiche a Guangzhou, Pechino e Shanghai». Obiettivi? «La Cina ci può
dare un valore aggiunto che solo un Paese di quelle dimensioni offrire. Punteremo su Police, il nostro housebrand più forte, e Chopard che è lusso. Ma per vendere in Cina non bastano gli uffici, serve tarare il prodotto
a misura di quel mercato per design e fitting. Ci aspettiamo già ottimi risultati nel 2015». Com'è la torta dei
ricavi? «Il 60% del fatturato lo fa l'Europa, 20% Asia, 11% in America e un 9% resto del mondo. L'Italia è al
9%, stabile». L'euro debole vi aiuta in America? «Sì, non vediamo ancora segnali ma di certo porterà
benefici. In Usa la crescita è buona ma anche in Brasile: +15% a valore sul 2013». Portafoglio e licenze, cosa
insegna il caso Safilo•Kering sul marchio Gucci? «Il cambio delle licenze è un grande problema, specie per le
medio-piccole aziende che investono per anni per sviluppare brand che poi vengono scippati dai big. Noi
siamo nati con i nostri marchi aziendali: Lozza, Police, Sting che pesano per il 40% e qui continuiamo a
investire con progetti ben definiti. Nel 2014 siamo cresciuti del 5% sui brand di proprietà». Quanto a licenze?
«Sono fondamentali per essere internazionali e coprire diversi segmenti. Oggi lanciamo un nuovo accordo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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IL GRUPPO DEGLI OCCHIALI L'intervista
12/01/2015
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Pag. 17,20
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con Zadig&Voltaire e ne aggiungeremo altri due a luglio». Come si vende un occhiale sartoriale? «Lozza
sartoriale è stato presentato al Mido lo scorso anno. Fare un occhiale su misura vuol dire offrire al
consumatore la possibilità di costruirselo da solo come forma, aste, colore ma anche valorizzare la
professione dell'ottico. Quest'anno al Mido lanceremo un nuovo progetto in collaborazione con Pininfarina:
una capsule collection per fare breccia sul mercato internazionale perché Pininfarina è un marchio globale».
All'estero I Paesi che si sono distinti nel 2014 sono la Penisola Iberica e la Francia. «Vantiamo ottime
performance in Turchia e Germania», dice Aracri La logistica Nel 2014 il gruppo ha realizzato un nuovo polo
a Longarone, da cui serve tutti gli ottici europei Adesso sta consolidando le filiali sparse per il mondo
made in Italy LO SVILUPPO Ci finanziamo direttamente ma non abbiamo mai nascosto che, di fronte a
un'opportunità, saremmo pronti ad entrare in Borsa o ad aprire il nostro capitale
LA SPINTA DEL MINI•EURO Non vediamo ancora segnali ma di certo porterà benefici Negli Stati Uniti
la crescita è buona, e anche in Brasile. E dall'Asia ci aspettiamo ottimi risultati
Tecnologia ed efficienza Il 2015 si apre all'insegna della crescita per la bellunese De Rigo, storica
produttrice di occhiali che crea e distribuisce, oltre agli house brand Police, Sting e Lozza, dieci licenze
internazionali quali: Blumarine, Chopard, CH Carolina Herrera, Carolina Herrera New York, Escada, Furla,
Givenchy, Lanvin, Loewe e Tous
60
per cento La quota di fatturato realizzata in Europa L'Asia vale il 20%, l'America l'11% L'Italia è stabile al 9%
30
assunzioni Nei prossimi mesi il gruppo veneto amplierà l'organico puntando su giovani italiani laureati
Fondazione
L'azienda in cifre
1978
80
40.000
25
365
3.500 milioni Dipendenti Presenza nel mondo Investimenti circa - LA STAMPA Fatturato consolidato 2013
milioni di euro paesi con 13 società Punti vendita clienti di euro nel 2014
12/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:581000)
Federico Fubini
Mettiamoci per un attimo nei panni di un investitore di un Paese lontano, privo di affetti o di pregiudizi verso
l'Italia: una persona che ha bisogno di capire se impiegare una somma per produrre qui. Un operatore del
genere non si soffermerà sui punteggi bassi del Paese nelle classifiche della Banca Mondiale, perché sa che
ogni mercato ha difetti o punti di forza e ritiene inutili le medie generiche. Probabile invece che guardi ai
laureati in Italia e noti che sono il 12% della popolazione, contro il 22% in Francia o il 26% in Germania.
Neanche questo lo dissuaderà, perché questi sono ritardi antichi e oggi i flussi dei nuovi laureati sono simili al
resto d'Europa. Assumere ragazzi usciti dall'università del resto può convenire: in due casi su tre hanno una
preparazione adatta e costano poco, specie dopo che il Jobs Act detassa i nuovi contratti. Poi però questo
investitore estero guarderà i grandi casi industriali aperti nel Paese. Vedrà che all'Ilva il governo ha
nazionalizzato un'impresa privata cambiando apposta una legge. Qualcuno gli spiegherà che era necessario
per mantenere in funzione l'azienda e pagare i lavoratori, dopo che i vecchi azionisti sono stati raggiunti da
accuse gravissime: reati ambientali, fiscali e valutari. Al che l'investitore estero chiederà se quegli ex
proprietari per caso siano già stati condannati in via definitiva. No, gli diranno, aspettano il rinvio a giudizio ma
intanto i loro fondi sequestrati (se si trovano) verranno versati nell'azienda che non è più loro. L'investitore
estero penserà che questa sia una forzatura, magari giustificabile se esiste un vero piano del governo per
risanare l'Ilva e portarla sul mercato. No, gli diranno di nuovo: non è chiaro con quali soldi l'azienda sarà
risanata, quale sia il percorso e l'acquirente finale. A quel punto l'investitore volterà pagina, e vorrà sapere
quanto veloce sia Internet nel Paese: sempre più in futuro i grandi gruppi avranno bisogno di scambiare
enormi masse di dati in pochi attimi. Gli diranno che questa è la questione degli investimenti da fare nella rete
di Telecom Italia, un'azienda a controllo estero sulla quale non esiste dentro e intorno al governo una
strategia. Esiste una cacofonia di voci. Non è chiaro chi attorno al premier debba occuparsene e quanto
credibile forse poco - sia l'idea di scorporare la rete dal resto dell'azienda. A quel punto l'investitore estero
vorrà informarsi sul sistema finanziario. Gli diranno che la terza banca del Paese, Mps, ha attivi per 190
miliardi, ma non ha passato gli esami della vigilanza europea. Andrebbe fusa a una concorrente. Neanche in
privato però il governo ha chiarito se preferisce una solida fusione con una grande banca estera o una
soluzione più fragile con una banca nazionale, magari una delle popolari del Nord. Anche qui per ora si cerca
giusto di parare i colpi, giorno per giorno. L'investitore annuirà. Senza pregiudizi, vorrà pensarci ancora per
un po'.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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LE SCELTE INDUSTRIALI CHE MANCANO AL PAESE
12/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
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Euro-Dollaro e il gran ballo delle valute
Marcello De Cecco
Nel mese di dicembre l'Euro ha perso il 5% nei confronti del dollaro. All'inizio dell'estate scorsa era a 1,4, ora
è sceso attorno a 1,2. Euro e dollaro sono le monete delle due più grandi potenze economiche mondiali. Il
cambio che le lega è soggetto a oscillazioni rapide e profonde anche perché le autorità europee e quelle
americane attivano le proprie politiche monetarie principalmente per motivi di ordine economico interno, con
poco riguardo ai riflessi di esse sul cambio. Ma il rapporto euro-dollaro è influenzato anche da avvenimenti
politici e strategici di primaria importanza. C'è la crisi ucraina, che minaccia direttamente l'Europa. Ma anche
il prezzo del petrolio è uno dei protagonisti permanenti di questa storia. Il ritorno degli Stati Uniti come grande
produttore di petrolio estratto con il nuovo metodo della fratturazione conferisce forza al dollaro. Le reazioni
dell'Arabia Saudita, che non vuole perdere quote di mercato e aumenta le vendite facendo cadere i prezzi,
mettono in difficoltà Russia e Venezuela, che hanno il petrolio come principale componente delle
esportazioni, ma non bastano a ridurre la forza che la nuova produzione di petrolio conferisce al dollaro.
segue a pagina 10 segue dalla prima Le reazioni dell'Arabia Saudita, che non vuole perdere quote di mercato
e aumenta le vendite facendo cadere i prezzi riescono a mettere in difficoltà paesi come Russia e Venezuela,
ma non bastano a ridurre la forza che la nuova produzione di petrolio conferisce al dollaro. Dopo la crisi
ucraina, la variabile più importante è l'andamento assai differente delle economie della zona Euro e di quella
statunitense. L'Eurozona cade ufficialmente in deflazione e questo fa aumentare le aspettative di un
intervento massiccio da parte della Bce, che potrebbe addirittura iniziare a comprare titoli dal mercato, inclusi
i titoli di stato, mentre finora ha rifinanziato le banche della zona Euro, come prevede il suo statuto. La parte
meno informata del mercato finanziario continua a credere che, allo stesso tempo, la Federal Reserve
comincerà una manovra restrittiva, per tornare a metodi più ortodossi della gestione della politica monetaria.
Si può tuttavia dubitare del realismo di entrambe queste ipotesi. Innanzitutto, perché non si sono affatto arresi
quelli che, in Germania, osteggiano una manovra di acquisto massiccio di titoli da parte della Bce. Ma anche
perché un cambiamento radicale della politica monetaria americana in senso restrittivo trova negli Usa
parecchi che lo osteggiano. Il rafforzamento cospicuo e rapido del dollaro gioca a favore di un mantenimento
dello status quo in entrambe le aree. Il dollaro forte, infatti, favorisce le spese americane all'estero e
scoraggia le esportazioni dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo l'euro debole incoraggia le esportazioni europee
verso gli Stati Uniti e rende meno pressanti le istanze di coloro che nei paesi deboli reclamano un deciso
intervento espansivo da parte della Bce. Attorno al cruciale cambio eurodollaro si pongono, nell'anno che si
apre, anche i dilemmi dei cambi di paesi come Gran Bretagna, Giappone e Cina. Nella parte più esterna del
cerchio al cui centro è il cambio tra euro e dollaro, ci sono infine le valute dei paesi emergenti, fortemente
influenzati dai movimenti di capitali a breve che originano nei paesi finanziariamente più importanti. Un
rafforzamento del dollaro spesso fa da supporto anche alla sterlina. Ma nel 2015 si svolgeranno in Gran
Bretagna cruciali elezioni politiche, animate dal nuovo partito isolazionista Ukip, che rischia di minacciare
seriamente la maggioranza dei conservatori e spingerli ad azioni estremistiche contro l'Europa. La parte più
aperta alle transazioni internazionali dell'economia britannica ha manifestato la propria preoccupazione per
queste tendenze isolazionistiche, che minacciano seriamente il ruolo assunto da Londra di piazza finanziaria
di tutta l'Europa. In vista di tutti questi elementi, la sterlina è crollata contro l'Euro mentre il dollaro cresceva.
Nella minaccia di un referendum incerto, ma forse anche per evitarlo, chi ha sterline le vende. Una cruciale
coppia di monete è poi certamente quella costituita da Yen e Yuan-Renmimbi. Nel corso dell'anno il
raffreddamento dell'economia cinese e il tentativo di cambiamento del modello di sviluppo dell'economia
hanno causato la riduzione delle importazioni di materie prime e beni di investimento. Essa spiega in buona
parte la debolezza recente dei prezzi delle materie prime e delle monete dei paesi che le producono. Il
cambio di rotta economica da parte cinese induce una riduzione del ritmo di crescita anche nei paesi che
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[ IL COMMENTO ]
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forniscono beni industriali e investimenti privati alla Cina. Quindi, nell'area, innanzitutto il Giappone, ma anche
la Corea del Sud e Taiwan. La diminuzione della domanda cinese spiega il moderato successo della forte
svalutazione dello Yen voluta da Shinzo Abe, che invece è stata più efficace verso altre aree. Concludendo,
da una situazione politica internazionale in deterioramento possiamo aspettarci il rafforzamento del dollaro
per il cosiddetto "effetto porto sicuro". Ma è anche bene ricordare, guardando al grafico dell'intera vita del
cambio euro-dollaro, che il livello attuale è stato raggiunto altre volte, incluso il 1999, quando fu introdotto
l'Euro, anche se l'avvio della sua circolazione avvenne nel 2002. Tutti ricordano la fase di estrema debolezza
che seguì l'inaugurazione della moneta europea, quando il cambio toccò lo 0,8 verso il dollaro. Allora il
malato d'Europa era la Germania e la si poteva curare solo con l'Euro ultra debole. L'inizio della circolazione
delle banconote Euro coincise con una decisa risalita del cambio, che culminò nell'1,59 toccato ad aprile del
2008. Essa si spiega in buona parte con la straordinaria politica monetaria espansiva americana di quegli
anni, giustificata prima dalla recessione dopo la bolla Ict e dall'attacco dell'11 settembre, poi dalla guerra
contro l'Iraq. Lo scoppio della bolla immobiliare-creditizia americana del 2008 e la recessione mondiale
spiegano l'andamento successivo del cambio, che alterna fasi di rialzo e ribasso rapide e profonde. Le
politiche monetarie non ortodosse americane ed europee spiegano le montagne russe del cambio. Ma la non
ortodossia europea è moderata dalla difficoltà di far fronte all'attacco, degno di Martin Lutero, dell'intera
nazione tedesca contro l'espansione monetaria che la congiuntura europea disperatamente richiede.
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Pronto il piano della Bce quattro opzioni per Draghi
Giovanni Pons
Facile dire "Quantitative easing", una delle espressioni più utilizzate ultimamente da giornali, commentatori
economici e addetti ai lavori e la cui popolarità cresce di giorno in giorno. Ma è difficile spiegare
effettivamente che cos'è il Qe che Mario Draghi, il banchiere italiano che guida la Banca Centrale Europea, si
appresta a lanciare sul territorio dell'eurozona, ufficialmente per salvaguardare la stabilità dei prezzi. Può
facilmente diventare un passaggio storico per l'intera economia europea o un grande flop. segue a pagina 4 Il
compito che Draghi ha davanti a sé è più arduo di quello affrontato dai suoi colleghi della Fed, della Bank of
England e della Bank of Japan, dal 2009 a oggi. I loro programmi di quantitative easing erano
obbiettivamente più semplici perché si rivolgevano a un solo paese. Il problema di Draghi è che in Europa
esistono 19 paesi nell'euro e 28 partecipanti alla Ue ognuno con proprie emissioni di titoli di stato. Dunque la
metodologia con cui procederà agli acquisti sul mercato sarà determinante e probabilmente in grado di
discriminare questo o quel paese. In più Draghi deve far fronte alla fronda interna al Consiglio della Bce,
guidata dal tedesco Jens Weidmann che si porta dietro almeno gli olandesi, con l'intento di impedire che gli
acquisti a pioggia di bond vadano in qualche modo a pesare sui bilanci degli Stati e quindi in ultima stanza sui
contribuenti. Infine Draghi deve combattere contro lo scetticismo degli economisti, la maggior parte dei quali
non è sicura che l'effetto finale del Qe possa tradursi in una ripresa dell'economia e quindi dell'inflazione
verso la soglia minima del 2%, obiettivo esistenziale della Bce. Insomma una lunga serie di incognite
circonda questo passaggio della politica monetaria europea e molte sono difficili da comprendere per il
cittadino che però dovrebbe godere dei suoi benefici. Vediamo di dipanare almeno in parte la matassa.
Indebolire l'euro . Il primo effetto tangibile del Qe è quello di deprimere il cambio attraverso la creazione di
base monetaria aggiuntiva. Si comprano i titoli di stato i cui rendimenti scendono e per questa via vi saranno
meno afflussi di denaro verso i titoli denominati in euro. La svalutazione dell'euro è già in corso da qualche
mese come diretta conseguenza degli annunci che via via Draghi ha fatto. Da 1,38 dollari per un euro si è
passati a 1,18 ma l'obiettivo dovrebbe essere quello di arrivare ancora più giù. «È inevitabile che l'euro si
indebolisca, solo con lo shale gas gli Usa hanno guadagnato il 4-5% di competitività rispetto all'Europa. Il Qe
deve avere l'obiettivo di abbattere il cambio fino a 1-1,1 contro il dollaro e di sollecitare i governi a continuare
sul terreno delle riforme strutturali», osserva Davide Serra, fondatore e gestore dei fondi Algebris basati a
Londra. Dai suoi conti il petrolio sotto i 60 dollari al barile vale per l'Italia uno 0,4% di Pil mentre ogni 10
centesimi di svalutazione dell'euro aumentano del 10% le esportazioni delle aziende. L'effetto combinato di
valuta e petrolio dovrebbe far uscire l'Europa dal tunnel della recessione e portare una ripresa sostenuta. Le
banche impiombate. Draghi si è convinto della necessità di un Qe sui titoli di Stato perché i tentativi fin qui
portati avanti di far affluire liquidità all'economia reale non hanno funzionato. La cinghia di trasmissione si è
inceppata. I primi prestiti alle banche di inizio 2012 si sono tradotti in profitti per gli istituti attraverso gli
impieghi in titoli di Stato ma non si sono trasformati in maggiori prestiti alle imprese. Anche le più recenti aste
"Tltro" finalizzate all'economia reale, hanno registrato bassa richiesta da parte del sistema bancario (212
miliardi sugli oltre 400 previsti). «Il declassamento del rischio paese e i maggiori requisiti di capitale richiesti
dagli organismi di sorveglianza inducono le banche a chiedere uno spread più alto sugli impieghi per
remunerare il capitale», spiega Davide Grignani, responsabile Financial institutions di Société Générale a
Milano. Il risultato è che in Italia e in altri Paesi i crediti in sofferenza rappresentano il problema principale e le
erogazioni di prestiti alle imprese è diventata più selettiva. Le aziende sane che chiedono soldi per aumentare
gli investimenti quelle export-oriented mentre le altre sono guardate con diffidenza. Il cavallo non beve, come
si dice in questi casi. E le banche non gli danno da bere. Incognita Grecia. «Il Qe potrebbe incidere ancor di
più sul cambio rinvigorendo la crescita delle esportazioni visto che il 50% dei ricavi delle imprese viene da
fuori dell'area euro», spiega Maria Paola Toschi, market strategist di JP Morgan Asset Management. «Draghi
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L'OPERAZIONE "QUANTITATIVE EASING"
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ha creato una forte aspettativa sul Qe e se questo non dovesse essere risolutivo sorgerebbe un altro
problema per la Bce». Il percorso è accidentato e lo spettro di una nuova crisi della Grecia è tornato a
materializzarsi nelle scorse settimane. Con una vittoria di Tsipras alle elezioni del 25 (3 giorni dopo la
riunione della Bce) il tema della rinegoziazione del debito greco tornerebbe d'attualità e il percorso di austerity
imposto dalla Troika (Bce, Ue, Fmi) messo in dubbio. A questo punto il dilemma di Draghi è il seguente: se
include i titoli di stato greci nel Qe solleva le proteste della Germania e degli altri paesi rigoristi; se discrimina
la Grecia con il Qe il mercato potrebbe pensare che la Germania e le nazioni forti hanno deciso di lasciare la
Grecia al suo destino anche fuori dall'euro, come è stato paventato dai giornali tedeschi nei giorni scorsi.
«Un'eventuale perdita sui titoli greci andrebbe a pesare sul bilancio della Bce e quindi sugli Stati
partecipanti», ricorda Serra. «La Bce dovrebbe dire ai governi: vi compro i titoli di stato se fate una serie di
riforme». Quattro tipi di Qe . È cruciale la modalità che verrà scelta dalla Bce per realizzare l'agognato Qe. Le
indiscrezioni dei giornali tedeschi e olandesi riferiscono di gruppi interni di studio su almeno quattro modalità.
La prima, la più semplice, vedrebbe gli acquisti di titoli di stato effettuati in proporzione alle quote di
partecipazione delle banche centrali alla Bce, che riflettono bene o male il Pil dei singoli paesi. Ma poiché alla
Bce partecipano anche le nazioni che aderiscono alla Ue ma non all'euro, come la Gran Bretagna, ciò
vorrebbe dire acquistare anche titoli del debito inglese o della Bulgaria. La seconda ipotesi è che la Bce
compri titoli in relazione alla quantità di bond già emessi oggi sui mercati dai singoli paesi. In questo l'Italia
sarebbe avvantaggiata dagli acquisti avendo circa 1600-1700 miliardi di titoli di stato "outstanding". La terza
opzione pone come discriminante per gli acquisti i rating dei titoli emessi. La Bce potrebbe comprare solo i
titoli AAA oppure scendere fino a BBB-, cioè quelli investment grade tagliando così fuori la Grecia e Cipro.
L'effetto di concentrare gli acquisti sui titoli più "solidi" dovrebbe essere quello di indurre gli attuali possessori
di quei titoli a vendere, visti i rendimenti che diventano negativi, e a riposizionarsi su asset più rischiosi. Il
quarto spartiacque potrebbe invece far riferimento al rispetto delle regole Ue sui bilanci pubblici e utilizzare
questa via potrebbe essere un altro modo per tener fuori dal Qe quei paesi che appaiono meno affidabili sul
fronte del rispetto dei conti. L'ultimo compromesso di Draghi con i tedeschi sarebbe quello di far comprare i
titoli in questione alle singole banche centrali nazionali, in modo da non pesare direttamente sul bilancio della
Bce e quindi sugli Stati. Ma anche questa modalità presenta controindicazioni di mercato. Se non funziona?
Non ci sono solo i dubbi degli economisti: lo stesso Draghi ha più volte ripetuto che la politica monetaria da
sola non basta per far ripartire l'Europa. E ha avvertito i governi e la politica che tocca a loro incidere con le
riforme e la politica fiscale. «Il cambio favorevole e la bolletta energetica più bassa potrebbero non essere
sufficienti - avverte Grignani - occorre stimolare la domanda interna per consumi e investimenti che in questo
momento, almeno in Italia, è ai minimi storici. Occorrono riforme strutturali e un coordinamento europeo per
liberare risorse abbassando la pressione fiscale». Se ciò non succedesse gli effetti del Qe, in gran parte già
nei prezzi, verrebbero vanificati. Peggio, senza una solida ripresa i paesi ad alto indebitamento come l'Italia
vedrebbero il loro rapporto debito/Pil crescere a dismisura fino a rendere necessaria una ristrutturazione che
sarebbe dolorosa per tutti, trattandosi del terzo o quarto debito del mondo in valore assoluto. Un'eventualità
che anche i tedeschi cercheranno di scongiurare in tutti i modi. S. DI MEO
Foto: Il presidente della Bce, Mario Draghi : è molto probabile che annuncerà il Qe il 22 gennaio
Foto: Nel grafico in alto a sinistra, l'inarrestabile avanzata della deflazione che ha investito l'economia
europea: solo il "Qe" che aumenta di molto la massa monetaria in circolazione, può contrastarla decisamente
Il leader di Syriza e favorito alle elezioni greche Alexis Tsipras (1); il presidente della Bundesbank Jens
Weidmann (2); il finanziere Davide Serra (3)
Foto: Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente della Bce, Mario Draghi , i due maggiori protagonisti
della politica economica europea
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Varoufakis il greco-texano che fa paura ai mercati
Eugenio Occorsio
a pagina 6 «Ho 54 anni, e non ne posso più: sono cresciuto con la dittatura dei colonnelli e mi ritrovo sotto la
tirannia delle banche e degli economisti sedicenti liberisti». Ma forse Yanis Varoufakis, che si presenta con
quest'amara autoironia, sta per smetterla di girare il mondo alla ricerca di una nazione veramente libera: se
tutto andrà secondo le previsioni, fra due settimane sarà ministro dell'Economia del suo Paese, la Grecia.
Gliel'ha promesso Alexis Tsipras, capo di Syriza e tutt'ora accreditato di un 3% di vantaggio su Nuova
Democrazia, il partito del premier uscente Antonis Samaras. Che è, neanche a dirlo, il più grande dei bugiardi
secondo Varoufakis: «Ha messo in giro questa voce che la Grecia sia in ripresa, solo perché ha chiuso un
trimestre (il terzo del 2014, ndr ) con un aumento del Pil dello 0,7%. Ma a parte che non significa niente
perché siamo in deflazione e i prezzi scendono dell'1,9% e quindi la somma algebrica sarebbe tutta un'altra,
di quale ripresa parla? Ma gira, Samaras, per le strade di Atene? Le vede le file dei disoccupati, di chi va a
mangiare alla Caritas e fruga nei cassonetti? Ma si è accorto che per dare retta all'Europa che ci impone di
privatizzare tutto il possibile a marce forzate abbiamo svenduto beni inestimabili a una serie di lestofanti?
Guardi, mi creda, la Grecia è ancora nel profondo di una spaventosa depressione che dura da sette anni». Il
rimedio? Ovviamente «cambiare governo». Sbaglierebbe però chi definisse Varoufakis solo un massimalista
di sinistra, uno che usa questi toni perché è in campagna elettorale. In realtà è più realista, dialogante e
metodico di quanto si potrebbe pensare. E di quanto indicherebbe il suo aspetto da duro, con quella faccia da
pugile a riposo che ama ripetere "When the going gets tough, the tough gets going", che non sarebbe altro
che "quando il gioco si fa duro...". Invece c'è proprio lui, il guru economico di Syriza, dietro il cambiamento
forse decisivo di atteggiamento internazionale di Tsipras. E' avvenuto un paio di settimane fa. Fino a quel
momento il leader di Syriza aveva costruito il suo successo politico su uno slogan tanto semplice quanto
irresistibile: "Basta con i sacrifici, la Grecia fuori dall'euro". Poi, all'improvviso questa minaccia è sparita e
Tsipras ha cominciato a parlare di comprehensive agreement , un accordo complessivo che risolva la
situazione senza drammi. Anche perché dai sondaggi pre-elettorali si è scoperto che il 74% dei greci
nell'euro, malgrado tutto quello che gli costa, ci vuole restare. I due protagonisti di questa battaglia sembrano
essersi divisi perfettamente i compiti: Tsipras è l'oratore, il demagogo, il catturapopolo, Varoufakis è
l'eminenza grigia e anche il tecnico di profonda esperienza che suggerisce le formule giuste. «L'euro è stato
costruito malissimo, e manderei a processo chi ne ha formulato le technicalities », dice Varoufakis. «Per la
Grecia, ma anche per tanti altri a partire dall'Italia, sarebbe stato molto meglio starne alla larga fin dall'inizio.
È crollato miseramente sotto i colpi della crisi finanziaria americana del 2008 e non si è più ripreso perché le
cure sono state le più sbagliate possibile. Ma ormai a bordo ci siamo e indietro non si torna. È come una nave
che in mezzo all'Atlantico comincia a imbarcare acqua. Vogliamo metterci a fare il processo agli ingegneri che
l'hanno costruita mentre stiamo per affondare? L'unica cosa da fare è mettercela tutta e arrivare sull'altra
sponda». Ed è su questo "mettercela tutta" che Varoufakis ha concepito la sua ricetta, che è diventata la
piattaforma economica di Syriza ma prima aveva riassunto in un libro intitolato "Una modesta proposta per
risolvere la crisi dell'euro», scritto a quattro mani con James Galbraith (figlio del grande John Kenneth
Galbraith che era stato l'economista di Kennedy), suo collega alla Lindon Johnson University di Austin,
Texas, dove attualmente insegna economia politica dopo un giro del mondo che l'ha portato dall'Australia
all'Inghilterra, e infine in America. La proposta "complessiva" comprende un ampio raggio di misure interne di
razionalizzazione e riduzione della spesa, ma il tutto si basa sull'assunto che pretendere che la Grecia, così
come forse altri debitori in difficoltà, sia costretto a pagare nei tempi previsti fino all'ultimo euro di debito,
rappresenta un supplizio irragionevole. «È solo una tortura inutile, condotta oltretutto a carico di chi, per
quanto abbia buona volontà, non ce la farà mai a rientrare nei termini previsti. Aggrava la situazione in una
spirale di dolore infinita». Varoufakis aveva coniato in un'intervista proprio a Repubblica che ha anche inserito
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INTERVISTA [ IL PERSONAGGIO ]
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nel suo sito, il termine "fiscal waterboarding" come la peggiore delle torture della Cia in versione finanziaria,
«ma forse era un po' forte», ammette ora. Sta di fatto che se Syriza vincerà, chiederà «entro i primi cento
giorni di governo», assicura Varoufakis, una completa rinegoziazione del suo debito estero, detenuto ormai in
massima parte (81%) dai tre membri della Troika. Tassi molto più agevolati per tutte e tre le fattispecie di
creditori: Bce, Fmi, Paesi europei, Fondo salvastati (per la verità sono stati già rinegoziati più volte e la media
è scesa dal 3,5 all'1,5%). E scadenze dilazionate «senza un termine prefissato, almeno la parte dovuta alla
Bce: cominceremo a restituire quando si sarà ripristinata una crescita adeguata». Ma quante possibilità,
ammesso che un capo di governo come la Merkel porti questa proposta all'approvazione del Bundestag,
quante possibilità esistono perché passi? «Non lo so, ma noi non cederemo. È la nostra linea rossa, non
arretreremo. E poi, almeno per la parte di debito in mano alla Bce, ci è dovuto». E perché? «Perché quando
nel 2011 ci fu la ristrutturazione del debito greco, le banche avevano già pensato bene di liberarsi dei titoli
cedendoli alla Bce. La quale era esente dall' haircut e così nessuno ha perso niente. Ci sono rimasti impigliati
solo i debitori privati. È stata un'ingiustizia e una manifestazione di arroganza da parte del sistema finanziario
alla quale ora c'è l'occasione di porre rimedio». Ma quello che fa più infuriare Varoufakis, economista di pura
marca keynesiana, è l'intromissione «in una campagna elettorale democratica». Due sono i colpevoli: la
Merkel, naturalmente, e Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione reo di aver detto di «fare
attenzione» alle idee di Syriza in economia. «Juncker- accusa Varoufakis - dimostra un profondo disprezzo
per la democrazia e un atteggiamento neocoloniale che si fa beffa dell'idea secondo cui l'Unione rispetta la
sovranità dei suoi stati membri». In teoria, aggiunge l'economista ateniese, «dovrebbe essere la
Commissione europea ad essere tenuta a rispondere delle sue scelte di fronte ai cittadini degli Stati membri,
e non i cittadini ad essere tenuti a rispondere delle loro scelte di fronte alla Commissione. E per definizione la
Commissione non può esprimere alcun giudizio di merito sull'esito di un'elezione, figurarsi se può indicare il
candidato giusto e quello sbagliato». Il problema resta: i mercati sono ora nella fase in cui pensano che,
d'accordo, vinca il migliore ad Atene. Ma se arrivano Tsipras e Varoufakis con le loro richieste e queste non
vengono accolte, cosa succede? MINISTERO DELLE FINANZE GRECO, UBS , S. DI MEO [ LA BIOGRAFIA
] Da Atene ad Atene via Austin e Sydney alla ricerca del pensiero libero
Yanis Varoufakis aveva sei anni nel 1967 quando con un colpo di Stato i militari presero il governo ad Atene.
Ci resteranno fino al 1974, e furono anni, ricorda l'economista, di profonda sofferenza, di maturazione ma
anche di incertezza. Tanto che, visto che anche dopo il ripristino della democrazia la situazione non era
stabilizzata, nel 1977 se ne andò in Gran Bretagna a studiare economia all'Università di Essex, dove poi
divenne professore nel 1982. «Ma nella notte della terza vittoria della Thatcher nell'87 - racconta - mi dissi: è
troppo. Cominciai a cercarmi un'alternativa e per fortuna nell'88 arrivò una chiamata dalla Sydney University,
dove insegnai fino al 2000 non senza tenere anche corsi a Glasgow e Lovanio». Ma poi anche l'Australia
svoltò a destra, «con un piccoletto odioso di nome John Howard». E fu la volta del rientro all'Università di
Atene, «anche perché avevo una nostalgia tremenda». Ma per colmo di sfortuna piombò sulla Grecia la crisi
economica, e nel 2010 l'ateneo fu costretto a chiudere fra gli altri proprio il suo istituto, l'International Doctoral
Program in Economics. Sono anche gli anni dell'impegno in politica, e dell'amicizia con Tsipras che culminerà
con un articolo che Varoufakis scrisse per il New York Times poco più di un anno fa proponendo il capo di
Syriza come presidente della Commissione europea. «Che straordinario segno di buona volontà e di
solidarietà sarebbe stato. Il problema era che avrebbe rovesciato la politica economica dell'Unione, e la
Merkel lo fermò». Intanto il comitato centrale (si chiama proprio così) di Syriza l'ha nominato economista di
riferimento e lui ha scritto la parte economica del programma pur essendosi nel frattempo trasferito in
America: l'Università di Atene l'aveva mantenuto nel ruolo di capo dipartimento, ma lui nel 2011 ha avuto
l'offerta dall'università di Austin, allora ha preso un'aspettativa senza stipendio ed è risalito sull'aereo. Salvo
tornare in questi giorni ad Atene per la campagna elettorale.
Foto: L'economista di Syriza Yanis Varoufakis visto da Dariush Radpour ; a fianco, le scadenze dei bond
greci compresi quelli trentennali dell'ultima tranche dei prestiti della Troika in via di erogazione
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Poste, parte la rivoluzione di Caio
Marco Panara
Il problema delle Poste sono le poste. Il servizio per il quale sono nate, distribuire lettere e pacchi, è in crisi
profonda, mangia i margini prodotti dalle altre attività del gruppo e alla lunga, senza una cura seria, è
insostenibile. «Gli italiani inviano meno corrispondenza dei cittadini di altri paesi, la riduzione della
corrispondenza cartacea è più forte che altrove, gli operatori privati, in un settore apertissimo alla
concorrenza, negli anni scorsi anni hanno avuto la capacità di assicurarsi i servizi più lucrosi». Francesco
Caio, amministratore delegato di Poste Italiane dal maggio scorso, dopo aver fatto la diagnosi, con il piano
industriale presentato in dicembre ha indicato anche la terapia. Che sarà lunga: cinque anni contro i consueti
tre. «Perché ci vogliono orizzonti temporali coerenti. L'innovazione sono le start up, i prodotti tecnologici, ma
anche le infrastrutture e un mutamento culturale». Una cura ambiziosa. «Poste Italiane può essere un motore
di sviluppo inclusivo nella transizione epocale verso l'economia digitale, utilizzando strumenti e meccanismi
semplici e alla portata di tutti». Cosa c'entrano le Poste con lo sviluppo inclusivo? «L'idea di un modello di
sviluppo inclusivo ci è venuta dalla constatazione di quanto la digitalizzazione sia divisiva e crei un fossato
sempre più largo tra chi ha la cultura digitale e chi non ce l'ha». segue a pagina 2 IL SERVIZIO
UNIVERSALE OGGI NON HA MARGINI MA NON VA TAGLIATO: VA SNELLITO SALVANDO LA SUA
CAPILLARITÀ E FAMILIARITÀ PER GLI UTENTI PER LANCIARE PRODOTTI PIÙ AVANZATI: DALLE
POLIZZE DI VIAGGIO AI PAGAMENTI ONLINE Italia è molto indietro rispetto agli altri principali paesi
europei nell'e-commerce come nei pagamenti non cash, la ragione è un divario tra gli utilizzatori che è lo
specchio del divario delle conoscenze. Poste è, e ancora di più sarà, una porta tra - diciamo così il mondo
analogico e il mondo digitale, una porta aperta a tutti perché arriva ovunque». Lei è arrivato alla guida del
gruppo otto mesi fa, che azienda ha trovato? «Un'azienda con una centralità delle relazioni umane, sia
interne che soprattutto esterne, dai portalettere agli uffici postali, che non avevo mai visto. Un'azienda che si
è trasformata da ente pubblico in spa, poi si è reinventata aprendosi su molti fronti, dalle assicurazioni, alla
telefonia. Un gruppo che sta soffrendo una compressione importante dei margini soprattutto nella
componente postale tradizionale, dove c'è una tendenza inerziale che se non corretta è insostenibile. E infine
un gruppo che nella proiezione verso l'esterno non ha valorizzato appieno il ruolo sistemico che può giocare,
a cominciare da una raccolta di risparmio che raggiunge 420 miliardi e che richiede una cura e una riflessione
attenta». In effetti Poste è diventata tante cose, banca e assicurazione, compagnia telefonica e azienda
logistica. Sono troppe? «Occorre in effetti una nuova reinvenzione, che passa per una semplificazione e una
concentrazione su tre mestieri, la logistica, i pagamenti e le transazioni bancarie, la raccolta e la gestione del
risparmio». Il buco nero sembra essere la logistica. «La corrispondenza tradizionale è in crisi con volumi
calanti e costi elevati. Dal 2012 i volumi, già bassi, sono crollati del 13 per cento l'anno e il servizio universale,
così come è stato disegnato fino ad ora, non solo non risponde più alle esigenze degli utenti ma non è
economicamente sostenibile. Nella consegna dei pacchi, che invece è un settore in crescita e che lo sarà
ancora di più con la diffusione dell'e-commerce, Poste ha solo il 10 per cento del mercato, una quota
decisamente troppo bassa per una struttura che ha una rete come la nostra». E infatti il piano strategico si
basa su una revisione del servizio universale del quale però non sono ancora chiari i parametri. «La base
normativa del nuovo servizio universale è stata fissata con la Legge di Stabilità, da alcuni mesi inoltre è in
corso un dialogo con il ministero dello Sviluppo Economico, che è la nostra controparte, che porterà ad una
definizione del contratto entro febbraio. L'ultima parola spetterà poi all'AgCom e dovremo definire il tutto entro
la fine di marzo». Avremo un servizio universale meno universale? «Avremo semplicemente un servizio
universale più razionale e più sostenibile. Abbiamo ascoltato i nostri utenti e le associazioni dei consumatori e
ne emerge che quello che conta per gli utenti più che la velocità è la certezza della consegna. Che la lettera
ci metta due giorni invece di uno non cambia molto, l'importante è essere sicuri che arrivi. Per la velocità
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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INTERVISTA
12/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
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utenti e imprese sono già abituati a pagare di più, sia che acquistino su Amazon sia che utilizzino altri servizi,
accadrà lo stesso con le Poste». Licenzierete postini? «Non licenzieremo nessuno. Il piano industriale
prevede che si confermi il programma avviato nel 2010 per turn over e uscite agevolate finanziate
dall'azienda e prevede anche 8 mila assunzioni, nonché 3 milioni di ore di formazione». Secondo la Cisl negli
ultimi anni sarebbero usciti 4mila-4.500 dipendenti l'anno. In cinque anni, i tempi del piano, fanno circa 20
mila, contando le 8mila assunzioni sarebbero circa 12 mila dipendenti in meno. «Non ci siamo dati obiettivi
numerici sui dipendenti, ci siamo dati obiettivi qualitativi, e i 3 milioni di ore di formazione sono l'indicazione
più importante di tutto il piano su quanto puntiamo sulle risorse umane per migliorare i servizi del gruppo».
Per la consegna dei pacchi vi siete dati un obiettivo ambizioso, il 30 per cento del mercato, il triplo della quota
att u a l e . C o m e pensate di arrivarci? «Con l'integrazione dei servizi. Ai clienti possiamo offrire oltre alla
consegna a domicilio anche nel più vicino ufficio postale, e ne abbiamo 13mila, nonché il pagamento alla
consegna con la dotazione dei portalettere con pos mobili. Non sono in molti che possono offrire altrettanto».
13 mila sportelli sono troppi? Ne chiuderete? «Da una parte abbiamo chiesto di chiudere 500 sportelli monodipendente che hanno in media meno di 30 clienti, dall'altra in molti luoghi abbiamo aumentato l'orario di
apertura». Ma per logistica e corrispondenza, con lo Stato che vuole contribuire sempre meno ai costi del
servizio universale, riuscirete a raggiungere il pareggio? «Ci avvicineremo, con le correzioni che ci
apprestiamo a fare recupereremo la sostenibilità perduta». Mi sembra che lei ponga molta attenzione al
settore del risparmio, ma in gran parte a gestirlo è la Cassa Depositi e Prestiti. «Tutti e tre i nostri business
sono importanti per Poste. Per quanto riguarda il risparmio la raccolta complessiva supera oggi 420 miliardi e
a fine piano contiamo di essere a 500. Il risparmio postale è il primo pilastro, sono i 320 miliardi che gestisce
la Cassa, il resto sono soprattutto assicurazioni sulla vita, ma stiamo pensando a inserire altri strumenti». Con
quale obiettivo? «In un contesto di tassi bassi, se vogliamo allargare la fascia di mercato di chi può accedere
a investimenti più redditizi le Poste possono fare la loro parte, per esempio con l'offerta di fondi. Io vedo in
questo un ruolo strategico delle Poste, sia come ho detto per allargare la platea degli investitori ma anche
come ponte tra risparmio ed economia reale». Vuol dire che investirete nelle imprese? «Non investiremo né
presteremo soldi alle imprese, ma ci sono fondi infrastrutturali e di altro tipo attraverso i quali si può
contribuire alla modernizzazione del paese». L'assicurazione è la gallina dalle uova d'oro del gruppo, che
sviluppo prevede? «Oltre al settore Vita, nel quale è diventata uno dei primi operatori italiani, abbiamo
intenzione di occuparci della protezione della casa e della salute, anche qui per avvicinarci all'Europa». Tra
logistica, raccolta del risparmio e sistemi di pagamento, cosa c'è in comune? «La linea logica che unisce i
nostri diversi mestieri è la capillarità della rete che dà vicinanza al cliente e il patrimonio di fiducia accumulato
negli anni». Che ha trovato un intoppo nell'indagine della Consob che ha rilevato alcune incongruenze nella
valutazione della disponibilità al rischio dei clienti. «L'indagine si riferisce al periodo 2011-2013. Il Cda
peraltro ha già adottato tutte le azioni necessarie per adeguare le attività di Poste alle indicazioni della
Commissione». Poste è caratterizzata da una forte burocrazia interna e da ancora più forte influenza
sindacale. Sono un ostacolo a quella che lei definisce una "seconda reinvenzione" del gruppo? «Secondo la
mia esperienza in tutte le aziende, quando c'è chiarezza degli obiettivi e un piano credibile per raggiungerli, la
struttura risponde. E questa azienda ha già realizzato cambiamenti importanti». Si era parlato di una sorta di
accordo per introdurre nel gruppo una sorta di "modello tedesco" con una maggiore partecipazione dei
lavoratori, è quello lo scambio? «Non c'è nessuno scambio, né io potrei farlo. Nell'ambito del progetto di
privatizzazione tutte le decisioni che riguardano la governance sono dell'azionista, non del management.
L'ipotesi di favorire la partecipazione dei dipendenti nell'azionariato e le forme per farlo saranno oggetto delle
riflessioni dei prossimi mesi». Poste è un'azienda tecnologica, come la valuta da questo punto di vista? «E'
stato fatto un grande lavoro perché la rete che collega tutti gli uffici e gli sportelli c'è e funziona. La fase
successiva è una crescente digitalizzazione che passa per una maggiore integrazione tra i vari settori di
attività. Per passare alle Poste 2.0 abbiamo previsto investimenti per oltre 3 miliardi. Obiettivo appunto
integrazione, tracciabilità, rendicontazione, evoluzione dei servizi PostePay, portare il collegamento oltre gli
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uffici fino ai clienti. Il tutto con strumenti che devono essere semplici e utilizzabili da tutti. Ma vogliamo andare
anche oltre, dal ruolo che vogliamo giocare come fornitori dell'identità digitale ai servizi che possiamo offrire
alle imprese e allo Stato nella gestione dei documenti dematerializzati». Poste Mobile in tutto questo che
ruolo ha? «Poste Mobile è una componente del progetto di costituzione delle Poste 2020 al quale stiamo
lavorando, basti pensare ai pagamenti mobili e alle app per i bollettini». Tra le vostre partecipazioni ce ne
sono due che hanno fatto discutere. La prima, in ordine di tempo, è la Banca per il Mezzogiorno, si parla di
una cessione a Invitalia. «La banca va bene, stiamo ragionando su diverse ipotesi ma ancora non sono state
prese decisioni». L'altra partecipazione, che ha fatto discutere ancora di più, è Alitalia. Che senso ha la
presenza di Poste nel capitale di una compagnia aerea? «Ci sono sinergie delle quali abbiamo discusso a
lungo con il management di Etihad e di Alitalia. La prima è senz'altro la logistica, i pacchi, per i quali il ruolo
dell'hub merci di Malpensa che la compagnia sta studiando può essere potenzialmente rilevante. Poi ci sono
forme di collaborazione commerciale che vanno dall'emissione dei biglietti all'emissione di carte di
pagamento congiunte che ci aprirebbero un mercato che oggi non raggiungiamo appieno. Infine abbiamo già
creato delle app legate ai siti di prenotazione e ora stiamo pensando a collegarle anche a forme di
assicurazione per i viaggiatori». Tutte cose importanti, ma che si potrebbero fare anche senza essere
azionisti. La domanda vera, quella che le faranno nei road show per la privatizzazione, è se rivedrete mai
quei soldi. «Sono convinto di sì, il piano della compagnia è valido e io sono convinto che sia un buon
investimento». Un'altra domanda che investitori e analisti le faranno è sul paio di miliardi di crediti che
l'azienda vanta nei confronti dello Stato. Vorranno sapere se li rivedrete mai. «Stiamo discutendo con
l'azionista e certamente prima dell'avvio della privatizzazione avremo delle certezze». Infine: il 2013 ha
chiuso con un miliardo di utile netto, cosa dobbiamo aspettarci per il 2014? «Le posso rispondere con quello
che ho detto alla presentazione della semestrale: che la prima metà dell'anno ha registrato una flessione
importante dei margini legata alla contrazione dei volumi postali e che non erano previste inversioni nel
secondo semestre». Traduzione: quest'anno niente miliardo, ci si fermerà più o meno a due terzi del risultato
del 2013. S. DI MEO
LOGISTICA Nella consegna dei pacchi il gruppo ha il 10% del mercato e punta al 30 CORRISPONDENZA Il
servizio più antico, la consegna delle lettere, ha le maggiori diseconomie ASSICURAZIONI Nel settore Vita è
ormai tra i primi in Italia, ora si aprirà al ramo Danni BANCOPOSTA Il servizio bancario copre anche carte di
debito e gestione del risparmio
[ AL COMANDO ] L'amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio
[ TECNOLOGIE ] E-commerce e moneta elettronica il digital divide tra l'Italia e l'Europa Il digital divide è forte
all'interno del paese, tra chi utilizza tecnologie digitali e chi no, ma è molto forte anche nel confronto tra
nazioni diverse. In Italia l'e-commerce è in crescita ma il confronto con gli altri paesi è impietoso, la
penetrazione è pari alla metà della media dei paesi europei, un quarto del Regno Unito, meno di metà della
Germania e sostanzialmente inferiore anche a Francia e Spagna. Quanto ai pagamenti non in contanti va
ancora peggio, siamo quasi a metà della Spagna un terzo della Germania, un quarto di Francia e Regno
Unito.
PAGAMENTI Sistemi avanzati per la diffusione della moneta elettronica POSTE MOBILE Tre milioni di sim
attive, in arrivo app per i bollettini e i pagamenti online
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La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
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LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI TRA AMMINISTRAZIONI FISCALI DIVENTERÀ PRESTO AUTOMATICO
E RICHIEDE AL CONTRIBUENTE CHE ABBIA INVESTIMENTI ALL'ESTERO NON DICHIARATI DI
REGOLARIZZARLI. I RISVOLTI ECONOMICI E GIURIDICI
Stefania Pescarmona
Un'opportunità vantaggiosa sotto il profilo della depenalizzazione, ma anche una procedura che presenta
diverse criticità, la cui convenienza - dal punto di vista economico dev'essere valutata caso per caso. Questa
l'opinione condivisa dai professionisti dei principali studi legali e tributari in merito alla voluntary disclosure , la
nuova procedura di collaborazione volontaria che ha per oggetto l'emersione e il rientro di capitali detenuti
all'estero in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale. Quelle relative alla voluntary disclosure sono
pratiche articolate, che richiedono una pluralità di competenze specifiche. Per supportare i propri clienti, i
principali studi legali e tributari hanno quindi c o s t i t u i t o a p p o s i t i gruppi di lavoro. Tra i pionieri c'è
Bonelli Erede Pappalardo. "Lo studio è stato il primo in Italia", spiega il managing partner Stefano
Simontacchi, che aggiunge che "già dal 2010 è stato creato un focus team dedicato ai cosiddetti private
client" che comprende professionisti con tutte le specializzazioni interessate (tributario, privato, giudiziale,
internazionale, opere d'arte e penale). Secondo Simontacchi, la voluntary disclosure rappresenta
"un'opportunità obbligata" per il contribuente. "Il contesto internazionale in cui lo scambio di informazioni tra
Amministrazioni fiscali diventerà automatico richiede al contribuente che abbia investimenti all'estero non
dichiarati di procedere con la loro regolarizzazione, pena sanzioni molto rilevanti in caso di accertamento",
spiega il socio di Bep, che stima che ci sarà un buon flusso di lavoro. Dello stesso avviso anche Raul-Angelo
Papotti, avvocato e dottore commercialista, socio dello studio legale Chiomenti. "Prevedo un flusso di lavoro
consistente, anche sulla base del flusso che ci ha tenuto estremamente impegnati negli anni p r e c e d e n t i
" , c o m menta Papotti, che poi aggiunge che anche lo studio Chiomenti, da anni, ha un team di professionisti
che si occupa di queste tematiche che richiedono una pluralità di competenze specifiche. "Diversamente da
altri Paesi, la procedura adottata in Italia è estremamente complessa dal punto di vista burocratico", dichiara
Cesare Vento, partner di Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, che poi spiega che lo studio ha dato
vita a una task force di una dozzina di avvocati e commercialisti in 5 sedi, coordinata da tre partner, tra cui lui.
"Per il momento vi è un grande fermento, diversi italiani stanno facendo visite agli uffici delle banche estere e
successivamente prendono contatto con noi", prosegue Vento. "È una procedura vantaggiosa sotto il profilo
della depenalizzazione, che presenta però talune criticità, come l'eccessivo costo, che può variare dal 4 al
90%, a seconda dello stato di provenienza e dell'anzianità delle somme detenute illecitamente fuori dall'Italia,
oppure il mancato anonimato nella fase di contraddittorio preventivo con l'Amministrazione finanziaria, che
non consente al contribuente di valutare a conti fatti la convenienza della procedura", commenta Francesco
Giuliani, partner del dipartimento Litigation dello studio Fantozzi Associati, nel cui interno è stato creato un
dipartimento ad hoc composto da 6 professionisti di diversa seniority coordinato da due soci a Roma e uno a
Milano. "Le fee sono proporzionali alle somme oggetto della procedura, in caso di importi superiori ai 2
milioni; per le somme inferiori, in caso di calcolo della redditività e della tassazione con il metodo forfetario,
abbiamo una tariffa fissa", spiega Giuliani. "Applichiamo un compenso fisso e uno variabile in funzione della
dimensione dell'operazione", dichiara anche Tommaso Di Tanno, fondatore dello studio legale tributario Di
Tanno e Associati, che al pari degli altri studi ha costituito un apposito team a Roma e a Milano. Quanto al
successo di questa proceduta, è difficile avanzare delle stime. La ricchezza detenuta all'estero è prevista in
200 miliardi, quindi il gettito per l'erario dai rimpatri potrebbe aggirarsi dai 3-5 miliardi, fino ai 10. Solo per
avere un'idea, l'ultimo scudo fiscale del 2009-2010 aveva fatto emergere circa 104 miliardi. "Le aspettative di
lavoro sono elevate anche se credo gli importi delle singole operazioni non saranno così consistenti come ai
tempi dello scudo, che rappresentò negli anni coinvolti un 20% del fatturato dello studio", commenta Di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Voluntary disclosure, pioggia di milioni sugli studi legali e tributari
12/01/2015
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Tanno. Secondo Giuliani, invece, "sarebbe un errore confrontare la voluntary con gli scudi, dato che in quei
casi i calcoli erano forfetari e la convenienza era più evidente". In generale, "occorre capire se le ricchezze
nascoste sono statiche, cioè riconducibili a operazioni condotte in passato e ormai esaurite, o a operazioni
tuttora in corso e fatte per distrarre utili da società italiane in piena attività. I fatti vanno, poi, collocati in
epoche storiche e nel Paese dove le ricchezze sono detenute, considerato che questo incide sul numero di
anni da sanare", spiega Di Tanno. Simontacchi ricorda poi che il panorama di clienti-contribuenti è alquanto
variegato. "Principalmente si tratta di disponibilità mantenute da diversi anni nei consueti cosiddetti paradisi
fiscali, con prevalenza della Svizzera", commenta Vento, mentre Papotti aggiunge che "la tipologia più
ricorrente potrebbe essere rappresentata da chi ha ereditato o accumulato patrimoni esteri costituiti in periodi
di imposta non più accertabili". Giuliani distingue infine tra i clienti che hanno il "salvadanaio" all'estero, frutto
di eredità o risparmi riconducibili a oltre 10 anni, "per i quali la voluntary disclosure è più attraente", e chi ha
un patrimonio formato da redditi sottratti a tassazione in epoche più recenti, per i quali "l'operazione è più
onerosa". 1
Foto: GRUPPI DI LAVORO
Foto: La ricchezza detenuta all'estero è prevista in 200 miliardi, quindi il gettito per l'erario dai rimpatri
potrebbe aggirarsi dai 3-5 miliardi, fino ai 10. Per supportare i propri clienti i più grandi tra Law Firm e studi
commerciali, da Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners a Erede Bonelli Pappalardo, da Chiomenti a
Fantozzi Associati e a Di Tanno, hanno costituito delle apposite commissioni interne. Le fee applicate sono
variabili al di sopra di una certa cifra, fisse al di sotto
Foto: Nelle foto qui sopra, Stefano Simontacchi (1), Raul Papotti (2) e Francesco Giuliani (3)
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La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
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Bini Smaghi: "Così l'Europa potrà fare meglio degli Usa"
L'ECONOMISTA, A LUNGO NEL BOARD DELL'EUROTOWER, PREVEDE UNA SCADENZA MENSILE DA
50 MILIARDI PER DUE ANNI: "VISTI I TASSI SUI DEPOSITI NEGATIVI NON AVRÀ PIÙ NESSUN SENSO
TENERE I FONDI PARCHEGGIATI A FRANCOFORTE"
Eugenio Occorsio
Il quantitative easing formato europeo potrebbe essere ancora più benefico di quello americano, il
"caposcuola". Parola di Lorenzo Bini Smaghi, che le technicalities della Bce le conosce bene essendone
stato consigliere esecutivo dal giugno 2005 al novembre 2011, gli anni più caldi dello scoppiare della crisi.
«Che si faccia - premette - è ormai sicuro perché i mercati lo danno talmente per scontato che annullarlo
avrebbe effetti negativi molto pesanti». Perché è sicuro che darebbe più benefici ancora che in America?
«Perché è in vigore un'altra delle misure non convenzionali, l'applicazione del tasso negativo del -0,20% ai
depositi delle banche presso la Bce. Ora, il Qe consiste nell'acquisto di titoli che stanno già nel bilancio delle
banche, in cambio di liquidità. Questo cambia la composizione del portafoglio delle banche, che al posto dei
titoli, che un qualche rendimento lo danno, si trovano liquidità a rendimento negativo senza potersi opporre.
Devono quindi trovare il modo per disfarsi di questa liquidità diventata un onere. Potrebbero comprare altri
titoli più rischiosi facendone abbassare i rendimenti. Oppure possono prestare soldi a imprese o famiglie,
soprattutto in quest'ultimo caso concedendo mutui immobiliari a tassi interessanti. In America il mercato
immobiliare si è stabilizzato così. Insomma, le istituzioni finanziarie saranno obbligate a passarsi la patata
bollente della liquidità, e per questo l'impatto potrebbe essere ancora più potente che negli Usa: il
trasferimento all'economia reale sarebbe maggiore». Come dovrebbe essere strutturata l'operazione, e su
quali importi? «Per il valore complessivo l'indicazione ufficiale l'ha data Draghi parlando di un trilione, mille
miliardi, di euro. Si riferiva a tutto l'arco delle misure non convenzionali, dagli Abs agli Ltro, però come sapete
tutte queste operazioni faticano ad incontrare il favore del mercato. Il Qe sarebbe, a differenza delle altre
misure, uno strumento attivo e non passivo. Senza una "imposizione", le banche non hanno interesse a
domandare più liquidità alla Bce per la carenza di domanda di credito da parte dei loro clienti. Questo spiega
perché il bilancio della Bce, e quindi la massa monetaria in circolazione, continua a scendere. La Bce
continua a "guadagnare" dagli interessi sui titoli che già detiene e ora addirittura sui depositi. Solo con il Qe si
darà la scossa necessaria a raggiungere lo scopo di ampliare il proprio bilancio». E quali saranno le modalità
operative? «Occorre agire il più rapidamente possibile ma si deve evitare di turbare troppo i mercati.
L'obiettivo potrebbe essere il biennio, dunque circa 50 miliardi al mese». Cosa sarà comprato? «La Bce ha
bisogno di comprare titoli il più liquidi possibili, e quindi si concentrerà sui titoli di Stato, pur senza escludere
titoli privati. Potrebbe poi comprare anche delle obbligazioni della Bei, dando un ulteriore contributo al rilancio
degli investimenti». I titoli di Stato verranno comprati solo sul mercato secondario o anche su quello primario?
«Per statuto la Bce può comprare solo sul secondario. A vendere saranno i detentori di titoli, principalmente
banche e altre istituzioni finanziarie come le assicurazioni». Il coro dei consensi però ha alcune voci, anche
autorevoli, di dissenso, c'è chi teme il crearsi di bolle su certi asset. «Mi sembra che siamo veramente lontani
dal rischio di bolle in Europa. Anche il mercato immobiliare è ancora in crisi, a differenza come dicevo di
quello americano. C'è invece la deflazione, un problema gravissimo che sta "giapponesizzando" l'Europa. Gli
eventuali rischi del Qe sono talmente minori dei benefici che correrli vale sicuramente la pena». MERILL
LYNCH, S. DI MEO
Foto: Lorenzo Bini Smaghi , consigliere esecutivo della Bce dal 2006 al 20011
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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[ L'INTERVISTA ]
12/01/2015
Corriere Economia - 12 gennaio 2015
Pag. 1
Quanto ci costano le tante aziende pubbliche per caso
SERGIO RIZZO
P er Nando Pasquali, da nove anni sul ponte di comando del Gestore dei servizi energetici, la sorpresina del
2015 è in una lista sterminata comparsa sulla Gazzetta Ufficiale quasi quattro mesi fa. Dove compare per la
prima volta pure il gruppo pubblico da lui amministrato, proliferato per paradosso in seguito alla
privatizzazione e liberalizzazione dell'energia, e che dal 2006 ha raggiunto dimensioni mastodontiche: con
dipendenti passati da 364 a 1.277. Ebbene dal primo gennaio anche il Gse, per essere in quell'elenco, fa
parte delle pubbliche amministrazioni che concorrono al conto economico consolidato statale. Ciò comporta
l'osservanza di regole di particolare rigore su retribuzioni, assunzioni e anche consulenze: che nel 2013 il
gruppo ha distribuito nella misura di 16,8 milioni, con un aumento di 3,6 milioni rispetto al 2012. Più 27,3 per
cento.
Pasquali si può parzialmente consolare pensando di non essere stato l'unico a finire in quell'elenco.
Condivide medesima sorte la Consip, società incaricata degli acquisti collettivi della pubblica amministrazione
i cui compiti dal primo gennaio si dovrebbero estendere in misura rilevante. Così come la Sogei, la società
pubblica che ha la delicatissima mansione di gestire l'anagrafe tributaria. Ma anche la Sose, altra spa
controllata dal Tesoro che elabora, fra l'altro, gli studi di settore. E poi Armamenti e aerospazio, scatola
dov'erano state stivate le partite incagliate dell'Efim dopo che la Finmeccanica aveva assorbito le attività di
quell'ente disastrato.
Decisioni che non fanno una piega: nel conto consolidato dello Stato non possono che esserci tutte le società
pubbliche. Proprio qui, però, c'è una sorpresa nella sorpresa. Perché tutte non ci sono. Nell'elenco, per
esempio, figura anche Expo 2015. O meglio, figurava. Perché un emendamento alla legge di Stabilità l'ha
esclusa da quella lista per tutto l'anno in corso «in considerazione», c'è scritto, «del suo scopo sociale».
Anche se qui le motivazioni reali sono forse un po' diverse, considerando i ritardi che l'Expo milanese ha già
accumulato.
Un altro esempio? Per la prima volta la lista comprende le federazioni sportive. Finalmente. Peccato che
manchi forse la più importante di tutte, per un Paese come il nostro: la Federcalcio. Un bel regalino per il
nuovo presidente Carlo Tavecchio. Il quale non è il solo a dover ringraziare la manina che l'ha graziosamente
salvato dall'elenco di chi deve rispettare i principi più rigidi a cui si devono attenere le pubbliche
amministrazioni, e in molti casi francamente non se ne comprende la ragione.
Per quale motivo hanno messo la società statale che si occupa degli acquisti, ossia la Consip, e hanno
invece escluso alcune società regionali che operano nello stesso campo? Come Arca, l'Azienda regionale
centrale acquisti della Lombardia, oppure la Soresa, Società regionale per la sanità della Campania... Mentre
altre società regionali invece sono state inserite nell'elenco, e lo dimostra il caso della Scr Piemonte. E
perché nella lista figurano, anche in questo caso per la prima volta, alcune imprese pubbliche locali del
settore informatico, ma soltanto alcune? C'è Lombardia Informatica, della Regione Lombardia guidata dal
leghista Roberto Maroni, il cui consiglio di sorveglianza è presieduto dall'assessore regionale ed ex
parlamentare del Carroccio Massimo Garavaglia.
Manca invece Lait, la Lazio innovazione tecnologica controllata dalla Regione presieduta dal democratico
Nicola Zingaretti. C'è la Insiel della Regione Friuli-Venezia Giulia amministrata da Debora Serracchiani,
anche lei democratica. E non c'è Informatica Trentina della Provincia autonoma guidata dalla giunta di
centrosinistra di Ugo Rossi... Sbadataggini, amnesie o che altro?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Gse Nando Pasquali, presidente e a. d.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Sorprese Nell'elenco della «Gazzetta Ufficiale» appare il Gse, ma è stata cancellata Expo 2015. C'è
Lombardia Informatica, non la laziale Lait
12/01/2015
Corriere Economia - 12 gennaio 2015
Pag. 1
Xiaomi, Uber e le altre: tutte le matricole che scalderanno le Borse
COMETTO A pagina 13
Il 2014 è stato un anno d'oro per le start-up tecnologiche e il 2015 può andare ancor meglio. Dopo l'Ipo (
Initial public offering , offerta iniziale pubblica di azioni) di Alibaba, il gigante cinese di Internet che ha raccolto
un record di 25 miliardi di dollari quotandosi al New York Stock Exchange lo scorso settembre, nei prossimi
mesi a debuttare in Borsa potrebbero essere centinaia di altre società con valutazioni dai 100 milioni di dollari
in su.
Cautele
Ma non tutti gli investitori applaudono il boom: alcuni temono sia eccessivo come quello delle dot.com del
1999-2000 finito nel crollo del Nasdaq, la Borsa specializzata in titoli high-tech il cui indice ancor oggi è in
perdita rispetto a 15 anni fa.
Diverso di sicuro è il modo di finanziarsi delle start-up . Durante la prima Internet mania, le aziende
innovative correvano a quotarsi il più presto possibile, non solo senza avere profitti, ma a volte senza
nemmeno un vero fatturato. Ora riescono a farsi finanziare facilmente sia ricorrendo a Wall Street sia
standone fuori.
Sui mercati azionari americani 293 aziende hanno raccolto 96 miliardi di dollari nel 2014, il numero più alto
dal 2000 quando le Ipo erano state 432 per un valore complessivo di 105 miliardi. Allo stesso tempo le
società non quotate ma partecipate da fondi di venture capital e private equity , e quindi candidate a una
prossima Ipo oppure ad essere acquisite da un'altra azienda, hanno raccolto 24,7 miliardi di lire, più del
doppio dell'anno precedente. Fra queste ultime, ben 21 hanno raggiunto una valutazione di 1 miliardo di
dollari o più, tante quante nei tre anni precedenti.
Tendenze
Sui mercati globali il trend è stato simile: oltre 1.200 aziende hanno raccolto quasi 250 miliardi di dollari con
Ipo. L'attuale «club miliardario» conta 70 start-up nel mondo, quasi il doppio di quelle nel biennio 1999-2000.
La più «cara» è Xiaomi, detta anche «la Apple cinese»: diventata l'anno scorso il numero tre sul mercato
globale degli smartphone , a fine dicembre ha annunciato di aver ricevuto 1,1 miliardi di dollari di
finanziamenti per una valutazione totale di 46 miliardi. Solo il social network Facebook era stato valutato di
più, ovvero 50 miliardi, prima della sua quotazione. Lei Jun, il fondatore e ceo (amministratore delegato) di
Xiaomi non ha dichiarato se e quando vuole debuttare in Borsa e se il mercato scelto sarebbe quello
americano. Ma i suoi fan sperano in un bis del successo di Alibaba, la cui performance dal prezzo dell'Ipo è
del 51%.
Poco meno di Xiaomi è valutata Uber, la app usata all'inizio solo dai giovani professionisti in poche grandi
città americane come alternativa al taxi e ora diventata un colosso attivo in oltre 50 Paesi. L'anno scorso ha
ricevuto finanziamenti per 1,2 miliardi di dollari con un valore totale implicito di 41,2 miliardi, oltre il doppio
della somma delle società di autonoleggio Hertz e Avis che posseggono vere flotte di auto, mentre Uber è
solo un'applicazione mobile. Ma la sua espansione trova sempre più ostacoli legali e regolamentari, il che può
rallentare il suo debutto in Borsa.
C oncorrenti
Stessi problemi, di conflitto con le autorità, il fisco e i concorrenti, li ha Airbnb, il sito che sta rivoluzionando il
modo di viaggiare in tutto il mondo. Partito come un modo per trovare «un sofà» su cui dormire a basso
costo, adesso è un temibile rivale delle catene alberghiere e offre sistemazioni anche di lusso. È valutato 10
miliardi di dollari. Ma almeno ha un fatturato (le commissioni pagate da chi affitta i locali), mentre Snapchat la applicazione per scambiare foto, video e messaggi - non ha ancora un vero modello di business
profittevole eppure ha appena annunciato di aver ricevuto 486 milioni di dollari di investimenti, il che la
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
LISTINI DIGITALI
12/01/2015
Corriere Economia - 12 gennaio 2015
Pag. 1
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
catapulta anch'essa a 10 miliardi di valutazione virtuale. Ad alimentare questo boom dei prezzi pre-Ipo è la
fame degli investitori istituzionali come i fondi comuni e i fondi pensione a caccia di rendimenti: i loro gestori
diversificano sempre più spesso nei fondi di venture capital , che l'anno scorso hanno raccolto il 60% di
capitali più del 2013. È questo denaro abbondante che permette alle start-up di crescere senza quotarsi. E
che sta facendo suonare l'allarme del rischio di una nuova Bolla.
Senza dubbio in alcuni settori i prezzi esagerati, almeno secondo Peter Fenton, partner della società di
venture capital Benchmark e uno dei primi investitori in Uber, Dropbox e Snapchat. Fra i possibili effetti
negativi, si contano i forti rialzi dei salari per gli ingegneri e degli affitti a San Francisco e dintorni, dove le
nuove società high-tech sono fiorite. «Stiamo creando una generazione di start-up il cui comportamento è
avvelenato dai capitali facili?», si chiede Fenton.
Nel 2000 il crac del Nasdaq bruciò i risparmi degli investitori individuali. Il prossimo sboom rischia di mandare
in fumo quelli dei pensionati.
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Le new entry nel club dei miliardari I nuovi protagonisti nel business legato a Internet e possibili matricole di
borsa. Dati in miliardi di dollari Bolla o non bolla? Fonte: Cb insights, VentureBeat, WSJ, Yahoo! Finance
*Finanziate da privati La performance peggiore nel 2014: North Atlantic Drilling, compagnia petrolifera
norvegese (quotata a gennaio) -82,7% La performance migliore del 2014: Cbd, catena brasiliana di negozi
(quotata a giugno) +759% Raccolti a livello globale dalle società che si sono quotate nel 2014. Le Ipo sono
state 1.200 250 MILIARDI $ Ricavati da Alibaba con l'Ipo del 22 settembre, il valore più alto nella storia delle
Ipo in Usa 25 MILIARDI $ Performance media nel 2014 dal prezzo dell'offerta pubblica delle matricole (contro
un guadagno dell'11,4% dell'indice S&P500) 18,9% Dalla quotazione sui mercati azionari Usa di 293 aziende
Nel 2000 raccolsero 105 miliardi di dollari 432 Ipo 96 MILIARDI $ Xiaomi Uber Dropbox Airbnb Snapchat
Flipkart Square Pinterest Cloudera Stripe 46 41,2 10 10 10 10 6 5 4,1 3,6 Produttore cinese di smartphone
App mobile che connette passeggeri e autisti Servizio di immagazzinaggio file «nella nuvola» Mercato online
per l'affitto di case private App per scambiare foto, video e messaggi Società indiana di shopping online
Servizio di pagamenti per piccoli business Sito social media per condividere immagini Software open source
per aziende Sistema di pagamenti online Società Valutazione Attività Le aziende tech* in America che
valgono 100 milioni di dollari o più e potrebbero quotarsi in Borsa nel 2015 588 Pparra
Foto: Quotatissimo Jack Ma, inventore del sito cinese di commercio Alibaba Grande attesa Lei Jun di Xiaomi.
Un marchio pressoché sconosciuto in Italia Contestato Travis Kalanick fondatore di Uber, il sito che fa
concorrenza ai taxi Viaggi low-cost Brian Chesky, «ceo» e fondatore di Airbnb App Evan Spiegel, «ceo» di
Snapchat: manca ancora un business model
12/01/2015
Corriere Economia - 12 gennaio 2015
Pag. 1
Il Fisco non dà tregua e la crescita langue Un errore rassegnarsi
DANIELE MANCA
Un euro avviato a indebolirsi ancora. Il petrolio che abbatte nuovi record in discesa. Un costo del denaro che
è destinato a rimanere basso a lungo. Una sostanziale buona salute del sistema finanziario e delle aziende
sopravvissute a una delle più estese crisi degli ultimi 100 anni. Si dovrebbe essere ottimisti per questo 2015.
Ma inutile illudersi. Almeno in questa prima parte dell'anno l'incertezza guiderà le scelte degli investitori e dei
cittadini come spesso accade quando i segnali dall'economia sono contrastanti. C'è un'America che nel 2014
è riuscita a creare 2,95 milioni di posti di lavoro, il miglior risultato dal 1999. La Cina sembra ben intenzionata
a impedire che un rallentamento della sua economia possa avvenire in modo brusco e incontrollato. Il
Giappone ha varato un ulteriore piano di stimoli da 29 miliardi di dollari. E spesso dimentichiamo che a
Oriente l'India potrebbe rivelarsi come una delle locomotive mondiali dei prossimi anni. Persino l'Europa,
grazie soprattutto all'azione della Bce di Mario Draghi, pare intenzionata a non ripetere gli errori passati
nell'affrontare le crisi di singoli Paesi come la Grecia. Le premesse di una svolta positiva ci sono tutte. Ma è
innegabile che ogni nazione debba fare la sua parte. L'Italia si porta a casa la fine della presidenza del
semestre europeo con l'aver imposto la parola crescita come una delle priorità dell'Unione. Sul fronte interno
l'aver avviato un percorso di riforme sia pure con una zavorra che si chiama Fisco per il quale lavoriamo per
173 giorni all'anno (vedi inchiesta alle pagine 22-23). Restano però due pesanti punti interrogativi. Quesiti che
riguardano i tagli alla spesa finiti in qualche cassetto di Palazzo Chigi. E un indebitamento sulla cui
sostenibilità ogni giorno subiamo esami e che non si può sperare di ridurre soltanto grazie a una crescita che,
se ci sarà, resterà anemica.
@Daniele_Manca
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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IL PUNTO
10/01/2015
Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Paolo Panerai
Terrorismo islamico? Un male comune a tutto il mondo, anche a quello islamico non integralista. Riforme?
Una necessità per molti Paesi, anche per quelli che crescono più del 7% come la Cina, perché il mondo è
stato rivoluzionato dalla rete, dal genoma, dallo shale gas. Deflazione? Un male dell'Europa e del Giappone,
un continente soggiogato dall'imperialismo economico della Germania terrorizzata, irrazionalmente,
dall'inflazione al punto da essere arrivata essa stessa quasi alla deflazione, e un Paese una volta invidiato
per la sua crescita, che poi per troppi anni è rimasto convinto che il rigore portasse alla crescita. Pericolo di
guerra? Un rischio di quella fredda per tutto il mondo occidentale e per la Russia, a causa dei tentativi degli
Usa, della Nato e irresponsabilmente dell'Unione europea di far sì che l'Ucraina non fosse più uno Stato
cuscinetto; pericolo di guerra reale per tutte le aree calde del mondo che si stanno moltiplicando per i
sommovimenti in atto e la conquista di territori da chi Stato non era, come gli islamici integralisti di Isis fra Iraq
e Siria, o nella ex Libia intorno a Bengasi. Nessuno di questi pericoli e di queste sofferenze che il mondo sta
patendo è dovuto al caso. Dietro ci sono sempre le scelte dell'uomo, animate da desiderio di imperialismo, da
furia religiosa, da disinteresse verso il bene supremo degli esseri umani fino alla crescente tendenza a
uccidere in f a m i g l i a , m a a n c h e dall'incapacità di gestire il progresso che la tecnologia impone. C'è chi
vede in tutto ciò la replica degli anni che introdussero al Medioevo. Per esempio Padre Eligio, che da 50 anni
combatte la sofferenza nel nome di Francesco. Si può discutere il convincimento del Frate, che ha inventato
Telefono Amico e creato una cinquantina di comunità per il recupero dei persi dalla droga: quest'ultima per
anni è sembrata essere il vero pericolo dell'uomo (come in effetti è) ma ora è stata sorpassata nella scala dei
pericoli da tutte le manifestazioni deteriori che sembrano introdurre appunto a un nuovo Medioevo.
Certamente un ruolo non secondario lo hanno le religioni, che stanno diventando una maledizione per l'uomo,
per pseudo-teologismi e falsi moralismi. È come se il mondo si fosse dimenticato che il bene è bene in quanto
c'è anche il male. Papa Francesco scopre che in Vaticano c'è corruzione? Fa arrestare un Monsignore, ma
da secoli e secoli nella Chiesa c'è stato anche il male. I due sciagurati fratelli franco-algerini scoprono che le
vignette sono il male, che offendono il loro dio, e ammazzano anche un poliziotto della loro stessa religione
perché, nella loro sciagurata visione, chi è per Maometto e convive con chi crede in Cristo è degno solo di
essere ammazzato. Il mondo sembra, per un verso o per l'altro, come un computer impazzito che va
resettato. Ma ognuno dovrebbe fare la sua parte. E un giornale come questo, che si occupa di economia e
finanza, deve in primo luogo dare un contributo sul piano della conoscenza di quanto occorre fare per
alleviare almeno la vita materiale, che comunque è vita, combattendo la povertà. Che si combatte con lo
sviluppo, la creazione di posti di lavoro, una equa distribuzione della ricchezza. Tutti obiettivi che vengono a
parole condivisi da tutti coloro che hanno il potere di governare, ma che nella pratica solo pochi perseguono
realmente. In una democrazia il potere primo è dei cittadini che lo delegano ai politici. Ma se le leggi per
delegarlo sono inefficienti; se le istituzioni che devono gestire il potere sono antiquate rispetto all'evoluzione
continua indotta dal progresso tecnologico; se nell'animo di chi si candida a rappresentare i cittadini prevale
l'interesse di parte sull'interesse di tutti; se tutto ciò convive, c'è la storia di Atene o quella di Roma che
indicano come quello Stato o quell'Impero finiscono la loro esistenza. Ora non vi è dubbio, purtroppo o per
fortuna, che la globalizzazione e prima ancora l'Unione fra gli Stati europei hanno determinato
un'interdipendenza fra le economie nazionali e non solo fra le economie. Come succede anche in qualsiasi
branco animale, c'è sempre uno che vuole prevalere. In Europa vuole prevalere la Germania. E non da ora,
essendo stata protagonista negativa di tutte e due le guerre mondiali che il pianeta ha vissuto. Non potendo
oggi combattere con le armi che uccidono direttamente, combatte con le armi dell'economia, che ugualmente
possono uccidere anche se indirettamente. Ci fosse un tedesco, autorevole o no, che avesse raccolto la
provocazione dell'economista più anticonformista di oggi, l'autore del best seller Capitalismo del XXI secolo.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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ORSI &TORI
10/01/2015
Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
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(diffusione:100933, tiratura:169909)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Come è stato riportato su queste colonne, Thomas Piketty in alcune interviste ha detto cose sacrosante e
riportato fatti decisivi: per esempio che la Germania, tutta la Germania, guardando alla Grecia e al suo debito
si dimentica che finita la Seconda guerra mondiale il suo di debito era pari al 200% del prodotto interno lordo
(pil). Se ci fosse stata una potenza che avesse imposto al grande sconfitto di ridurre il debito del 2% all'anno,
come la Germania chiede agli altri Paesi europei con l'imposizione del Fiscal compact, il Paese non sarebbe
la prima potenza economica europea come oggi è. Quell'estenuante fatica di ogni anno si sarebbe tradotta in
una lunga agonia. Invece, alla Germania fu accordato un condono da tutti gli altri Paesi creditori che portò il
debito al 30%. Grazie a quella generosità la Germania è risorta. Mentre la Germania oggi sta ripagando
quella generosità con egoismo, che non accenna a ridursi neppure quando appare a tutti evidente che della
politica del rigore sta sempre più diventando vittima essa stessa. Perché la Germania, cinque anni fa,
acconsentisse a che l'Ue e i singoli Stati dessero un aiuto alla Grecia ci volle una telefonata notturna, quasi
un ultimatum, di quello che è stato il gendarme del mondo, cioè gli Stati Uniti. Il presidente Barack Obama
intimò quasi alla cancelliera Angela Merkel di smetterla con il rifiuto di intervenire, che comunque avvenendo
con grave ritardo dovette essere molto più consistente e meno efficace di quanto sarebbe stato possibile con
un prestito al primo manifestarsi della crisi greca. E ora, invece di assumere un atteggiamento chiaro rispetto
al punto fondamentale se la Grecia possa e/o debba rimanere nell'eurozona, la Merkel lancia messaggi
equivoci, che vengono usati e strumentalizzati per creare confusione e incertezza. Il paradosso è che la
Merkel segue gli Stati Uniti non nella linea (la migliore finora) dell'espansione monetaria per combattere la
crisi, ma nelle scelte imprudenti di mettere lo zar Vladimir Putin in difficoltà con sanzioni economiche ridicole
ma, per la dimensione che hanno assunto, dannosissime non solo per la Russia ma anche per i Paesi forti
esportatori nell'ex Unione sovietica, il primo dei quali è proprio la Germania. Quindi non solo rigore inutile e
dannoso, ma anche una sorta di masochismo. Masochismo anche doppio, se si tiene conto che la grande
crisi economica che sta bloccando l'Europa è nata come la più grave crisi finanziaria della storia degli Stati
Uniti. Wall Street, le banche d'affari americane, la tolleranza legislativa dello Stato federale verso investimenti
folli, i mutui subprime, i derivati, l'uso del denaro dei depositanti per condurre speculazioni da parte delle
banche, sono le cause della crisi nella quale l'Europa continua a sprofondare, mentre Wall Street, sulle
notizie del ritorno alla crescita degli Usa, è arrivato ai massimi; le banche sono tornate a correre; il Tesoro
americano ha raddoppiato gli investimenti che aveva fatto, stampando moneta, nelle banche e nelle società
vicine al fallimento; la crescita su base annua ha superato il 3,5%; la disoccupazione è scesa ai livelli più
bassi che si ricordino. Tutto questo grazie alla possibilità per la Federal reserve di inondare il Paese di
liquidità stampando dollari. E di fronte a una ricetta come questa, descritta e analizzata in tutti i suoi aspetti
positivi (in grande maggioranza) e negativi (il pericolo di una forte inflazione futura), la Germania da mesi
impedisce al presidente della Banca centrale europea di stampare euro e di comprare titoli di Stato in modo
che la liquidità arrivi alle banche e al mercato. Il presidente della Bce, Mario Draghi, con la pazienza di
Giobbe, fa da mesi dichiarazioni sempre più compromettenti per l'avvio di una campagna simile a quella della
Federal reserve. E quando le borse del Vecchio continente crollano, non solo per l'attentato a Charlie Hebdo
ma soprattutto per il dato scontato che l'Europa è in deflazione visto che i prezzi sono diminuiti dello 0,2%,
Mario Giobbe riprende la parola per dire che la Banca è pronta ad agire. Ecco che allora le Borse tornano a
salire, ma resta l'incognita di quando quel dirsi pronti diventa realtà operativa. Eppure Draghi ci ha spiegato
che compito statutario della Bce è quello di garantire un'inflazione intorno al +2%, mentre ora appunto il
Continente è in deflazione; ci ha poi detto che per approvare il lancio degli acquisti di titoli di Stato è
sufficiente una maggioranza semplice, su cui sicuramente può contare; lo dice ma non fa votare. È giusto che
si cerchi il consenso più alto possibile, ma tutto ha un limite. Draghi e la maggioranza del Consiglio della Bce
devono smetterla di fare come Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore. I guai che il mondo intero deve
sopportare sono già pesantissimi. La fiducia della gente è frustrata da oltre sei anni di crisi. La minaccia al
cuore dell'Europa da parte dell'integralismo islamico è diventata tragica realtà molto prima che la Germania si
convinca che oggi il rigore peggiora le condizioni economiche dell'Unione e che dia la sua adesione alla
10/01/2015
Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
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ricetta americana di Draghi, in salsa europea. A Francoforte e Berlino si devono rendere conto che se la
gente non recupera fiducia almeno nel suo futuro economico, la marcia verso il nuovo Medioevo sotto il
terrore dell'islamismo porterà sempre più persone alla disperazione. I delitti in famiglia cresceranno ancora. Il
rispetto della vita, nonostante le prediche di Papa Francesco e il suo rigore contro il male, sarà sempre più
basso. Risollevarsi per l'Europa, che dovrebbe insegnare al resto del mondo come ci si deve comportare,
diventerà sempre più un miraggio. Eppure la possibilità di invertire la rotta è concreta. Basterà che Draghi
passi dalle parole ai fatti. Che gli Stati Uniti la smettano (come Henry Kissinger ha suggerito a Obama) di
provocare Putin e pensino semmai a combattere realmente il Califfato perché questa è la vera, tragica realtà:
l'integralismo musulmano si è fatto Stato. Uno Stato che continua a ingrandirsi, che fa sempre più proseliti.
Osama Bin Laden al confronto era quasi un idealista. È stato sconfitto perché gli Stati Uniti dovevano
vendicare le Due Torri. Chi vendicherà Charlie Hebdo? Un'Europa che non sa dialogare e convenire sulla
ricetta più elementare per uscire dalla crisi economica? Pur nella sua dignità, giovedì 8, a Porta a Porta, il
ministro della Difesa Roberta Pinotti era quasi patetica nel dire che aveva parlato con il suo collega francese,
che era molto ottimista sull'esito della cattura dei due fratelli franco-algerini. Quanti fratelli terroristi vivono in
Europa? E quanto distante è dall'Italia il Califfato di Bengasi? Nessuno ricorda che il terrorismo delle Brigate
rosse alzò la cresta man mano che la crisi economica si fece più forte. E la Mafia dove ha avuto spazio e
quasi consenso? Dove prosperava e prospera la miseria, la povertà. Signor Presidente Draghi, smetta di
mediare e passi all'azione. L'essenza della democrazia non è l'unanimità, ma la maggioranza. Chi è in
minoranza, anche se è il più forte, non può far aumentare la disperazione dei cittadini europei. (riproduzione
riservata) Paolo Panerai
10/01/2015
Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
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Altro che sottozero Ecco come avere un 8%
Roberta Castellarin e Paola Valentini
Azioni (come l'Eni), bond, Etf e polizze vita che offrono rendimenti elevati e rischi contenuti Oggi chi vuole
titoli privi di rischio deve accettare rendimenti negativi. E con l'aumento della volatilità nelle ultime settimane
molti investitori hanno fatto questa scelta. Uno studio di Bank of America Merrill Lynch ha appena calcolato
un flusso di 1.200 miliardi di euro verso titoli di Stato a breve termine che offrono un rendimento negativo.
D'altronde la Bce, penalizzando con tassi negativi chi parcheggia il denaro invece di investirlo nell'economia
reale, di fatto vuol spingere gli investitori a rischiare. «Per quello che si può capire ora, il 2015 potrebbe
anche essere un anno di finti movimenti su borse e tassi», avverte Alessandro Fugnoli (strategist di Kairos)
nella newsletter il Rosso & il Nero. «Stare in borsa potrebbe rendere poco o perfino nulla, mentre con il cash
avremo la certezza assoluta del rendimento zero». Ancora Bofa Merrill Lynch segnala che la media dei tassi
del debito pubblico nel mondo è scesa negli ultimi giorni ai minimi: 1,3%. I tassi non sono micro soltanto in
Usa e in Germania, ma anche in Itali, dove il Btp decennale ha aperto il nuovo anno con il minimo storico di
rendimento (1,83%). La conclusione di Fugnoli è che, «mentre negli anni scorsi è bastato stare seduti su
bonde azioni per guadagnare, nel 2015 bisognerà navigare in mare aperto. Il mare sarà mosso, ma per il
momento non è il caso di parlare di tempeste». Di certo i primi giorni del 2015 hanno già fatto capire agli
investitori che cosa vuol dire navigare in acque agitate. La stima preliminare dell'indice dei prezzi al consumo
armonizzato dell'Eurozona è per la prima volta da ottobre 2009 sceso in territorio negativo, attestandosi a
dicembre allo -0,2% tendenziale e alimentando i timori di chi vede l'Eurozona avviata verso un lungo periodo
di prezzi in calo. Tale dato però non va drammatizzato. «I timori di deflazione continueranno a essere elevati,
aumentando la pressione sulla Bce affinché attui nuove misure di stimolo», ragiona l'economista Azad
Zangana (Schroders). «Ma sono pochi i segnali a sostegno della tesi di un'economia europea più deflativa».
Un altro nodo è rappresentato dal calo del petrolio, un movimento carico di conseguenze sia per le economie
sviluppate sia per quelle emergenti. Senza dimenticare il ruolo che potranno giocare da una parte la Bce,
pronta ad avviare un quantitative easing che preveda anche l'acquisto di titoli di Stato, e dall'altra parte la
Fed, che invece dovrà decidere quando iniziare a rialzare i tassi. Due manovra che inevitabilmente avranno
un forte impatto forte sull'andamento di bond e azioni. Bond. Allora: per non arrendersi ai tassi negativi,
senza al contempo rischiare troppo, in questa fase nel portafoglio si possono inserire obbligazioni con un
buon rapporto rischio-rendimento e azioni ad alto dividendo. Partendo dai bond, Milano Finanza ha chiesto
alla boutique di gestione Tendercapital una selezione dei bond oggi più interessanti. «Investire nel mercato
obbligazionario, con il Bund decennale al record storico di 0,5% e con mezza Europa che presenta tassi
nominali negativi o a zero fino alla scadenza quinquennale, è un'impresa difficile ma non impossibile, a patto
di costruire un paniere di investimenti diversificato per valuta e per rischio emittente», spiega Nicola Esposito,
chief investment officer di Tendercapital. «Bisogna comunque rimanere con scadenze massime entro cinque
anni». Secondo il gestore un buon rapporto rischio-rendimentoè offerto, per esempio, dai titoli di Stato di
Australia, Polonia, Romania e Turchia in valuta locale, a patto di accettare una certa volatilità sui cambi, in
un'ottica di ulteriore compressione degli spread di questi Paesi nei confronti della Germania. «Si tratta di
Paesi con buoni fondamentali economici, con un basso debito pubblico e con una crescita del pil stimata oltre
il 2,5% per i prossimi due anni», aggiunge Esposito. Per chi invece pensa che dollaro e sterlina
continueranno ad apprezzarsi nei confronti dell'euro, conderando il probabile rialzo dei tassi che Fed e Bank
of England effettueranno nel corso del 2015, «i bond in dollari di Hellenic Petroleum, Alcoa, Pemex
rappresentano un ottimo compromesso sul fronte rischio-rendimento, anche per sfruttare la possibile
stabilizzazione del prezzo di petrolio e materie prime», consiglia il gestore. «Anche i bond i sterline di Tesco e
Gazprom possono rappresentare un'occasione per sfruttare rispettivamente la ristrutturazione aziendale in
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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RENDIMENTI Ben 1.200 miliardi di euro sono già investiti in titoli che hanno tassi negativi Perché giudicati un
porto sicuro in caso di turbolenze. Ma per chi non ha paura...
10/01/2015
Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
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atto e l'eventuale stabilizzazione della crisi russa». Le idee d'investimento non finiscono qui. Chi per esempio
apprezza valute più volatili, come il dollaro neozelandese o il rand sudafricano, «può investire in emittenti
obbligazionari di qualità come General Electric e Kfw, sfruttando ancora appieno il carry trade sui due Paesi»,
aggiunge il resposabile investimenti di Tendercapital. Chi invece preferisce valute-rifugio come il franco
svizzero, l'emissione (investment grade) del gruppo indiano di telecomunicazioni Bharti appare un valido
investimento a 5 anni con uno rendimento a scadenza dell'1,5%, più che soddisfacente considerando che i
titoli governativi svizzeri a 5 anni attualmente presentano un rendimento negativo dello 0,42%. «Per chi
invece non vuole correre rischi valutari, due interessanti idee sono i bond in euro della belga Nyrstar, leader
mondiale nella produzione di zinco, e del portoghese Novo Banco, la good bank del vecchio Banco Espirito
Santo», dice ancora Eposito. Il quale segnala anche l'emissione in euro di Kazagro, agenzia statale del
Kazakhstan, con scadenza 2019, investment grade e rendimento del 6,2%. «La Russia risulta sì il primo
partner commerciale del Kazakhstan, ma le riserve di oltre 30 miliardi di dollari e la forte partnership che sta
stringendo con la Cina rendono il Paese asiatico un'interessante idea di investimento in euro, tenuto conto
che, nonostante la crisi russa e il crollo del prezzo del petrolio, il pil kazako nel 2015 probabilmente crescerà
di oltre il 3%», conclude il gestore di Tendercapital. Azioni. Sul fronte delle azioni italiane che offrono ricche
cedole, in questa fase la più redditizia è Eni, con un dividend yield atteso dell'8,2%. È quanto emerge da
un'analisi di Cellino e Associati sim sui dividend yield attesi di un panel di società di Piazza Affari selezionato
da MF-Milano Finanza. I principali titoli presentano in media un dividend yield superiore al 3%, ben più ricco
quindi rispetto all'1,8% offerto attualmente dal Btp decennale. «La divaricazione fra i rendimenti azionari e
quelli obbligazionari ha raggiunto livelli che nella storia recente si erano visti solo dopo il crollo dei mercati
azionari del 20082009», sottolinea Silvio Olivero, responsabile dell'ufficio studi di Cellino e Associati sim.
«Questa situazione straordinaria si spiega con la notevole sottovalutazione del mercato azionario, ma anche
con attese per una deflazione che potrebbe erodere le cedole pagate in futuro dalle azioni, mentre i
rendimenti obbligazionari, in quanto nominali, sono destinati a rimanere costanti». Dunque in uno scenario
deflattivo la convenienza dei titoli azionari rispetto a quelli obbligazionari sarebbe solo apparente, «ma, se il
Qe di Draghi riuscirà a invertire la tendenza dei prezzi al consumo, gli attuali livelli dei mercati azionari sono
molto attraenti», aggiunge Olivero. A questo proposito, la maggiore redditività è offerta dai titoli assicurativi,
con un dividend yield medio di quasi il 6%, seguiti dagli energetici (5,3%) e dalle utility (4,9%). Salta all'occhio
il notevole balzo messo a segno dal dividend yield di Eni, che risulta il miglior titolo del campione. «Tale balzo
si spiega ovviamente con il calo del prezzo dell'azione, visto che le attese di dividendo sono immutate»,
conclude Olivero. «E va infine sempre ricordato che l'occasione si rivelerà buona solo se Eni riuscirà a
confermare le attese di dividendo nonostante il crollo del prezzo del petrolio». (riproduzione riservata)
UNA SELEZIONE DI SOCIETÀ REDDITIZIE A PIAZZA AFFARI GRAFICA MF-MILANO FINANZA Eni
UnipolSai Unipol G. Finanziario Snam Ascopiave Cattolica Iren Terna Erg STMicroelectronics Gas Plus
Mediolanum A2A Acea Hera IGD Banca Generali Gtech Marr Atlantia Sias Zignago Vetro Enel Astm Generali
Cnh Industrial Ima Beni Stabili Tod's Pirelli & C. Tenaris Recordati Bpm Prysmian Azimut De'Longhi Intesa
Sanpaolo Unicredit Credito Emiliano Telecom Italia Saipem Mediobanca Salvatore Ferragamo Salini
Impregilo Ansaldo Sts Enel Green Power Parmalat Campari Saes Getters DiaSorin Luxottica Danieli & C. Ubi
Piaggio & C. Italcementi Mediaset Exor Buzzi Unicem Autogrill Bper MEDIA 8,2% 7,8% 7,0% 6,4% 6,2%
5,8% 5,7% 5,6% 5,5% 5,3% 5,3% 5,2% 5,1% 4,8% 4,7% 4,6% 4,5% 4,4% 4,2% 4,0% 3,9% 3,8% 3,7% 3,7%
3,6% 3,6% 3,6% 3,5% 3,4% 3,3% 3,1% 3,0% 2,9% 2,9% 2,8% 2,7% 2,7% 2,4% 2,4% 2,4% 2,3% 2,3% 2,2%
1,8% 1,8% 1,8% 1,7% 1,6% 1,6% 1,6% 1,6% 1,5% 1,5% 1,4% 1,3% 1,1% 1,0% 1,0% 0,3% 0,3% 3,4% 13,62
2,17 3,83 3,92 1,76 5,50 0,89 3,58 9,11 6,19 3,56 5,14 0,79 9,00 1,93 0,65 22,45 17,62 14,26 19,67 7,94
5,04 3,49 9,55 16,54 6,42 35,21 0,58 70,45 10,71 11,71 12,99 0,53 14,50 17,82 14,73 2,25 4,96 6,35 0,85
8,10 6,48 20,29 2,74 8,21 1,69 2,38 5,10 6,18 33,55 45,82 20,18 5,42 2,35 4,65 3,18 33,39 10,05 6,08 4,99
1,120 0,170 0,270 0,250 0,110 0,320 0,051 0,200 0,500 0,331 0,187 0,265 0,040 0,430 0,090 0,030 1,000
0,775 0,606 0,779 0,309 0,190 0,130 0,355 0,600 0,229 1,250 0,020 2,400 0,350 0,365 0,391 0,016 0,420
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Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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0,500 0,403 0,060 0,120 0,150 0,020 0,190 0,150 0,442 0,050 0,147 0,030 0,040 0,080 0,100 0,530 0,717
0,310 0,080 0,033 0,060 0,035 0,345 0,100 0,018 0,014 -6,1% -2,9% -6,9% -4,3% -3,5% -3,9% -1,2% -4,7% 1,6% -0,1% +1,9% -2,9% -5,5% +0,6% -0,8% +0,9% -2,6% -4,7% -3,1% +1,8% -0,6% -0,6% -5,7% -0,1% 2,7% -3,6% -3,0% -0,9% -2,2% -4,5% -6,0% +1,1% -1,6% -4,3% -1,2% -1,6% -7,2% -7,1% +1,9% -3,5% 7,6% -4,4% -0,6% -9,2% -1,4% -2,7% -0,4% -1,3% +1,2% +0,7% +0,7% -1,9% -9,1% -2,6% -5,9% -7,7% 1,9% -4,4% -2,7% -8,7% -2,9% Società Dati in euro Dividend Yield 2014 Variaz. prezzo da inizio anno
Dividendo atteso 2014 Prezzo al 22/10/2014 Fonte: elaborazioni Cellino e Associati Sim su dati propri e di
FactSet Nota: La colonna «Dividendi attesi 2014» contiene i dividendi sugli utili 2014 che verranno
generalmente distribuiti nel corso del 2015. Fanno eccezione a questa regola i dividendi di Mediobanca e
Danieli, poiché tali società, chiudendo l'esercizio il 30 giugno, distribuiscono i dividendi di ciascun anno nel
corso dell'anno stesso. I dividendi attesi di Stm e Tenaris, denominati in dollari Usa, sono stati convertiti in
euro al cambio corrente
UN PANIERE DI OBBLIGAZIONI IN EURO E IN VALUTA SELEZIONATE DA TENDERCAPITAL GRAFICA
MF-MILANO FINANZA Rating Codice isin Isin Scadenza Cedola Prezzo Taglio minimo (€) Rendim. lordo a
scadenza Valuta XS1068226114 XS0269584669 TRT161116T19 PTBEQKOM0019 XS0838228996
RO1418DBN040 US013817AP64 XS1070363343 PL0000105441 XS1107268135 AU3TB0000184
XS0159013068 CH0234487426 US71654QAW24 XS0974126186 Hellenic Petroleum General Electric
Repubblica Di Turchia Novo Banco Kfw Repubblica di Romania Alcoa Kazagro Repubblica di Polonia Nyrstar
Repubblica di Australia Tesco Plc Bharti Airtel Comun. Pemex Gazprom MEDIA 92,8 104,45 101,1 96,17
95,6 103,21 110,09 89 116,20 101,2 102,5 109,2 107,5 112,5 84,00 200.000 5.000 1.000 100.000 5.000
5.000 100.000 100.000 1.000 100.000 1.000 1.000 5.000 10.000 100.000 10,45% 4,03% 7,55% 4,39%
6,80% 2,14% 3,09% 6,20% 1,92% 8,34% 2,19% 3,44% 1,50% 3,33% 8,97% 4,956% Dollaro Usa Dollaro
Neozelandese Lira Turca Euro Rand Sudafricano Leu Rumeno Dollaro Usa Euro Zloty Polacco Euro Dollaro
Autraliano Sterlina Franco Svizzero Dollaro Usa Sterlina n.d. AA+ BBB BAAA BBB BBBBBB+ A BAAA
BBBBBBABBB 16-05-2016 26-09-2016 16-11-2016 8-05-2017 4-10-2017 17-01-2018 23-02-2019 22-052019 25-10-19 15-09-2019 21-10-2019 13-12-2019 31-03-2020 5-03-2020 25-09-2020 4,625% 6,750%
8,200% 2,625% 5,000% 3,250% 5,720% 3,255% 5,500% 8,50% 2,75% 5,50% 3,00% 6,00% 5,338% 5,068%
Nota: tutti i titoli sono del tipo senior non garantiti
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Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
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Matteo Radaelli
La corsa del dollaro nei confronti dell'euro è proseguita anche nella settimana appena conclusa, con il cambio
che venerdì 9 gennaio è sceso in zona 1,18 dollari, con un minimo di giornata a 1,176. A spingere al ribasso il
cambio euro-dollaro sono le opposte prospettive della politica monetaria della Federal Reserve e della Bce,
diventate ancora più evidenti nelle ultime settimane. Se da una parte la Bce è attesa rendere la propria
politica monetaria più espansiva con l'acquisto di titoli di stato già dalla riunione del 22 gennaio, la Fed non
dovrebbe invece deviare dallo scenario di base che la vede aumentare i tassi a metà anno, anche se poi i
rialzi saranno moderati. A confermare che la Bce è pronta a incrementare gli interventi sul mercato per ridurre
i rischi che la deflazione diventi cronica dopo essere scesa al -0,2% su base annua in dicembre sono state le
parole del presidente della Bce, Mario Draghi, che ha sottolineato come l'Eurotower sia pronta ad acquistare
titoli governativi, pur rimanendo il parere contrario di alcuni membri del Consiglio direttivo. In tale direzione
vanno le indiscrezioni secondo cui lo staff della Bce ha preparato un piano di acquisto di titoli governativi con
il rating di investment grade (quindi italiani compresi) di 500 miliardi di euro. Gli ultimi dati economici
pubblicati in area euro hanno evidenziato come un intervento delle autorità monetarie sia necessario, se non
altro per ridare fiducia agli investitori. In settimana segnali di debolezza dell'economia sono arrivati dagli ordini
all'industria tedeschi di novembre, scesi del 2,4% su base mensile contro le attese di un calo del -0,8%, e
dalla produzione industriale francese, sempre di novembre, diminuita dello 0,3% rispetto a ottobre, contro le
attese di un aumento dello 0,3%. I solidi dati economici statunitensi, di cui l'ultimo esempio è stato la discesa
del tasso di disoccupazione al 5,6% in dicembre, nonostante le perplessità legate al calo dei salari e della
forza lavoro, dovrebbero rassicurare la Fed sul fatto che la crescita economica possa proseguire vigorosa nei
prossimi mesi, anche in presenza di una fase di rialzo dei tassi. La stretta dovrebbe iniziare in giugno,
nonostante le dichiarazioni del presidente della Fed di Chicago, Charles Evans, secondo cui il primo rialzo
dovrebbe essere rinviato al 2016 ed essere molto graduale, come confermato dalle minute dell'ultima riunione
della Fed pubblicate pochi giorni fa. Il rialzo dei tassi da parte della banca centrale Usa dovrebbe continuare
ad attrarre flussi di capitali dagli investitori alla ricerca di rendimenti più alti sui mercati obbligazionari. In
questo scenario il dollaro potrebbe continuare a guadagnare terreno contro la moneta unica. Il consensus
degli analisti interpellati da Bloomberg è per una discesa del cambio a 1,15 entro la fine del 2016, ma alcuni
strategist, come per esempio quelli di Ing, Abn Amro e Citigroup, stimano una discesa del tasso di cambio
alla parità. Si tratterebbe di una quotazione che non si vede dalla fine del 2002, ma che non
rappresenterebbe un minimo assoluto. A fine 2000, infatti, l'euro toccò il minimo storico di 0,822 dollari prima
di iniziare il trend al rialzo che l'ha portato a registrare il massimo storico di 1,60 nel 2008. Un'ulteriore
discesa dell'euro ne aumenterebbe la sottovalutazione rispetto al dollaro sulla base della parità del potere
d'acquisto calcolata dall'Ocse. Sulla base dei calcoli dell'istituto di Parigi, a 1,18 l'euro sarebbe sottovalutato
del 9% e del 22% in caso di discesa a 1. Anche in questo caso, però, non si tratterebbe di una novità storica
poiché già nel 2002 si era raggiunto questo livello di sottovalutazione. Il calo dell'euro avrà effetti positivi sulla
crescita economica sia nel 2015 sia nel 2016. Secondo le stime dell'Ocse, un calo del 10% dell'euro ha
l'effetto di aumentare la crescita economica dello 0,8% nell'anno seguente alla svalutazione e di un ulteriore
0,9% in quello successivo. Per questo motivo la Bce dovrebbe assicurarsi che il recente trend al ribasso della
valuta continui anche nei prossimi mesi, aiutando così la crescita economica e riducendo le pressioni
deflazionistiche. Una discesa sostenuta in deflazione, infatti, ha l'effetto di aumentare il valore di una valuta,
come dimostrato dallo yen negli ultimi anni, incrementandone il potere d'acquisto a fronte di prezzi in discesa.
Il raggiungimento del target di un attivo di bilancio a 3 mila miliardi di euro annunciato da Draghi è, quindi,
quanto mai necessario per garantire la discesa dell'euro. Tanto più che la Fed, in presenza di un
rallentamento dell'economia o di pressioni inflazionistiche contenute, sarebbe molto veloce nel fermare la
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Per l'euro la parità non è un'utopia
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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fase di rialzo dei tassi, riducendo così l'appeal del dollaro, con la conseguente rivalutazione della moneta
unica. (riproduzione riservata) IL DOLLARO SALE GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fed/Bce attivo di
bilancio Euro/dollaro 2009 2010 2011 2012 2013 2014 1,5 1,0 0,5 2,0 2,5 1,3 1,2 1,1 1,4 1,5 Fonte:
Bloomberg
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Internet of thing$
Davide Fumagalli
Dopo personal computer, smartphone e tablet, ora è la volta di case, automobili e pc indossabili. Al
Consumer Electronic Show di Las Vegas, annuale kermesse dedicata all'elettronica di consumo, le novità più
interessanti non sono infatti stati smartphone e tablet, ma vasi da fiori intelligenti, telecamere di
videosorveglianza domestica e orologi smart ( si veda articolo a pagina 21 ). Il tratto distintivo di tutti questi
dispositivi è la connessione costante a internet, che non solo consente di trasmettere i dati dai dispositivi agli
utenti, ma permette anche di sfruttare la mole stessa di dati generata dai sensori (nelle abitazioni, nelle
automobili e nei pc indossabili) per creare servizi prima impensabili a prezzi compatibili con una vera
diffusione di massa. È il mercato dell'internet of things, come viene definito l'insieme di centinaia di milioni di
dispositivi connessi al web, che, secondo McKinsey, nel 2025 varrà qualcosa come 6.200 miliardi di dollari,
grazie anche a un numero di dispositivi connessi che entro il 2020 dovrebbe salire a quota 20-30 miliardi.
Un'opportunità quindi enorme per una pluralità di aziende, che comprende tanto nuove realtà nate proprio
con questo focus quanto protagonisti già affermati e dotati di asset indispensabili per sostenere l'ecosistema
dei dispositivi connessi. Molte delle start-up e delle società che hanno creato ecosistemi di dispositivi
connessi a internet hanno infatti utilizzato le server farm di Amazon e Microsoft che mettono a disposizione
tutte le infrastrutture server, storage e applicative necessarie in una logica di costo a consumo. Si tratta di un
business ideale per questo genere di società, dal momento che permette di modulare istantaneamente la
potenza di calcolo e i dati gestiti in base numero di utenti e con costi marginali bassissimi, senza dover quindi
immobilizzare in conto capitale somme incompatibili con piccole realtà o linee di business da costruire. Non a
caso nei bilanci di Amazon e Microsoft le divisioni responsabili di queste operazioni stanno registrando
crescite di fatturato sensibilmente superiori a quelle complessive dei due colossi tecnologici. Sebbene non
direttamente protagonisti anche di questo settore, smartphone e tablet giocano ugualmente un ruolo
fondamentale, dal momento che costituiscono i terminali su cui le informazioni generate dai sensori ed
elaborate dai server vengono poi fruite dagli utenti. In questo caso, quindi, Apple e Google proseguiranno la
propria sfida senza esclusioni di colpi, mentre Microsoft con Windows Phone rimane per il momento
decisamente indietro nonostante i progressi evidenziati nell'ultimo anno. Da notare però come ancora una
volta Apple si sia dimostrata in grado di monetizzare anche il business delle app in modo decisamente più
efficiente rispetto alla rivale di Mountain View. Il colosso guidato da Tim Cook lo scorso anno ha infatti messo
a segno un aumento del 50% dei ricavi legati alle app scaricabili da iTunes Store, il negozio digitale in cui
acquistare programmi e contenuti per iPhone e iPad, generando così guadagni per gli sviluppatori superiori a
10 miliardi di dollari. Calcolando che Apple trattiene una percentuale del 30% sul fatturato complessivo
generato dalle vendite di app, risulta che la società di Cupertino ha incassato così 4,3 miliardi di dollari dalle
sole app, sulle quali i margini di utile sono elevatissimi considerato che il costo di sviluppo è a carico di
software house esterne. Sebbene 4,3 miliardi rappresentino una goccia nel mare per il colosso di Cupertino,
che fattura più di 180 miliardi di dollari l'anno, l'alto livello di redditività di questo particolare business si
trasforma in una percentuale significativa dei 40 miliardi di dollari di utile complessivo dell'ultimo esercizio. E il
tutto evidenziando un tasso di crescita impressionante. Trenta miliardi di dispositivi connessi sono una ghiotta
occasione anche per gli operatori di telecomunicazioni. Se infatti la domotica rende ancora più urgente la
disponibilità di reti di nuova generazione in fibra ottica, pc indossabili e automobili connesse costituiscono un
business su cui gli operatori mobili come Vodafone stanno già investendo. Il colosso inglese delle tlc guidato
da Vittorio Colato ha infatti acquisito Cobra, società italiana specializzata in soluzioni intelligenti per
automobili, e ha concluso un accordo con il gruppo Volkswagen Audi per la fornitura di sim card da integrare
nelle vetture del costruttore tedesco per la connessione al web dei sistemi di bordo. A fianco dei colossi
dell'It, l'internet of things sta portando però alla nascita e all'affermazione di nuovi protagonisti, anche in
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NASDAQ
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Europa. La Francia, in particolare, si sta rivelando un terreno fertile per start-up innovative in questo settore.
Withings, partecipata tra gli altri da 360 Capital Partners, si sta per esempio dimostrando capace muoversi
con abilità nel mercato dell'internet of things e in modo particolare dei dispositivi legati al benessere,
spaziando dalle bilance e misuratori di pressione sanguigna collegati a internet sino a braccialetti e orologi
intelligenti diffusi ormai su scala globale. Molto interessante anche la crescita messa a segno da Netatmo,
altra società francese specializzata invece nella domotica, che dopo il successo della stazione meteorologica
intelligente ha presentato un termostato connesso a internet per gestire da remoto il riscaldamento domestico
per poi debuttare, proprio al Ces di Las Vegas, nell'arena della videosorveglianza domestica facendo tesoro
tanto delle soluzioni tecniche mese a punto quanto della grande attenzione al design. La domotica, campo in
cui il design svolge un ruolo fondamentale, offre potenzialità da cogliere anche per realtà italiane innovative
come Easydom, specializzata però in soluzioni di alto livello che necessitano di professionisti per
l'installazione. (riproduzione riservata)
AMAZON
APPLE
MICROSOFT
BLACKBERRY
VODAFONE GRAFICA MF-MILANO FINANZA 250 400 350 300 450 quotazioni in dollari Var. % sul 9 gen
'14 299,1 € -25,4% 60 120 110 70 80 90 100 130 quotazioni in dollari Var. % sul 9 gen '14 111,6 € +45,6% 30
50 45 40 35 55 6 12 11 10 13 quotazioni in dollari Var. % sul 9 gen '14 47,3 € +33,2% quotazioni in dollari
Var. % sul 9 gen '14 10,4 $ +19,3% 160 240 220 200 180 260 quotazioni in pence Var. % sul 9 gen '14 224,9
p -6,17% 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14
Foto: Jeff Bezos
Foto: Tim Cook
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Itablet, gli smartphoneei loro touchscreen hanno finora dato la possibilità di interagire con internet come mai
in passato: si può scegliere che cosa vedere, allargare e stringere le pagine web in punta di dita. Ma, a parte
occasionali popup e notifiche, non è arrivata molta interazione. Secondo quanto riporta il sito americano
qz.com, la prossima generazione di dispositivi wireless potrebbe cambiare lo scenario. Alcuni studi indicano
che nel giro di 20 anni la rete wireless sarà in grado di inviare e ricevere grandi quantità di dati in meno di un
millisecondo, ossia con la stessa velocità di reazione del corpo umano quando tocca qualcosa. Ciò implica
che sarà possibile controllare oggetti in qualsiasi parte del mondo, in tempo reale, da un dispositivo mobile
con la stessa sensazione che si ha quando l'oggetto è di fronte a noi. Gerhard Fettweis, professore di
tecnologia all'Università di Dresda, ritiene che il 5G, la prossima generazione di reti di telefonia mobile,
potrebbe essere abbastanza veloce da creare una rete di dispositivi internet a reazione istantanea, imitando
l'esperienza della vita reale. Uno recentissimo studio sul futuro del 5G comprende anche il concetto di
connettività di Fettweis, ovvero internet tattile. In che cosa si tradurrà l'internet tattile? Ecco di seguito alcuni
esempi concreti. Mondo virtuale. Fettweis vede in futuro studenti che imparano sul campo, utilizzando la
realtà virtuale per interagire in classe. Gli studenti saranno virtualmente in giro per le strade dell'antica Roma
e potranno toccare ciò che vedranno. Patenti virtuali. Si potranno acquisire nuove abilità, come guidare l'auto
o fare surf, grazie a simulazioni realistiche nei salotti di casa, senza mettere piede in strada o in mare.
Conversazioni più coinvolgenti. La prossima generazione di video-chat darà alle persone l'impressione di
trovarsi nella stessa stanza, con la potenzialità di stringere la mano a qualcuno che si trova dall'altra parte del
mondo. Medicina a distanza. I medici potrebbero riuscire a diagnosticare e operare su pazienti, ovunque si
trovino, utilizzando tecnologie di telerobotica.I medici potrebbero essere in grado di sentire il polso o misurare
la pressione su internet. Nessun semaforo. Il 5G potrebbe consentire alle automobili di essere
completamente automatiche, in grado di reagire in un istante ai cambiamenti di traffico e viabilità, in base ai
movimenti di altri veicoli 5G e al comportamento dei pedoni, eliminando la necessità della presenza di
semafori. Quanto probabile è il futuro di questo internet tattile? Secondo quanto dichiarato a qz.com da
Fettweis, sta già accadendo. In alcune fabbriche robot posti su particolari pavimenti già possono interagire tra
loro e con l'ambiente quasi istantaneamente. Ma ci sarà bisogno di dispositivi più potenti e di una rete
wireless più veloce prima di vedere un internet veramente tattile. Fettweis, che ha lavorato con Vodafone e
con l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (braccio tlc dell'Onu), sostiene che occorrerà una rete di
dati 100 volte più veloce rispetto all'attuale 4G e passerà un altro decennio o giù di lì prima che le società di
telecomunicazioni comincino a investire seriamente in questo tipo di rete. «I grandi balzi tecnologici
avvengono ogni dieci anni», dice Fettweis, «se la gente e le aziende si accorgono che si tratta di
un'opportunità, faranno in modo da non perderla».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Realtà virtuale, nel 2035 la stretta di mano sarà online
SCENARIO PMI
12 articoli
10/01/2015
Il Messaggero - Civitavecchia
Pag. 41
(diffusione:210842, tiratura:295190)
CIVITA CASTELLANA
Dalle parole ai fatti. Il parlamentare viterbese Massimiliano Bernini e quello di origine civitonica Alessandro Di
Battista, insieme ad altri sei colleghi del Movimento Cinque Stelle, hanno presentato al Governo una mozione
in cui propongono la ricetta per sollevare le sorti del distretto industriale della ceramica di Civita Castellana. Si
tratta della promessa fatta ai ceramisti qualche mese fa e che oggi sarà presentata alle associazioni, agli
operai e ai simpatizzanti presso lo spazio Catalano a partire delle 16,30. Di fatto la proposta, che dovrà
essere votata dal Parlamento, impegna il Governo guidato dal premier Renzi a porre in essere ogni iniziativa
per superare la crisi dell'unico polo della Tuscia.
Il disegno è molto articolato e prevede la riduzione dei costi di acquisto di energia, un percorso di riduzione
della pressione fiscale sulle piccole e medie imprese, prima fra tutte l'Irap; di adottare iniziative per
valorizzare l'immagine del distretto attraverso l'introduzione di un programma di protezione del marchio
"made in Italy" nonché di un vero e proprio "marchio del distretto industriale di Civita Castellana" che accerti
la provenienza del prodotto ceramico e che sia garanzia di elevata qualità; di aprire un procedimento con
l'istituzione di un dazio antidumping nei confronti delle imprese che importano prodotti di ceramica sanitaria
dalla Repubblica popolare cinese; incentivare e facilitare l'accesso ai fondi regionali ed europei con la
mediazione delle amministrazioni territoriali competenti. La mozione propone inoltre di adottare ogni iniziativa
per sostenere le attività delle piccole e medie imprese all'estero, soprattutto per quanto riguarda i mercati;
introdurre un pacchetto di "defiscalizzazioni" sulle ristrutturazioni edilizie e sui prodotti ecosostenibili al fine di
stimolare la domanda interna; incentivare la sostituzione di sanitari in favore delle nuove tecnologie
cosiddette di "water saving"; promuovere campagne di informazione della cittadinanza volte a incentivare
l'installazione di sanitari a ridotto consumo di acqua e sostenere le attività di ricerca, sviluppo e innovazione
tecnologica.
Paolo Baldi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Dai 5 Stelle una ricettaper salvare la ceramica
10/01/2015
Il Messaggero - Marche
Pag. 42
(diffusione:210842, tiratura:295190)
L'ACCORDO
Si chiama Reti d'impresa il progetto della Camera di Commercio di Ascoli e portato avanti da Piceno
Promozione che si è concluso con la sigla di due contratti di rete dei settori tessile e nautica: «Rete integrated
texile service» e «Rete nautica integrata». Alla loro guida due donne: Doriana Marini per il tessile e Silvia
Merlini per la nautica. Il progetto è stato finanziato con il fondo di perequazione (in tutto 30 mila euro). «Il
tessuto economico locale- ha spiegato il presidente della Camera di Commercio, Gino Sabatini- è
caratterizzato da micro e piccole imprese che, singolarmente, riscontrano difficoltà nel processo di
internazionalizzazione e che, grazie al finanziamento del sistema camerale, hanno adesso a disposizione uno
strumento per essere più competitive». Si tratta, in particolare, di 7 imprese della nautica (Cmm di Simone
Giacoponi, Frigoemme, Gem Elettronica, Iscar funi metalliche, Movinox, Mori Carlo Società a responsabilità
limitata, Idromeccanica Forani e Pecorari) e 7 imprese del tessile (Dienpi, Mactec, Itaclab, Itv Industria tessile
del Vomano, Wash spa, Gpg, Abbigliamento G &G). Inevitabile il percorso di aggregazione per superare il
difficoltoso momento con indice di crescita vicino allo "zero", come ha ricordato Rolando Rosetti, presidente
di Piceno Promozione. «Già la prossima settimana l'attivazione di tavoli di lavoro-ha aggiunto- per la
conquista di tre mercati: Tunisia, Marocco e Senegal». Per il prof Gianluca Gregori, prorettore Politecnica
delle Marche un progetto innovativo. «Le Marche fanalino di coda per i contratti di rete, appena 50 che
coinvolgono 325 aziende. Nella provincia di Ascoli finora solo 25 imprese, ora grazie ai due nuovi contratti,
sul tavolo altre 14 aziende». A guidare le due nuove aggregazioni Doriana Marini, presidente della rete tessile
che si estende all'Abruzzo fino alte Marche, e Silvia Merlini della nautica. «Dobbiamo puntare sulla qualità e
tracciabilità del prodotto - ha ribadito la Marini. All'estero siamo molto apprezzati per il denim». Nella nautica,
invece, aziende molto diverse tra loro con l'unico obiettivo, ha sottolineato la presidente Merlini «di portare
all'estero il sistema del Piceno. Sarà una sfida, già fissato un incontro in Tunisia».
Tiziana Capocasa
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Reti d'impresadue donneper tessilee nautico
10/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 20
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Scommettiamo sugli immobili, meglio stare lontani dalla finanza
ERNESTO PREATONI
Il 2015 è cominciato come peggio non si poteva immaginare. Già nella prima settimana c'è stato un
tambureggiamento di cattive notizie per l'Italia: l'indice Pmi sull'attività produttiva è sceso sotto la soglia critica
di cinquanta punti, la disoccupazione cresce al record storico del 13,4%, l'inflazione cala allo 0,2% con
tendenza a diventare negativa come nel resto dell'area euro. Una partenza da incubo che è stata completata
dalla caduta dei mercati: lunedì le Borse europee hanno perso complessivamente 200 miliardi di
capitalizzazione. Milano, da sola, ha lasciato sul terreno il 4,9%. Le sedute successive sono state
caratterizzate da una altalena mozzafiato. I MERCATI I mercati avevano già scontato il fatto che nella
riunione del 22 gennaio Draghi darà inizio, con più di sei anni di ritardo rispetto alla Federal Reserve
americana, al quantitative easing (cioè l'acquisto di titoli di Stato sul mercato). Illudersi che manovre così
tardive possano avere lo stesso effetto positivo che hanno avuto negli Stati Uniti è molto pericoloso. Tanto più
che i mercati, in questo momento spinti da motivazioni meramente finanziarie, stanno dimenticando i
fondamentali dell'economia reale. Nelle ultime settimane le Borse si sono mosse scommettendo (è proprio il
caso di dirlo) sulle dichiarazioni di Draghi e su quello che la Bce deciderà nella riunione del prossimo 22
gennaio. Tra l'altro nessuno sa (forse neppure Draghi) attraverso quali modalità si effettuerà l'annunciata
immissione di liquidità. Le possibilità sul tappeto sono tre: l'acquisto di titoli di stato europei in misura
proporzionale alle loro economie, oppure (come vorrebbe il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann)
tramite l'acquisto di titoli con la tripla A (che pochi stati europei possiedono). Oppure, terza ipotesi, utilizzando
la garanzia delle banche centrali nazionali. Ognuna di queste strade accentuerà le tensioni all'interno dell'Ue.
Consentitemi una notazione personale: mi sono occupato di gestione di portafoglio per molto tempo. Sono,
però, diciotto anni che non compro né azioni né obbligazioni in Borsa e sono molto contento della scelta che
ho fatto. LA FINANZA Per completare il quadro delle criticità aggiungo che la Bce ha rivisto al rialzo i
parametri patrimoniali delle banche europee. È un provvedimento forse poco importante per la finanza, ma
estremamente rilevante per l'economia. Significa, in buona sostanza, che vi saranno meno risorse da parte
delle banche per erogare credito alle famiglie e alle imprese. Ciò allargherà ancora di più lo spread (la
forbice) tra finanza ed economia reale. Comprare titoli del debito pubblico in questa situazione è una vera
follia. È un investimento che non ha alcuna possibilità di rialzo e ne ha molte al ribasso. Per quanto riguarda i
titoli azionari americani vorrei ricordare che il rapporto prezzo utili è del 70% superiore alla media degli ultimi
dieci anni. GLI IMMOBILI In questa situazione aspetterei a comprare titoli azionari fin quando gli scenari
saranno più chiari. Sono certo, invece, che saranno premiati coloro che compreranno immobili in Paesi che
hanno cinque caratteristiche: 1) Politica stabile; 2) Situazione sociale tranquilla; 3) Scarso debito pubblico, 4)
Tassazione contenuta, 5) Prezzi degli immobili accettabili. Conosco alcuni Paesi che hanno queste
caratteristiche: Estonia, Lettonia, Lituania e Russia (avete letto bene: Russia). Ma sono sicuro che ce ne sono
degli altri. Se i lettori avranno voglia di segnalarmeli sarò contento.
Foto: Ernesto Preatoni
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Una scelta diversa
12/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
Pag. 25
(diffusione:581000)
DEBOLEZZA DELL'EURO, RIPRESA ECONOMICA IN USA E "RESHORING": SONO LE TRE CARTE
VINCENTI PER CONFERMARE LA RIPRESINA CHE HA SEGNATO GIÀ IL 2014, SECONDO L'INDAGINE
CAMPIONARIA DI "SISTEMA MODA ITALIA". MA CI SONO ANCORA RISCHI NASCOSTI
Sibilla Di Palma
Milano La debolezza dell'euro; la ripresa dell'economia americana; il ritorno alle produzioni in patria. Tre
fattori che inducono gli analisti a vedere un 2015 rosa per la moda italiana. Non che siano spariti di colpo i
fattori di tensione, dalla persistente debolezza dei consumi interni ai problemi geopolitici in alcuni mercati
emergenti, ma adesso vi sono le condizioni perché il settore torni al suo ruolo di perla dell'economia italiana,
grazie a grandi gruppi internazionalizzati, ma anche a multinazionali tascabili che si fanno strada a colpi di
innovazioni. I primi segnali di inversione della rotta, dopo il biennio 20122013 in rosso, si erano già visti.
Un'indagine campionaria di Sistema Moda Italia, che ha coinvolto 120 aziende attive in tutti gli stadi della
filiera tessile-moda italiana, ha censito per il primo trimestre 2014 un balzo del 3,4%, merito soprattutto del
tessile, in crescit a d e l l ' 8 , 5 % , m e n t r e l'abbigliamento-moda si è fermato a un timido +0,7%. Anche
per la società di consulenza Pambianco, «l'anno appena iniziato si preannuncia migliore rispetto al 2014»,
come spiega il vicepresidente David Pambianco. Sistema Moda Italia sottolinea che, per le aziende a
campione, il giro d'affari è risultato in crescita anche nel secondo trimestre 2014 (+6,1%); trend che in base
alle stime delle imprese si estende anche al periodo luglio-settembre, con un incremento delle vendite del
6,4%. Risultati merito soprattutto del grande favore che il made in Italy registra sui mercati esteri, tappa ormai
obbligata per le aziende italiane considerato che a livello interno la situazione resta piatta, con i consumi delle
famiglie che nel 2014 si sono attestati ai livelli del 1999. Tanto per dare un'idea, secondo i dati diffusi dal Wto
(Organizzazione mondiale del commercio), le vendite oltre confine del tessile-moda italiano da gennaio a
luglio sono aumentate su base annua del 4,6%. Scambi con l'estero che hanno portato il saldo commerciale
del comparto a superare nei primi sette mesi del 2014 i 5,7 miliardi di euro. Anche se ad avere il vento in
poppa su questo fronte sono soprattutto i grandi marchi del lusso, mentre «le medie imprese, che hanno
risentito di più della crisi degli ultimi anni, continuano ad avere una maggior difficoltà di accesso ai mercati
esteri più promettenti che sono anche quelli geograficamente più distanti», sottolinea Pambianco. Resta poi
la categoria delle piccole aziende, che crescono nella misura in cui riescono a ritagliarsi nicchie di mercato
anche fuori dai confini nazionali. Secondo l'analista, gli Stati Uniti sono il paese al quale guardare per
crescere nel 2015. «I recenti dati sul Pil mostrano un'economia a stelle e strisce in salute dove non a caso la
Fed si prepara ad alzare i tassi di interesse. Il dollaro che si sta rivalutando rispetto all'euro rappresenta poi
un'ulteriore carta a favore delle aziende italiane esportatrici». Nonostante il rallentamento degli ultimi tempi,
anche la Cina resta un mercato importantissimo, per quanto di difficile accesso per le Pmi. Mentre «la Russia
rischia di rivelarsi il tasto dolente del 2015 per via della svalutazione del rublo determinata dal calo del prezzo
del petrolio che ha reso le esportazioni nella Federazione molto meno remunerative. Qui, inoltre, il consumo
locale è in crisi per via della recessione che sembra ormai alle porte» secondo Claudio Marenzi, presidente
del Sistema Moda Italia. Uno scenario nel quale le aziende italiane continuano a tenere l'acceleratore puntato
sulla qualità come vantaggio competitivo. «Noi siamo bravi a competere sulla fascia alta, anche perché è
molto difficile vendere all'estero un prodotto italiano che non sia di valore». Non a caso diverse aziende del
settore moda hanno scelto di riportare la produzione nel nostro Paese (il fenomeno è indicato come reshoring
). E non solo per l'aumento del costo dei trasporti o della manodopera estera, ma soprattutto per la forza del
marchio made in Italy. Un fenomeno che però, secondo Pambianco, riguarda principalmente le grandi
aziende del fashion «che stanno aumentando la produzione nella Penisola perché l'etichetta made in Italy è
sinonimo di lusso. Mentre da parte delle medie imprese l'approccio alla delocalizzazione è lo stesso di tre
anni fa, anche perché in America dove molte aziende stanno attuando politiche di reshoring sono state
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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2015, il made in Italy vede "rosa"
12/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
Pag. 25
(diffusione:581000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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promosse delle politiche fiscali incentivanti, percorso che in Italia invece non è stato compiuto», conclude.
Foto: Nella foto qui sopra Claudio Marenzi , presidente del Sistema Moda Italia
12/01/2015
La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015
Pag. 14
(diffusione:581000)
PICCOLE DONNE CRESCONO NELL'IMPRESA SVIZZERA
Franco Zantonelli
Aconferma del buon stato di salute economico della Svizzera non ci sono solo il Pil in costante crescita e i
conti pubblici in ordine, ma anche il boom di nuove imprese che nascono anno dopo anno. Nel 2014 ne sono
state create 41.588, ovvero l'1,86 per cento in più del 2013. C'è inoltre, all'interno di questo dato, già di per sé
lusinghiero in un'Europa tuttora impantanata nella crisi, un elemento ancor più significativo. "Il 26 per cento
delle nuove imprese- rileva il sito Startups.ch - è stato costituito da donne". Tante piccole imprenditrici che
sembra vogliano ribaltare l'immagine di un Paese ancora parecchio maschilista, almeno in economia.
Talmente maschilista da costringere, poco tempo fa, il Governo di Berna a imporre, di qui al 2020, un 30 per
cento di quote rosa nel management delle aziende elvetiche. Ma qual è il profilo tipo di queste donne che
decidono di lanciarsi nel mondo del lavoro, dando vita a una loro impresa? "Una buona metà- rileva sempre
Startups.ch - cerca l'indipendenza professionale dopo avere avuto dei figli". Dopo la pausa di maternità molte
donne, nonostante un'istruzione elevata, fanno fatica a rientrare nel mondo del lavoro, non riuscendo a
conciliare la carriera con la cura dei figli. Ecco, allora, che mettendo in piedi un'attività per conto proprio,
ottengono flessibilità e soddisfazioni professionali. Mediamente queste donne hanno dai 35 ai 41 anni, sono
madri di due figli e l'attività che mettono in piedi opera nel settore dei servizi, con non più di 3 dipendenti e un
capitale sociale non superiore ai 100 mila franchi, circa 80 mila euro.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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LE CAPITALI BERNA
12/01/2015
Corriere Economia - 12 gennaio
2015
Pag. 26
Da La Doria a Rummo: buoni affari producendo per gli altri
r. sCA.
Sono un migliaio le imprese italiane che producono beni di largo consumo con l'etichetta delle grandi catene
di distribuzione. Tutti insieme questi produttori invisibili generano un fatturato di 10 miliardi. Tra loro ci sono
piccole aziende del territorio a gestione familiare, aziende medio-grandi con quote di export significative e
anche multinazionali ben conosciute. Come Parmalat-Lactalis o Kimberly Clark.
La scommessa di questi cosiddetti copaker è quella di cavalcare il trend di crescita di un mercato che, sia
pure con la battuta di arresto del 2014, dovrebbe allinearsi nel lungo termine ai livelli europei, e quindi
raddoppiare. Oppure, più semplicemente come nel caso delle multinazionali, la produzione per conto terzi
serve a ottimizzare la gestione di alcuni impianti. In ogni caso si tratta di un business in attivo.
Secondo i dati raccolti da Adm-Lab su un campione di queste imprese, solo il 5% sostiene di aver subito una
contrazione del business nel corso dello scorso anno, mentre più del 50% ha registrato una modesta crescita
o stabilità. Il resto del campione segnala una buona crescita (18% delle risposte) se non addirittura uno
sviluppo consistente (14%).
Ormai destinare una parte della produzione alle insegne dei supermercati è la norma nell'agroalimentare e
nel largo consumo. E le aziende più efficienti realizzano le loro esportazioni attraverso le forniture alle catene
retail estere. Aziende come la cartaria Sofidel o La Doria nelle conserve sono fornitrici delle principali insegne
europee. Dietro le confezioni di prodotti targati Esselunga, Coop, Conad o Carrefour ci sono per il 90%
aziende italiane. Piccole o medie imprese che, pur rimanendo anonime per il grande pubblico, nelle loro
nicchie di mercato vendono di più dei competitor più famosi e internazionali. La Formec Biffi, per esempio, è il
numero uno della maionese, la siciliana Nino Castiglione, fondata nel 1933, lo è nel tonno in scatola, la Lillo
nel pesce affumicato, la Valbona o la Inpa, nei sottoli e nelle conserve, Rummo o Zara nella pasta.
Lo stesso vale per le imprese lucchesi nella carta per uso sanitario. Alcune di queste aziende non sono
specializzate ma hanno diverse produzioni come la romagnola Deco, che realizza per la marca privata sia
biscotti sia detersivi. Le aziende dedicate solo alla produzione per conto terzi con contratti di esclusiva sono
una minoranza, la maggior parte sono imprese che hanno solo una quota del loro business destinata a terzi e
il resto alle attività core del proprio brand.
La selezione dei copaker è diventato così importante che le catene clienti certificano i processi produttivi,
lavorano in partnership coi fornitori sull'innovazione e sul packaging. Perché l'ambizione delle grandi insegne
nazionali è quella di vendere all'estero i propri prodotti a marchio. Coop sta negoziando con diversi gruppi
esteri per siglare partnership dedicate all'export in tre aree Usa, Europa e Asia, mentre Conad ha appena
aperto cinque negozi con i propri prodotti in Cina.
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Foto: Conserve Antonio Ferraioli, alla guida del gruppo La Doria, oltre 600 milioni di ricavi fatti per il 90% con
le private label, per lo più all'estero
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Fornitori
12/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:91794, tiratura:136577)
Nuovi minimi, un regime a perdere
DI VALERIO STROPPA
Fisco punitivo per i giovani professionisti. Il nuovo regime forfettario previsto dalla legge di Stabilità 2015 non
solo costa di più dei vecchi minimi, ma anche della tassazione ordinaria. Ma tra le partite Iva, le libere
professioni e i freelance risultano discriminati anche rispetto ad altre categorie (come per esempio artigiani e
commercianti), che potranno quantomeno neutralizzare il maggior carico fi scale con sgravi contributivi, pur
sacrifi cando la futura pensione. In tutto ciò, lo stato non incamera neanche un maggiore gettito, ma anzi le
casse pubbliche saranno incise negativamente per quasi 5 miliardi di euro in sei anni. Per tutti questi motivi il
regime forfettario previsto dalla legge n. 190/2014 deve essere ripensato. È quanto ha affermato nei giorni
scorsi la Cna, che ha realizzato due studi intitolati «Il fi sco non è uguale per tutti» e «Nuovi forfettari alla
ricerca delle opportunità perdute». E anche tutti gli ordini professionali si sono schierati compatti per chiedere
al governo di rivedere le misure, innalzando le soglie dei ricavi ammessi e/o riducendo l'imposta sostitutiva.
Stroppa a pag. 13 Fisco punitivo per i giovani professionisti. Il nuovo regime forfettario previsto dalla legge di
Stabilità 2015 non solo costa di più dei vecchi minimi, ma anche della tassazione ordinaria. Ma tra le partite
Iva, le libere professioni e i freelance risultano discriminati anche rispetto ad altre categorie (come per
esempio artigiani e commercianti), che potranno quantomeno neutralizzare il maggior carico fi scale con
sgravi contributivi, pur sacrifi cando la futura pensione. In tutto ciò, lo stato non incamera neanche un
maggiore gettito, ma anzi le casse pubbliche saranno incise negativamente per quasi 5 miliardi di euro in sei
anni. Per tutti questi motivi il regime forfettario previsto dalla legge n. 190/2014 deve essere ripensato.È
quanto ha affermato nei giorni scorsi la Cna, che ha realizzato due studi intitolati «Il fi sco non è uguale per
tutti» e «Nuovi forfettari alla ricerca delle opportunità perdute». Le differenze tra forfetari e ordinari.
L'applicazione dell'imposta sostitutiva del 15% sul reddito determinato con metodi forfetari potrebbe apparire,
a prima vista, una forma di riduzione della pressione fi scale. In realtà ciò si verifi ca solo al di sopra dei 35
mila euro di ricavi. Tetto però al quale solo poche categorie possono arrivare (commercianti, albergatori,
ristoratori). Per i professionisti il limite di fatturato per poter restare nel regime a forfait è fi ssato a 15 mila
euro annui, con un coeffi ciente di redditività del 78% per determinare l'imponibile. Pertanto, osserva la Cna,
sebbene l'aliquota Irpef del primo scaglione sia pari al 23%, a cui devono aggiungersi le addizionali regionali
e comunali (in media il 2,06%), per livelli bassi di reddito l'imposta dovuta nel regime ordinario risulta
comunque più bassa. A ridurre il prelievo ordinario giocano un ruolo fondamentale sia la detrazione Irpef
prevista dall'articolo 13 del Tuir per i lavoratori autonomi, pari a 1.104 euro, sia la franchigia Irap di 10.500
euro (laddove l'imposta regionale risultasse applicabile). Le differenze tra autonomi e dipendenti. Ma dai
calcoli della Cna emerge una ulteriore sperequazione anche nel trattamento fi scale di partite Iva e lavoratori
dipendenti,a parità di reddito. Come evidenziato nel grafi co in pagina, in corrispondenza di un reddito di 10
mila euro gli imprenditori in contabilità semplifi cata e i professionisti subiscono una tassazione effettiva che
supera di poco il 15%. Nella stessa fascia di reddito, i dipendenti scontano un'imposizione effettiva pari a
zero,a seguito dell'applicazione delle detrazioni da lavoro dipendente (circa 1.700 euro) e del bonus degli 80
euro mensili introdotto dal dl n. 66/2014. Gli effetti sul gettito. Il giro di vite sulle piccole partite Iva non
consentirà comunque all'erario di incassare di più. Anzi, le conseguenze finanziarie sul bilancio dello stato
saranno negative per una cifra variabile tra gli 800 e i 900 milioni di euro all'anno (si veda altra tabella in
pagina).A generare l'onere è prevalentemente la norma che permette ad artigiani e commercianti aderenti al
regime forfettario di usufruire di un sistema di favore nel calcolo dei contributi previdenziali: invece di
determinarli su un reddito fi gurativo detto «minimale» (che prescinde da quello effettivamente realizzato),
potranno quantifi carli «a percentuale». Si ricorda che tra il 2012 e il 2014 il minimale è stato pari
rispettivamente a 14.930, 15.357 e 15.516 euro. Ciò che i contribuenti risparmieranno nell'immediato si ri
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Professionisti penalizzati dal forfettario, da un lato. Ma dall'altro, nelle casse dello stato non arriverà maggior
gettito
12/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:91794, tiratura:136577)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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etterà però inevitabilmente sulle aspettative della futura pensione. La possibilità di scegliere sarà tuttavia
limitata solamente ai soggetti iscritti alle predette gestioni speciali. I professionisti che si trovano in una delle
casse previdenziali di categoria, così come gli autonomi senza cassa iscritti alla gestione separata Inps non
avranno alcun benefi cio. Le differenze tra vecchi e nuovi minimi. La disparità di trattamento maggiore rimane
quella tra chi applicava i vecchi regimi agevolati alla data del 31 dicembre 2014 e chi ha avviato la propria
attività dal 1° gennaio 2015 in poi. Con l'inizio del nuovo anno, infatti, la legge di stabilità ha mandato in soffi
tta sia il regime dei minimi previsto dal dl n. 98/2011 (con tetto di ricavi a 30 mila euro e aliquota al 5% per
tutti), sia il regime delle nuove iniziative produttive (fatturato ammesso di 30.987 euroe imposta sostitutiva al
10%). In via transitoria, tuttavia, la legge n. 190/2014 ha previsto che chi al 31 dicembre già applicava tali
meccanismi agevolati avrebbe potuto continuare a utilizzarli fi no a naturale scadenza. Disposizione, questa,
che ha innescato una vera e propria corsa ad aprire la partita Iva entro la fi ne del 2014 (si veda ItaliaOggi
dell'11 dicembre 2014). Soprattutto da parte dei soggetti under-35, che avrebbero potuto continuare ad
avvalersi della tassazione agevolata fino al compimento di tale età. Un giovane professionista che avvia la
sua attività nel 2015, quindi, a parità di reddito si troverà a pagare in media più del doppio delle tasse del
coetaneo che ha iniziato prima del 31 dicembre 2014. Le prospettive di modifica. La riforma dei minimi
prevista dalla legge di Stabilità ha subito innescato un focolaio di polemiche. Tutti gli ordini professionali si
sono schierati compatti per chiedere al governo di rivedere le misure, innalzando le soglie dei ricavi ammessi
e/o riducendo l'imposta sostitutiva (si veda ItaliaOggi dell'8 dicembre 2014). Anche dal mondo dell'artigianato
e delle piccole imprese, che pure sono i soggetti per i quali il sistema forfettario può risultare più conveniente,
non mancano le richieste di intervento. «Dalle analisi effettuate emerge con chiarezza che il nuovo regime
forfettario prevede delle concrete semplificazioni fiscali, eliminando qualsiasi onere contabile e di
comunicazione di dati all'Agenzia delle entrate», osserva la Cna, «i vantaggi economici derivanti dai risparmi
di oneri amministrativi sono però completamente mangiati dai maggiori tributi dovuti». Anche per le piccole
partite Iva che riterranno più conveniente optare per il regime ordinario, comunque,i benefi ci fi scali sono
inferiori rispetto ai vantaggi riservati ai dipendenti (su tutti il bonus 80 euro). «È vero che per le imprese
individuali in contabilità semplifi cata e per i professionisti le riduzioni delle imposte e le eccezioni previste
nella tassazione ordinaria riducono l'aliquota effettiva di imposizione al di sotto del 15%», prosegue la Cna,
«è importante sottolineare, tuttavia, che si tratta di riduzioni non parificabili a quelle previste per gli altri redditi
da lavoro». Al punto che anche il presidente del consiglio, Matteo Renzi, in un'intervista del 23 dicembre ha
riconosciuto che «le giovani partite Iva hanno avuto meno vantaggi di tutti» e si è assunto «la responsabilità
di fare un provvedimento ad hoc nei prossimi mesi».
La tassazione effettiva per autonomi e dipendenti
Nuovo regime forfettario: gli effetti sul gettito Addizionale regionale Addizionale comunale Fonte:
relazione tecnica governativa alla legge di stabilità 2015. Dati in milioni di euro. Sostitutiva regime forfettario
(15%) 367,1 392,9 418,6 444,3 470,0 495,8 Sostitutiva vecchi minimi (5%) -1,3 -35,2 -69,2 -103,1 -137,0 171,0 Sostitutiva nuove attività produttive (10%) -1,3 -1,7 -2,0 -2,3 -2,7 -3,0 Iva -241,6 -233,7 -225,7 -217,8 209,9 -201,9 Contributi previdenziali -519,2 -554,9 -590,4 -625,9 -661,5 -697,1 TOTALE -870,6 -864,6 -858,6
-852,4 -846,6 -840,4
12/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015
Pag. 31
(diffusione:91794, tiratura:136577)
Carte business, spese in chiaro
Tra i vantaggi, un più effi ciente controllo sulle fi nanze
Pagina a cura DI ANNA DI SANTO
Sono pensate per rispondere alle esigenze della clientela business e offrono diversi vantaggi, tra i quali il
monitoraggio delle spese aziendali, la possibilità di evitare l'uso del contante e di accedere a una serie di
servizi accessori. Sono le carte di credito aziendali che iniziano a prendere sempre più piede anche in Italia,
non solo tra le grandi imprese. Occhio però ai costi che potrebbero lievitare in seguito all'entrata in vigore di
un nuovo Regolamento in via di approvazione dalla Commissione Ue che disciplina i pagamenti con moneta
elettronica. Vantaggi e a cosa fare attenzione. Le carte di credito aziendali offrono diversi vantaggi dal punto
di vista pratico. Solitamente, infatti, le banche propongono condizioni particolarmente favorevoli, come
l'addebito posticipato a uno o due mesi senza interessi aggiuntivi o commissioni, il monitoraggio dei costi
legati a trasferte e altre spese effettuate dai dipendenti, la possibilità di pagamenti rateali e assicurazioni
gratuite o una via di assistenza preferenziale in caso di frode. Spesso, inoltre, vengono proposte offerte
personalizzate a seconda del target al quale è riservata la carta, per esempio artigiani o professionisti; le
condizioni variano anche in base alle dimensioni dell'impresa. Vantaggi ai quali fanno da contraltare alcuni
aspetti ai quali fare attenzione. Come per esempio la possibilità di imbattersi in dipendenti disonesti, con il
rischio di sostenere più spese di quelle realmente dovute. E anche sul fronte dei costi le carte business
potrebbero non essere in futuro più così vantaggiose in seguito all'entrata in vigore di un nuovo regolamento
europeo in via di approvazione che impone un taglio alle commissioni sui pagamenti con carte di credito e di
debito, con l'intento di incentivare i pagamenti con moneta elettronica. Secondo uno studio realizzato
dall'istituto di ricerca francese Galitt, però, la norma potrebbe avere tutt'altro effetto. Secondo l'indagine,
infatti, le società che emettono le carte e le banche, potrebbero alzare i prezzi per far fronte al calo dei ricavi
garantiti dalle commissioni (oltre 770 milioni di euro i mancati ricavi). Da qui l'aumento dei canoni, che si
tradurranno in 305 milioni di euro di costi in più per le imprese. In particolare, l'istituto ipotizza due scenari per
il 2018, con e senza l'applicazione della norma europea. Nel secondo caso, l'istituto francese prevede che
entro quattro anni saranno circa 60 milioni le carte (di credito e debito) aziendali in circolazione nell'Unione
europea (per più di 2,4 miliardi di transazioni); mentre nel primo si ridurranno a 49 milioni (per 1,95 miliardi di
transazioni). Le proposte degli operatori. Tra gli istituti di credito, Unicredit propone UnicreditCard Business
Easy, carta prepagata nominativa per le aziende. Il limite di utilizzo consentito arriva fino a 10 mila euro; il
costo di emissione ammonta a 5 euro, stessa cifra per il costo di gestione. La validità è di tre anni. La banca
offre anche UnicreditCard Business, con plafond fi no a 25mila euro per un canone annuale di 50 euro e tre
anni di validità. Mentre la UnicreditCard Business Gold offre un plafond fi no a 50 mila euro, per un canone
annuale di 100 euro e tre anni di validità (sono previste un'ampia copertura assicurativa e servizi di concierge
esclusivi). Intesa Sanpaolo propone invece la soluzione Carta Commercial, carta di credito pensata per i
clienti business (liberi professionisti, artigiani, commercianti, imprese di piccole, medie e grandi dimensioni). Il
plafond mensile di spesa arriva fino a 50 mila euro ed è previsto l'addebito posticipato delle spese il 28°
giorno del mese successivo a quello di utilizzo. La banca offre anche la Carta Prepaid Commercial,
prepagata ricaricabile dedicata alla gestione delle spese aziendali. Mentre Mps propone le seguenti offerte:
Carta Montepaschi Business e Carta Montepaschi Business Gold per piccole e medie aziende e liberi
professionisti, e Carta Montepaschi Corporate e Carta Montepaschi Corporate Gold per grandi aziende. Le
modalità di rimborso sono a saldo con addebito, mentre la validità è di 36 mesi. Banco Popolare propone
invece YouCard Business, carta aziendale emessa dalla banca con funzione prepagata e debito. Con CartaSi
l'istituto offre inoltre CartaSi Business, creata per rispondere alle esigenze delle piccole/medie imprese e
CartaSi Idea Business che offre una vasta gamma di servizi per le pmi. Mentre con American Express
propone Carta Verde Business, pensata su misura per le imprese, insieme a Carta Oro Business che non
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Prendono piede le card aziendali: cosa offre il mercato e i parametri per contenere i costi
12/01/2015
ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015
Pag. 31
(diffusione:91794, tiratura:136577)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
prevede limiti di spesa e presenta un ricco programma «Fedeltà». Si chiama invece Libra Business l'offerta di
Ubi Banca per liberi professionisti e imprese che consente di ricevere un unico estratto conto mensile con il
dettaglio delle spese effettuate, usufruire di un'assistenza dedicata, ottenere copertura assicurative grazie
alle polizze furto, infortuni e assistenza. È possibile scegliere tra Libra Business Individuale, dedicata a liberi
professionisti, studi professionali e titolari di aziende individuali e Libra Business Aziendale, dedicata alle
piccole e medie imprese. Infi ne, Credem propone Carta Ego Business per le piccole e medie imprese. Il
canone annuo si riduce in base all'utilizzo fi no ad azzerarsi e sono previsti servizi assicurativi, come
assistenza 24 ore su 24, diaria di ricovero, rimborso spese mediche, rimborso bagaglio ed effetti personali.
Le proposte degli istituti di credito Mps Credem Unicredit Ubi Banca Intesa Sanpaolo Banco Popolare
Banca Proposta UnicreditCard Business Easy, carta prepagata nomina• tiva per le aziende. Il limite di utilizzo
consentito arriva fi no a 10 mila euro; il costo di emissione ammonta a 5 euro, stessa cifra per il costo di
gestione. La validità è di tre anni. UnicreditCard Business, con plafond fi no a 25 mila • euro per un canone
annuale di 50 euro e tre anni di validità. È possibile richiederne l'emissione anche per i propri collaboratori.
UnicreditCard Business Gold offre un plafond fi no a • 50 mila euro, per un canone annuale di 100 euro e tre
anni di validità (sono previste un'ampia copertura assicurativa e servizi di concierge esclusivi). Carta
Commercial, carta di credito pensata per i clienti • business (liberi professionisti, artigiani, commercianti,
imprese di piccole, medie e grandi dimensioni). Il plafond mensile di spesa arriva fi no a 50 mila euro ed è
previsto l'addebito posticipato delle spese il 28° giorno del mese successivo a quello di utilizzo. Carta Prepaid
Commercial, prepagata ricaricabile de• dicata alla gestione delle spese aziendali. Carta Montepaschi
Business e Carta Montepaschi • Business Gold per piccole e medie aziende e liberi professionisti. Carta
Montepaschi Corporate e Carta Montepaschi • Corporate Gold per grandi aziende. Le modalità di rimborso
sono a saldo con addebito, • mentre la validità è di 36 mesi. YouCard Business, carta aziendale emessa dalla
banca • con funzione prepagata e debito. Con CartaSi l'istituto offre inoltre CartaSi Business, • creata per
rispondere alle esigenze delle piccole/medie imprese e CartaSi Idea Business che offre una vasta gamma di
servizi per le Pmi. Mentre con American Express propone Carta Verde Business, pensata su misura per le
imprese, insieme a Carta Oro Business che non prevede limiti di spesa e presenta un ricco programma
«Fedeltà». È possibile scegliere tra Libra Business Individuale, • dedicata a liberi professionisti, studi
professionali e titolari di aziende individuali e Libra Business Aziendale, dedicata alle piccole e medie imprese
. Carta Ego Business per le piccole e medie imprese. • Il canone annuo si riduce in base all'utilizzo fi no ad
azzerarsi e sono previsti servizi assicurativi, come assistenza 24 ore su 24, diaria di ricovero, rimborso spese
mediche, rimborso bagaglio ed effetti personali.
10/01/2015
Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Il Fondo Europeo per li Investimenti (Fei) e UniCredit hanno sottoscritto il 3 giugno 2014 un nuovo accordo
nell'ambito di Jeremie Sicilia al fine di sostenere le micro, piccole e medie imprese dell'Isola. Il plafond
complessivo è pari a 50,7 milioni di euro, di cui 22,8 milioni di euro quota Fei e 27,9 milioni UniCredit. Il 20
gennaio alle 10 in via Volta un incontro organizzato da Confindustria Sicilia, partner di Enterprise Europe
Network, e da Unicredit, mira a presentare nei dettagli le opportunità e i vantaggi offerti dalla rimodulazione di
questo strumento. Firmato l'accordo per arantire la cassa integrazione straordinaria per crisi ai lavoratori della
Selital di Carini. Lo ha reso noto il vicesegretario regionale dell'Ugl Metalmeccanici Sicilia, Saverio La Rosa,
aggiungendo che «adesso l'auspicio è che lo stabilimento possa gradualmente ripartire con i ritmi di
produzione». A questo fine, il 20 gennaio si terrà un tavolo al Mise, nel corso del quale si avvierà un dialogo
sull'agenda da seguire per la ripresa.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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NORMANNI, AQUILE & ELEFANTI
11/01/2015
Business People - N.1 - gennaio 2015
Pag. 38
(tiratura:60000)
VENDERE CARA la PELLE
DAI GIUBBOTTI ALLE BORSE, NON C'È CAPO DI MODA CHE NON ABBIA LA SUA VERSIONE
LEATHER. NON È SOLO QUESTIONE DI TENDENZA, MA DI TRADIZIONI E ARTIGIANALITÀ ANTICHE
AL SERVIZIO DELLE GRANDI GRIFFE. DIETRO IL SUCCESSO DEI BRAND C'È PERÒ UN TESSUTO DI
PMI SCHIACCIATO DALLA CONCORRENZA CINESE, E IL GOVERNO HA PERSO LA CHANCE
EUROPEA PER TUTELARE IL MADE IN ITALY
FRANCESCO PERUGINI
Chissà che ne penserebbe James Dean. O i bikers maledetti degli anni '50, per non parlare dei punk. I loro
giubbotti di pelle nera, segno universale di ribellione, sono finiti sulle passerelle di tutto il mondo. Che il
chiodo sia divenuto un fashion victim non è una novità: tutta colpa di Yves Saint Laurent, il primo a
intraprendere negli anni '70 la strada del leather nelle collezioni. Krizia, Dior, Versace, tutti hanno seguito poi
l'esempio del maestro. A impressionare però oggi è la quantità immensa di prodotti che hanno abbandonato il
tessuto per il versatile materiale dalla forte impronta italiana. Non solo giubbotti, capispalla, soprabiti, giacche
college, ma anche gonne e bolerini da donna. Cavalli ne ha fatto uno stile di vita, mentre Trussardi (foto in
apertura) l'ha sempre avuta nel proprio Dna: il fondatore Dante era un pellettiere che riuscì a portare i propri
guanti fin sulle mani dei re d'Inghilterra. Gucci ne ha reinventato l'utilizzo per le sue collezioni di quest'anno,
applicandola su revers e bottoni dei capispalla, giacche di velluto e persino su camicie e pantaloni da
smoking. Ferragamo la esalta nelle enormi borse da uomo nelle vetrine. E piace così tanto da aver portato
sulla scena modaiola anche i brand motoristici: da Audi, che ha lanciato una capsule collection con PZero, a
Ducati, ospite d'eccezione a Pitti immagine uomo ( vedi cover story ). Una cosa è certa: nessuno potrà farci la
pelle. Non potrebbe essere altrimenti per un settore che in barba alla crisi fa segnare +5,9 nell'export,
segnando dati positivi sotto tutti i punti di vista: dalle cartelle portadocumenti alle custodie per strumenti
musicali, in rigoroso ordine di dimensione. Storia, design e capacità di innovare sono le armi in più
dell'artigianalità del Belpaese che la Cina non riuscirà mai a eguagliare. I dati della World Trade Organization
dicono che la tanto vituperata economia italiana è prima per competitività a livello mondiale addirittura in tre
settori: nell'abbigliamento, nel tessile e nella pelletteria. A far da padrone ovviamente sono le borse da donne,
ambasciatrici del gusto tricolore nel mondo. Gucci, Prada, Ferragamo, Fendi, Bottega Veneta: i grandi nomi
capaci di far sognare qualunque ragazza o signora hanno totalizzato 1,4 miliardi di euro di vendite solo nei
primi sei mesi del 2014 in attesa del consuntivo di fine anno. Si tratta di circa il 70% del mercato mondiale per
una produzione realizzata nella quasi totalità nei distretti tricolori, dalla Toscana alle Marche, dal Veneto alla
Campania: la pelletteria è una tradizione che unisce l'Italia. Se non è un monopolio, gli somiglia moltissimo.
Perché riconoscere la pelle di qualità non è difficile, garantiscono i maestri: tatto, morbidezza e profumo sono
segnali inequivocabili di un prodotto con una lunga storia alle spalle. MERCATO SCHIZOFRENICO «Le griffe
segnano gran parte del saldo commerciale attivo, ma le piccole e medie imprese sono in sofferenza»,
denuncia Mauro Muzzolon, d.g. uscente Aimpes e del salone Mipel (appuntamento a febbraio per l'edizione
107). «Il nostro è un mercato schizofrenico: chi esporta riesce anche ad avere dei risultati apprezzabil, chi
punta sul mercato interno è messo molto male. Ormai in Italia siamo sui valori di consumo di inizio anni
Duemila». Il trend si riflette anche nell'andamento dei Paesi esteri che fanno da riferimento per interpretare
l'andamento della domanda. Cresce la richiesta negli Stati Uniti, una piazza storicamente appannaggio dei
marchi di lusso. Si avverte invece una contrazione in Giappone dove le nostre pmi avevano a lungo trovato
uno sbocco per i propri prodotti. Ad acuire la crisi c'è la situazione russa, tra le tensioni geopolitiche con le
relative sanzioni internazionali e la contemporanea svalutazione del rublo che ha frenato lo sviluppo di quello
che stava diventando un mercato di riferimento per la pelle italiana. «Oggi i contoterzisti che producono per i
colossi vanno molto bene perché quasi tutta la produzione di alta qualità è in Italia», spiega ancora Muzzolon
guardando al mondo della produzione, «nel frattempo si impoverisce il mercato dei brand di seconda fascia
che avrebbero bisogno di politiche aggressive per restare a galla ma non hanno i soldi per implementarle. E
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Mercato
11/01/2015
Business People - N.1 - gennaio 2015
Pag. 38
(tiratura:60000)
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
sono massacrati dalla contraffazione: su 20 milioni di borse vendute ogni anno, il mercato parallelo ne
commercia 30 milioni. E questo è un rischio anche per le griffe: i loro centri stile vivono all'interno di tessuti
dinamici e propositivi. Se muore il comparto, si perderà anche il significato stesso di made in Italy». Perché è
proprio la filiera il segreto del successo tricolore. In Toscana, nella piccola area del distretto di Santa Croce
sull'Arno (circa 330 mq per 90 mila abitanti), si trovano conciatori, pellettieri e produttori di metalleria. I
rapporti sono tali che ognuno può creare il prodotto che vuole sfruttando anche le innovazioni di ciascuna
fase del processo di produzione. OCCASIONE PERSA La difesa del "made in Italy" è la priorità assoluta
anche per Assocalzaturifici che ha monitorato con attenzione il semestre europeo a guida italiana nella
speranza che divenisse l'occasione per approvare finalmente il Regolamento europeo sulla sicurezza dei
prodotti destinati ai consumatori e la vigilanza del mercato, ma anche l'ultimo Consiglio Competitività Ue si è
rivelato un'occasione mancata da parte del governo che ha rimbalzato la palla ai lettoni. «Ci attendevamo
molto. Il dossier sul Made In è stato più volte bloccato a causa dell'ostruzionismo di alcuni Paesi e non siamo
stati in grado di superarlo con determinazione», denuncia il presidente Cleto Sagripanti, «quella del 4
dicembre era l'ultima occasione durante la presidenza europea dell'Italia per mettere a segno un
provvedimento che va aldilà degli interessi nazionali». Anche perché la difesa e promozione del made in Italy
stimolerebbe ulteriormente il fe1nomeno di back reshoring , cioè il rientro in patria di aziende delocalizzate (
vedi anche l'articolo a pag. 40 ), di cui proprio il mondo della calzatura è protagonista: sul totale delle
rilocalizzazioni registrate nel mondo, il 19,3% riguarda aziende di abbigliamento e calzature, secondo lo
studio Uni Club MoRe back reshoring. «Questo perché si tratta di eccellenze che richiedono filiera e capacità
professionali e artigiane che è difficile traslocare», ricorda Sagripanti in vista del prossimo Micam (15-18
febbraio) che potrebbe vedere l'ufficializzazione del tripledip per il settore dall'inizio della crisi, «crediamo
fortemente che il valore del made in Italy sia legato al territorio e alla sua tradizione tornare a produrre in Italia
significa valorizzare tutta la rete del tessuto produttivo». Le richieste non mancano, dalla defiscalizzazione
delle spese per i campionari al credito di filiera garantito fino agli incentivi per gli investimenti in ecommerce.
La più importante, però, riguarda il lavoro. La proposta di Assocalzaturifici è quella dell'introduzione del
"contratto di servizio", un percorso formativo on the job per permettere alle aziende di crearsi in casa gli
artigiani specializzati che ormai paradossalmente sono una rarità in un settore di così lunga tradizione. «In
Toscana e in Veneto si strappano i modellisti», concorda Muzzolon (Mipel). Quasi come gli ingegneri nella
Silicon Valley, i pellettieri sono un tipo di personale altamente conteso anche se per ragioni storiche ben
diverse. A lungo snobbata per la durata rilevante dell'apprendistato, oggi la forza lavoro è avanti con gli anni
e rischia di non trovare sufficiente ricambio. Così Gucci, Prada e Confindustria Firenze collaborano con l'Alta
scuola di pelletteria di Scandicci (Firenze), che offre corsi simili a un Mba per organizzazione e prezzi. Mentre
da Testoni la formazione avviene in fabbrica per cinque anni. LOTTA GLOBALE Nel frattempo, oltre alla lotta
locale per i migliori artigiani, si è aperta quella globale per le materie prime. Con l'Europa in ritirata, indiani,
africani e turchi che sono arrivati a controllare oltre il 50% del grezzo, portando a un'impennata dei prezzi tra
il 20% e il 40% solo nel periodo 2011-2013. «Solo l'Europa esporta ancora pelli, in molti altri Paesi sono in
vigore misure protezionistiche sulle materie prime semilavorate», racconta Tommaso Lapi, della conceria GiElle-Emme di Ponte a Egola (Pisa) specializzata in cuoio per suola da scarpe, «l'instabilità delle monete e la
lotta al consumo di carne, che ha svuotato le stalle favorendo le multinazionali, hanno fatto il resto. E se poi,
com'è successo, il governo di Pechino impone più sobrietà alla classe media, ci toglie una grossa fetta di
clienti». Così i grandi brand si sono attrezzati per non farsi mancare il materiale. Louis Vuitton ed Hermès
hanno comprato allevamenti di coccodrilli in Australia, Prada si è aggiudicata una storica conceria francese di
Limoges. Tod's fa da sé a Casette d'Ete (Fermo), meno di tremila anime nel quadrilatero marchigiano e 910
dipendenti con padri e figli che lavorano fianco a fianco. In Toscana ha investito molto Gucci che impiega
1.300 dipendenti nel fiorentino, ha un indotto da 45 mila persone nel territorio e da oltre due anni lavora per
certificare la filiera. Il gruppo, di proprietà della francese Kering ma con la produzione al 100% made in Italy,
negli anni ha acquisito quattro calzaturifici e due concerie. In una di queste, la Blutonic, è stato creato il primo
11/01/2015
Business People - N.1 - gennaio 2015
Pag. 38
(tiratura:60000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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metodo di conciatura metal free al mondo. «Per stare a galla non possiamo fare battaglie sul prezzo perché
una scarpa deve mantenere estetica e comodità», conclude uno degli eredi della Figli di Guido Lapi, «nel
resto del mondo le concerie sono grosse e isolate, noi invece facciamo sistema e siamo capaci di innovare in
tempi rapidi. Abbiamo fondato tre anni fa il marchio "Cuoio di Toscana" per segnalare i prodotti realizzati con
metodo tradizionale: unirci è l'unica strada per non dover lasciare l'Italia verso il Terzo mondo. All'estero
l'essere italiano viene ancora premiato, l'importante è farsi riconoscere». © GettyImages (2), Trussardi (1), A.
Testoni (1), Gi-Elle-Emme (1)
LA TOP 11 DELLE ESPORTAZIONI VALORI IN EURO PERIODO GENNAIO-GIUGNO 2014 PAESI 2013
2014 VAR % % QUOTA 2014 SVIZZERA 484.779.351 515.528.124 6,34% 17,84% FRANCIA 348.038.527
383.272.000 10,12% 13,26% STATI UNITI 240.568.912 260.201.974 8,16% 9,00% HONG KONG
219.973.522 229.551.773 4,35% 7,94% GIAPPONE 207.797.940 196.403.553 -5,48% 6,80% REGNO
UNITO 152.086.050 175.752.181 15,56% 6,08% GERMANIA 153.812.845 167.547.113 8,93% 5,80%
REPUBBLICA DI COREA 152.690.250 154.989.009 1,51% 5,36% CINA 95.480.140 105.459.411 10,45%
3,65% SPAGNA 58.901.496 62.778.044 6,58% 2,17% FEDERAZIONE RUSSA 68.037.127 61.866.603 9,07% 2,14%
VALORE EXPORT DATI GENNAIO-GIUGNO 2014 PRODOTTI VALORE IN MIGLIAIA DI EURO 2013 2014
VAR % CARTELLE SOTTOBRACCI E PORTADOCUMENTI 44.679.210 52.265.272 16,98 VALIGIE E
ARTICOLI DA VIAGGIO 92.934.471 93.548.171 0,66 BORSE 1.330.292.636 1.433.793.653 7,78 PICCOLA
PELLETTERIA 378.908.313 413.685.982 9,18 CINTURE 184.536.388 199.802.107 8,27 ALTRI LAVORI IN
PELLE 61.781.275 77.859.419 26,02 TOTALE 2.093.132.293 2.270.954.604 8,50 Fonte: Aimpes/Mipel
Veneto, Toscana, Firenze, Marche e Campania: la tradizione della pelletteria unisce la Penisola. E ogni
distretto si segnala per la specializzazione in un settore, dall'abbigliamento al calzaturiero fino alle borse.
Accanto alla storica produzione di borse da donna per le griffe più prestigiose, la qualità della concia e delle
lavorazioni tricolori permette di adattare la pelle a ogni prodotto per ottenere capi di qualità imbattibile per i
cinesi
L'INDICE DELLE PELLI GREZZE ELABORATO DALLA CAMERA DI COMMERCIO DI MILANO E
UNIONPELLI gen '12 feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic gen '13 feb mar apr mag giu lug ago set ott
nov dic gen '14 feb mar apr mag
Lotta al consumo di carne e politiche protezionistiche da parte dei Paesi emergenti hanno fatto schizzare
negli ultimi anni il prezzo delle pelli grezze come si vede nel grafico, elaborato dall'Ufficio prezzi della Cciaa di
Milano e Unionpelli: un problema per le pmi ma anche per le griffe che, per assicurarsi le materie prime
migliori, hanno dovuto acquisire concerie storiche e allevamenti di animali pregiati
Foto: ABBIGLIAMENTO, TESSILE E PELLETTERIA: IN QUESTI TRE SETTORI IL NOSTRO PAESE È
PRIMO AL MONDO PER COMPETITIVÀ
Foto: FILIERA E INDOTTO CONSENTONO ALLE GRANDI AZIENDE DI RISPONDERE CON RAPIDITÀ AI
CAMBIAMENTI DELLE TENDENZE
Foto: LA PELLETTERIA ESIGE UN LUNGO APPRENDISTATO CHE OGGI RENDE DIFFICILE IL
RICAMBIO GENERAZIONALE NELLE AZIENDE
11/01/2015
Business People - N.1 - gennaio 2015
Pag. 40
(tiratura:60000)
ORGANIZZAZIONE E FORMAZIONE: LE CHIAVI DEL SUCCESSO
Intervista a Enrico Bracalente, fondatore di NeroGiardini
Il lusso alla portata di tutti. Perché un bel prodotto di pelle italiano non deve essere per forza inarrivabile.
Basta un po' di organizzazione e tanto coraggio, come insegna Enrico Bracalente. Bracalente, si può
crescere anche puntando sull'Italia? Sì, ma ormai è d'obbligo internazionalizzare. Fino al 2013 oltre il 90% del
fatturato lo facevamo sul mercato interno, l'ultima semestrale invece ci vede salire al 19% all'estero. Per noi
esportare vuol dire andare in mercati simili al nostro per stile e cultura dove poter vendere le stesse collezioni
senza dover aumentare i costi. La Germania, ad esempio, si è allineata al nostro gusto: lo avevamo capito
guardando al successo dei nostri negozi altoatesini sul pubblico bavarese e austriaco. Esiste un'Unione
europea dello stile? Monumenti, musei, territorio, spiagge, montagne, agroalimentare: la bellezza è in Europa
e in particolare in Italia. E sono cose che i cinesi non possono copiare. Quindi, il segreto del vostro successo
è stato puntare sul territorio? A fine anni '90 abbiamo deciso di non delocalizzare, ma di competere sul
mercato globale producendo nella Penisola. Oggi quella scelta ci sta premiando, il made in Italy - che è il
terzo marchio più citato al mondo dopo Coca-Cola e Visa - permette di dare al mercato un servizio che gli altri
non possono fornire lavorando a 4 mila chilometri di distanza. Molti stanno tornando, soprattutto in America, e
devono ricominciare. Noi invece abbiamo usato questi anni per strutturarci, migliorare l'organizzazione,
aumentare gli standard qualitativi e fare economie di scala. Così oggi siamo un marchio leader in Italia e
riconosciuto all'estero. Ora vogliamo arrivare al 50% di export, raddoppiare il fatturato delle calzature e
portare a 100 milioni di euro quello dell'abbigliamento. Per questo replicheremo all'estero quello che abbiamo
fatto in Italia con la comunicazione: abbiamo iniziato in Belgio e Spagna, il prossimo passo è la Russia.
Insomma, nessuno potrà farvi la pelle... Nel settore calzaturiero siamo primi in Europa come distretto
fermano-maceratese. Prada aprirà due stabilimenti, abbiamo Gucci e Tod's. Con una tradizione di oltre 50
anni, il nostro valore aggiunto è l'alta specializzazione. Ma per conservarla dobbiamo investire nella
formazione perché negli ultimi 10-15 anni il settore ha sofferto la mancanza di giovani nelle aziende. Gli
apprendisti erano emarginati nella società dei "dottori", ma è proprio il manifatturiero che dà lavoro ai
professionisti. Così abbiamo avviato una collaborazione con l'istituto tecnico "Artigianelli" di Fermo per creare
corsi di formazione in operatore per la calzatura: i primi 14 diplomati sono già stati assunti da noi e dalle
aziende del nostro indotto.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Mercato
11/01/2015
Business People - N.1 - gennaio 2015
Pag. 65
(tiratura:60000)
Il TEMPO parla anche ITALIANO
NON POTRÀ VANTARE LA FAMA DI SVIZZERA E SASSONIA, MA ANCHE LA PENISOLA HA I SUOI
CAMPIONI DELL'OROLOGERIA MECCANICA E LA ESPORTA IN TUTTO IL MONDO
a cura di Michele Mengoli
Il meglio dell'orologeria italiana di qualità nasce in provincia: quella produttiva, delle aziende individuali e delle
piccole e medie imprese, dove la qualità della vita è certificata periodicamente dalle classifiche dei giornali. È
ovvio, in questo settore, soprattutto nel segmento dell'alto di gamma, nessuno può competere davvero con la
Svizzera, almeno a livello generale, di filiera integrata. Tranne rarissime eccezioni. Come la Sassonia, in
Germania, nel distretto che ruota intorno alla cittadina di Glashütte, per un livello alto e numeri comunque
microscopici rispetto a quelli elvetici. Oppure il Giappone, su una fascia di prezzo medio-bassa ma con
vendite importanti (parliamo sempre di orologeria meccanica), dove esistono colossi noti a tutti: vedi Seiko e
Citizen, titolare della manifattura Miyota, tanto per fare un paio di nomi che propongono (anche) movimenti
meccanici affidabili e precisi a prezzi concorrenziali. Fatta questa precisazione necessaria, l'Italia ha
comunque un ruolo importante nell'orologeria che fa "tic tac". In un mondo sempre più spostato verso le tigri
asiatiche sembra difficile anche solo ricordarlo, ma prima il fenomeno della lista d'attesa presso il
concessionario di zona per allacciarsi al polso il celeberrimo sportivo in acciaio e, dopo, la riscoperta del
"vintage" sono fenomeni che nascono proprio da noi negli anni '80 del secolo scorso e che abbiamo esportato
ovunque. In Italia, tuttora, abbiamo una rete unica al mondo, tanto capillare quanto competente, di venditori
autorizzati dei marchi più prestigiosi. Per non dimenticare che Panerai, una delle case che hanno fatto la
storia del mercato contemporaneo, nasce a Firenze nel 1860 e resta di proprietà italiana fino al 1997, quando
viene acquisita dal Vendôme Luxury Group - oggi Richemont - mantenendo comunque una identità molto
italiana (nonostante la produzione odierna sia dislocata a Neuchâtel), come peraltro la direzione manageriale
affidata all'italianissimo Angelo Bonati. E molti italiani sono protagonisti nella filiera svizzera: su tutti il geniale
Giulio Papi, progettista di tanti capolavori di Audemars Piguet (e non solo). Poi ci sono gli orologi di questa
rassegna. © assistantua/IStock/Thinkstock (1)
DREAM TEAM TRICOLORE CI SONO NAZIONALI LEGGENDARIE CHE HANNO SEGNATO
L'IMMAGINARIO COLLETTIVO, OLTREPASSANDO I CONFINI SPORTIVI. BASTI PENSARE AL BRASILE
DI PELÉ O ALL'OLANDA DI CRUIJFF. OPPURE AL "DREAM TEAM" DEL BASKET USA CHE HA VINTO
LE OLIMPIADI DEL 1992 SCHIERANDO UNA ROSA DI 12 MITI ASSOLUTI, CAPEGGIATI DAL TRIO
LARRY BIRD, MAGIC JOHNSON E MICHAEL JORDAN. SEMPRE NEL '92 GLI USA - STAVOLTA NEL
TENNIS - VINCONO LA DAVIS CON AGASSI, COURIER, MCENROE E SAMPRAS, TRA I PIÙ GRANDI DI
SEMPRE. UN PARALLELO CON GLI ITALIANI PROTAGONISTI NELL'OROLOGERIA MECCANICA È
POSSIBILE? SÌ. E LO DIMOSTRA QUESTO POKER D'ASSI: GERALD GENTA, DESIGNER DI ROYAL
OAK E NAUTILUS; MICHEL PARMIGIANI, FONDATORE DELL'OMONIMA CASA; GIULIO PAPI, MAESTRO
DEI MAESTRI; E DEMETRIO CABIDDU, "ANIMA" DI MONTBLANC MINERVA. POI CI SONO DECINE DI
OTTIMI MANAGER E ADDETTI AI LAVORI. PER UN "DREAM TEAM" DAVVERO DI TUTTO RISPETTO.
Ennebi Da Prato, Luciano Nincheri e Alessandro Bettarini, capisaldi di Officine Panerai (la cassa del Luminor
è stata disegnata proprio da Bettarini), nel 2004 hanno creato Ennebi, che oggi conta una produzione annua
di 500 orologi, quasi tutti venduti su prenotazione. La meccanica è svizzera e le casse sono realizzate in
modo del tutto artigianale. Qui il Fondale GF (cassa in titanio grado 5 Ø 44 mm; 2.977 euro). www.
ennebiwatch.com
GaGà Milano Da Crema, nella bassa Padana, Ruben Tomella ha avuto l'intuizione di attaccare le anse a un
orologio da tasca, svecchiando il quadrante, per un successo commerciale che ha portato GaGà Milano fino
in Asia. Ecco la sua creatura più virtuosa: il Quirky Tourbillon in 20 esemplari, con movimento svizzero
manuale scheletrato (cassa in titanio Ø 47 mm; prezzo su richiesta). www. gagamilano.com
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Orologi
11/01/2015
Business People - N.1 - gennaio 2015
Pag. 65
(tiratura:60000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015
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Giuliano Mazzuoli Da Tavarnelle Val di Pesa, niente meno che nelle zone del Chianti fiorentino, l'artigianodesigner Giuliano Mazzuoli ha saputo come nessun altro coniugare oggetti professionali all'orologeria di alta
gamma prima con il manometro, poi con il contagiri e ora con il segnatempo denominato Trasmissione
Meccanica. Qui in versione cronografo (cassa in acciaio Ø 46 mm; 5.800 euro). www. giulianomazzuoli.it
Locman Dall'isola d'Elba, sulla baia di Marina di Campo, è dal 1986 che Locman, prima come contoterzista e
poi con il proprio marchio, diventa un riferimento per l'orologeria italiana con movimenti al quarzo. Poi dal
2006, attraverso la fondazione della Scuola Italiana di Orologeria, arrivano anche i movimenti meccanici. In
foto il Montecristo Cronografo Automatico (cassa in acciaio Ø 44 mm; 1.380 euro). www. locman.it
TCM Da Gallarate, nel Basso Varesotto, TCM (che sta per Terra Cielo Mare) è stata fondata alla fine degli
anni '90 da Emilio Fontana e Giorgio Lattuada, grandi professionisti del settore orologiero italiano. In questi
anni TCM ha creato segnatempo legati alla storia del nostro Paese, come il Crono Sorci Verdi Mancino, che
omaggia l'omonima squadriglia della Regia Aeronautica (cassa in acciaio Ø 44 mm; 2.980 euro).
www.tcm.com
Tonino Lamborghini Da Funo di Argelato, nel bolognese, a pochi chilometri dalla storica sede di Sant'Agata,
dove vengono prodotte le tanto leggendarie quanto "spigolosissime" supersportive del Toro, dal 1981 il
commendator Tonino Lamborghini ha messo in moto un vero e proprio "lifestyle experience brand". E il crono
automatico 1947 ne è il perfetto esempio (cassa in acciaio Ø 42 mm; 3.200 euro). www.lamborghini.it